MARIA
VALTORTA

Voglio che le anime possano bere alla Fonte vitale della mia parola

"Quando la Chiesa - e per tale alludo ora alla riunione degli alti dignitari di Essa - agì secondo i dettami della mia Legge e del mio Vangelo, la Chiesa conobbe tempi fulgidi di fulgore. Ma guai quando, anteponendo gli interessi della Terra a quelli del Cielo, inquinò Se stessa con passioni umane! Tre volte guai quando adorò la Bestia di cui parla Giovanni, ossia la Potenza politica, e se ne fece asservire..." (Qd 12 dicembre 1943)

OPERA MAGGIORE

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VOLUME III CAPITOLO 160



CLX. Incontro con Gamaliele sulla strada da Neftali a Giscala.

   10 maggio 1945.

   160.1 «Maestro! Maestro! Ma non sai chi è avanti a noi? Vi è rabbi Gamaliel! Seduto coi suoi servi, in una carovana, fra l’ombra del bosco, al riparo dai venti! Stanno cuocendo un agnello. E ora? Che facciamo?».
   «Ma quello che volevamo fare, amici. Noi andiamo per la nostra via…».
   «Ma Gamaliele è del Tempio».
   «Gamaliele non è un perfido. Non abbiate paura. Vado avanti Io».
   «Oh! vengo anche io», dicono insieme i cugini e tutti i galilei e Simone. Solo l’Iscariota e, un po’ meno, Tommaso mostrano poca voglia di procedere. Ma seguono gli altri.
   Qualche metro ancora per una strada montagnosa infossata fra le pareti boscose del monte. E poi la strada piega e sbocca in una specie di pianoro che traversa allargandosi, per poi tornare stretta e tortuosa sotto il suo tetto di rami intrecciati. Nella radura soleggiata, ma nello stesso tempo ombreggiata dalle prime foglie del bosco, molta gente è sotto una ricca tenda, e altra si dà da fare in un angolo per girare l’agnello sulla fiamma.
   Non c’è che dire! Gamaliele si trattava bene. Per un uomo che viaggia, lui, ha messo in moto un reggimento di servi e smosso non so quanti mai bagagli. Ora è là seduto, al centro della sua tenda: un telo steso su quattro bastoni dorati, una specie di baldacchino sotto cui sono sedili bassi coperti di cuscini e una tavola montata su caprette intarsiate, coperta da una finissima tovaglia sulla quale i servi dispongono le stoviglie preziose. Gamaliele pare un idolo. Con le mani aperte sulle ginocchia, rigido, ieratico, mi sembra una statua. Intorno a lui i servi volteggiano come farfalloni. Ma lui non se ne occupa. Pensa, con le palpebre piuttosto abbassate sugli occhi severi, e quando le alza i due scurissimi occhi fondi e pieni di pensiero si mostrano in tutta la loro severa bellezza ai lati del lungo naso sottile e sotto la fronte un poco calva di vecchio, alta, segnata da tre rughe parallele e sulla quale una vena grossa, bluastra, mette quasi un V al centro della tempia destra.

   160.2 Lo scalpiccio dei sopravvenienti fa volgere i servi. E anche Gamaliele si volge. Vede Gesù avanzarsi per il primo e fa un atto di sorpresa. Si alza in piedi e va sul limitare della tenda. Non oltre. Ma da lì fa un profondo inchino con le braccia incrociate sul petto. Gesù risponde con lo stesso modo.
«Qui sei, Rabbi?», chiede Gamaliele.
   «Qui sono, rabbi», risponde Gesù.
   «È lecito chiederti dove vai?».
   «Mi è caro risponderti. Da Neftali vengo, diretto a Giscala».
   «A piedi? Ma è lunga e penosa via per questi monti. Ti stanchi troppo».
   «Credimi. Se sono accettato e ascoltato mi si cancella ogni stanchezza».
   «Allora… concedimi per una volta di essere io quello che ti cancella la stanchezza. L’agnello è pronto. Avremmo lasciato i resti agli uccelli perché non uso portare dietro gli avanzi. Vedi che non mi disturba offrirtelo e con Te ai tuoi seguaci. Ti sono amico, Gesù. Non ti credo inferiore a me, ma più grande».
   «Lo credo. E accetto».
   Gamaliele parla ad un servo che sembra il primo in autorità, e questo passa l’ordine, e la tenda viene prolungata e vengono scaricati dai molti muli altri sedili per i discepoli di Gesù e altre stoviglie.
   Portano le coppe per purificarsi le dita. Gesù, con la massima signorilità, procede al rito mentre gli apostoli, sbirciati acutamente da Gamaliele, lo fanno alla meno peggio, meno Simone, Giuda di Keriot, Bartolomeo, Matteo, più rotti alle raffinatezze giudaiche.
   Gesù è al fianco di Gamaliele, che è solo su un lato della tavola. Di fronte a Gesù, lo Zelote. Dopo la preghiera di offerta, che Gamaliele dice con lentezza solenne, i servi scalcano l’agnello e lo spartiscono fra gli ospiti, e empiono le coppe divino o di acqua melata per chi la preferisce.

   160.3 «Il caso ci ha riuniti, Rabbi. Non credevo proprio di trovarti e diretto a Giscala».
   «Sono diretto a tutto il mondo».
   «Sì. Sei il Profeta instancabile. Giovanni è lo stabile. Tu sei il peregrinante».
   «Più facile perciò alle anime di trovarmi».
   «Non direi. Nello spostarti Tu le disorienti».
   «Disoriento i nemici. Ma coloro che mi vogliono, perché amano la Parola di Dio, mi trovano. Non tutti possono venire al Maestro. E il Maestro, che vuole tutti, va a loro, beneficando così i buoni e stornando le congiure di chi mi odia».
   «Per me lo dici? Io non ti odio».
   «Non per te. Ma poiché sei giusto e sincero puoi dire che Io dico ciò che è vero».
   «Sì. Così è. Ma… vedi… È che noi vecchi ti comprendiamo male».
   «Sì. Il vecchio Israele mi comprende male. Per sua sventura… e per sua volontà».
   «Nooo!».
   «Sì, rabbi. Non applica la sua volontà ad intendere il Maestro. E chi si limita a questo fa male, ma un male relativo. Molti invece applicano la loro volontà ad intendere male e a travisare il mio verbo per nuocere a Dio».
   «A Dio? Esso è al disopra delle insidie umane».
   «Sì. Ma ogni anima che si travia o che viene traviata – ed è traviamento lo svisare a se stessi o agli altri la mia parola e la mia opera – nuoce a Dio nell’anima che si perde. Ogni anima che si perde è una ferita fatta a Dio».
   Gamaliele china il capo e pensa ad occhi chiusi. Poi si stringe la fronte fra le lunghe e magre dita, con un movimento involontario di pena. Gesù lo scruta. Gamaliele alza il capo, apre gli occhi, guarda Gesù e dice: «Però Tu sai che io non sono di questi».
   «Lo so. Ma sei dei primi».
   «Oh! È vero! Ma non è che io non mi applichi a capirti. È che la tua parola si ferma nella mia mente e non scende oltre. La mente l’ammira come parola di un dotto e lo spirito…».
   «E lo spirito non può riceverla, Gamaliele, perché è ingom bro di troppe cose. E cose rovinate.

   160.4 Poco fa, venendo da Neftali a questa volta, sono passato per un monte che sporge dalla catena. Mi è piaciuto passare di lì per vedere il bello dei due laghi di Genezaret e di Meron visti dall’alto, come li vedono le aquile e gli angeli del Signore, per dire ancora una volta: “Grazie, Creatore, del bello che Tu ci concedi”. Ebbene, mentre tutta la montagna è in un fertile fiorire, incespire, fogliare di prati, di frutteti, di campi, di boschi, e i lauri odorano presso gli ulivi, preparando già la neve dei mille fiori, e anche il robusto rovere pare farsi più buono perché si veste delle corone delle vitalbe e dei madreselva, ecco che là non vi è fioritura, non fertilità, né d’uomo né di natura. Ogni fatica dei venti, ogni fatica degli uomini abortiscono là, perché le rovine ciclopiche dell’antica Hatzor ingombrano tutto e non può, fra pietrone e pietrone, che crescere l’ortica e il rovo e annidarsi il serpente. Gamaliele…».
   «Ti capisco. Noi pure siamo macerie… Capisco la parabola, Gesù. Ma… non posso… Non posso fare diversamente. Le pietre sono troppo profonde».
   «Uno in cui credi ti ha detto: “Le pietre fremeranno alle mie ultime parole”. Ma perché attendere le ultime parole del Messia? Non ne avrai rimorso di non avermi voluto seguire prima? Le ultime!… Tristi parole anche per quelle di un amico che muore e che siamo andati ad ascoltare troppo tardi. Ma le mie sono da più delle parole di un amico».
   «Hai ragione… Ma non posso. Aspetto quel segno per credere».
   «Quando un terreno è desolato non basta un fulmine a dissodarlo. Non lo riceve il terreno. Ma le pietre che lo coprono. Lavora almeno a rimuoverle, Gamaliele. Altrimenti, se saranno così, nel profondo di te, il segno non ti porterà a credere».
   Gamaliele tace, assorto.

   160.5 Il pasto ha fine.
   Gesù si alza e dice: «Io ti rendo grazie, mio Dio, e del pasto e dell’aver potuto parlare al saggio. E grazie a te, Gamaliele».
«Maestro, non andare così. Temo che Tu sia con me adirato».
«Oh! no! Mi devi credere».
   «Allora non andare. Io vado alla tomba di Hillele. Sdegneresti venire con me? Faremo presto perché ho muli e asini per tutti. Non faremo che liberarli dai basti che porteranno i servi.
   E ti si accorcerà la strada nel pezzo più penoso».
   «Di venire con te e sulla tomba di Hillele non ne ho sdegno ma onore. Andiamo pure».
   Gamaliele dà ordini e, mentre tutti lavorano a smontare la temporanea sala da pranzo, Gesù e il rabbino montano a cavallo di una mula e a fianco l’uno dell’altro vanno avanti per la strada erta, silenziosa, su cui suonano forte gli zoccoli ferrati.
   Gamaliele tace. Solo due volte chiede a Gesù se è comodo in sella. Gesù risponde e tace poi, assorto nel suo pensiero. Tanto da non vedere che Gamaliele, trattenendo un poco la sua mula, lo lascia passare avanti di tutta una incollatura per studiarne ogni moto. Gli occhi del vecchio rabbino paiono occhi di falco che guatino la preda tanto sono attenti e fissi. Ma Gesù non se ne avvede. Va calmo, secondando il passo ondulante della cavalcatura, pensa, e pure coglie ogni aspetto di ciò che gli è intorno. Allunga una mano per cogliere un pendulo grappolo di citiso d’oro, sorride a due uccellini che si fanno il nido in un folto ginepro, ferma la mula per ascoltare un capinero e assente, come benedicendo, al grido di ansia con cui una tortora selvatica sprona il compagno al lavoro.
   «Tu ami molto le erbe e gli animali, non è vero?».
   «Molto. È il mio libro vivente. L’uomo ha sempre davanti le fondamenta della fede. La Genesi vive nella natura. Ora, uno che sa vedere, sa anche credere. Questo fiore, così dolce nel profumo e nella materia delle sue pendule corolle, e così in contrasto con questo spinoso ginepro e con quel ginestrone pungente, può essersi fatto da sé? E, guarda là, quel pettirosso può essersi così da solo fatto, con quella ditata di sangue disseccato sulla gola molle? E quelle due tortore dove e come hanno potuto dipingersi quel collare di onice sul velo delle piume grigie? E là, quelle due farfalle, una nera a grandi occhi d’oro e rubino, bianca con righe d’azzurro l’altra, dove avranno trovato le gemme e i nastri per le loro ali? E questo rio? È acqua. Sta bene. Ma da dove venuta? Quale la fonte prima dell’acqua-elemento? Oh! guardare vuol dire credere, se si sa vedere».
   «Guardare vuol dire credere. Noi guardiamo troppo poco la Genesi viva che ci sta davanti».
   «Troppa scienza, Gamaliele. E troppo poco amore, e troppo poca umiltà».
   Gamaliele sospira e crolla il capo.

   160.6 «Ecco. Io sono giunto, Gesù. Là è sepolto Hillele. Scendiamo lasciando qui le cavalcature. Un servo le prenderà».
   Smontano legando ad un tronco le due mule e si dirigono ad un sepolcreto che sporge dal monte presso una vasta dimora tutta chiusa.
   «Qui io vengo per meditare, in preparazione delle feste d’Israele», dice Gamaliele accennando la casa.
   «La Sapienza ti dia tutte le sue luci».
   «E qui (e Gamaliele accenna il sepolcro) per prepararmi alla morte. Era un giusto».
   «Era un giusto. Prego volentieri presso le sue ceneri. Ma, Gamaliele, non deve solo insegnarti a morire Hillele. Ti deve insegnare a vivere».
   «Come, Maestro?».
   «“L’uomo è grande quando si umilia” è il suo motto preferito…».
   «Come lo sai se non lo hai conosciuto?».
   «L’ho conosciuto… e del resto, anche non avessi conosciuto Hillele il rabbi personalmente, il suo pensiero l’ho conosciuto perché nulla ignoro del pensiero umano».
   Gamaliele china il capo e mormora: «Solo Dio può dire questo».
   «Dio ed il suo Verbo. Perché il Verbo conosce il Pensiero e il Pensiero conosce il Verbo e lo ama, comunicandosi a Lui coi suoi tesori per farlo partecipe di Esso. L’Amore stringe i legami e ne fa una sola Perfezione. È la Triade che si ama e che divinamente si forma, si genera, procede e completa. Ogni pensiero santo è nato nella Mente perfetta ed è riflesso nella mente del giusto. Può il Verbo ignorare allora i pensieri dei giusti, che sono i pensieri del Pensiero?».
   Pregano presso il sepolcro chiuso. A lungo. Li raggiungono i discepoli e poi i servi, i primi a cavallo, gli altri sotto il peso dei bagagli. Ma si fermano ai margini del prato oltre il quale è il sepolcro. La preghiera finisce.
   «Addio, Gamaliele. Ascendi come Hillele».
   «Che vuoi dire?».
   «Ascendi. Egli ti è avanti perché ha saputo credere più umilmente di te. La pace a te».