MARIA
VALTORTA

Voglio che le anime possano bere alla Fonte vitale della mia parola

"Quando la Chiesa - e per tale alludo ora alla riunione degli alti dignitari di Essa - agì secondo i dettami della mia Legge e del mio Vangelo, la Chiesa conobbe tempi fulgidi di fulgore. Ma guai quando, anteponendo gli interessi della Terra a quelli del Cielo, inquinò Se stessa con passioni umane! Tre volte guai quando adorò la Bestia di cui parla Giovanni, ossia la Potenza politica, e se ne fece asservire..." (Qd 12 dicembre 1943)

OPERA MAGGIORE

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VOLUME III CAPITOLO 192



CXCII. Una predizione a Giacomo d’Alfeo. L’arrivo a Engannim dopo una sosta a Mageddo.

   17 giugno 1945.

   192.1 «Signore, quella cima è il Carmelo?», chiede il cugino Giacomo.
   «Sì, fratello. Quella è la catena del Carmelo, e la cima più alta è quella che dà il nome alla catena».
   «Deve essere bello anche di lì il mondo. Ci sei mai stato?».
   «Una volta, da solo, all’inizio della mia predicazione. E ai piedi di esso guarii il mio primo lebbroso. Ma ci andremo insieme, a rievocare Elia…».
   «Grazie, Gesù. Mi hai compreso come sempre».
   «E come sempre ti perfeziono, Giacomo».
   «Perché?».
   «Il perché è scritto in Cielo».
   «Non me lo diresti, fratello, Tu che leggi ciò che è scritto in Cielo?».
   Gesù e Giacomo procedono a fianco l’uno dell’altro, e solo il piccolo Jabé, sempre per mano di Gesù, può udire la confidente conversazione dei cugini che si sorridono guardandosi negli occhi.
   Gesù, passando un braccio sulle spalle di Giacomo per attirarselo ancora più vicino, chiede: «Lo vuoi proprio sapere? Ebbene te lo dirò ad indovinello, e quando ne troverai la chiave sarai sapiente. Ascolta[54]: “Radunati i falsi profeti sul monte Carmelo, si avvicinò Elia e disse al popolo: ‘Fino a quando zoppicherete da due parti? Se il Signore è Dio, seguitelo; se lo è Baal, seguite lui’. Il popolo non rispose. Allora Elia seguitò a dire al popolo: ‘Dei profeti del Signore sono rimasto io solo’”; e, unica forza del solo, era il grido: “‘Esaudiscimi, Signore, esaudiscimi affinché questo popolo riconosca che Tu sei il Signore Iddio e che hai di nuovo convertito i loro cuori’. Allora il fuoco del Signore cadde e divorò l’olocausto”. Fratello, indovina».
   Giacomo pensa a capo chino e Gesù lo guarda sorridendo.
   Fanno qualche metro così, poi Giacomo dice: «Ha attinenza con Elia o col mio futuro?».
   «Col tuo futuro, naturalmente…».
   Giacomo pensa ancora e poi mormora: «Sarei destinato io ad invitare Israele a seguire con verità una via? Sarei io chiamato ad essere l’unico rimasto in Israele? Se sì, vuoi dire che gli altri saranno perseguitati e dispersi e che… e che… pregherò Te per la conversione di questo popolo… quasi fossi un sacerdote… quasi fossi… una vittima… Ma se così è, incendiami da ora, Gesù…».
   «Lo sei già. Ma sarai rapito dal Fuoco, come Elia[55]. Per questo andremo, Io e te soli, a parlare sul Carmelo».
   «Quando? Dopo la Pasqua?».
   «Dopo una Pasqua, sì. E allora ti dirò tante cose…».

   192.2 Un bel fiumicello che scorre verso il mare, fatto pieno dalle piogge primaverili e dalle nevi disciolte, ferma il loro andare.
   Accorre Pietro e dice: «Il ponte è più su, là dove passa la strada che da Tolemaide va ad Enganmin (o Engannim)».
   Gesù torna indietro docilmente valicando il fiumicello su un robusto ponte di pietra. Subito dopo si ripresentano altre montagnole e colline, ma di poca entità.
   «Saremo entro sera ad Engannim?», chiede Filippo.
   «Certamente. Ma… ora abbiamo il fanciullo. Sei stanco Jabé?», chiede amorosamente Gesù. «Sii sincero come un angelo».
   «Un poco, Signore. Ma mi sforzerò a camminare».
   «Questo bambino è indebolito», dice con la sua voce gutturale l’uomo di Endor.
   «Sfido io!», esclama Pietro. «Con la vita che fa da qualche mese! Vieni, che ti prendo in braccio».
   «Oh! no, signore. Non ti affaticare. Posso camminare ancora».
   «Vieni, vieni. Non sei certo pesante. Sembri un uccellino malnutrito», e Pietro lo issa a cavalluccio sulle sue spalle quadrate, tenendolo per le gambe.
   Vanno presto perché il sole è ormai forte e invita e sprona a raggiungere le colline ombrose.

   192.3 Sostano in un paese, che sento chiamare Mageddo, per prendere cibo e riposo presso una fonte molto fresca e rumorosa per la molt’acqua che da essa sgorga nel bacino di pietra oscura. Ma nessuno del paese si interessa dei viaggiatori, anonimi fra i molti altri pellegrini più o meno ricchi che vanno a piedi o su asinelli e mule verso Gerusalemme per la Pasqua. Vi è già un’aria di festa e molti bambini sono coi gitanti, esilarati all’idea della cerimonia della maggiore età.
   Due ragazzetti di agiata condizione, che vengono a giocare presso la fonte mentre vi è Jabé con Pietro, che se lo tira dietro allettandolo con mille cosette, chiedono al ragazzo: «Vai anche tu per essere figlio della Legge?».
   Jabé risponde timidamente: «Sì», ma si nasconde quasi dietro a Pietro.
   «È tuo padre questo? Sei povero, vero?».
   «Sono povero, sì».
   I due fanciulli, forse figli di farisei, lo scrutano ironici e curiosi, e dicono: «Si vede».
   Infatti si vede… Il suo abitino è ben misero! Forse il fanciullo è cresciuto, e nonostante che l’orlo della veste, di un marrone stinto dalle intemperie, sia stato disfatto, l’abito arriva appena a metà delle esili gambette brune, lasciando ben scoperti i piccoli piedi mal calzati da due informi sandali tenuti da funicelle che devono torturare il piede.
   I fanciulli, spietati per l’egoismo proprio in molti fanciulli, per la crudeltà dei fanciulli non buoni, dicono: «Oh! allora non avrai un abito nuovo per la tua festa! Noi invece!… Vero Gioachino? Io tutto rosso, col manto uguale. Lui, invece, color del cielo, e avremo sandali con fibbie d’argento e una cintura preziosa e un talet tenuto da una lamina d’oro e…».
   «…e un cuore di pietra, dico io!», scatta Pietro, che ha finito di rinfrescarsi i piedi e di prendere acqua per tutte le borracce. «Siete cattivi, ragazzi. La cerimonia e la veste non valgono un ranocchio se il cuore non è buono. Preferisco il mio bambino. Sgombrate, superbi! Andate fra i ricchi e abbiate rispetto a chi è povero e onesto.

   192.4 Vieni, Jabé! Quest’acqua è buona ai piedini stanchi. Vieni che te li lavo. Dopo camminerai meglio. Oh! queste funicelle come ti hanno fatto del male! Non devi più camminare. Ti porterò in braccio finché siamo ad Engannim. Là troverò un sandalaio e ti comprerò un paio di sandali nuovi». E Pietro lava e asciuga i piedini che da tempo non hanno avuto più tante carezze.
   Il bambino lo guarda, tituba, ma poi si piega sull’uomo che gli riallaccia i sandali e lo circonda con le sue braccine scarne e dice: «Come sei buono!», e lo bacia sui capelli brizzolati.
   Pietro si commuove. Si siede per terra, là nell’umido, come si trova, e si mette in grembo il bambino e gli dice: «Allora chiamami “padre”».
   Il gruppetto è soave. Gesù si avvicina con gli altri.
   Ma prima i due superbietti di poc’anzi, che erano rimasti lì curiosi, chiedono: «Ma non è tuo padre?».
   «È padre e madre per me», dice sicuro Jabé.
   «Sì, caro! Hai detto bene: padre e madre. E, cari i miei signorini, vi assicuro che non andrà malvestito alla cerimonia.
   Avrà anche lui un vestito da re, rosso come il fuoco e con una cintura verde come l’erba, e il talet bianco come neve».
   Per quanto l’accozzo non sia armonico, pure stupisce i due vanitosi e li mette in fuga.
   «Che fai, Simone, nel bagnato?», chiede Gesù con un sorriso.
   «Bagnato? Ah! sì. Me ne accorgo ora. Che faccio? Mi rifaccio agnello con l’innocenza sul cuore. Ah! Maestro! Maestro! Bene, andiamo. Ma mi devi lasciare fare con questo piccolo.
   Poi lo cederò. Ma finché non è un vero israelita è mio».
   «Ma sì! E tu ne sarai sempre il tutore, come un vecchio padre. Va bene? Andiamo, per essere a sera ad Engannim senza far troppo correre il bambino».
   «Lo porto io. Pesa di più la mia rete. Non può camminare con queste due suole rotte. Vieni».
   E caricandosi del suo figlioccio Pietro riprende felice la sua via, ormai sempre più ombrosa, fra boschi di frutte varie, in un ascendere dolce di colli dai quali la vista spazia sull’ubertosa pianura di Esdrelon.

   192.5 Sono già nei pressi di Engannim – che deve essere una bella cittadina, ben munita di acqua portata dai colli con un aereo acquedotto, probabilmente opera romana – quando li fa rifugiare sul bordo della via il rumore di un drappello militare che sopraggiunge. Gli zoccoli dei cavalli suonano sulla via che qui, nei pressi della città, mostra una larva di pavimentazione affiorante dalla polvere accumulata insieme a detriti sulla via, vergine di ogni scopa.
   «Salve, Maestro! Come qui?», grida Publio Quintilliano smontando da cavallo e avvicinandosi a Gesù con un aperto sorriso, tenendo per la briglia il cavallo. I suoi soldati si mettono al passo per secondare il superiore.
   «Vado a Gerusalemme per la Pasqua».
   «Io pure. Si rinforza la guardia per le feste, anche perché Ponzio Pilato viene per esse in città, e vi è Claudia. Noi siamo a staffetta di lei. Sono vie così insicure! Le aquile fugano gli sciacalli», ride il soldato e guarda Gesù. Continua più piano:
   «Doppia guardia quest’anno, per proteggere le spalle del sozzo Antipa. Vi è molto malcontento per l’arresto del Profeta. Malcontento in Israele e… malcontento, per riflesso, fra noi. Ma… abbiamo già pensato a far giungere una… benigna suonata di… flauti al Sommo Sacerdote e compari», e a bassa voce termina: «Va’ sicuro. Tutti gli unghioni sono rientrati nelle zampe. Ah! Ah! Hanno paura di noi. Basta che ci si schiarisca la voce che lo prendono per un ruggito. Parlerai a Gerusalemme? Vieni presso il Pretorio. Claudia parla di Te come di un grande filosofo. È bene per Te perché… il proconsole è Claudia».

   192.6 Si guarda intorno e vede Pietro carico, rosso, sudato. «Quel bambino?».
   «Un orfano che ho preso con Me».
   «Ma quel tuo uomo fatica troppo! Fanciullo, hai paura venire per qualche metro a cavallo? Ti metterò sotto la clamide e andrò piano. Ti renderò a… a questo uomo quando saremo alle porte».
   Il bambino non fa resistenza, deve essere dolce come un agnello, e Publio lo issa con sé in sella.
   E nel dare ordine ai soldati di andare adagio vede anche l’uomo di Endor. Lo fissa e dice: «Tu qui?».
   «Io. Ho cessato di vendere le uova ai romani. Ma i polli ci sono ancora. Ora sono col Maestro…».
   «Buon per te! Ne avrai più conforto. Addio! Salve, Maestro. Ti aspetto a quel ciuffo d’alberi». E sprona.
   «Lo conosci? E ti conosce?», chiedono in molti a Giovanni di Endor.
   «Sì, come fornitore di polli. Prima non mi conosceva. Ma una volta fui chiamato al comando a Naim, per fissare le quote, e c’era lui. D’allora, quando andavo a comperare libri o utensili a Cesarea, mi ha sempre salutato. Mi chiama Ciclope o Diogene. Non è cattivo, e per quanto io abbia odio ai romani pure non l’ho offeso, perché mi poteva essere utile».
   «Hai sentito, Maestro? Ha fatto bene il mio discorso al centurione di Cafarnao. Ora vado più quieto», dice Pietro.
   Raggiungono il folto di alberi alla cui ombra si è appiedata la pattuglia.
   «Ecco che rendo il fanciullo. Hai ordini, Maestro?».
   «No, Pubblio. Dio ti si mostri».
   «Salve», e rimonta e sprona, seguito dai suoi con un grande sferragliar di zoccoli e corazze.

   192.7 Entrano in città e Pietro col suo piccolo amico va a comperare i sandaletti.
   «Quell’uomo muore dalla voglia di un figlio», dice lo Zelote e termina: «Ha ragione».
   «Ve ne darò a migliaia. Ora andiamo a cercare asilo per proseguire domani alla prima aurora».

[54] Ascolta, e segue la citazione tratta da: 1 Re 18, 20-22.36-38.
[55] come Elia, in: 2 Re 2, 11.