MARIA
VALTORTA

Voglio che le anime possano bere alla Fonte vitale della mia parola

"Quando la Chiesa - e per tale alludo ora alla riunione degli alti dignitari di Essa - agì secondo i dettami della mia Legge e del mio Vangelo, la Chiesa conobbe tempi fulgidi di fulgore. Ma guai quando, anteponendo gli interessi della Terra a quelli del Cielo, inquinò Se stessa con passioni umane! Tre volte guai quando adorò la Bestia di cui parla Giovanni, ossia la Potenza politica, e se ne fece asservire..." (Qd 12 dicembre 1943)

OPERA MAGGIORE

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VOLUME III CAPITOLO 163



CLXIII. A mensa in casa del fariseo Eli di Cafarnao.

   14 maggio 1945.

   163.1 C’è molto da fare in casa di Eli oggi. Servi e serve che vanno e che vengono e fra essi, frugolino lieto, il piccolo Eliseo. Poi ecco due e altri due personaggi pomposi, dei quali riconosco i due primi come quelli che erano andati con Eli in casa di Matteo, e altri due non li conosco, ma sento che vengono chiamati Samuele e Gioacchino. Ultimo viene Gesù insieme all’Iscariota.
   Grandi saluti reciproci e poi la domanda: «Solo con questo?
   E gli altri?».
   «Gli altri sono per le campagne. Verranno a sera».
   «Oh! mi spiace. Ma credevo che fosse… Ecco, io ieri sera non ho invitato che Te, comprendendo in Te tutti i tuoi. Adesso ho temuto si fossero sentiti offesi, oppure… oppure avessero a sdegno venire da me, per passati malumori… eh! eh!». Il vecchio ride…
   «Oh! no! I miei discepoli non conoscono suscettibilità orgogliose, né rancori inguaribili».
   «Già! Già! Molto bene.

   163.2 Entriamo dunque».
   Il solito cerimoniale di purificazioni e poi eccoli avanzarsi alla sala del convito, aperta sul vasto cortile dove le prime rose mettono una nota allegra.
   Gesù carezza il piccolo Eliseo che giuoca nel cortile e che del passato pericolo non ha che quattro segnetti rossi sulla manina. Non ha più neppure il ricordo della passata paura, ma però ha quello di Gesù e lo vuole baciare ed essere baciato, con la spontaneità dei bambini. Con le braccine intrecciate al collo di Gesù, gli parla fra i capelli confidandogli che quando sarà grande andrà con Lui, e chiede: «Mi vuoi?».
   «Tutti Io voglio. Sii buono e verrai con Me».
   Il bambino se ne va saltellando.
   Si siedono a mensa ed Eli vuole essere tanto perfetto che mette al suo fianco Gesù e dall’altro lato Giuda, che si trova così fra Eli e Simone, come Gesù si trova tra Eli e Uria.

   163.3 Il pasto ha inizio. Discorsi vaghi sul principio. Poi divengono più interessanti. E, posto che le ferite dolgono e le catene pesano, ecco che si affaccia l’eterno discorso della schiavitù di Roma sulla Palestina. Fatti ad arte o fatti senza scopo cattivo, non so. So che i cinque farisei si lamentano di nuove sopraffazioni romane come di un sacrilegio e vogliono interessare Gesù alla discussione.
   «Capisci! Le entrate nostre vogliono scrutare fino in fondo!
   E poiché hanno capito che ci raduniamo nelle sinagoghe per parlare di questo e di loro, ecco che minacciano di entrarvi, senza rispetto. Io temo entreranno anche nelle case dei sacerdoti, un bel giorno!», urla Gioacchino.
   «E Tu che dici? Non ne sei disgustato?», chiede Eli.
   Gesù, interpellato direttamente, risponde: «Come israelita sì, come uomo no».
   «Perché questa distinzione? Non capisco. Sei due in uno?».
   «No. Ma in Me vi è la carne e il sangue: l’animale insomma.
   E vi è lo spirito. Lo spirito di israelita ossequiente alla Legge soffre di queste profanazioni. La carne e il sangue no, perché per Me manca il pungolo che ferisce voi».
   «Quale?».
   «L’interesse. Voi dite che nelle sinagoghe vi riunite per parlare anche di affari senza tema di orecchie indiscrete. E temete non poterlo più fare e perciò temete non potere celare neppure uno spicciolo al fisco ed averne tassazione in proporzione esatta dell’avere. Io non ho nulla. Vivo della bontà del prossimo e amando il prossimo. Non ho ori, non ho campi, non ho vigneti, non ho case, se si eccettua la casetta materna a Nazaret, così piccola e povera che è trascurata dal fisco. Perciò non mi pungola tema di essere scoperto in mendacio di denunzia, né tassato e punito. Tutto quanto ho è la Parola che Dio mi ha data e che Io do. Ma essa è cosa tanto alta che l’uomo non la può colpire con niente».

   163.4 «Ma se fossi nel nostro caso come ti comporteresti?».
   «Ecco, non ve ne abbiate a male se dico netto il mio pensiero tanto in contrasto col vostro. In verità vi dico che Io agirei diverso».
   «E come?».
   «Non ledendo la santa verità. È una virtù sublime sempre, anche se applicata a cose così umane come sono le tasse».
   «Ma allora! Ma allora! Come saremmo spellati! Ma Tu non rifletti che noi abbiamo molto e dovremmo dare molto!».
   «L’avete detto: Dio vi ha concesso molto. In proporzione dovete dare molto. Perché agire così male, come purtroppo avviene, che il povero sia tassato sproporzionatamente? Fra noi si fa. Quante tasse sono in Israele, tasse nostre, e ingiuste! Servono ai grandi, che hanno già tanto. Mentre sono disperazione dei poverelli che le devono versare spremendo se stessi fino alla fame. La carità di prossimo non consiglia così. Dovrebbe essere cura di noi israeliti sottoporre le nostre spalle al peso del povero».
   «Parli così perché sei povero Tu pure!».
   «No, Uria. Parlo così perché così è giustizia. Perché anche Roma ci ha potuto e ci può premere così? Perché abbiamo peccato e perché siamo divisi dagli asti. Il ricco odia il povero, il povero odia il ricco. Perché non c’è giustizia e il nemico se ne approfitta facendo di noi dei soggetti».
   «Tu hai accennato a più motivi… Quali altri?».
   «Non mancherei alla verità svisando il carattere del locale consacrato al culto col farne un rifugio sicuro per cose umane».
   «Ci fai un rimprovero».
   «No. Rispondo. Voi ascoltate la vostra coscienza. Maestri siete e perciò…».

   163.5 «Io direi che sarebbe ora di sollevarsi, di ribellarsi, di punire l’invasore e ristabilire il regno nostro».
   «Vero, vero! Hai ragione, Simone. Ma qui è il Messia. Lui deve essere a farlo», risponde Eli.
   «Ma il Messia per ora, perdona Gesù, è solo Bontà. Consiglia a tutto fuorché a rivolta. Noi faremo e…».
   «Simone, ascolta. Ricordati il libro dei Re[2]. Saul era a Galgala, i filistei erano a Macmas, il popolo aveva paura e si sbandava, il profeta Samuele non veniva. Saul volle precedere il servo di Dio e fare da sé il sacrificio. Ricordati la risposta data da Samuele, sopraggiunto, all’imprudente re Saul: “Hai agito stoltamente e non hai osservato gli ordini che il Signore ti aveva dati. Se tu non avessi fatto questo, ora il Signore avrebbe già stabilito in sempiterno il tuo regno sopra Israele. Ma invece non sussisterà mai più il tuo regno”. Una intempestiva e superba azione non ha giovato né al re né al popolo. Dio sa l’ora. Non l’uomo. Dio sa i mezzi, non l’uomo. Lasciate fare a Dio, meritando il suo aiuto con una condotta santa. Il mio Regno non è di ribellione e di ferocia. Ma si stabilirà. Non sarà una riserva di pochi. Ma sarà universale. Beati quelli che ad esso verranno, non tratti in errore dalle mie apparenze meschine, secondo lo spirito della Terra, e che sentiranno in Me il Salvatore. Non abbiate paura. Io sarò Re. Il Re venuto da Israele. Il Re che stenderà il suo Regno su tutta l’Umanità. Ma voi, maestri d’Israele, non fraintendete le mie parole e quelle dei Profeti che mi annunciano. Nessun regno umano, per potente che sia, è universale ed eterno. I Profeti dicono che il mio tale sarà. Questo vi illumini sulla verità e sulla spiritualità del Regno mio.

   163.6 Vi lascio. Ho una preghiera però da fare a Eli. Qui è la tua borsa. In un ricovero di Simone di Giona sono dei poverelli venuti da ogni dove. Vieni con Me per dare loro l’obolo dell’amore. La pace a voi tutti».
   «Ma resta ancora!», pregano i farisei.
   «Non posso. Vi sono malati di carne e di cuore che attendono di essere consolati. Domani andrò lontano. Voglio che tutti mi vedano partire senza delusione».
   «Maestro, io… sono vecchio e stanco. Va’ Tu in mio nome. Hai con Te Giuda di Simone, e lo conosciamo bene… Fai, fai da Te. Dio sia teco».
   Gesù esce con Giuda che, appena sulla piazza, dice: «Vecchia vipera! Che avrà voluto dire?».
   «Ma non ci pensare! O meglio, pensa che abbia voluto lodarti».
   «Impossibile, Maestro! Quelle bocche non lodano mai chi fa bene. Mai con sincerità, voglio dire. E per quanto al venire!… È perché ha schifo del povero ed ha paura della sua maledizione. Li ha torturati tante volte i poveri di qui. Lo posso giurare senza tema. E perciò…».
   «Buono, Giuda. Buono. Lascia il giudizio a Dio».

[2] il libro dei Re, ma la citazione è tratta da: 1 Samuele 13, 1-14