MARIA
VALTORTA

Voglio che le anime possano bere alla Fonte vitale della mia parola

"Quando la Chiesa - e per tale alludo ora alla riunione degli alti dignitari di Essa - agì secondo i dettami della mia Legge e del mio Vangelo, la Chiesa conobbe tempi fulgidi di fulgore. Ma guai quando, anteponendo gli interessi della Terra a quelli del Cielo, inquinò Se stessa con passioni umane! Tre volte guai quando adorò la Bestia di cui parla Giovanni, ossia la Potenza politica, e se ne fece asservire..." (Qd 12 dicembre 1943)

OPERA MAGGIORE

A A A

VOLUME III CAPITOLO 179



CLXXIX. La parabola del seminatore. A Corozim con il nuovo discepolo Elia.

   4 giugno 1945.

   179.1 Mi dice Gesù mostrandomi il corso del Giordano, meglio, lo sbocco del Giordano nel lago di Tiberiade, là dove è stesa la città di Betsaida sulla riva destra del fiume, rispetto a chi guarda il nord: «Ora la città non sembra più sulle rive del lago, ma un poco in dentro nel retroterra. E ciò sconcerta gli studiosi. La spiegazione si deve cercare nell’interramento del lago da questa parte, dovuto a venti secoli di terriccio depositato dal fiume e ad alluvioni e frane scese dai colli di Betsaida. Allora la città era proprio all’imbocco del fiume nel lago, e anzi le barche più piccole, e nelle stagioni più ricche d’acque, risalivano per un buon tratto, fino a quasi l’altezza di Corozim, il fiume stesso, che serviva però sempre da porto e ricovero sulle sue rive alle barche di Betsaida nei giorni di burrasca del lago. Questo non per te, alla quale poco importa, ma per i dottori difficili. E ora va’ avanti».

   179.2 Le barche degli apostoli, fatto il breve tratto di lago che separa Cafarnao da Betsaida, ammarrano in questa città. Ma altre barche le hanno seguite e molti ne smontano unendosi subito a quelli di Betsaida venuti a salutare il Maestro, che entra nella casa di Pietro dove… è da capo la moglie, che suppongo abbia preferito la solitudine al vivere fra i continui lagni della madre verso suo marito.
   La gente, fuori, reclama a gran voce il Maestro, cosa che fa inquietare non poco Pietro, che sale sulla terrazza e arringa cittadini o meno, dicendo che ci vuole rispetto ed educazione. Lui, il suo Maestro, se lo vorrebbe godere un poco in pace, ora che l’ha nella sua casa, e invece non ha tempo e soddisfazione di offrirgli neppure un poco di acqua e miele fra le molte cose che ha detto alla moglie di portare, e brontola.
   Gesù lo guarda sorridendo e crolla il capo dicendo: «Sembra che tu non mi veda mai e che sia un caso essere insieme!».
   «Ma è così! Quando siamo per il mondo siamo forse io e Te?
   Nemmeno per sogno! Fra Te e me c’è il mondo coi suoi malati, coi suoi afflitti, coi suoi ascoltatori, coi suoi curiosi, coi suoi calunniatori, coi suoi nemici, e noi non siamo mai io e Te. Qui invece Tu sei con me, in casa mia, e dovrebbero capirlo!». È proprio inquieto.
   «Ma non vedo diversità, Simone. Il mio amore è uguale, la mia parola è la stessa. Che Io te la dica a te in privato, o che la dica per tutti, non è lo stesso?».

   179.3 Pietro confessa allora la sua grande pena: «È che io sono zuccone e mi distraggo con facilità. Quando Tu parli su una piazza, su un monte, fra tanta folla, io, non so perché, capisco tutto, ma poi non ricordo nulla. L’ho detto anche ai compagni e mi hanno dato ragione. Gli altri, voglio dire il popolo che ti ascolta, ti capisce e ricorda quello che dici. Quante volte abbiamo sentito confessare da uno: “Non ho più fatto questo perché Tu lo hai detto”, oppure: “Sono venuto perché una volta ti ho sentito dire quest’altro e mi ha ferito il pensiero”. Noi invece… uhm! è come un corso d’acqua che passa e non si ferma. La sponda non l’ha più quell’acqua che è passata. Ne viene dell’altra, sì, sempre altra, e sempre tanta. Ma passa, passa, passa… E io penso con terrore che, se come Tu dici sarà, che verrà il momento che Tu non sarai più a fare la parte del fiume e… e io… Che avrò da dare a chi ha sete, se non serbo neppure una goccia del tanto che mi dai?».
   Anche gli altri appoggiano i lamenti di Pietro, lamentandosi di non ritrovare mai niente di tutto quello che sentono, quando vorrebbero trovarlo per rispondere ai molti che li interrogano.
   Gesù sorride e risponde: «Ma non mi pare. La gente è molto contenta anche di voi…».
   «Oh! sì! Per quello che facciamo! Farti largo, e dare delle gomitate per questo, portare i malati, raccogliere gli oboli, e dire: “Sì, il Maestro è quello!”. Bella roba, in verità!».
   «Non ti denigrare troppo, Simone».
   «Non mi denigro. Mi conosco».
   «È la più difficile delle sapienze. Ma Io ti voglio levare questa grande paura. Quando Io ho parlato, e voi non avete potuto tutto comprendere e ritenere, domandate senza timore di apparire noiosi o di sconfortarmi. Abbiamo sempre delle ore di intimità. In queste apritemi il cuore. Do tanto a tanti. E che non darei a voi che amo come più non potrebbe Iddio? Hai parlato di onda che va e nulla resta alla riva. Verrà un giorno in cui ti accorgerai che ogni onda ti ha deposto un seme, e che ogni seme ha fatto pianta. Ti troverai davanti fiori e piante per tutti i casi, ti stupirai di te stesso dicendo: “Ma che mi ha fatto il Signore?”, perché tu allora sarai redento dalla schiavitù del peccato e le tue virtù attuali si saranno perfezionate a grande altezza».
   «Tu lo dici, Signore, ed io mi riposo in questa tua parola».

   179.4 «Ora andiamo da chi ci attende. Venite. Pace a te, donna.
   Sarò tuo ospite questa sera».
   Escono e Gesù si dirige al lago per non essere oppresso dalla calca. Pietro è sollecito a staccare la barca di pochi metri dalla riva di modo che la voce di Gesù sia udita da tutti, ma che uno spazio sia fra Lui e gli ascoltatori.
   «Da Cafarnao a qua Io ho pensato quale parola dirvi. E ho trovato indicazione nei fatti del mattino.
   Voi avete visto tre uomini venire a Me. L’uno spontaneamente, l’altro perché da Me sollecitato, il terzo per subito entusiasmo. E avete anche visto che, di questi, due soli Io ne ho presi. Perché? Ho forse visto nel terzo un traditore? No, in verità. Ma un impreparato. All’apparenza pareva più imprepara to questo che ora è al mio fianco, diretto prima a seppellire suo padre. Invece il più impreparato era il terzo. Questo era tanto preparato[25], a sua stessa insaputa, che ha saputo compiere un ben eroico sacrificio.
   L’eroismo nel seguire Iddio è sempre prova di forte preparazione spirituale. Questo spiega certi sorprendenti fatti che avvengono intorno a Me. I più preparati a ricevere il Cristo, quale che sia la loro casta e la loro cultura, vengono a Me con una prontezza e una fede assoluta. I meno preparati mi osservano come un uomo che esce dal consueto, oppure mi studiano con diffidenza e curiosità, oppure ancora mi attaccano e mi denigrano accusandomi in vari modi. Le diverse maniere di agire sono in proporzione della impreparazione degli spiriti.
   Nel popolo eletto si dovrebbero trovare da per tutto spiriti pronti a ricevere questo Messia nella cui attesa si sono consumati d’ansia i Patriarchi e i Profeti, questo Messia venuto finalmente, preceduto e accompagnato da tutti i segni profetizzati, questo Messia la cui figura spirituale si delinea sempre più chiara attraverso i miracoli visibili sulle membra e sugli elementi, e i miracoli invisibili sulle coscienze che si convertono e sui gentili che si volgono al Dio vero. Invece così non è. E la prontezza nel seguire il Messia è fortemente ostacolata proprio nei figli di questo popolo e, doloroso a dirsi, lo è tanto più quanto più si sale nelle classi più alte di esso. Non dico questo per scandalizzarvi. È per indurvi a pregare ed a riflettere.
   Perché avviene questo? Perché i gentili e i peccatori fanno più strada sulla via mia? Perché essi accolgono quanto Io dico, e gli altri no? Perché i figli d’Israele sono ancorati, anzi, sono incrostati come ostriche perlifere al banco su cui sono nate. Perché sono saturati, ricolmati, obesi della loro sapienza, e non sanno fare largo alla mia col gettare il superfluo per fare posto al necessario. Gli altri non hanno questa schiavitù. Sono poveri pagani, o poveri peccatori, disancorati come nave alla deriva, sono dei poveri che non hanno tesori propri ma solo fardelli di errori o di peccati, dei quali si spogliano con gioia non appena riescono a comprendere cosa è la Buona Novella e sentono il suo miele corroborante ben diverso dal disgustoso miscuglio dei loro peccati.

   179.5 Udite, e forse capirete meglio come possono esservi diversi frutti ad una stessa opera.
   Un seminatore andò a seminare. I suoi campi erano molti e di diversa razza. Ce ne erano alcuni che egli aveva ereditati dal padre, sui quali la sua sbadataggine aveva lasciato proliferare piante spinose. Altri erano un suo acquisto, li aveva comperati così come erano da un negligente e tali li aveva lasciati. Altri ancora erano stati intersecati da strade, perché l’uomo era un grande comodista[26] e non voleva fare molta strada per andare da un luogo all’altro. Infine ce ne erano alcuni, i più prossimi alla casa, sui quali egli aveva vegliato per avere un aspetto piacevole davanti alla dimora. Questi erano ben mondi di sassaia, di spine, di gramigne e così via.
   L’uomo dunque prese il suo sacchetto di grano da seme, il migliore dei grani, e iniziò la semina. Il seme cadde nel buon terreno soffice, arato, mondato, concimato dei campi prossimi alla casa. Cadde nei campi intersecati da vie e viette, che li spezzettavano tutti portando inoltre bruttura di polvere arida sulla terra fertile. Altro seme cadde sui campi dove l’inettitudine dell’uomo aveva lasciato proliferare le piante spinose. Ora l’aratro le aveva travolte, pareva non ci fossero più, ma c’erano, perché solo il fuoco, la radicale distruzione delle male piante, impedisce il loro rinascere. L’ultimo seme cadde sui campi comperati da poco e che egli aveva lasciati così come erano, senza dissodarli in profondità e mondarli da tutte le pietre sprofondate nel suolo a fare un pavimento duro sul quale non avevano presa le tenere radici. E poi, sparso tutto il suo seme, se ne tornò a casa e disse: “Oh! bene! Ora non c’è che da attendere la raccolta”.

   179.6 E si beava perché, col passare dei mesi, vedeva spuntare fitto il grano nei campi davanti alla casa, e crescere… oh! che soffice tappeto! e spighire… oh! che mare! e imbiondire e cantare, battendo spiga a spiga, l’osanna al sole. L’uomo diceva: “Come questi campi, tutti! Prepariamo la falce e i granai. Quanto pane! Quanto oro!”. E si beava… Segò il grano dei campi più vicini e poi passò a quelli ereditati dal padre, ma lasciati inselvatichire. E restò di stucco. Grano e grano era nato, perché i campi erano buoni e la terra bonificata dal padre era grassa e fertile. Ma la sua stessa fertilità aveva agito anche sulle piante spinose, travolte ma non sterilite. Esse erano rinate ed avevano fatto un vero soffitto di ramaglie irte di rovi, attraverso le quali il grano non aveva potuto emergere che con le rare spighe ed era morto soffocato quasi tutto.
   L’uomo disse: “Sono stato negligente in questo posto. Ma altrove non erano rovi, e andrà meglio”. E passò ai campi di recente acquisto. Il suo stupore crebbe in pena. Sottili, e ormai disseccate, foglie di grano giacevano come fieno secco sparse per ogni dove. Fieno secco. “Ma come? Ma come?”, gemeva l’uomo. “Eppure qui non sono spine! Eppure il grano era lo stesso! Eppure era nato folto e bello. Lo si vede dalle foglie ben formate e numerose. Perché allora tutto è morto senza fare spiga?”. E con dolore si dette a scavare il suolo per vedere se trovava nidi di talpe o altri flagelli. Insetti e roditori no, non ce ne erano. Ma quanti, quanti sassi! Una petraia! I campi erano letteralmente selciati da scaglie di pietra e la poca terra che li copriva era un inganno. Oh! se avesse approfondito l’aratro quando era tempo! Oh! se avesse scavato, prima di accettare quei campi e comperarli per buoni! Oh! se almeno, dopo lo sbaglio fatto di acquistare quanto gli veniva proposto senza persuadersi della sua bontà, li avesse resi buoni a fatica di reni! Ma ormai era tardi ed era inutile il rammarichìo.
   L’uomo si alzò in piedi avvilito e andò ai campi intersecati di stradette per sua comodità… E si strappò le vesti dal dolore. Qui non c’era nulla, assolutamente nulla… La terra scura del campo era coperta da un leggero strato di polvere bianca… L’uomo si accasciò al suolo gemendo: “Ma qui perché? Qui non spine e non sassi perché questi sono campi nostri. L’avo, il padre, io, li abbiamo sempre avuti e in lustri e lustri li abbiamo fatti fertili. Io vi ho aperto le strade, avrò levato del terreno al campo, ma ciò non può averlo fatto sterile così…”. Piangeva ancora quando ebbe risposta al suo dolore da un fitto sciame d’uccelli che si accanivano dai sentieri sul campo e da questo ai sentieri per cercare, cercare, cercare semi, semi, semi… Il campo, divenuto una rete di stradette sui bordi delle quali era caduto del grano, aveva attirato molti uccelli, e questi prima avevano mangiato il grano caduto sulla via e poi quello del campo, fino all’ultimo chicco.
   Così il seme, uguale per tutti i campi, aveva dato dove il cento, dove il sessanta, dove il trenta, dove il nulla. Chi ha orecchie da intendere intenda. Il seme è la Parola: uguale per tutti. I luoghi dove cade il seme: i vostri cuori. Ognuno applichi e comprenda. La pace sia con voi».

   179.7 E poi, rivolgendosi a Pietro, dice: «Risali finché puoi e poi ammarra dall’altro lato».
   E mentre le due barche fanno poca via sul fiume per poi fermarsi presso la sponda, Gesù si siede chiedendo al discepolo novello: «Chi resta, ora, a casa tua?».
   «Mia madre col fratello maggiore, sposato da cinque anni. Le sorelle sono sparse per la regione. Mio padre era molto buono. E mia madre lo piange desolatamente». Il giovane si arresta bruscamente, perché sente che un singhiozzo gli monta dal cuore.
   Gesù lo afferra per una mano e dice: «Ho conosciuto Io pure questo dolore ed ho visto piangere mia Madre. Ti capisco perciò…».
   Lo sfregare della barca sul greto fa sì che il discorso si interrompa per permettere di scendere a terra. Qui non sono più i colli bassi di Betsaida che quasi tuffano il muso nel lago, ma una pianura ricca di messi si stende da questa sponda, opposta a Betsaida, verso il nord.
   «Andiamo a Meron?», chiede Pietro.
   «No. Prendiamo questo sentiero fra i campi».
   I campi, belli e ben tenuti, mostrano le spighe ancora tenere ma già formate; tutte alla stessa altezza, e col lieve ondeggiare che imprime loro il vento fresco che viene dal nord, sembrano un altro piccolo lago al quale fanno da vele gli alberi che si drizzano qua e là, pieni di zirli d’uccelli.
   «Questi campi non sono come quelli della parabola», osserva il cugino Giacomo.
   «No, davvero! Gli uccelli non li hanno devastati, non ci sono spine e non sassi. Un bel grano! Fra un mese sarà già biondo… e fra due sarà pronto alla falce e al granaio», dice Giuda Iscariota.
   «Maestro… io ti ricordo ciò che hai detto in casa mia. Tu hai parlato tanto bene. Ma io comincio ad avere nella testa delle nuvole scompigliate come quelle lassù…», dice Pietro.
   «Questa sera te lo spiegherò.

   179.8 Ora siamo in vista di Corozim». E Gesù guarda fisso il neo discepolo, dicendo: «A chi dà è dato. E l’avere non leva il merito del donativo. Conducimi al sepolcro vostro e alla casa di tua madre».
   Il giovane si inginocchia baciando fra le lacrime la mano di Gesù.
   «Alzati. Andiamo. Il mio spirito ha sentito il tuo pianto. Voglio fortificarti nell’eroismo con il mio amore».
   «Mi aveva raccontato Isacco l’Adulto quanto Tu eri buono. Isacco, sai? Quello al quale Tu hai risanato la figlia. È stato il mio apostolo. Ma vedo che la tua bontà è ancora più grande di quanto mi era stato detto».
   «Saluteremo anche l’Adulto per ringraziarlo di avermi dato un discepolo».
   Corozim è raggiunta ed è proprio la casa di Isacco la prima che si trova. Il vecchio, che sta tornando in casa, quando vede il gruppo di Gesù coi suoi, e fra essi il giovane di Corozim, alza le braccia, col suo bastoncello in mano, e resta senza fiato, a bocca aperta. Gesù sorride e il suo sorriso rende voce al vecchione.
   «Dio ti benedica, Maestro! Ma come a me quest’onore?».
   «Per dirti “grazie”».
   «Ma di che, mio Dio? Io devo dirtela questa parola. Entra, entra. Oh! che dolore che mia figlia sia lontana per assistere la suocera! Perché si è sposata, lo sai? Tutte le benedizioni dopo che ti ho incontrato! Lei guarita, e subito dopo quel ricco parente tornato da lontano, vedovo, con quei piccoli bisognosi di una madre… Oh! ma te le ho già dette queste cose! La mia testa è vecchia! Perdona».
   «La tua testa è saggia e dimentica anche di gloriarsi del bene che fa per il suo Maestro. Dimenticarsi del bene fatto è saggezza. Dimostra umiltà e fiducia in Dio».
   «Ma io… non saprei…».
   «E questo discepolo non l’ho per te?».
   «Oh!… Ma non ho fatto nulla, sai? Solo ho detto la verità… e sono contento che Elia sia con Te». Si volge a questo Elia e dice: «Tua madre, dopo il primo momento di stupore, ebbe rasciugato il pianto nel saperti del Maestro. Tuo padre ebbe un degno cordoglio, però. Da poco è nel sepolcro».
   «E mio fratello?».
   «Tace… Sai… gli è stato un po’ duro vederti assente… per il paese… Lui pensa ancora così…».
   Il giovane si volge a Gesù: «Tu lo hai detto. Ma io non vorrei che egli fosse morto… Fa’ che divenga vivo come me, e al tuo servizio».
   Gli altri non capiscono e guardano interrogativamente, ma Gesù risponde: «Non disperare e persevera». Poi benedice Isacco e se ne va, nonostante ogni pressione.

   179.9 Sostano prima presso il sepolcro chiuso e pregano. Poi, attraverso un vigneto ancora semispoglio, vanno alla casa di Elia.
   L’incontro fra fratelli è piuttosto sostenuto. Il maggiore si sente offeso e lo vuole far rilevare. Il minore si sente umanamente colpevole e non reagisce. Ma l’arrivo della madre, che senza parole si prostra e bacia l’orlo della veste di Gesù, rasserena l’ambiente e gli animi. Tanto che si vuole fare onore al Maestro.
   Il quale però non accetta nulla, ma solo dice: «Siano giusti i vostri cuori, l’uno verso l’altro, come giusto era colui che piangete. Non date impronta umana al sovrumano: la morte e l’elezione ad una missione. L’anima del giusto non si è agitata nel vedere che il figlio mancava alla sepoltura del suo cadavere. Ma si è anzi messa quieta, nella sicurezza sul futuro del suo Elia. Il pensiero del mondo non turbi la grazia dell’elezione. Se il mondo ha potuto stupire di non vedere costui presso il feretro paterno, gli angeli hanno esultato nel vederlo a fianco del Messia. Siate giusti. E tu, madre, sii consolata da questo. Hai educato con saggezza, e tuo figlio è stato chiamato dalla Sapienza. Vi benedico tutti. La pace sia con voi ora e sempre».
   Tornano sulla via che riprendono per andare al fiume e da qui a Betsaida. L’uomo, Elia, neppure si è attardato un istante sulla soglia paterna. Dopo il bacio di addio alla madre ha seguito il Maestro con la semplicità con cui un bambino segue il suo vero padre.

[25] era tanto preparato, invece dilo era tanto (impreparato), è correzione nostra.
[26] comodista, parola sconosciuta al vocabolario della lingua italiana, starebbe per uno che ama le comodità. L’opera può presentare altri neologismi, che non annotiamo se sono di facile comprensione (come innimbare o annimbare per aureolare in 29.2, 38.3 e altre volte; incespire per fare cespo in 88.2; cicaleggiano per cicalano in 242.2; infingardia per infingardaggine in 281.9; intimidamenti per intimidazioni in 572.5), o se è un semplice adattamento onomatopeico (come szoccolìo per zoccolìo in 102.5 e sfrulla per frulla alla fine di 530.1), o se non sappiamo interpretarlo (come penzana in 252.8). Per la loro sistematicità, segnaliamo la definizione di sinagogo (con arcisinagogo e archisinagogo) data al capo della sinagoga e la forma anomala di sinedrista per sinedrita. Altre espressioni tipiche di MV, conservate o corrette da noi, sono segnalate in nota a: 3.1 - 6.1 - 12.1 - 41.1 - 52.5 - 188.6 - 237.3 - 296.6 - 488.1 (toscanismi) - 545.1 (verbi) - 625.1 (arcaismi). In genere la scrittrice, che non sempre poteva consultare il vocabolario (come lei stessa dichiara in 456.1), mostra di possedere ricchezza e proprietà di linguaggio. Le rare improprietà, come quelle annotate in 360.1 e in 361.2, possono essere attribuite alla immediatezza del suo scrivere di getto.