MARIA
VALTORTA

Voglio che le anime possano bere alla Fonte vitale della mia parola

"Quando la Chiesa - e per tale alludo ora alla riunione degli alti dignitari di Essa - agì secondo i dettami della mia Legge e del mio Vangelo, la Chiesa conobbe tempi fulgidi di fulgore. Ma guai quando, anteponendo gli interessi della Terra a quelli del Cielo, inquinò Se stessa con passioni umane! Tre volte guai quando adorò la Bestia di cui parla Giovanni, ossia la Potenza politica, e se ne fece asservire..." (Qd 12 dicembre 1943)

OPERA MAGGIORE

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VOLUME III CAPITOLO 193



CXCIII. L’arrivo a Sichem dopo due giorni di cammino.

   18 giugno 1945.

   193.1 Per le vie sempre più affollate di pellegrini Gesù prosegue verso Gerusalemme. Un acquazzone nella notte ha messo un poco di fango nelle vie, ma in compenso ha abbassato la polvere e resa nitida l’aria. Le campagne sembrano un giardino ben curato dal giardiniere.
   E vanno tutti solleciti perché sono riposati dalla sosta, e perché il bambino, nei suoi sandaletti nuovi, non soffre nel cammino, ma anzi, sempre più confidente, cinguetta con questo e con quello, confidando a Giovanni che suo padre si chiamava Giovanni e sua madre Maria, e che perciò lui vuole molto bene anche a Giovanni. «Ma già», termina, «voglio bene a tutti, e nel Tempio pregherò tanto tanto per voi e per il Signore Gesù».
   È commovente vedere come questo gruppo di uomini, per la maggior parte senza figli, siano paterni e pieni di previdenze per il più piccolo dei discepoli di Gesù. Persino l’uomo di Endor si ammorbidisce nell’aspetto quando obbliga il piccolo a bere un uovo, oppure si arrampica fra i boschi che fanno verdi le colline e le montagne sempre più alte, spaccate da valloni nel cui fondo va la via maestra, per cogliere dei rametti aciduli di rovo o profumati steli di finocchio selvatico, e li porta al piccolo per mitigargli la sete senza aggravarlo d’acqua, e come lo distrae dalla lunghezza della strada facendogli osservare gli aspetti e i panorami diversi.
   L’antico pedagogo di Cittium, rovinato dalla cattiveria umana, risorge per questo bambino, una miseria come è miseria lui stesso, e spiana le rughe della sventura e dell’amarezza in un sorriso buono. Se Jabé è già meno miserello coi suoi sandaletti nuovi e il visetto meno triste, su cui non so che mano apostolica ha avuto cura di cancellare ogni segno della vita selvatica fatta per tanti mesi, accomodandogli i capelli fino allora incolti e polverosi ed ora resi soffici e pareggiati da una energica lavata, anche l’uomo di Endor, che ancora resta un poco perplesso quando si sente chiamare Giovanni, ma che poi scuote il capo con un sorriso di compatimento verso la sua poca memoria, è ben diverso. Giorno per giorno il suo viso perde quel che di duro che aveva e acquista una serietà che non fa paura.
   Naturalmente queste due miserie, che risorgono per la bontà di Gesù, gravitano col loro amore verso il Maestro. Cari i compagni, ma Gesù… Quando Egli li guarda o parla proprio a loro, la loro espressione diviene tutt’affatto felice.

   193.2 Dopo aver superato il vallone e poi un colle verde e bellissimo, dal sommo del quale si può ancora intravedere la pianura di Esdrelon – cosa che fa sospirare al fanciullo: «Che farà il vecchio padre?», e lo fa terminare con un sospiro ben triste e un luccicore di pianto negli occhi castani: «Oh! lui è ben meno felice di me… ed è così buono!»; e il lamento del fanciullo getta un velo di tristezza in tutti – ecco che si scende per una valle ubertosa, tutta coltivata di campi e di uliveti, e il lieve vento fa cadere la neve dei fiorellini delle viti e dei più precoci fra gli ulivi. La pianura di Esdrelon è perduta di vista per sempre.
   Una sosta per il pasto e ancora la marcia verso Gerusalemme. Ma deve avere molto piovuto, oppure essere un luogo ricco di acque sotterranee, perché le praterie sembrano un basso acquitrino tanto l’acqua luccica fra le erbe folte, salendo a lambire la via un poco sopraelevata, ma che perciò non evita di essere molto fangosa. Gli adulti si rialzano le vesti per non renderle una crosta di fango, e Giuda Taddeo si mette sulle spalle il bambino per farlo riposare e per potere attraversare più presto la zona inondata e forse malsana.
   Il giorno è al declino quando, dopo aver costeggiato nuove colline e superato un’altra valletta rocciosa ed asciutta, entrano in un paese elevato su un terrapieno roccioso e, facendosi strada fra i molti pellegrini, cercano alloggio in una specie di albergo molto rustico: una grande tettoia sotto cui è stesa abbondante paglia, e nulla più. Piccole lampadette accese qua e là illuminano le cene delle famiglie pellegrinanti, famiglie povere, come quella apostolica, perché i ricchi, per lo più, si sono drizzati le tende fuori del paese, sdegnosi di contatti coi popolani del luogo e coi poveri pellegrinanti.
   E scende notte e silenzio… Il primo a cadere dormente è il bambino, che si reclina stanco in grembo a Pietro che poi lo sistema sulla paglia e lo copre con cura.
   Gesù raduna gli adulti in una preghiera e poi ognuno si getta sulla lettiera per ristorarsi dal molto cammino.

   193.3 Il giorno di poi. La comitiva apostolica, partita al mattino, sta per entrare a sera in Sichem dopo avere superato Samaria, di bell’aspetto, cinta di mura, incoronata di edifici belli e maestosi, intorno ai quali si stringono belle case, ordinate. Ho l’impressione che la città, come Tiberiade, sia da poco ricostruita e con sistemi presi da Roma. Intorno, oltre le mura, una cerchia di terre fertilissime e ben coltivate.
   La strada che da Samaria conduce a Sichem si snoda scendendo di balzo in balzo, con un sistema di muri sorreggenti il terreno che mi ricorda i colli fiesolani, e con una magnifica vista su verdi montagne a sud, e su di una pianura bellissima che va verso ovest.
   La strada tende a scendere a valle, ma ogni tanto risale per valicare altri colli, dall’alto dei quali si domina la terra di Samaria con le sue belle colture a ulivi, a grani, a vigneti, sui quali vegliano dall’alto dei colli boschi di querce e d’altri alberi d’alto fusto, che devono essere una provvidenza contro i venti che certo dalle gole tendono formare vortici e che sciuperebbero le colture. Questa plaga mi ricorda molto i punti del nostro Appennino qui, verso l’Amiata, quando l’occhio contempla insieme le colture piatte e cerealicole della Maremma e le colline festose e i monti severi che sorgono più alti, all’interno. Non so come sia ora la Samaria. Allora era molto bella.

   Ora ecco che fra due alti monti, fra i più alti della zona, si vede d’infilata una valle, e al centro di essa, fertilissima, irrigua, ecco Sichem. È qui che Gesù e i suoi vengono raggiunti dalla carovana fastosa della corte del Console che si trasporta per le feste a Gerusalemme. Schiavi a piedi e schiavi sui carri per tutelare il trasporto degli arredi… Mio Dio, quanta roba potevano portarsi dietro a quei tempi!!! E, con gli schiavi, carri veri e propri, carichi di un po’ di tutto, e persino di lettighe intere, e carrozze da viaggio: sono ampi carri a quattro ruote, ben molleggiati, coperti, sotto cui sono ricoverate le dame. E poi altri carri e schiavi… Una tenda si sposta, sollevata dalla mano ingioiellata di una donna, e appare il profilo severo di Plautina, che saluta senza parlare ma con un sorriso. E così pure fa Valeria, che ha la sua piccina fra i ginocchi, tutta trilli e risatine. L’altro carro da viaggio, ancora più pomposo, passa senza che nessuna tenda si scosti. Ma quando già è passato, si sporge sul dietro di esso, fra le cortine allacciate, il volto roseo di Lidia che fa un gesto di inchino. La carovana si allontana…

   193.4 «Viaggiano bene loro!», dice Pietro stanco e sudato. «Ma se Dio ci aiuta dopodomani sera saremo a Gerusalemme».
   «No, Simone. Io non posso che deviare andando verso il Giordano».
   «Ma perché, Signore?».
   «Per quel bambino. È molto triste, e troppo lo sarebbe rivedendo il monte della sciagura».
   «Ma non lo vediamo! O meglio, ne vediamo l’altra parte… e… e ci penso io a tenerlo distratto. Io e Giovanni… Si distrae subito, povero tortorino senza nido. Andare verso il Giordano! Ohibò! Meglio di qui. Via diretta. Più breve. Più sicura. No. No. Questa, questa. Lo vedi? Anche le romane la fanno. Lungo il mare e il fiume fumano le febbri, a queste prime acque d’estate. Qui è sano. E poi… Quando si arriva se la si allunga ancora? Pensa in che orgasmo sarà tua Madre dopo il brutto fatto del Battista!…».
   Pietro la vince e Gesù acconsente.
   «Riposeremo presto e bene, allora, e domani all’alba partiremo per essere dopo domani sera al Getsemani. Andremo il dì dopo, venerdì, dalla Madre, a Betania, dove scaricheremo i libri di Giovanni, che vi hanno affaticato non poco, e troveremo Isacco a cui daremo questo povero fratello…».
   «E il bambino? Lo dai subito?».
   Gesù sorride: «No. Lo darò alla Madre, che lo prepari per la “sua” festa. E poi lo terremo con noi per la Pasqua. Ma dopo dovremo pure lasciarlo… Non ti ci affezionare troppo! O meglio: amalo come fosse un tuo nato, ma con spirito soprannaturale. Tu vedi, è debole e si stanca. Anche a Me sarebbe piaciuto istruirmelo e crescerlo nutrito da Me nella Sapienza. Ma Io sono l’Instancabile e Jabé è troppo giovane e troppo debole per fare le nostre fatiche. Noi andremo per la Giudea, poi torneremo a Gerusalemme per la Pentecoste, e poi andremo… andremo, evangelizzando… Lo ritroveremo per l’estate nella nostra patria.

   193.5 Eccoci alle porte di Sichem. Va’ avanti con tuo fratello e con Giuda di Simone a cercare alloggio. Io verrò sulla piazza del mercato e ti aspetterò».
   E si separano mentre Pietro galoppa in cerca di un ricovero e mentre gli altri camminano a fatica per le strade, ingombre di gente urlante e gesticolante, di asini, di carri, tutti diretti verso Gerusalemme per la Pasqua imminente. Le voci, i richiami, le imprecazioni si mescolano ai ragli asinini, facendo un rumore che rimbomba forte sotto gli androni gettati da casa a casa, con un rumore che ricorda il rombo di certe conchiglie accostate all’orecchio. L’eco va di voltone in voltone, dove già le ombre si adunano, e la gente, come acqua sempre sospinta, si getta per le vie, vi si insinua cercando un tetto, una piazza, un prato per passarvi la notte… Gesù, col bambino per mano, addossato ad un albero, attende Pietro sulla piazza, che per l’occasione è sempre piena di venditori.
   «Che non ci veda nessuno e ci riconosca!», dice l’Iscariota.
   «Come riconoscere un granello fra la rena», risponde Tommaso. «Non vedi quanta folla?».
   Torna Pietro: «Fuori città vi è una tettoia con del fieno. E non ho trovato altro».
   «Non cercheremo altro. È fin troppo bello per il Figlio dell’uomo».