MARIA
VALTORTA

Voglio che le anime possano bere alla Fonte vitale della mia parola

"Quando la Chiesa - e per tale alludo ora alla riunione degli alti dignitari di Essa - agì secondo i dettami della mia Legge e del mio Vangelo, la Chiesa conobbe tempi fulgidi di fulgore. Ma guai quando, anteponendo gli interessi della Terra a quelli del Cielo, inquinò Se stessa con passioni umane! Tre volte guai quando adorò la Bestia di cui parla Giovanni, ossia la Potenza politica, e se ne fece asservire..." (Qd 12 dicembre 1943)

OPERA MAGGIORE

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VOLUME III CAPITOLO 199



CXCIX. Dai lebbrosi di Siloan e di Ben Hinnom. Pietro ottiene Margziam per mezzo di Maria.

   24 giugno 1945.

   199.1 La mattinata splendida invita veramente a passeggiare lasciando i letti e le case, e gli abitanti della casa dello Zelote, come tante api al primo sole, sorgono molto presto ed escono a respirare l’aria pura nel frutteto di Lazzaro che circonda la casetta ospitale. Presto si aggiungono anche quelli che sono ospitati da Lazzaro, ossia Filippo, Bartolomeo, Matteo, Tommaso, Andrea e Giacomo di Zebedeo. Il sole entra festoso per tutte le finestre e porte spalancate, e le stanze, semplici e linde, si ve stono di una tinta d’oro che avviva i colori delle vesti e fa più lucenti i colori dei capelli e delle pupille.
   Maria d’Alfeo e Salome sono intente a servire questi uomini dal gagliardo appetito. Maria invece sta sorvegliando un servo di Lazzaro che mette in ordine i capellucci di Margziam pareggiandoli con più sapienza di quanto non avesse fatto il suo primo parrucchiere.
   «Per ora così», dice il servo. «Poi, quando avrai offerto a Dio le tue chiome di bambino, te li raccorcerò per bene. Viene il caldo e starai meglio senza capelli sul collo. E ti si rinforzeranno. Sono aridi e friabili, trascurati. Lo vedi, Maria? Hanno bisogno di cure. Ora li ungo per tenerli al posto. Senti, bambino, che buon odore? È l’olio che usa Marta. Mandorla, palma e midollo del più fino con essenza rara. Fa molto bene. La mia padrona ha detto di tenere questo vasetto per il bambino. Oh!
   ecco! Ora sembri il figlio del re», e il servo, che forse è il barbiere della casa di Lazzaro, dà un buffetto sulla guancia di Margziam, saluta Maria e se ne va soddisfatto.
   «Vieni che ti vesto», dice Maria al bambino, che per ora ha unicamente una tunichella a maniche corte; credo sia la camicia o quanto a quei tempi ne faceva funzione. E per la finezza del lino comprendo che faceva parte del corredo di Lazzaro bambino. Maria leva l’asciugatoio in cui era quasi fasciato Marjziam e lo riveste della sottoveste di lino increspata alla radice del collo e ai polsi, e della sopraveste rossa, di lana, dall’ampia scollatura e dalle ampie maniche. Il lino splendente esce candidissimo dalla scollatura e dalle maniche della stoffa rossa e opaca. La mano di Maria deve aver provveduto nella notte a regolare la lunghezza della veste e delle maniche, e ora va tutto bene, specie quando Maria gli cinge la vita colla morbida fascia della cintura terminata in un fiocco di lana bianca e rossa. Il bambino non sembra più il povero esserino di pochi giorni or sono.
   «Ora vai a giocare, senza sporcarti, mentre io mi preparo», dice Maria accarezzandolo. E il bambino esce, saltellando contento, a cercare i suoi grandi amici.

   199.2 Il primo a vederlo è Tommaso: «Ma come sei bello! Di nozze! Mi fai scomparire», dice il sempre allegro Tommaso, grassoccio, tranquillo. E lo prende per mano dicendo: «Vieni che andiamo dalle donne. Ti cercavano per darti l’imbeccata».
   Entrano nella cucina e Tommaso fa sobbalzare le due Marie curve sui fornelli gridando col suo vocione: «C’è qui un giovanotto che vi desidera», e ridendo presenta il bambino che si era nascosto dietro la robusta persona.
   «Oh! caro! Ma vieni che ti do un bacio! Guarda, Salome, come sta bene!», esclama Maria d’Alfeo.
   «Davvero! Ora ha solo bisogno di farsi più robusto. Ma ci penserò io. Vieni che ti bacio anche io», risponde Salome.
   «Ma Gesù lo affida ai pastori…», obbietta Tommaso.
   «Neanche per idea! In questo il mio Gesù sbaglia. Cosa volete fare e saper fare voi uomini? Litigare – perché, sia detto per caso, siete piuttosto litigiosi… come capretti che si amano ma si danno cornate – mangiare, parlare, avere mille bisogni, e pretendere dal Maestro tutta l’attenzione su di voi… altrimenti sono bronci… I bambini hanno bisogno delle mamme.
   Non è vero… come ti chiami?».
   «Marjziam».
   «Ah! già! Ma benedetta la mia Maria! Poteva metterti un nome più facile!».
   «È quasi come il suo!», esclama Salome.
   «Sì. Ma il suo è più semplice. Non ci sono quelle tre lettere al centro… Tre sono troppe…».
   È entrato l’Iscariota e dice: «Ha messo il nome esatto nel suo significato, secondo l’antica lingua incorrotta».
   «Va bene. Ma è difficile, e io ne levo una e dico Marziam. È più facile e non cascherà il mondo per questo. Vero, Simone?».
   Pietro, che sta passando davanti alla finestra parlando con Giovanni di Endor, si affaccia e dice: «Che vuoi?».
   «Dicevo che io il bambino lo chiamo Marziam. È più facile».
   «Hai ragione, donna. Se la Madre me lo permette, lo chiamo anche io così. Ma come stai bene! Però anche io, eh? Guardate!». Infatti è tutto spazzolato, sbarbato sulle guance, con capelli e barba regolati, unti, la veste senza sgualciture, i sandali che sembrano nuovi tanto sono mondi e lucidati con non so che. Le donne lo ammirano ed egli ride contento.
   Il bambino ha finito il suo pasto ed esce per andare dal suo grande amico, che egli chiama sempre: «Padre».

   199.3 Ecco Gesù che viene dalla casa di Lazzaro insieme allo stesso, e al bambino che gli corre incontro dice: «La pace fra noi, Marjziam. Diamoci il bacio di pace».
   Lazzaro, salutato dal bambino, lo carezza e gli dà un dolcetto.
   Tutti si riuniscono intorno a Gesù. Anche Maria, rivestita di una veste di lino color turchese su cui è drappeggiato il mantello più scuro, viene verso suo Figlio sorridendo.
   «Possiamo andare, allora», dice Gesù. «Tu, Simone, colla Madre mia e il bambino, se proprio vuoi spendere anche ora che Lazzaro ha provveduto».
   «Ma certo! E poi… potrò dire di avere potuto per una volta camminare al fianco di tua Madre. Grande onore».
   «E allora vai. Tu, Simone, mi accompagnerai dai tuoi amici lebbrosi…».
   «Davvero, Maestro? Allora se permetti vado avanti di corsa, a radunarli… Mi raggiungerai. Tanto lo sai dove sono…».
   «Va bene. Vai. Gli altri facciano quello che credono. Siete tutti liberi fino a mercoledì mattina. All’ora di terza tutti alla porta Dorata».
   «Io vengo con Te, Maestro», dice Giovanni.
   «Io pure», dice Giacomo suo fratello.
   «Ed anche noi», dicono i due cugini.
   «Vengo anche io», dice Matteo e con lui lo dice Andrea.
   «E io? Vorrei venire anche io… ma se vado per le spese non posso venire…», dice Pietro, preso fra due voglie.
   «Si può fare. Prima si va dai lebbrosi, intanto mia Madre col bambino va in una casa amica di Ofel. Poi la raggiungiamo e tu vai con Lei, mentre Io e gli altri andiamo da Giovanna. Ci riuniremo al Getsemnì per il cibo, e poi verso il tramonto torneremo qui».
   «Io, se permetti, vado da alcuni amici…», dice Giuda Iscariota.
   «Ma l’ho detto. Fate quello che credete».
   «Allora io andrò dai parenti. Forse è già venuto mio padre.
   Se c’è te lo conduco», dice Tommaso.
   «Noi due, che dici Filippo? Si potrebbe andare da Samuele».
   «Ben detto», risponde questo a Bartolomeo.
   «E tu, Giovanni?», chiede Gesù all’uomo di Endor. «Preferisci rimanere qui per sistemare i tuoi libri o venire con Me?».
   «Veramente preferirei venire con Te… I libri… mi piacciono già meno. Preferisco leggere Te, Libro vivente».
   «Allora vieni. Addio, Lazzaro, a…».
   «Ma vengo anche io. Le gambe stanno un poco meglio e ti lascerò, dopo i lebbrosi, andando al Getsemnì ad attenderti».
   «Andiamo. La pace a voi, donne».
   Fino alle vicinanze di Gerusalemme stanno tutti uniti. Poi si separano, andando l’Iscariota per conto suo, entrando in città probabilmente da quella porta che è verso la torre Antonia; mentre Tommaso, con Filippo e Natanaele, fanno ancora qualche decina di metri con Gesù e i compagni e poi entrano in città dal sobborgo di Ofel, insieme a Maria e al bambino.

   199.4 «E ora andiamo da questi infelici!», dice Gesù e volgendo le spalle alla città va verso un luogo desolato, situato sulle pendici di un colle roccioso che è fra le due strade che da Gerico portano a Gerusalemme. Uno strano luogo fatto come a gradinate, dopo la prima salita sulla quale si inerpica un sentiero, di modo che il primo balzo è sopraelevato a picco per almeno tre metri sul sentiero, e così il secondo. Arido, morto… Tristissimo.


   «Maestro», grida Simone lo Zelote, «sono qui. Fermati che ti insegno la via…»; e lo Zelote, che si era addossato alla roccia per avere un poco d’ombra, viene avanti e conduce Gesù per un sentiero a gradini diretto verso il Getsemani, ma separato da questo dalla strada che dal monte Uliveto va a Betania.
   «Eccoci. Fra i sepolcri di Siloan io vissi, e qui ci sono i miei amici. Parte di essi. Gli altri sono a Ben Innom, ma non possono venire… Dovrebbero traversare la strada e sarebbero visti».
   «Andremo anche da loro».
   «Grazie! Per loro e per me».
   «Ve ne sono molti?».
   «L’inverno ha ucciso i più. Ma qui ce ne sono ancora cinque di quelli ai quali io avevo parlato. Ti attendono. Eccoli sull’orlo del loro ergastolo…».
   Saranno una diecina di mostri. Dico «saranno» perché, se cinque sono ben visibili, in piedi, gli altri, e per il grigiore della pelle e per la deformità del volto e per il loro sporgere appena dalla sassaia, si distinguono così male che potrebbero essere più come meno. Fra quelli in piedi vi è una sola donna. La dicono tale solamente i capelli incanutiti e incolti che cadono duri e sporchi giù per le spalle sino alla cintura. Ma per il resto non si distingue il sesso, perché la malattia, ben avanzata, l’ha scheletrita annullando ogni curva femminile, così come negli uomini uno solo mostra ancora una traccia di baffi e barba. Gli altri sono stati rasati dal morbo distruttore.
   Gridano: «Gesù, Salvatore nostro, pietà di noi!», e tendono le mani deformi o impiagate. «Gesù, Figlio di Davide, abbi pietà!».
   «Che volete che Io vi faccia?», chiede Gesù alzando il volto verso quelle miserie.
   «Che Tu ci salvi dal peccato e dalla malattia».
   «Dal peccato salva la volontà e il pentimento…».
   «Ma, se Tu vuoi, puoi cancellare i nostri peccati. Quelli almeno, se non vuoi guarire i nostri corpi».
   «Se Io vi dico: “Scegliete fra le due cose”, quale volete?».
   «Il perdono di Dio, Signore. Per essere meno desolati».
   Gesù fa un cenno d’approvazione, sorridendo luminosamente, e poi alza le braccia e grida: «Siate esauditi. Lo voglio».
   Esauditi! Può essere per il peccato come per la malattia, o per tutte e due le cose, e i cinque infelici restano incerti. Ma incerti non sono gli apostoli, e non possono che urlare il loro osanna vedendo la lebbra sparire rapida come sparisce il fiocco di neve caduto su un fuoco. E allora i cinque comprendono di essere stati esauditi completamente. Il loro grido risuona come uno squillo di vittoria. Si abbracciano fra di loro e gettano baci a Gesù non potendo precipitarsi ai suoi piedi, e poi si volgono ai compagni dicendo: «E voi non volete ancora credere? Ma che infelici siete?».
   «Buoni! Siate buoni! I poveri fratelli hanno bisogno di pensare. Non dite loro nulla. La fede non si impone, si predica con pace, dolcezza, pazienza, costanza. Quello che voi farete dopo la vostra purificazione, come Simone fece con voi. Del resto, il miracolo predica già di suo. Voi, guariti, andrete dal sacerdote al più presto. Voi, malati, attendeteci a sera. Vi porteremo cibarie. La pace sia con voi».
   Gesù scende di nuovo sulla via seguito dalle benedizioni di tutti.

   199.5 «Ed ora andiamo a Ben Hinnom», dice Gesù.
   «Maestro… io vorrei venire. Ma comprendo che non posso.
   Vado al Getsemani», dice Lazzaro.
   «Vai, vai, Lazzaro. La pace sia con te».
   Mentre Lazzaro lentamente si avvia, Giovanni apostolo dice: «Maestro, io lo accompagno. Fa fatica e la stradetta non è molto buona. Poi ti raggiungo a Ben Hinnom».
   «Vai pure. Andiamo».
   Passano il Cedron, costeggiano il lato sud del monte Tofêt e entrano nella valletta tutta sparsa di sepolcri e di lordure, senza un albero, senza uno schermo al sole, che su questo lato meridionale si abbatte con tutti i suoi fuochi e arroventa il pietrame di questi nuovi scaglioni d’inferno, alla base dei quali fumano incendi puteolenti che aumentano il calore. E dentro a questi sepolcri, simili a forni crematori, vi sono dei poveri corpi che si consumano… Siloan sarà brutto nell’inverno, umido come è, e volto quasi a settentrione. Ma questo deve essere tremendo in estate… Simone lo Zelote getta un urlo di richiamo, e prima tre, poi due, poi uno e un altro ancora vengono, come possono, fino al limite prescritto. Qui vi sono due donne, e una ha per mano un orrore di bambino che la lebbra ha preso specialmente nel viso. È già cieco…
   E vi è un uomo dall’aspetto nobile, nonostante la misera sua condizione. Prende la parola per tutti: «Sia benedetto il Messia del Signore, che è sceso nella nostra Geenna per trarre da essa coloro che sperano in Lui. Salvaci, Signore, ché noi periamo! Salvaci, Salvatore! Re della stirpe di Davide, Re d’Israele, pietà dei tuoi sudditi. Oh! Germoglio della stirpe di Jesse, di cui è detto che nel tuo tempo non vi sarà più male, stendi la tua mano a raccogliere questi avanzi del tuo popolo. Fai sparire da noi questa morte, asciuga le nostre lacrime, perché così è detto di Te. Chiamaci, Signore, ai tuoi pascoli prelibati, alle tue dolci acque, ché sitibondi siamo. Portaci sulle eterne colline dove non è più colpa e dolore. Abbi pietà, Signore…».
   «Chi sei?».
   «Giovanni, uno del Tempio. Contaminato forse da un lebbroso. Da poco, e Tu lo vedi, la malattia è su me. Ma questi!… Vi è chi attende la morte da anni, e questa fanciullina vi è da quando ancor non camminava. Non sa che sia il creato di Dio. Quanto conosce o quanto ricorda delle meraviglie di Dio sono questi sepolcri, questo sole spietato e le stelle della notte. Pietà per i colpevoli e per gli innocenti, Signore, Salvatore nostro».
   Si sono tutti inginocchiati tendendo le mani.
   Gesù piange su tanta miseria e poi apre le braccia gridando:
   «Padre, Io lo voglio: salute, vita, vista e santità su loro». Resta a braccia aperte pregando intensamente con tutto il suo spirito. Pare affinarsi e alzarsi nella preghiera, fiamma d’amore, bianca e potente fra il potente oro del sole.
   «Mamma, io vedo!», è il primo grido, e ad esso corrisponde l’urlo della madre che si stringe al cuore la sua bambina guarita, e poi quello degli altri e degli apostoli… Il miracolo è compiuto.
   «Giovanni, tu sacerdote, guiderai i compagni nel rito. La pace sia con voi. A voi pure porteremo cibo verso sera». Benedice e fa per avviarsi.
   Ma il lebbroso Giovanni grida: «Sui tuoi passi io voglio venire. Dimmi che devo fare, dove andare per predicare di Te!».
   «In questa terra desolata e nuda che ha bisogno di convertirsi al Signore. Sia la città di Gerusalemme il tuo campo. Addio».

   199.6 «Ed ora andiamo dalla Madre», dice poi agli apostoli.
   «Ma dove è?», chiedono in molti.
   «In una casa che Giovanni sa. In casa della fanciulla guarita[67] lo scorso anno».
   Entrano in città, percorrono buona parte del popoloso sobborgo di Ofel fino ad una casetta bianca.
   Entra col suo dolce saluto nella casa la cui porta è socchiusa, e ne esce la voce dolce di Maria e la argentina voce di Annalia e quella più grossa di sua madre. La fanciulla si prostra adorando, la madre si inginocchia. Maria si alza.
   Vorrebbero trattenere il Maestro con la Madre. Ma Gesù, promettendo di tornare in un altro giorno, benedice e si accomiata.
   Pietro se ne va felice con Maria. Tengono tutti e due il bambino per mano e sembrano una famigliola felice. Molti si volgono a guardarli. Gesù osserva il loro andare con un sorriso.
   «Simone è felice!», esclama lo Zelote.
   «Perché sorridi, Maestro?», chiede Giacomo di Zebedeo.
   «Perché vedo in quel gruppo una grande promessa».
   «Quale, Fratello? Che vedi?», domanda il Taddeo.
   «Vedo questo: che potrò andarmene tranquillo, quando sarà l’ora. Non devo temere per la mia Chiesa. Allora sarà piccola ed esile come Margziam. Ma ci sarà mia Madre a tenerla per mano così e a farle da Madre; e ci sarà Pietro a farle da padre. Nella sua mano onesta e callosa posso mettere senza preoccupazione la mano della mia nascente Chiesa. Egli le darà la forza della protezione sua. Mia Madre la forza del suo amore. E la Chiesa crescerà… come Margziam… È veramente il bambinosimbolo! Dio benedica mia Madre, il mio Pietro, e il loro e nostro bambino! Andiamo ora da Giovanna…»…

   199.7 …E di nuovo siamo, a sera, nella casetta di Betania. Molti, stanchi, si sono già ritirati. Ma Pietro passeggia avanti e indietro per il sentiero, alzando la testa molto sovente verso la terrazza dove sono seduti in colloquio Gesù e Maria. Giovanni di Endor, invece, parla con lo Zelote stando seduti sotto un melograno tutto in fiore.
   Maria ha già molto parlato, perché sento che Gesù dice:
   «Tutto quanto mi hai detto è ben giusto e ne terrò presente la giustizia. E anche per Annalia dico che è giusto il tuo consiglio. Che l’uomo l’abbia accolto con tanta prontezza è buon segno. Veramente l’alta Gerusalemme è piena di ottusità e livore, potrei dire anche di lordura. Ma nel suo popolo umile vi sono perle di ignorato valore. Sono lieto che Annalia sia felice. È una creatura più del Cielo che della Terra, e forse l’uomo, ora che è entrato nel concetto dello spirito, lo intuisce e ne ha quasi un rispetto venerabondo. Il suo pensiero di andare altrove, per non turbare di un palpito umano il candido voto della sua fanciulla, lo dimostra».
   «Sì, Figlio mio. L’uomo avverte il profumo dei vergini… Mi ricordo Giuseppe. Io non sapevo che parole usare. Egli non sapeva il mio segreto… Eppure mi aiutò a dirlo con una percezione di santo. Aveva sentito l’odore dell’anima mia… Vedi anche Giovanni?… Che pace!… E tutti lo cercano… Lo stesso Giuda di Keriot, per quanto… No, Figlio. Giuda non è cambiato. Io lo so e Tu lo sai. Noi non parliamo perché non vogliamo dare inizio alla guerra. Ma anche se non parliamo, sappiamo… e anche se non parliamo, gli altri intuiscono… Oh! mio Gesù! Mi hanno raccontato i giovani, oggi, al Getsemani, l’episodio di Magdala e quello della mattina del sabato… L’innocenza parla… perché vede per gli occhi del suo angelo. Ma anche i vecchi intravedono… Non hanno torto. È un essere sfuggente… Tutto in lui è sfuggente… ed io ho paura di lui ed ho sul labbro le stesse parole di Beniamino a Magdala e di Marjziam al Getsemani, perché ho lo stesso ribrezzo per Giuda che hanno i bambini».
   «Non tutti possono essere Giovanni!…».
   «Ma non lo pretendo! Sarebbe un paradiso la Terra, allora.
   Ma, vedi, Tu mi hai detto dell’altro Giovanni… Un uomo che ha ucciso… ma mi fa solo pietà. Giuda mi fa paura».
   «Amalo, Madre! Amalo, per amor mio!».
   «Sì, Figlio. Ma non servirà neppure il mio amore. Sarà solo sofferenza a me e colpa in lui. Oh! perché mai è entrato! Turba tutti, offende Pietro che è degno di ogni rispetto».

   199.8 «Sì. Pietro è molto buono. Per lui farei qualunque cosa, perché lo merita».
   «Se ti sentisse direbbe col suo buon sorriso schietto: “Ah! Signore, ciò non è vero!”. E avrebbe ragione».
   «Perché, Madre?». Ma Gesù sorride già perché ha capito.
   «Perché Tu non lo accontenti dandogli un figlio. Mi ha detto tutte le sue speranze, i suoi desideri… e le tue ripulse».
   «E non ti ha detto le ragioni con cui le ho giustificate?».
   «Sì. Me le ha dette ed ha aggiunto: “È vero… ma io sono un uomo, un povero uomo. Gesù si ostina a vedere in me un grande uomo. Ma io so di essere ben meschino, e perciò… mi potrebbe dare un bambino. Mi ero sposato per averne… muoio senza averne”. E ha detto – accennando al bambino che, felice della bella veste comperata da Pietro, lo aveva baciato dicendogli: “Padre amato” – ha detto: “Vedi, quando questo esserino, che solo dieci giorni or sono non conoscevo ancora, mi dice così, io mi sento diventare più morbido del burro e più dolce del miele, e piango perché… ogni giorno che passa me lo porta via questo bambino…”».
   Maria tace osservando Gesù, studiandolo in volto, aspettando una parola… Ma Gesù ha messo il gomito sul ginocchio, la testa sulla mano, e tace guardando la distesa verde del frutteto.
   Maria gli prende la mano e la carezza e dice: «Simone ha questo grande desiderio… Mentre andavo con lui non ha fatto che parlarmene, e con ragioni così giuste che… non ho potuto dire nulla per farlo tacere. Erano le stesse ragioni che pensiamo tutte noi, donne e madri. Il bambino non è robusto. Fosse stato come eri Tu… oh! allora avrebbe potuto andare incontro alla vita del discepolo senza paura. Ma è così esile!… Molto intelligente, molto buono… ma nulla di più. Quando un tortorino è delicato non si può lanciarlo a volo presto, come si fa con i forti. I pastori sono buoni… ma sempre uomini. I bambini hanno bisogno delle donne. Perché non lo lasci a Simone? Finché gli neghi una creatura proprio nata da lui, comprendo il motivo. Un piccino nostro è come un’àncora. E Simone, destinato a tanta sorte, non può avere àncore che lo trattengano. Ma però, devi convenire che egli deve essere il “padre” di tutti i figli che Tu gli lascerai. Come può essere padre se non ha fatto scuola con un bambino? Dolce deve essere un padre. Simone è buono, ma dolce no. È impulsivo e intransigente. Non c’è che una creaturina che gli possa insegnare l’arte sottile del compatimento per chi è debole… Considera questa sorte di Simone… È bene il tuo successore! Oh! che la devo pur dire questa atroce parola! Ma per tutto il dolore che mi costa a dirla, ascoltami. Mai ti consiglierei cosa che non fosse buona. Marjziam… Tu ne vuoi fare un perfetto discepolo… Ma è ancora bambino. Tu… te ne andrai prima che lui sia uomo. A chi allora darlo, per completarne la formazione, meglio che a Simone? Infine, povero Simone, Tu sai come è stato tribolato, anche per causa di Te, dalla suocera sua; eppure non ha ripreso un granello del suo passato, della sua libertà di or è un anno, per essere lasciato in pace dalla suocera, che neppur Tu hai potuto mutare. E quella povera creatura di sua moglie? Oh! ha un tale desiderio di amare e di essere amata. La madre… oh!… Il marito? Un caro prepotente… Mai un affetto che le si sia dato senza troppo esigere… Povera donna!… Lasciale il bambino. Ascolta, Figlio. Per ora lo portiamo con noi. Verrò anche io in Giudea. Mi porterai con Te da una mia compagna nel Tempio, e quasi parente, perché da Davide viene. Sta a Betzur. La vedrò volentieri, se ancora vive. Poi, al ritorno in Galilea, lo daremo a Porpora. Quando saremo nei pressi di Betsaida Pietro lo prenderà. Quando verremo qui, lontano, il bambino starà con lei. Ah! ma Tu sorridi ora! Allora fai contenta la tua Mamma. Grazie, mio Gesù».
   «Sì, sia fatto come tu vuoi».

   199.9 Gesù si alza e chiama forte:
   «Simone di Giona, vieni qui».
   Pietro ha uno scatto e fa di corsa gli scalini: «Che vuoi, Maestro?».
   «Vieni qui, uomo usurpatore e corruttore!».
   «Io? Perché? Che ho fatto, Signore?».
   «Mi hai corrotto la Madre. Per questo volesti essere solo.
   Che ti devo fare?». Ma Gesù sorride e Pietro si rassicura.
   «Oh!», dice, «mi hai fatto proprio paura! Ma ora ridi… Che vuoi da me, Maestro? La vita? Non ho più che quella, perché mi hai preso tutto… Ma se vuoi te la do».
   «Non ti voglio prendere. Ma ti voglio dare. Però non approfittartene della vittoria e non dare il segreto agli altri, furbissimo uomo che vinci il Maestro con l’arma della parola materna. Avrai il bambino ma…».
   Gesù non può più parlare perché Pietro, che si era inginocchiato, salta in piedi e bacia Gesù con tale impeto che gli mozza la parola.
   «Ringrazia Lei, non Me. Ma però ricorda che questo ti deve essere di aiuto, non di ostacolo…».
   «Signore, non avrai a pentirti del dono… Oh! Maria! Che tu sia sempre benedetta, santa e buona…». E Pietro, che è riscivolato in ginocchio, piange proprio, baciando la mano di Maria…

[67] fanciulla guarita in 86.4/5, consacrata vergine in 156.3/5.