MARIA
VALTORTA

Voglio che le anime possano bere alla Fonte vitale della mia parola

"Quando la Chiesa - e per tale alludo ora alla riunione degli alti dignitari di Essa - agì secondo i dettami della mia Legge e del mio Vangelo, la Chiesa conobbe tempi fulgidi di fulgore. Ma guai quando, anteponendo gli interessi della Terra a quelli del Cielo, inquinò Se stessa con passioni umane! Tre volte guai quando adorò la Bestia di cui parla Giovanni, ossia la Potenza politica, e se ne fece asservire..." (Qd 12 dicembre 1943)

OPERA MAGGIORE

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VOLUME III CAPITOLO 196



CXCVI. Il sabato al Getsemani. Gesù parla della Madre e degli amori di diverse potenze.

   21 giugno 1945.

   196.1 La mattina del sabato è stata occupata, per la maggior parte del tempo, in ristoro dei corpi stanchi e delle vesti polverose e sgualcite dal viaggio. Nelle ampie cisterne del Getsemani, che l’acqua piovana ha fatto colme, e nel Cedron che fa tutto una sinfonia sui sassi, spumoso, pieno, per le acquate degli ultimi giorni, vi è tant’acqua che è un vero invito. E l’uno dopo l’altro i pellegrini, sfidando la frescura, scendono a tuffarvisi e poi, rivestiti a nuovo da capo a piedi, con ancora i capelli un poco stesi dagli spruzzi del torrente, attingono acqua alle cisterne per riversarla in capaci vasche dove sono le vesti, colore per colore.
   «Oh! bene!», dice Pietro contento. «Lì si purgheranno e Maria le laverà con minor fatica» (suppongo che sia la donna che è al Getsemani). «Solo tu, piccolino, non ti puoi mutare. Ma domani…». Infatti ha una vesticciola pulita il fanciullo, tratta dal sacchettino suo, un sacchettino che potrebbe bastare ad una bambola tanto è piccino. Ma la vesticciola è ancor più stinta e lacera dell’altra, e Pietro la guarda con apprensione, mormorando: «Come faccio a portarlo in città? Quasi farei in due un mio mantello, perché con un mantello… si coprirebbe tutto».
   Gesù, che sente questo soliloquio paterno, dice: «È meglio farlo riposare ora. Questa sera andremo a Betania…».
   «Ma io voglio comperargli la veste. Gliel’ho promesso…».
   «Lo farai certamente. Ma è meglio consigliarsi con la Madre. Sai… le donne… hanno più capacità di noi negli acquisti… e ne sarà felice di occuparsi di un bambino… Andrete insieme!».
   L’idea di andare con Maria a fare gli acquisti rapisce al settimo cielo l’apostolo. Non so se Gesù esprima tutto il suo pensiero o se ne trattenga una parte, ossia quella che avrebbe detto come sua Madre ha un gusto più fino che salva da accozzi di colori atroci. Fatto è che ottiene lo scopo senza mortificare il suo Pietro.

   196.2 Si spargono per l’uliveto, così bello in questo sereno giorno d’aprile. La pioggia dei giorni scorsi sembra avere inargentato gli ulivi e seminato fiori, tanto le fronde splendono al sole e sono numerosi i fioretti ai piedi degli ulivi. Gli uccelli cantano e volano da tutte le parti.
   La città è stesa là, in direzione ovest di chi guarda.
   Non si vede il formicolio della folla nel suo interno, ma si vedono le carovane che vanno verso la porta dei Pesci ed altre porte di cui non so il nome, da questo lato est, e che poi vengono inghiottite dalla città come fosse un famelico ventre.
   Gesù passeggia osservando Jabé che giuoca allegro con Giovanni e con i più giovani. Anche l’Iscariota, passata la sua stizza di ieri, è allegro e giuoca. I più anziani osservano e sorridono.
   «Cosa dirà tua Madre di questo fanciullo?», chiede Bartolomeo.
   «Io dico che dirà: “È molto esile”», dice Tommaso.
   «Oh! no! Dirà: “Povero fanciullo!”», risponde Pietro.
   «Ti dirà invece: “Sono contenta che tu lo ami”», obbietta Filippo.
   «La Madre non ne avrebbe mai dubitato. Ma io credo che non parlerà. Se lo prenderà sul cuore», dice lo Zelote.
   «E Tu, Maestro, che dici che dirà?».
   «Farà quello che voi dite. Ma molte cose, tutte anzi, le penserà e le dirà nel suo cuore, e nel baciarlo dirà solo: “Che tu sia benedetto!”, e lo curerà come fosse un uccellino caduto dal nido.

   196.3 Un giorno, udite, mi raccontava di quando era una fanciullina. Non aveva ancora tre anni perché ancora non era nel Tempio, e il cuore le si frangeva d’amore dando, come fiore e uliva pigiati e franti nel torchio, tutti i suoi oli e i suoi profumi. E in un delirio d’amore diceva alla madre sua che voleva esser vergine per piacere di più al Salvatore, ma che avrebbe voluto essere peccatrice per potere essere salvata, e quasi piangeva perché la madre non la capiva e non sapeva dirle come si può fare ad essere la “pura” e la “peccatrice” insieme. Le dette pace suo padre portandole un piccolo passero che egli aveva salvato mentre pericolava sull’orlo di una fontana. Le fece la parabola dell’uccellino[61], dicendo che Dio l’aveva salvata in anticipo e che perciò Lei lo doveva benedire due volte. E la piccola Vergine di Dio, la grandissima Vergine Maria, esercitò la sua prima maternità spirituale su quel nidiace che Ella rese al volo quando fu forte, ma che non lasciò mai più l’orto di Nazaret, consolando coi suoi voli e coi suoi cinguettii la triste casa e i tristi cuori di Anna e Gioacchino dopo che Maria fu nel Tempio. Morì poco prima che spirasse Anna… Aveva finito il suo compito…

   196.4 Mia Madre si era votata alla verginità per l’amore. Ma aveva, essendo creatura perfetta, la maternità nel sangue e nello spirito. Perché la donna è fatta per essere madre, ed è aberrazione quando è sorda a questo sentimento, che è amore di seconda potenza…».
   Si sono accostati anche gli altri, piano piano.
   «Cosa vuoi dire, Maestro, dicendo amore di seconda potenza?», chiede Giuda Taddeo.
   «Fratello mio, vi sono molti amori e di diverse potenze. Vi è l’amore di prima potenza: quello che si dà a Dio. Poi l’amore di seconda potenza: quello materno o paterno, perché se il primo è tutto spirituale, questo è per due parti spirituale e per una sola carnale. Vi si mescola, sì, il sentimento affettivo umano, ma vi predomina il superiore, perché un padre e una madre, sanamente e santamente tali, non danno solo cibo e carezze alla carne del figlio, ma anche nutrimento e amore alla mente e allo spirito della loro creatura. E tanto è vero ciò che dico, che chi si vota all’infanzia, anche se unicamente per istruirla, finisce ad amarla come fosse sua carne».
   «Io li amavo infatti molto i miei discepoli», dice Giovanni di Endor.
   «Ho compreso che dovevi essere un buon maestro vedendo come ti comporti con Jabé».
   L’uomo di Endor si china e bacia la mano di Gesù senza parlare.
   «Continua, ti prego, la tua classificazione degli amori», prega lo Zelote.
   «Vi è l’amore per la compagna: amore di terza potenza perché fatto per metà – parlo sempre dei sani e santi amori – di spirito e per metà di carne. L’uomo per la sposa è un maestro e un padre, oltre che sposo; e la donna per lo sposo è un angelo e una madre oltre che sposa. Questi sono i tre amori più elevati».

   196.5 «E l’amore del prossimo? Non sbagli? O lo hai dimenticato?», chiede l’Iscariota.
   Gli altri lo guardano stupiti e… feroci per l’osservazione. Ma Gesù risponde placido:
   «No, Giuda. Ma osserva. Dio va amato perché è Dio, dunque non necessita nessuna spiegazione per persuadere a questo amore. Egli è Colui che è, ossia il Tutto; e l’uomo, il nulla che diviene parte[62] del Tutto per l’anima infusa dall’Eterno – senza quella l’uomo sarebbe uno dei tanti animali bruti che vivono sulla terra o nelle acque o nell’aria – deve adorarlo per dovere e per meritare di sopravvivere nel Tutto, ossia per meritare di divenire parte del popolo santo[63] di Dio in Cielo, cittadino della Gerusalemme che non conoscerà profanazioni e distruzioni in eterno.
   L’amore dell’uomo, e specie della donna, alla prole, ha indicazione di comando nelle parole di Dio ad Adamo ed Eva dopo averli benedetti, vedendo di aver fatto “cosa buona”, in un lontano sesto giorno, il primo sesto giorno del creato. Disse loro: “Crescete e moltiplicatevi e riempite la Terra…”.
   Vedo la tua inespressa obbiezione e ti rispondo subito così: posto che nel creato avanti la colpa tutto era regolato e basato sull’amore, questo moltiplicarsi dei figli sarebbe stato amore, santo, puro, potente, perfetto. E Dio lo ha dato per primo comando all’uomo: “Crescete, moltiplicatevi”. “Amate perciò, dopo di Me, i vostri figli”. L’amore quale ora è, il generatore attuale dei figli, allora non era. La malizia non era e con essa non era l’esecrata fame del senso. L’uomo amava la donna e la donna l’uomo, naturalmente, non naturalmente secondo natura quale noi l’intendiamo o, meglio, come voi uomini l’intendete, ma secondo natura di figli di Dio: soprannaturalmente[64].
   Dolci, primi giorni d’amore fra i due che erano fratelli, perché nati da un Padre unico, e che pure erano sposi, e che nell’amarsi si guardavano con gli innocenti occhi di due gemelli nella cuna; e l’uomo provava l’amor di padre per la compagna “osso delle sue ossa e carne della sua carne”, così come è il figlio per un padre; e la donna conosceva la gioia d’esser figlia, ossia protetta da un amore ben alto, perché sentiva di avere in sé qualcosa di quello splendido uomo che l’amava, con innocenza e angelico ardore, nei bei prati dell’Eden!
   Dopo, nell’ordine dei comandi dati da Dio, con un sorriso, ai suoi pargoli diletti, viene quello che lo stesso Adamo, dotato per la Grazia di una intelligenza seconda solo a quella di Dio, decreta, parlando della compagna e di tutte le donne in lei, il decreto del pensiero di Dio, che si rifletteva netto sul terso specchio dello spirito di Adamo e fioriva in pensiero e in parola: “L’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà alla sua moglie e i due saranno una carne sola”.
   Se non ci fossero stati i tre piloni dei tre amori sopraddetti, avrebbe potuto esserci l’amore di prossimo? No. Non avrebbe potuto esserci. L’amore di Dio fa Dio amico e insegna l’amore. Chi non ama Dio, che è buono, non può certo amare il prossimo, che in maggioranza è difettoso. Se non ci fossero stati amor coniugale e paternità nel mondo, non avrebbe potuto esserci prossimo, perché il prossimo è fatto dei figli nati dagli uomini. Sei persuaso?».
   «Sì, Maestro. Non avevo riflettuto».
   «È infatti difficile risalire alle sorgenti. L’uomo è ormai confitto da secoli e millenni nel fango, e quelle sorgenti sono talmente sulle cime! La prima, poi, è una sorgente che viene da un abisso di altezza: Dio… Ma Io vi prendo per mano e vi conduco alle sorgenti. So dove sono…».

   196.6 «E gli altri amori?», chiedono insieme Simone Zelote e l’uomo d’Endor.
   «Il primo della seconda serie è quello del prossimo. In realtà è il quarto in potenza. Poi viene l’amore alla scienza. Indi l’amore al lavoro».
   «E basta?».
   «E basta».
   «Ma vi sono molti altri amori!», esclama Giuda Iscariota.
   «No. Vi sono altre fami. Ma non sono amori. Sono “disamori”. Negano Dio, negano l’uomo. Non possono perciò essere amori, perché sono negazioni e la negazione è odio».
   «Se io nego di acconsentire al male è odio?», chiede ancora Giuda Iscariota.
   «Miseri noi! Ma sei più cavilloso di uno scriba! Mi dici che hai? È l’aria fina di Giudea che ti pizzica i nervi come un crampo?», esclama Pietro.
   «No. Mi piace istruirmi e avere molte idee, e chiare. Qui è facile parlare per l’appunto con scribi. Non voglio rimanere a corto di argomenti».
   «E credi di potere, in quel momento che ti occorre, tirare fuori la filaccia del colore richiesto dal sacco dove zavorri tutti questi cenci?», interroga Pietro.
   «Cenci le parole del Maestro? Tu bestemmi!».
   «Non mi fare lo scandalizzato. In bocca a Lui non sono cenci, ma una volta che vengono malmenate da noi lo divengono. Prova tu a dare un bisso prezioso in mano di un bambino… Dopo poco è uno sbrendolo sporco e lacerato. Quello che succede a noi… Ora se tu pretendi di pescare al momento buono il brandellino che ti serve, fra che è brandellino e fra che è sporco… uhm! non so che combinerai».
   «Tu non ci pensare. Sono affari miei».
   «Oh! sta’ certo che non ci penso! Ne ho basta dei miei. E poi!… Mi contento che tu non faccia danno al Maestro. Perché, in questo caso, penserei anche agli affari tuoi…».
   «Quando farò male lo farai. Ma non sarà mai, perché io so fare… Non sono un ignorante io…».
   «Lo sono io, lo so. Ma, appunto perché lo so, non zavorro nulla per sventolarlo poi al momento buono. Ma mi raccomando a Dio, e Dio mi aiuterà per amore del suo Messia di cui io sono il servo più infimo e più fedele».
   «Fedeli siamo tutti!», ribatte arrogante Giuda.
   «Oh! cattivo! Perché offendi il padre mio? È vecchio, è buono. Non devi. Sei un cattivo uomo e mi fai paura», dice Jabé severo, rompendo il silenzio attento in cui era.
   «E due!», esclama a bassa voce Giacomo di Zebedeo urtando col gomito Andrea. Ha parlato piano, ma l’Iscariota ha sentito.
   «Vedi, Maestro, se le parole dello stolto bambino di Magdala hanno lasciato un segno?», dice Giuda acceso di stizza.

   196.7 «Ma non sarebbe più bello continuare la lezione del Maestro anziché sembrare tanti capretti imbizziti?», chiede il pacifico Tommaso.
   «Ma sì, Maestro. Parlaci ancora di tua Madre. È così luminosa la sua infanzia! Ci fa l’anima vergine per riflesso, ed io, povero peccatore, ne ho tanto bisogno!», esclama Matteo.
   «Che vi devo dire? Sono tanti episodi, uno più dolce dell’altro…».
   «Lei te li ha narrati?».
   «Qualcuno. Ma molti di più Giuseppe, come il più bel racconto a Me fanciullo, e anche Alfeo di Sara che, essendo di pochi anni più vecchio di mia Madre, le fu amico nei brevi anni che Lei fu a Nazaret».
   «Oh! racconta…», prega Giovanni.
   Sono tutti in cerchio, seduti all’ombra degli ulivi, con Jabé al centro che guarda fisso Gesù come udisse una paradisiaca fiaba.
   «Vi dirò la lezione di castità che diede mia Madre, pochi giorni avanti l’entrata nel Tempio, al suo piccolo amico e a molti altri.
   Si era sposata quel giorno una fanciulla di Nazaret, parente di Sara, e anche Gioacchino ed Anna erano stati invitati alle nozze. Con essi la piccola Maria, che con altri bambini aveva l’incarico di gettare petali sfogliati sul cammino della sposa. Dicono che era bellissima, da piccina, e tutti se la contendevano dopo la festosa entrata della sposa. Era molto difficile vedere Maria perché Ella viveva molto in casa, amando una grotticella, che Lei chiama tuttora “dei suoi sponsali”, più di ogni luogo. Quando perciò era vista, bionda, rosea e gentile, era accasciata dalle carezze. La chiamavano “il fiore di Nazaret”, oppure “la perla di Galilea”, o anche “la pace di Dio” a ricordo di un arcobaleno enorme venuto improvviso al suo primo vagito. Era ed è infatti tutto questo e più ancora. È il Fiore del Cielo e del creato, è la Perla del Paradiso, è la Pace di Dio… Sì, la Pace. Io sono il Pacifico perché sono Figlio del Padre e figlio di Maria: la Pace infinita e la Pace soave.
   Quel giorno tutti la volevano baciare e prendere in grembo. E Lei, schiva di baci e di contatti, disse con una gravità gentile: “Ve ne prego. Non mi sgualcite”. Credettero parlasse della sua veste di lino, cinta di una fascia d’azzurro alla vita, ai piccoli polsi, al collo… oppure della ghirlandetta di fiorellini azzurri di cui Anna l’aveva incoronata per trattenerle a posto i riccioli lievi, e l’assicurarono che non le avrebbero sgualcita né veste né ghirlanda. Ma Lei, sicura, piccola donna di tre anni ritta fra un cerchio di adulti, disse seria: “Non penso a ciò che si ripara. Parlo dell’anima mia. È di Dio. E non vuole esser toccata che da Dio”. Le obbiettarono: “Ma noi baciamo te, non la tua anima”. Ed Essa: “Il mio corpo è tempio dell’anima e vi è sacerdote lo Spirito. Il popolo non è ammesso nel recinto sacerdotale. Ve ne prego. Non entrate nel recinto di Dio”.
   Alfeo, che aveva allora oltre otto anni e che l’amava molto, fu colpito da questa risposta e il giorno dopo, trovandola presso la sua grotticella, intenta a cogliere fiori, le chiese: “Maria, quando sarai donna mi vorresti per sposo?”. Ancora in lui durava l’effervescenza della festa nuziale a cui aveva assistito. Ed Ella: “Io ti amo molto. Ma non ti vedo come uomo. Ti dico un segreto. Io vedo solo l’anima dei viventi. Quella la amo molto, con tutto il cuore. Ma non vedo altro che Dio come ‘vero Vivente’ a cui potrò dare me stessa”.
   Ecco un episodio».
   «“Vero Vivente”!!! Ma sai che è parola profonda!», esclama Bartolomeo.
   E Gesù, umilmente e con un sorriso: «Ella era la Madre della Sapienza».
   «Era?… Ma non aveva tre anni?».
   «Era. Io vivevo già in Lei, essendo Dio in Lei[65], dal suo concepimento, nella sua Unità e Trinità perfettissima».

   196.8 «Ma, scusa se io colpevole oso parlare, ma Gioacchino ed Anna sapevano che Ella era la Vergine prescelta?», chiede Giuda Iscariota.
   «Non lo sapevano».
   «E allora come poté dire Gioacchino che Dio l’aveva salvata in anticipo? Ciò non allude al suo privilegio sulla colpa?».
   «Vi allude. Ma Gioacchino parlava per bocca di Dio, come tutti i profeti. Lui pure non comprese la sublime verità soprannaturale che lo Spirito metteva sulle sue labbra. Perché era un giusto, Gioacchino. Tanto da meritare quella paternità. Ed era un umile. Non vi è infatti giustizia dove è superbia. Lui era giusto ed umile. Consolò la Figlia per amor di padre. L’istruì per sapienza di sacerdote, ché tale era essendo tutore dell’Arca di Dio. La consacrò come pontefice del titolo più dolce: “La Senza Macchia”. Un giorno verrà che un altro canuto pontefice dirà al mondo: “Ella è la Concepita senza Macchia”, e darà al mondo dei credenti questa verità, come articolo di fede non impugnabile, perché nel mondo d’allora, sempre più sprofondantesi in un grigiore nebbioso di eresie e di vizi, splenda, pienamente discoperta, la Tutta Bella di Dio, incoronata di stelle, vestita di raggi di luna meno puri di Lei e, sugli astri appoggiata, la Regina del Creato e dell’Increato. Perché Dio-Re ha per Regina, nel suo Regno, Maria».
   «Allora Gioacchino era profeta?».
   «Era un giusto. La sua anima disse come un’eco ciò che Dio diceva alla sua anima amata da Dio».

   196.9 «Quando andiamo da questa Mamma, Signore?», chiede con occhi di desiderio Jabé.
   «Questa sera. Che le dirai vedendola?».
   «“Ti saluto, Madre del Salvatore”. Va bene così?».
   «Molto bene», conferma Gesù accarezzandolo.
   «Ma oggi non andremo al Tempio?», chiede Filippo.
   «Prima di partire per Betania vi andremo. E tu starai buono qui. Non è vero?».
   «Sì, Signore».
   La moglie di Giona, il conduttore dell’uliveto, che si è accostata piano piano, dice: «Perché non lo porti? Ne ha desiderio il bambino…».
   Gesù la fissa con insistenza senza parlare.
   La donna capisce e lo dice: «Ho capito! Ma devo avere ancora un piccolo mantello di Marco. Lo vado a cercare», e corre via lesta.
   Jabé tira Giovanni per una manica: «Saranno severi i maestri?».
   «Oh! no. Non avere paura. E poi non è per oggi. In pochi giorni, con la Madre, sarai più sapiente di un dottore», lo conforta Giovanni.
   Gli altri sentono e sorridono delle apprensioni di Jabé.
   «Ma chi lo presenterà come fosse il padre?», chiede Matteo.
   «Io. È naturale! A meno… che lo voglia presentare il Maestro», dice Pietro.
   «No, Simone. Io non lo farò. Ti lascio questo onore».
   «Grazie, Maestro. Ma… ci sarai anche Tu?».
   «Certamente. Tutti ci saremo. È il “nostro” bambino…».
   Torna Maria di Giona con un mantello viola scuro, ancora buono. Ma che colore! Lei stessa lo dice: «Marco non me lo volle mai usare perché non gli piaceva il colore».
   Sfido io! È atroce! E il povero Jabé, così olivastro come è, sembra un annegato fra quel viola violento. Ma egli non si vede… e perciò è felice di quel mantello in cui può drappeggiarsi come un adulto… «Il pasto è pronto, Maestro. La servente ha levato ora dallo spiedo l’agnello».
   «Andiamo, allora».
   E, scendendo dal luogo dove sono, entrano nella vasta cucina per il pasto.

[61] parabola dell’uccellino, in 7.5.
[62] parte è stato corretto (secondo la spiegazione data in nota a 167.9) in partecipe da MV su una copia dattiloscritta, dove la stessa MV aggiunge in calce: se l’anima sa rimanere in Grazia, quindi deificata, non per identità di sostanza, ma per elevazione all’ordine soprannaturale.
[63] del popolo santo è un’aggiunta di MV su una copia dattiloscritta.
[64] soprannaturalmente, senza che alle ordinate leggi di Dio – così annota MV su una copia dattiloscritta – inerenti alla moltiplicazione e popolazione della Terra, si unisse il disordine della malizia, anzi “si sostituisse”. E annota in margine: Sinché l’uomo rimase nell’ordine, non ebbero origine in lui i veleni della triplice concupiscenza che lo fecero delirante, poi ribelle, poi decaduto.
[65] Dio in Lei: Maria, Santuario perpetuo e purissimo dove il Dio Uno e Trino fece perpetua dimora – così annota MV su una copia dattiloscritta – non fu mai separata dalla Sapienza: il Verbo di Dio fu sempre in Lei, vera Arca portatrice della Parola Eterna, e nessuna creatura la conobbe come Ella la conobbe, questa Parola che è Sapienza Divina, che avrebbe preso carne in Lei e che ancora e sempre sarebbe stata in Lei.