MARIA
VALTORTA

Voglio che le anime possano bere alla Fonte vitale della mia parola

"Quando la Chiesa - e per tale alludo ora alla riunione degli alti dignitari di Essa - agì secondo i dettami della mia Legge e del mio Vangelo, la Chiesa conobbe tempi fulgidi di fulgore. Ma guai quando, anteponendo gli interessi della Terra a quelli del Cielo, inquinò Se stessa con passioni umane! Tre volte guai quando adorò la Bestia di cui parla Giovanni, ossia la Potenza politica, e se ne fece asservire..." (Qd 12 dicembre 1943)

OPERA MAGGIORE

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VOLUME IV CAPITOLO 253



CCLIII. Maria Ss. svela a Maria d’Alfeo il senso della maternità spiritualizzata. La Maddalena deve temprarsi soffrendo.

   14 agosto 1945.

   253.1 È ancora notte, una bellissima notte di luna calante, quando silenziosamente Gesù, con gli apostoli e le donne, più Giovanni di Endor e Ermasteo, si accomiatano da Isacco, unico che sia desto, e iniziano il cammino lungo la riva. Il rumore dei passi è solo uno scricchiolio leggero di ghiaietta premuta dai sandali, e nessuno parla fintanto che l’ultima casetta è sorpassata da qualche metro. Certo, chi dorme in essa, o nelle altre che la precedono, non ha avvertito la tacita partenza del Signore e dei suoi amici. Il silenzio è profondo. Solo il mare parla alla luna che volge a ponente, iniziando il tramonto, e racconta alle arene le storie del profondo colla sua onda lunga di alta marea che si inizia lasciando un sempre più stretto margine asciutto sulla sponda.
   Questa volta le donne sono avanti, insieme a Giovanni, lo Zelote, Giuda Taddeo e Giacomo d’Alfeo, che aiutano le discepole a superare piccole scogliere sparse qua e là, umide di salmastro e scivolose. Lo Zelote è con la Maddalena, Giovanni con Marta, mentre Giacomo di Alfeo si occupa della madre e di Susanna, e il Taddeo non cede a nessuno l’onore di prendere nella sua robusta e lunga mano — un’altra parte in cui egli assomiglia a Gesù — la mano piccina di Maria per sostenerla nei passi difficili. Ognuno parla sottovoce con la propria compagna. Sembra che tutti vogliano rispettare il sonno della terra.
   Lo Zelote parla fitto fitto con Maria di Magdala e vedo che più di una volta Simone apre le braccia in atto di chi dice: «così è e non c’è da fare altro», ma non sento ciò che dicono essendo i più in avanti.
   Giovanni parla solo di tanto in tanto con la sua compagna, accennandole il mare e il Carmelo la cui pendice volta a ponente è ancora bianca di luna. Forse parla della via fatta l’altra volta costeggiando il Carmelo dall’altra parte.

   253.2 Anche Giacomo, in mezzo a Maria d’Alfeo e Susanna, parla del Carmelo. Dice a sua madre: «Gesù mi ha promesso di salire lassù solo con me e di dirmi una cosa, a me soltanto».
   «Che ti vorrà dire, figlio? Me la ripeti poi?».
   «Mamma, se è un segreto non te lo posso dire», risponde sorridendo del suo sorriso così affettuoso Giacomo, la cui somiglianza con Giuseppe sposo di Maria è molto sensibile nei tratti e ancora più nella pacata dolcezza.
   «Per la mamma non ci sono segreti».
   «Non ne ho infatti. Ma se Gesù mi vuole lassù solo, e solo per parlarmi, è segno che vuole che nessuno sappia ciò che vuole dirmi. E tu, mamma, sei la mia cara mamma che amo tanto, ma Gesù è sopra di te, e la sua volontà anche. Però glielo domanderò, quando sarà il momento, se posso dire a te le sue parole. Sei contenta?».
   «Te lo dimenticherai di chiederlo…».
   «No, mamma. Io non ti dimentico mai, anche se mi sei lontana. Quando sento o vedo qualche cosa bella penso sempre:
   “Se ci fosse la mia mamma!”».
   «Caro! Dammi un bacio, figlio mio». Maria d’Alfeo è commossa. Ma la commozione non uccide la curiosità. Torna all’assalto dopo aver taciuto qualche momento: «Hai detto: la sua volontà. Allora hai capito che ti vuol dire qualche sua volontà. Su, almeno questo lo puoi dire. Questo te lo ha detto presenti gli altri».
   «Veramente ero avanti con Lui solo», dice sorridendo Giacomo.
   «Ma gli altri potevano sentire».
   «Non mi ha detto molto, mamma. Mi ha ricordato le parole[42] e la preghiera di Elia sul Carmelo: “Dei profeti del Signore sono rimasto io solo”. “Esaudiscimi affinché questo popolo riconosca che Tu sei il Signore Iddio”».
   «E che voleva dire?».
   «Quante cose, mamma, vuoi sapere! Vai da Gesù, allora, e te le dirà», si schermisce Giacomo.
   «Avrà voluto dire che, posto che il Battista è preso, Lui solo resta profeta in Israele, e che Iddio lo deve conservare a lungo perché il popolo sia ammaestrato», dice Susanna.
   «Umh! Ci credo poco che Gesù chieda di essere conservato a lungo. Per Sé non chiede nulla… Su, Giacomo mio! Dillo a tua madre».
   «La curiosità è un difetto, mamma; è una cosa inutile, pericolosa, talora è dolorosa. Fai un bell’atto di mortificazione…».
   «Ohimé! Non avrà certo voluto dire che tuo fratello mi sarà imprigionato, ucciso forse?!», chiede tutta sconvolta Maria d’Alfeo.
   «Giuda non è “tutti i profeti”, mamma, anche se per il tuo amore ogni tuo figlio rappresenta il mondo…».
   «Penso anche agli altri perché… perché nei profeti futuri siete certo voi. Allora… allora se resti tu solo… Se resti tu solo è segno che gli altri, che il mio Giuda… oh!…».

   253.3 Maria d’Alfeo pianta in asso Giacomo e Susanna e, svelta come fosse una giovinetta, corre indietro, incurante della domanda che le fa il Taddeo. Arriva, come una che è inseguita, nel gruppo di Gesù.
   «Gesù mio, …parlavo con mio figlio… di quanto Tu gli hai detto… del Carmelo… di Elia… dei profeti… Tu hai detto…
   che Giacomo resterà solo… E di Giuda che avverrà? È mio figlio, sai?», dice tutta affannata per l’angoscia e per la corsa fatta.
   «Lo so, Maria. E so anche che tu sei felice che sia il mio apostolo. Vedi che tu hai tutti i diritti come madre, ed Io li ho come Maestro e Signore».
   «È vero… è vero… ma Giuda è il mio bambino!…», e Maria, in un intravvedere di futuro, piange di gusto.
   «Oh! che lacrime mal spese! Ma tutto si compatisce ad un cuore di madre. Vieni qui, Maria. Non piangere. Ti ho già confortata un’altra volta[43]. Anche allora ti ho promesso che quel tuo dolore ti avrebbe dato grandi grazie da Dio, per te, per il tuo Alfeo, per i tuoi figli…». Gesù ha passato il braccio sulla spalla della zia, attirandosela ben vicina… Ordina a quelli che erano con Lui: «Andate avanti voi…». Poi, solo con Maria Cleofa, riprende a parlare. «E non ho mentito. Alfeo è morto invocandomi. Perciò ogni suo debito verso Dio è stato annullato. Questa conversione verso il parente incompreso, verso il Messia non voluto riconoscere prima, l’ha ottenuta il tuo dolore, Maria. Ora questo otterrà che l’incerto Simone e il tenace Giuseppe imitino il tuo Alfeo».
   «Sì, ma… che gli farai a Giuda, al mio Giuda?».
   «Lo amerò ancora più che non lo ami ora».
   «No, no. C’è una minaccia in quelle parole. Oh! Gesù! Oh! Gesù!…».

   253.4 Maria Vergine torna indietro Ella pure, per consolare la cognata del dolore di cui ancora non conosce la natura, e quando la sa — perché la cognata, vedendola al suo fianco, piange ancora più forte dicendoglielo — diviene più pallida della stessa luna.
   Maria d’Alfeo geme: «Diglielo tu, che no, che no, la morte per il mio Giuda…» Maria Vergine, ancor più esangue, le dice: «E posso chiedere questo per te, se neppur per la mia Creatura io chiedo salvezza dalla morte? Maria, di’ con me: “Sia fatta la tua volontà, Padre, in Cielo, in Terra e nel cuore delle madri”. Fare la volontà di Dio attraverso la sorte dei figli è il martirio redentivo di noi madri… E d’altronde… Non è detto che Giuda debba essere ucciso, o ucciso prima che tu muoia. La tua preghiera di ora, perché egli campi fino alla più longeva età, come ti peserebbe allora, quando, in un Regno di Verità e Amore, tu vedrai le cose, tutte, attraverso le luci di Dio e attraverso la tua maternità spiritualizzata. Allora, io ne sono certa, e come beata e come madre, tu vorresti che Giuda fosse simile al mio Gesù nella sorte di redentore e arderesti di averlo presto con te, di nuovo, per sempre. Perché il tormento delle mamme è di essere separate dai figli. Un tormento così grande che credo perduri, come ansia d’amore, anche nel Cielo che ci accoglierà».

   253.5 Il pianto di Maria, così forte nel silenzio di un primo annuncio d’alba, ha fatto sì che tutti tornassero indietro per sapere che è accaduto, e così sentono le parole di Maria Vergine e la commozione dilaga.
   Lacrima Maria di Magdala sussurrando: «E io quel tormento l’ho dato a mia madre già dalla Terra».
   Lacrima Marta dicendo: «È reciproco dolore l’essere separati fra figli e madre».
   Non sono senza luccichio gli occhi di Pietro, e lo Zelote dice a Bartolomeo: «Che parole di sapienza per spiegare ciò che sarà la maternità di una beata!».
   «E come da una madre beata saranno valutate le cose: attraverso le luci di Dio e la maternità spiritualizzata… Fa restare senza respiro come davanti ad un luminoso mistero», gli risponde Natanaele.
   L’Iscariota dice ad Andrea: «La maternità si spoglia di ogni pesantezza del senso e diventa tutt’ala, detta così. Sembra di vedere già tramutate in un’inconcepibile bellezza le nostre madri».
   «È vero. La nostra, Giacomo, ci amerà così. Lo immagini come sarà allora perfetto il suo amore?», dice Giovanni al fratello, ed è l’unico che abbia una luce di sorriso, tanto il pensiero che la madre sua giunga ad amare in modo perfetto lo commuove gioiosamente.

   253.6 «Mi spiace di aver causato tanto dolore», si scusa Giacomo d’Alfeo. «Ma ha intuito più di quanto io non abbia detto… Credimi, Gesù».
   «Lo so, lo so. Ma Maria si sta lavorando da se stessa, e questo è un colpo più forte di scalpello. Però le leva tanto peso morto», dice Gesù.
   «Suvvia, madre. Basta di piangere! Questo mi duole. Che tu soffra come una povera femminetta che non conosce le certezze del Regno di Dio. Non assomigli per nulla alla madre dei fanciulli Maccabei[44]», rimprovera severo il Taddeo pur abbracciando sua madre, e finisce, baciandola sulla testa, fra i capelli brizzolati: «Sembri una bambina che ha paura delle ombre e delle favole che le raccontano per spaventarla. Eppure lo sai dove trovarmi: in Gesù. Che mamma! Che mamma! Piangere dovresti se ti fosse stato detto che io, in futuro, divenissi un traditore di Gesù, un che lo abbandona, un dannato. Allora sì. Dovresti piangere anche sangue. Ma, se Dio mi aiuta, questo dolore non te lo darò mai, madre mia. Voglio stare con te per tutta l’eternità…».
   Il rimprovero prima, le carezze poi, finiscono per far cessare il pianto di Maria d’Alfeo, che ora è tutta vergognosa della sua debolezza.

   253.7 La luce, nel trapasso dalla notte al giorno, è diminuita, essendo tramontata la luna e non ancora iniziato il giorno. Ma è un breve intermezzo crepuscolare. Subito dopo la luce, prima plumbea, poi grigiolina, poi verdognola, poi lattea con infusioni di azzurro, infine chiara, quasi di un incorporeo argento, si afferma sempre più, rendendo facile il cammino sul greto umido lasciato scoperto dalle onde, mentre l’occhio si rallegra nella vista del mare che si fa di un azzurro più chiaro, pronto ad accendersi di sfaccettii gemmei. E poi l’aria intride il suo argento di un rosa sempre più sicuro, finché questo rosa oro dell’aurora si fa pioggia di rosa rosso sul mare, sui volti, sulle campagne, con contrasti di tinte sempre più vivi, che raggiungono il punto perfetto, per me sempre il più bello del giorno, quando il sole, balzando fuori dai limiti d’oriente, getta il suo primo raggio sui monti e pendici, boschi, prati e ampie distese marine e celesti, accentuando ogni colore, sia candore di nevi o di lontananze montane di un indaco che svaria nel verde diaspro, o sia cobalto del cielo che si impallidisce per accogliere il rosa, o sia zaffiro venato di giada e filettato di perle del mare. E oggi il mare è un vero miracolo di bellezza. Non morto nella calmeria pesante, non sconvolto nella lotta dei venti, ma maestosamente vivo in un ridere di ondette sottili, appena segnalate da un’increspatura che si incorona di una crestina di spuma.
   «Arriveremo a Dora prima che il sole bruci. E ripartiremo al tramonto. Domani a Cesarea sarà finita la vostra fatica, sorelle. E noi pure riposeremo. Il vostro carro vi aspetta certo. Ci separeremo…

   253.8 Perché piangi, Maria? Dovrò dunque vedere oggi piangere tutte le Marie?», dice Gesù alla Maddalena.
   «Le duole lasciarti», la scusa la sorella.
   «Non è detto che non ci si riveda e presto».
   Maria fa cenno di no col capo. Non piange per questo.
   Lo Zelote spiega: «Teme di non saper essere buona senza la tua vicinanza. Teme di… di essere tentata troppo fortemente quando Tu non sia vicino a tenere lontano il demonio. Me ne parlava poco fa».
   «Non avere questa tema. Io non ritiro mai una grazia che ho concessa. Vuoi tu peccare? No? E allora sta’ tranquilla. Vigila, questo sì, ma non temere».
   «Signore… piango anche perché a Cesarea… Cesarea è piena dei miei peccati. Ora li vedo tutti… Avrò molto da soffrire nella mia umanità…».
   «Ne ho piacere. Più soffrirai e meglio sarà. Perché dopo non soffrirai più di queste inutili pene. Maria di Teofilo, ti ricordo che sei figlia di un forte e che sei un’anima forte e che Io ti voglio fare fortissima. Compatisco le debolezze nelle altre perché esse sono sempre state donne miti e timide, tua sorella compresa. In te non lo sopporto. Ti lavorerò col fuoco e sull’incudine. Perché sei tempra che va lavorata così per non guastare il miracolo della tua e della mia volontà. Questo sappilo tu e chi fra i presenti o fra gli assenti può pensare che Io per il tanto che ti ho amata possa divenire debole con te. Ti concedo di piangere per pentimento e per amore. Non per altro. Hai capito?». Gesù è suggestionante e severo.
   Maria di Magdala si sforza ad inghiottire lacrime e singulti e scivola in ginocchio, bacia i piedi di Gesù e, cercando di fare sicura la voce, dice: «Sì, mio Signore. Farò ciò che Tu vuoi».
   «Alzati, allora, e sii serena».

[42] parole, che sono in: 1 Re 18, 22; preghiera, che è in: 1 Re 18, 37.
[43] un’altra volta, in 95.5/6.
[44] fanciulli Maccabei, così detti perché il loro martirio, narrato in 2 Maccabei 7, avvenne “al tempo dei Maccabei”, come è detto in 157.5. Questi ultimi si chiamavano così dal soprannome (che potrebbe significare: martello) del loro principale eroe, Giuda il Maccabeo, già citato in 72.5. Le loro imprese, per il conseguimento della libertà religiosa e politica del popolo giudaico, sono narrate nei due libri dei Maccabei, che richiamiamo per capitoli e versetti ogni volta che l’opera menziona un loro fatto particolare. Pretestuoso da parte del Sinedrio l’accostamento di Giuda Iscariota a Giuda Maccabeo in 588.4, ritrattato dall’apostolo Giovanni in 600.2. A quell’eroe viene invece paragonato da Gesù, in 600.11, l’apostolo cugino Giuda d’Alfeo.