MARIA
VALTORTA

Voglio che le anime possano bere alla Fonte vitale della mia parola

"Quando la Chiesa - e per tale alludo ora alla riunione degli alti dignitari di Essa - agì secondo i dettami della mia Legge e del mio Vangelo, la Chiesa conobbe tempi fulgidi di fulgore. Ma guai quando, anteponendo gli interessi della Terra a quelli del Cielo, inquinò Se stessa con passioni umane! Tre volte guai quando adorò la Bestia di cui parla Giovanni, ossia la Potenza politica, e se ne fece asservire..." (Qd 12 dicembre 1943)

OPERA MAGGIORE

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VOLUME IV CAPITOLO 254



CCLIV. L’incontro con Sintica, schiava greca, e l’arrivo a Cesarea Marittima.

   15 agosto 1945.

   254.1 Non vedo la città di Dora. Il sole è al tramonto, i pellegrini sono diretti a Cesarea. Ma la sosta di Dora non l’ho vista. Forse è stata solo una sosta senza nulla di notevole da segnalare. Il mare sembra infuocato, tanto riflette nella sua calma il rosso del cielo, un rosso quasi irreale tanto è violento. Sembra che sia stato versato sangue sulla volta del firmamento. Fa ancora caldo, nonostante l’aria marina renda sopportabile questo calore. Camminano sempre lungo mare, per fuggire l’ardore del terreno asciutto, e molti si sono addirittura levati i sandali e rialzate le vesti per entrare nell’acqua.
   Pietro dichiara: «Se non c’erano le discepole mi mettevo nudo e andavo lì dentro fino al collo».
   Ma deve uscire anche di lì perché la Maddalena, che era avanti con le altre, torna indietro e dice: «Maestro, io sono pratica di questa zona. Vedi là dove il mare ha quel filo giallo nel suo azzurro? Là si butta un fiume, perenne anche in questi tempi di estate. E bisogna saperlo varcare…».
   «Ne abbiamo varcati tanti! Non sarà il Nilo! Varcheremo anche questo», dice Pietro.
   «Non è il Nilo. Ma nelle sue acque e sulle sue rive ci sono bestie d’acqua nocive. Occorre non passare con leggerezza e scalzi per non essere feriti».
   «Oh! Chi sono mai? Dei Leviatan?[45]».
   «Hai detto bene, Simone. Sono proprio dei coccodrilli. Piccoli, è vero, ma sufficienti a non farti camminare per un pezzo».
   «E che ci stanno a fare?».
   «Ci sono stati portati per culto, credo, fin da quando qui regnavano i fenici. E ci sono rimasti, diventando sempre più piccoli, ma non meno aggressivi perciò, passando dai templi alla fanghiglia del fiume. Ora sono grossi lucertoloni, ma con certi denti! I romani vengono qui per partite di caccia e per divertimenti vari… Ci sono venuta anche io con loro. Tutto serve per… occupare il tempo. E poi le pelli sono belle e si usano per molte cose. Lasciate perciò che per la mia esperienza vi guidi».
   «Va bene. Mi piacerebbe vederli…», dice Pietro.
   «Forse ne vedremo qualcuno, benché siano quasi sterminati tanto sono cacciati».

   254.2 Lasciano la riva e piegano verso l’interno, fino a trovare una strada maestra a metà spazio tra le colline e il mare, e giungono presto ad un ponte molto arcuato, gettato su un fiumicello di letto piuttosto grande, ma ora povero d’acque, ridotte al centro dell’alveo che, dove non ha acqua, mostra falaschi e canne, ora semiarsi dall’estate, in altre stagioni formanti certo minuscole isole fra le acque. Le sponde invece hanno cespugli e alberi folti.
   Per quanto aguzzino lo sguardo, non vedono nessun animale e molti ne sono delusi. Ma quando stanno per finire il valico del ponte, il cui unico arco è molto alto, forse per non essere invaso dalle acque in tempo di piena — una robusta costruzione forse romana — Marta dà uno strillo acutissimo e scappa indietro terrorizzata. Un grossissimo lucertolone — non sembra più di così — avente però la testa classica del coccodrillo, sta per traverso sulla via, fingendosi dormente.
   «Ma non avere paura!», grida la Maddalena. «Quando sono lì non sono pericolosi. Il brutto è quando sono nascosti e ci si va sopra senza vederli».
   Ma Marta sta prudentemente indietro. Anche Susanna non scherza… Maria d’Alfeo è più coraggiosa nella sua prudenza e stando vicino ai suoi figli va avanti e guarda. Gli apostoli poi non hanno proprio paura e guardano facendo commenti sulla brutta bestia, la quale si degna di girare lentamente la testa per farsi vedere anche di fronte e poi accenna a muoversi, e sembra voglia venire in direzione dei suoi disturbatori. Altro strillo di Marta che fugge più indietro, imitata ora anche da Susanna e Maria Cleofe. Ma Maria di Magdala raccoglie un sasso e lo tira alla bestia e questa, colpita al fianco, scappa giù per il greto e si immelma nell’acqua.
   «Vieni avanti, paurosa. Non c’è più», dice alla sorella. Le donne tornano vicine.
   «Però è proprio brutto», commenta Pietro.

   254.3 «È vero, Maestro, che una volta davano loro per cibo delle vittime umane?», chiede l’Iscariota.
   «Era riputato animale sacro, rappresentava un dio e, come noi consumiamo il sacrificio al nostro Dio, essi, i poveri idolatri, lo facevano con i modi e gli errori che la loro condizione portava».
   «Ma ora più?», chiede Susanna.
   «Io credo che non è escluso che ancora si faccia in luoghi idolatri», dice Giovanni di Endor.
   «Mio Dio! Ma li daranno morti, eh?».
   «No. Li danno vivi, se li danno. Fanciulle, bambini, in genere. Le primizie del popolo. Almeno così ho letto», risponde sempre Giovanni alle donne che si guardano intorno spaurite.
   «Io morirei di paura se dovessi andargli vicino», dice Marta.
   «Davvero? Ma questo è nulla, donna, rispetto al vero coccodrillo. È lungo e largo almeno tre volte tanto».
   «E affamato anche. Questo era certo sazio di bisce o conigli selvatici».
   «Misericordia! Anche bisce! Ma dove ci hai portato, Signore!», geme Marta così spaurita che l’ilarità prende irresistibilmente tutti.
   Ermasteo, che ha sempre taciuto, dice: «Non avere alcuna paura. Basta fare molto rumore e scappano tutti. Sono pratico. Sono stato nel basso Egitto più volte».
   Si mettono in marcia battendo le mani o picchiando sui tronchi. E il punto pericoloso è sorpassato.
   Marta si è messa vicino a Gesù e chiede spesso: «Ma non ce ne saranno proprio più?».
   Gesù la guarda e scrolla il capo sorridendo, ma la rassicura:
   «La pianura di Saron non è che bellezza, e ormai ci siamo. Ma in verità oggi le discepole mi hanno serbato delle sorprese! Non so proprio perché tu sia così paurosa».
   «Non lo so neanche io. Ma tutto ciò che striscia mi terrorizza. Mi pare di sentire il freddo di quei corpi, certo freddi e viscidi, su di me. E mi chiedo anche perché ci sono. Sono forse necessari?».
   «Questo andrebbe chiesto a Colui che li fece. Ma credi che se li ha fatti è segno che sono utili. Non foss’altro che per fare brillare l’eroismo di Marta», dice Gesù con un brillio arguto negli occhi.
   «Oh! Signore! Tu scherzi e hai ragione. Ma io ho paura e non mi vincerò mai».
   «Lo vedremo questo…

   254.4 Cosa si muove là, fra quei cespugli?», dice Gesù drizzando il capo e spingendo lo sguardo in avanti, verso un groviglio di rovi e altre piante dai lunghi rami portati all’assalto di un muraglione di fichi d’India, che sono più indietro con le loro palette dure quanto i rami assalitori sono flessibili.
   «Un altro coccodrillo, Signore?!…», geme Marta terrorizza ta.
   Ma il frascare aumenta e ne sporge un volto umano, di don na. Guarda. Vede tutti questi uomini, è incerta se fuggire per la campagna o imbucarsi nella galleria selvaggia. Ma vince la prima cosa e fugge con uno strido.
   «Lebbrosa?», «Pazza?», «Indemoniata?», si chiedono restando perplessi.
   Ma la donna torna indietro, perché da Cesarea già prossima si avanza un carro romano. La donna è come un topo in trappola. Non sa dove andare, perché Gesù e i suoi sono ora presso il cespuglio che le era di rifugio e non vi può tornare, verso il carro non vuole andare… Nelle prime caligini della sera, perché la notte cade rapida dopo il tramonto potente, si vede che è giovane e graziosa, malgrado sia lacera nelle vesti e spettinata.
   «Donna! Vieni qui!», ordina Gesù imperiosamente.
   La donna tende le braccia supplicando: «Non mi fare del male!».
   «Vieni qui. Chi sei? Non ti faccio del male», e lo dice così dolcemente che la persuade.
   La donna viene avanti curva e si getta al suolo dicendo:
   «Chiunque tu sia, abbi pietà. Uccidimi ma non mi consegnare al padrone. Sono una schiava scappata…».
   «Chi era il tuo padrone? E tu di dove sei? Ebrea no di certo. Il tuo modo di parlare lo dice. E anche la tua veste».
   «Sono greca. La schiava greca di… Oh! pietà! Nascondetemi! Il carro sta per arrivare…».
   Fanno tutti gruppo intorno all’infelice raggomitolata al suolo. La veste lacerata dai pruni mostra le spalle solcate di colpi e decorate di sgraffi. Il carro passa senza che nessuno di chi è in esso mostri interesse al gruppo fermo presso la siepe.
   «Sono andati avanti, parla. Se possiamo, ti aiutiamo», dice Gesù mettendole la punta delle dita sulle chiome disfatte.

   254.5 «Sono Sintica, la schiava greca di un nobile romano al seguito del Proconsole».
   «Ma allora sei la schiava di Valeriano!», esclama Maria di Magdala.
   «Ah! pietà, pietà! Non mi denunciare a lui», supplica l’infelice.
   «Non temere. Io non parlerò mai più con Valeriano», risponde la Maddalena. E spiega a Gesù: «È uno fra i più ricchi e sozzi romani che qui abbiamo. E come è sozzo, è crudele».
   «Perché sei fuggita?», domanda Gesù.
   «Perché ho un’anima. Non sono una mercanzia… (la donna si rinfranca vedendo di avere trovato dei pietosi). Non sono una mercanzia. Egli mi ha comperata. È vero. Ma potrà avere comperato la mia persona per abbellire la sua casa, perché io gli rallegri le ore con la lettura, perché lo serva. Ma non altro. L’anima è mia! Non è cosa che si compra. Egli voleva anche quella».
   «Come sai tu di anima?».
   «Non sono illetterata, Signore. Preda di guerra fin dalla più giovane età. Ma non plebea. Questo è il mio terzo padrone ed è un lurido fauno. Ma in me restano le parole dei nostri filosofi. E so che non è solo carne in noi. Vi è qualche cosa di immortale chiuso in noi. Qualcosa che non ha esatto nome per noi. Ma di recente il suo nome lo so. È passato, un giorno, un uomo da Cesarea, facendo prodigi e parlando meglio di Socrate e Platone. Molto se ne è parlato, nelle terme e nei triclini, o nei peristili dorati, sporcando il suo augusto nome col dirlo nelle sale delle orgie immonde. E il mio padrone, a me, proprio a me che già sentivo di avere qualcosa di immortale che solo a Dio spetta e non si compera come merce su un mercato di schiavi, ha fatto rileggere le opere dei filosofi per confrontare e cercare se questa cosa ignorata, che l’uomo venuto a Cesarea ha nominato “anima”, vi fosse descritta. A me, a me ha fatto leggere questo! A me che voleva asservire al suo senso! Ho così saputo che questa cosa immortale è l’anima. E mentre Valeriano con altri suoi pari ascoltava la mia voce, e fra un’eruttazione e uno sbadiglio tentava comprendere, paragonare e discutere, io univo i loro discorsi, riportanti quelli dello Sconosciuto, alle parole dei filosofi, e me le mettevo qui, e me ne facevo una dignità sempre più forte, per respingere la sua libidine… Mi ha battuta a morte, sere or sono, perché l’ho respinto a colpi di denti… e sono fuggita il giorno dopo… Sono cinque giorni che vivo in quel folto, cogliendo di notte more e fichi d’India. Ma finirò per essere presa. Mi cerca certo. Costo molto denaro e piaccio troppo al suo senso perché mi lasci stare… Abbi pietà!

   254.6 Ti chiedo, tu sei ebreo e certo sai dove si trova, ti chiedo di condurmi dallo Sconosciuto che parla agli schiavi e che parla dell’anima. Mi hanno detto che è povero. Farò la fame, ma voglio stargli vicino perché mi istruisca e mi rialzi. Vivere con i bruti abbrutisce, anche se ad essi si fa resistenza. Voglio ritornare a possedere la mia dignità morale».
   «Quell’uomo, lo Sconosciuto che cerchi, ti è davanti».
   «Tu? O ignoto Dio dell’Acropoli, ave!», e si curva fino con la fronte al suolo.
   «Qui non puoi stare. Ma Io vado a Cesarea…».
   «Non mi lasciare, Signore!».
   «Non ti lascio… Penso…».
   «Maestro, il nostro carro è certo al luogo convenuto, in attesa. Manda ad avvertire. Sul carro sarà sicura come in casa nostra», consiglia Maria di Magdala.
   «Oh! sì, Signore. A noi, al posto del vecchio Ismaele. La istruiremo di Te. Sarà una strappata al paganesimo», supplica Marta.
   «Vuoi venire con noi?», chiede Gesù.
   «Con chiunque dei tuoi purché non sia più con quell’uomo.
   Ma… ma qui una donna ha detto che lo conosce? Non mi tradirà? Non verranno nella sua casa dei romani? Non…».
   «Non avere paura. A Betania non vengono romani, e di quel genere soprattutto», rassicura la Maddalena.
   «Simone e Simon Pietro, andate a cercare del carro. Noi vi attendiamo qui. Entreremo in città dopo», ordina Gesù.

   254.7 …Quando il pesante carro coperto si annuncia col rumore degli zoccoli e delle ruote e col lume penzolante dal suo tetto, quelli che attendevano si alzano dalla proda, dove certo hanno cenato, e si fanno sulla via.
   Il carro si ferma traballando sul margine della via sconquassata e ne scendono Pietro e Simone, subito seguiti da una donna anziana che corre ad abbracciare la Maddalena dicendo: «Non un momento, non un momento di ritardo a dirti che io sono felice, a dirti che tua madre giubila con me, a dirti che tu sei tornata la bionda rosa della nostra casa, come quando dormivi nella cuna dopo avermi succhiato il seno», e la bacia e ribacia.
   Maria piange fra le sue braccia.
   «Donna, ti affido questa giovane e ti chiedo il sacrificio di attendere qui tutta la notte. Domani potrai andare al primo villaggio sulla via consolare e attendere lì. Verremo entro l’ora di terza», dice Gesù alla nutrice.
   «Tutto sia come Tu vuoi, benedetto Tu sia! Solo lascia che io dia a Maria le vesti che le ho portate». E risale sul carro con Maria Ss. e Maria e Marta.
   Quando ne tornano fuori, la Maddalena è quale la vedremo in seguito, sempre: con una semplice veste, un ampio lino sottile per velo e un mantello senza ornamenti.
   «Vai pure tranquilla, Sintica. Domani verremo noi pure.
   Addio», saluta Gesù. E riprende il cammino verso Cesarea…

   254.8 Il lungomare è molto popolato di gente che vi passeggia al lume di torce o fanali portati da schiavi, respirando l’aria che viene dal mare, un grande refrigerio ai polmoni stanchi dell’afa estiva. E chi passeggia è proprio la classe dei ricchi romani. Gli ebrei sono chiusi nelle loro case e godono il fresco dall’alto delle stesse. Il lungomare sembra un lunghissimo salotto in ora di visite. Passarvi vuol dire essere letteralmente analizzati in ogni particolare. Eppure Gesù passa proprio di lì… per quanto è lungo il lungomare, incurante di chi lo osserva, commenta e deride.
   «Maestro, Tu qui? A quest’ora?», domanda Lidia seduta su una specie di poltrona, o lettuccio, portatole dagli schiavi sul limite della via. E si alza in piedi.
   «Vengo da Dora e ho fatto tardi. Vado in cerca di alloggio».
   «Ti direi: ecco la mia casa», e accenna ad un bell’edificio alle sue spalle. «Ma non so se…».
   «No. Ti ringrazio. Ma non accetto. Ho con Me molti e già sono andati avanti due ad avvertire persone che conosco. Credo mi ospiteranno».

   254.9 L’occhio di Lidia si posa anche sulle donne che Gesù ha indicato insieme ai discepoli e subito ravvisa la Maddalena. «Maria? Tu? Ma allora è vero?».
   Maria di Magdala ha uno sguardo di gazzella accerchiata: torturato. E ne ha ragione perché non è Lidia da sola da affrontare, ma molti e molti che la guardano… Ma guarda anche Gesù e si rinfranca.
   «È vero».
   «Allora ti abbiamo perduta!».
   «No. Mi avete trovata. Almeno spero di ritrovarvi un giorno, e con un’amicizia migliore, sulla via che ho finalmente trovata. Dillo, ti prego, a tutti quelli che mi conoscono. Addio, Lidia. Dimentica tutto il male che mi hai visto fare, te ne chiedo perdono…».
   «Ma Maria! Perché ti avvilisci? Abbiamo fatto la stessa vita, dei ricchi e sfaccendati, e non c’è…».
   «No. Io ho fatto una vita peggiore. Ma ne sono uscita. E per sempre».
   «Ti saluto, Lidia», abbrevia il Signore e si avvia verso il cugino Giuda, che con Tommaso viene verso di Lui.
   Lidia trattiene ancora un attimo la Maddalena. «Ma dimmi il vero, ora che siamo fra noi: sei tu veramente convinta?».
   «Non convinta: felice di essere la discepola. Ho solo un rimpianto, di non avere conosciuto prima la Luce e di avere mangiato il fango invece di nutrirmi di Essa. Addio, Lidia».
   La risposta suona netta nel silenzio che si è fatto intorno alle due donne. Nessuno dei molti presenti parla più… Maria si volge e, rapida, cerca di raggiungere il Maestro.
   Un giovane le si para davanti: «È la tua ultima pazzia?», dice e fa per abbracciarla. Ma, mezzo ubbriaco come è, non ci riesce, e Maria gli sfugge gridandogli: «No, è la mia unica saggezza».
   Raggiunge le compagne, velate come maomettane tanto hanno ribrezzo di esser viste da quei viziosi.
   «Maria», dice trepida Marta, «hai molto sofferto?».
   «No. E, ha ragione, e ora non soffrirò mai più per questo.
   Ha ragione Lui…».
   Svoltano tutti in una vietta oscura per entrare poi in una casa vasta, certo un albergo, per la notte.

[45] Leviatan, mostro marino, simbolo delle potenze del male, è menzionato in: Giobbe 3, 8; 40, 25-32; 41; Salmo 74, 14; 104, 26; Isaia 27, 1. Nel libro di Giobbe è identificato con il coccodrillo, cui troveremo un accenno in 398.3.