MARIA
VALTORTA

Voglio che le anime possano bere alla Fonte vitale della mia parola

"Quando la Chiesa - e per tale alludo ora alla riunione degli alti dignitari di Essa - agì secondo i dettami della mia Legge e del mio Vangelo, la Chiesa conobbe tempi fulgidi di fulgore. Ma guai quando, anteponendo gli interessi della Terra a quelli del Cielo, inquinò Se stessa con passioni umane! Tre volte guai quando adorò la Bestia di cui parla Giovanni, ossia la Potenza politica, e se ne fece asservire..." (Qd 12 dicembre 1943)

OPERA MAGGIORE

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VOLUME IV CAPITOLO 257



CCLVII. Gesù e Giacomo d’Alfeo in ritiro sul monte Carmelo.

   19 agosto 1945.

   257.1 «Evangelizzate nel piano di Esdrelon fintanto che Io tornerò fra di voi», ordina Gesù ai suoi apostoli in una serena mattina, mentre ai margini del Kison consumano un poco di cibo: pane e frutta.
   Gli apostoli non sembrano molto entusiasti, ma Gesù li conforta dando una linea da seguirsi nel loro modo di regolar si, e termina: «Del resto avete con voi mia Madre. Sarà una buona consigliera. Andate dai contadini di Giocana e cercate, nel sabato, di parlare con gli altri di Doras. Date loro dei soccorsi e confortate il vecchio parente di Marziam con le notizie del bambino, dicendogli che per i Tabernacoli glielo porteremo. Date molto, tutto quanto avete, a questi infelici. Tutto quanto sapete, tutto l’affetto di cui siete capaci, tutto il denaro che abbiamo. Non abbiate paura. Come esce, entra. Di fame non moriremo mai, anche se vivremo di pane e frutta soltanto. E se vedete nudità date le vesti, anche le mie. Anzi le mie per prime. Non rimarremo mai nudi. E soprattutto se trovate miserie che mi cercano non le sdegnate. Non ne avete il diritto. Addio, Madre. Dio vi benedica tutti per bocca mia. Andate sicuri.
   Vieni, Giacomo».
   «Non prendi neppure la tua borsa?», chiede Tommaso vedendo che il Signore si avvia e non la raccoglie.
   «Non ce ne è bisogno. Sarò più libero nel cammino».
   Anche Giacomo lascia la sua, nonostante che sua madre si fosse affrettata ad impinzarla di pane, formaggelle e frutta.
   Vanno via seguendo per un poco l’argine del Kison, poi, attaccando le prime pendici che portano al Carmelo, scompaiono alla vista dei rimasti.
   «Madre, siamo nelle tue mani. Guidaci perché… non siamo capaci di nulla», confessa umilmente Pietro.
   Maria ha un sorriso rassicurante e dice: «È molto semplice.
   Non c’è che ubbidire ai suoi ordini e farete tutto bene. Andiamo».
   Ma io non vado con loro. […] seguo Gesù […].

   257.2 Egli sale con il cugino Giacomo e non parla, e l’altro pure non parla. Gesù è concentrato nei suoi pensieri; Giacomo, che si sente alle soglie di una rivelazione, è tutto compreso di un amore riverenziale, di uno spirituale tremore, e guarda di tanto in tanto Gesù che nella sua concentrazione ha di tanto in tanto una luminosità di sorriso sul volto solenne. Lo guarda come guarderebbe Dio non ancora incarnato e splendente di tutta la sua immensa maestà, e il suo viso tanto simile a quello di S. Giuseppe, di un brunetto che non disdegna il rosso sul sommo dei pomelli, si fa pallido di emozione. Ma rispetta sempre il silenzio di Gesù.
   Per ripide scorciatoie, quasi non vedendo i pastori che fanno pascolare i loro greggi sui verdi pascoli che sono sotto i boschi di lecci, di roveri, di frassini e altre piante d’alto fusto, salgono e salgono sfiorando coi mantelli i cespugli glauchi dei ginepri e quelli d’oro delle ginestre, oppure i ciuffi di smeraldo sparso di perle dei mirti, o le cortine semoventi dei caprifogli e delle vitalbe in fiore.
   Salgono lasciando indietro boscaioli e pastori fino a raggiungere, dopo un instancabile cammino, la cresta del monte, o meglio un piccolo pianoro addossato ad una cresta incoronata di roveri giganteschi, limitato da una balaustra di altri fusti ai quali fanno da base le vette degli altri alberi della costa, di modo che sembra che il praticello sia come appoggiato su questo frusciante sostegno, isolato dal resto del monte che le fronde sottostanti impediscono di vedere, con alle spalle il picco che lancia i suoi alberi verso il cielo e, sopra, il cielo aperto e, di fronte, l’aperto orizzonte che arrossa nel tramonto e che sconfina sul mare tutto acceso.
   Una fessura aperta fra la terra, che non frana solo perché le radici dei roveri giganti la tengono in una rete di tenaglie, si apre nel balzo, larga appena per quanto possa accogliere un uomo e non corpulento. Uno scapigliato cespuglio pare prolungarlo protendendosi orizzontalmente dal fianco del balzo.
   Gesù apre la bocca per dire: «Giacomo, fratello mio, qui sosteremo questa notte e, nonostante che la stanchezza della carne sia tanta, Io ti prego di passare la notte in preghiera. La notte e tutto il domani fino a quest’ora. Un’intera giornata non è di troppo per ricevere ciò che Io ti voglio dare».
   «Gesù, Signore e Maestro mio, io farò sempre ciò che Tu vuoi», risponde Giacomo, che si era fatto ancora più pallido quando Gesù aveva iniziato a parlare.
   «Lo so.

   257.3 Andiamo ora a cogliere more e mirtilli per il nostro stomaco e a ristorarci ad una fonte che ho sentita qui sotto. Lascia pure il mantello nello speco. Nessuno lo prenderà».
   E insieme al cugino gira il balzo, cogliendo frutti selvatici dai cespugli del sotto bosco, e poi, qualche metro più sotto, nella parte opposta a quella usata per salire, empiono le borracce, unica cosa che avevano portato seco, ad una chiacchierina sorgente che sbuca da un groviglio di radiconi, e si lavano per rinfrescarsi dal calore ancora forte nonostante l’altezza. Poi risalgono al loro pianoro e, mentre l’aria è tutta rossa sul cocuzzolo investito dal sole che sta per scomparire ad occidente, mangiano ciò che hanno raccolto e bevono ancora, sorridendosi come due bambini felici o come due angeli. Poche parole: un ricordo di quelli lasciati in pianura, un’esclamazione ammirata per l’estrema bellezza del giorno, il nome delle due mamme… Nulla di più.
   Poi Gesù attira a Sé il cugino e questo prende la posa abituale in Giovanni, del capo appoggiato sul sommo del petto di Gesù, una mano abbandonata in grembo, l’altra nella mano del Cugino, e stanno così, mentre la sera scende in un grande cinguettìo di uccelli che si ritirano nel folto, in un tinnulare di campani che si allontana e si fa sempre più indistinto, e in un frusciare lieve di vento che carezza le cime rinfrescandole e animandole dopo il calore immobile del giorno, preludendo le rugiade.
   Stanno così a lungo, e io credo che non sia che un silenzio di labbra, mentre gli spiriti, più che mai attivi, intrecciano soprannaturali conversazioni.