MARIA
VALTORTA

Voglio che le anime possano bere alla Fonte vitale della mia parola

"Quando la Chiesa - e per tale alludo ora alla riunione degli alti dignitari di Essa - agì secondo i dettami della mia Legge e del mio Vangelo, la Chiesa conobbe tempi fulgidi di fulgore. Ma guai quando, anteponendo gli interessi della Terra a quelli del Cielo, inquinò Se stessa con passioni umane! Tre volte guai quando adorò la Bestia di cui parla Giovanni, ossia la Potenza politica, e se ne fece asservire..." (Qd 12 dicembre 1943)

OPERA MAGGIORE

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VOLUME IV CAPITOLO 261



CCLXI. Esortazione ai contadini di Doras, passati alle dipendenze di Giocana.

   23 agosto 1945.

   261.1 Non ancora è tutta sorta l’aurora. Gesù è ritto in mezzo al rovinato frutteto di Doras. Una sequela di piante morte o mo renti delle quali molte già abbattute od estirpate dal suolo. Intorno a Lui i contadini di Doras e di Giocana e gli apostoli, parte in piedi, parte seduti sui tronchi rovesciati.
   Gesù inizia a parlare:
   «Un nuovo giorno e una nuova partenza. E non sono solo Io quello che parte. Ma voi pure partite, se non materialmente, moralmente, passando sotto un altro padrone. Sarete perciò uniti ad altri contadini buoni e pii e farete una famiglia in cui potrete parlare di Dio e del suo Verbo senza ricorrere a sotterfugi per fare questo. Sostenetevi nella fede l’uno con l’altro, aiutatevi scambievolmente, compatitevi nei vostri singoli difetti, siate l’uno all’altro di edificazione.
   Questo è amore. E, sebbene in diversa maniera, che nell’amore sia la salvezza lo avete sentito ieri sera dai miei apostoli. Simon Pietro, con parola semplice e buona, vi ha fatto riflettere come l’amore cambi la natura pesante in natura soprannaturale, e di un individuo — che senza amore può divenire corrotto e corruttore, come una bestia macellata e non cotta, o quanto meno essere inutile, come legna che imporrisce all’acqua senza essere buona a far fuoco — fare un uomo vivente già nella atmosfera di Dio, e perciò un essere che esce da corruzione e diviene utile al prossimo suo.
   Perché, credetelo, figli, la grande forza dell’universo è l’amore. Io non mi stancherò mai di dirlo. Tutte le sciagure della Terra vengono dal disamore. Cominciando dalla morte e dalle malattie che sono nate dal non amore di Adamo ed Eva al Signore altissimo. Perché l’amore è ubbidienza. Chi non ubbidisce è un ribelle. Chi è un ribelle non ama colui al quale si ribella. Ma anche le altre sciagure generali o singolari, come le guerre o le rovine in una o due famiglie fra loro contendenti, da che vengono? Dall’egoismo che è disamore. E con le rovine delle famiglie vengono anche rovine di beni per castigo di Dio. Perché Dio, prima o poi, sempre colpisce colui che vive senza amore.

   261.2 Io so che qui circola la leggenda — e per essa Io sono odiato da alcuni, guardato con pauroso cuore da altri, o invocato come novello castigo, o sopportato per paura di una punizione — so che qui circola la leggenda che sia stato il mio sguardo a rendere questi campi maledetti. Non il mio sguardo, ma il punito egoismo di un ingiusto e crudele. Se dovessero i miei sguardi bruciare le terre di tutti quelli che mi odiano, in verità che poco verde rimarrebbe in Palestina!
   Io non vendico mai le offese fatte a Me stesso, ma consegno al Padre coloro che cocciutamente persistono nel loro peccato di egoismo verso il prossimo e sacrilegamente deridono il precetto e, più hanno parole per persuaderli e, con le parole, atti per convincerli all’amore, più incrudeliscono. Io sono sempre pronto ad alzare la mano per dire a chi si pente: “Io ti assolvo. Va’ in pace”. Ma non offendo l’Amore col consentire alle inconvertibili durezze. Questo abbiatelo presente sempre, per vedere le cose nella giusta luce e smentire le leggende che, sia che siano date per venerazione o per iraconda paura, sono sempre diverse dalla verità.

   261.3 Voi passate sotto un altro padrone, ma non lasciate queste terre che, nello stato in cui sono, sembra pazzia curare. Eppure Io vi dico: fate in esse il vostro dovere. Lo avete fatto fino ad ora per paura delle punizioni inumane. Fatelo anche ora pur sapendo che non sarete trattati come lo foste. Anzi vi dico: più sarete trattati con umanità e più con ilare solerzia lavorate per rendere, col lavoro, umanità a chi umanità vi dona. Perché, se è vero che i padroni hanno il dovere di essere umani coi loro dipendenti — ricordando che siamo tutti di un ceppo e che in verità ogni uomo nasce nudo ad una maniera e muore divenendo marciume in una maniera, tanto il povero che il ricco, e le ricchezze sono non opera di chi le ha ma di quelli che gliele hanno accumulate, con onestà o con disonestà, e non bisogna di esse gloriarsene e per esse opprimere, ma farne cosa buona anche agli altri coll’usarle con amore, discrezione e giustizia, onde essere guardati senza severità dal vero Padrone che è Dio, il quale non si compera e seduce con gioielli e talenti d’oro, ma si rende amico con le nostre buone azioni — perché, se è vero questo, è altrettanto vero che i servi hanno il dovere di essere buoni coi padroni.

   261.4 Fate con semplicità e con buona volontà la volontà di Dio che vi vuole in questa umile condizione. Voi sapete la parabola[56] del ricco Epulone. Vedete che in Cielo non è l’oro ma la virtù quella che ha premio. La virtù e la sommissione alla volontà di Dio rendono Dio amico dell’uomo. So che è molto difficile essere sempre capaci di vedere Dio attraverso le opere degli uomini. Nel buono è facile. Nel cattivo è difficile perché può indurre l’animo a pensare che Dio non è buono. Ma voi superate il cattivo che vi viene fatto dall’uomo tentato da Satana e, al di là di questa barriera che costa lacrime, vedete la verità del dolore e la sua bellezza. Il dolore viene dal Male. Ma Dio, non potendo abolirlo perché questa forza c’è, ed è saggio dell’oro spirituale dei figli di Dio, lo costringe ad estrarre dal suo veleno il succo di una medicina che dà vita eterna. Perché il dolore, col suo mordente, inocula nei buoni reazioni tali che li spiritualizzano sempre più, facendo di essi dei santi.

   261.5 Voi dunque siate buoni, rispettosi, sottomessi. Non giudicate i padroni. Vi è già chi li giudica. Io vorrei che chi vi comanda divenisse un giusto, per rendervi più facile la via e per dare ad esso vita eterna. Ma ricordate che più è penoso il dovere da compiere e più grande è il merito agli occhi di Dio. Non cercate di frodare il padrone. Il denaro o la derrata presa con frode non arricchiscono e non saziano. Abbiate pure le mani, le labbra e il cuore. E allora farete i vostri sabati, le vostre feste di precetto con grazia agli occhi del Signore, anche se sarete costretti alla zolla. In verità che avrà più valore la vostra fatica che non l’ipocrita preghiera di quelli che vanno a compiere il precetto per averne lode dal mondo, contravvenendo in realtà al precetto col disubbidire alla Legge, che dice di ubbidire per se stessi e per quanti sono della casa al precetto del sabato e delle solennità d’Israele. Perché la preghiera non è nell’atto ma è nel sentimento. E se il vostro cuore ama Dio con santità, in ogni contingenza, esso compierà i riti del sabato e delle feste, che altri vi impediscono, meglio di loro.
   Io vi benedico e vi lascio perché il sole si alza e intendo arrivare alle colline prima che il calore sia troppo forte. Ci rivedremo presto, perché l’autunno non è più molto lontano. La pace sia con voi tutti, nuovi e antichi servi di Giocana, e vi renda tranquillo il cuore».
   E Gesù si avvia passando fra i contadini e benedicendoli uno ad uno.

   261.6 Dietro ad un grande melo disseccato è un uomo seminascosto. Ma quando Gesù sta per passare fingendo di non vederlo, egli salta fuori e dice: «Sono l’intendente di Giocana. Egli mi ha detto: “Se viene il Rabbi d’Israele lascialo sostare nelle mie terre e lascialo parlare ai servi. Ne avremo maggior lavoro perché Egli non insegna che cose buone”. E ieri, con la notizia che da oggi essi (e indica quelli di Doras) sono con me, e queste terre sono di Giocana, mi ha scritto: “Se il Rabbi verrà ascolta ciò che dice e regolati. Che non ci avvenga sventura. Ricoprilo di onori, ma vedi se fai revocare la maledizione dalle terre”. Perché sappi che Giocana le ha acquistate per puntiglio. Ma io credo che ne è già pentito. Molto sarà se ne faremo pascoli…».
   «Mi hai sentito parlare?».
   «Sì, Maestro».
   «Allora sapete come regolarvi, tu e il tuo padrone, per avere benedizione da Dio. Riferisci questo al tuo padrone. E per tuo conto tempera anche gli ordini suoi, tu che vedi cosa è praticamente la fatica dell’uomo del campo e sei benvoluto dal padrone. Val meglio però che tu perda benevolenza e posto, anziché perdere la tua anima. Addio».
   «Ma io ti devo fare onore».
   «Non sono un idolo. Non ho bisogno di interessati onori per dare grazie. Onorami con il tuo spirito, mettendo in pratica quanto hai sentito, e avrai servito Dio e il padrone insieme».
   E Gesù, seguito dai discepoli e dalle donne, e poi da tutti i contadini, traversa i campi e prende la via per le colline, salutato nuovamente da tutti.

[56] parabola, narrata proprio a loro in 191.5/7.