MARIA
VALTORTA

Voglio che le anime possano bere alla Fonte vitale della mia parola

"Quando la Chiesa - e per tale alludo ora alla riunione degli alti dignitari di Essa - agì secondo i dettami della mia Legge e del mio Vangelo, la Chiesa conobbe tempi fulgidi di fulgore. Ma guai quando, anteponendo gli interessi della Terra a quelli del Cielo, inquinò Se stessa con passioni umane! Tre volte guai quando adorò la Bestia di cui parla Giovanni, ossia la Potenza politica, e se ne fece asservire..." (Qd 12 dicembre 1943)

OPERA MAGGIORE

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VOLUME IV CAPITOLO 262



CCLXII. 262. Una figlia indesiderata e il ruolo della donna redenta. L'Iscariota chiede l'aiuto di Maria.

   24 agosto 1945.

   262.1 In un sali-scendi di colline sulle quali si snoda la via che conduce a Nazaret, approfittando delle ombre degli uliveti, e dei frutteti in genere, sparsi in questa regione fertile e coltivata, Gesù torna verso Nazaret.
   Arrivato però al crocicchio dove si interseca la via per Tolemaide, si ferma e dice: «Sostiamo presso questa casa dove già ho sostato altre volte, prendiamo il nostro ristoro e, mentre il sole fa il suo cammino, stiamo uniti prima di separarci di nuovo. Noi andando verso Tiberiade, mia Madre e Maria a Nazaret, e Giovanni con Ermasteo a Sicaminom».
   Si dirigono attraverso un uliveto ad una casa di contadini larga e bassa, infiocchettata dall’immancabile fico e inghirlandata dai festoni di una vite che corre su per la scaletta per poi stendere i suoi rami sulla terrazza.
   «La pace sia con voi. Sono qui nuovamente».
   «Vieni, Maestro. Sempre benvenuta è la tua presenza. Dio ti renda la pace, a Te e ai tuoi», risponde un uomo vecchiotto che traversava la corte con una bracciata di fascine. E poi chiama:
   «Sara! Sara! C’è il Maestro con i suoi discepoli. Aggiungi farina al tuo pane!».
   Esce da una stanza una donna tutta imbiancata dalla farina che certo setacciava, perché ha ancora in mano il setaccio col cruschello dentro, e si inginocchia sorridendo davanti a Gesù.
   «La pace a te, donna. Ti ho accompagnato la Madre come ti avevo promesso. Eccola. E questa è sua cognata, madre di Giacomo e Giuda. Dove sono Dina e Filippo?».
   La donna, dopo aver salutato le due Marie, risponde: «Dina ha avuto ieri la sua terza bambina. Siamo un poco tristi perché non ci è dato di avere un nipote. Ma anche contenti, non è vero, Matatia?».
   «Sì, perché è una bella bambina ed è sempre il nostro sangue. Te la mostreremo. Filippo è andato a riprendere Anna e Noemi dai vecchi suoi. Ma presto sarà di ritorno».
   La donna torna al suo pane mentre l’uomo, deposte le fascine nel forno, si occupa degli ospiti, dando loro sedili e latte appena munto per chi lo vuole, frutta e ulive per chi le preferisce.

   262.2 La stanza terrena è fresca e ombrosa, così ampia come è e aperta sul davanti e sul dietro della casa, con le due porte ombreggiate una dal potente fico, l’altra da un’alta siepe di fiori stellari, specie di girasoli nella forma ma meno giganteschi di questi nella corolla. Una luce smeraldina entra così nel camerone, con grande sollievo degli occhi stanchi dal molto sole. Panche e tavoli sono nella grande stanza, che è forse quella dove le donne filano e tessono e gli uomini aggiustano gli arnesi agricoli oppure ricoverano le provviste di farine e di frutta, come lo fanno pensare dei travicelli irti di ganci e delle tavole messe su mensoloni oltre delle lunghe cassepanche lungo le pareti. Dei fioccosi capecchi di lino o canapa sembrano trecce disciolte lungo il muro scialbato a calcina e un tessuto rosso fuoco, steso su un telaio rimasto scoperto, sembra rallegrare tutto l’ambiente col suo colore ridente e pomposo.
   Torna la padrona di casa che ha finito il suo panificare e domanda agli ospiti se vogliono vedere la neonata.
   Gesù risponde: «La benedirò certamente».
   Maria invece si alza e dice: «Vengo a salutare la madre».
   Escono tutte le donne.
   «Si sta bene qui», dice Bartolomeo che è visibilmente molto stanco.
   «Sì. C’è ombra e silenzio. Finiremo col dormire», conferma Pietro già mezzo insonnolito.
   «Fra tre giorni saremo per molto tempo nelle nostre case. Vi riposerete perché andrete evangelizzando nelle immediate vicinanze», dice Gesù.
   «E Tu?».
   «Io starò fermo a Cafarnao quasi sempre con soste a Betsaida. Ed evangelizzerò quanti mi raggiungono lì. Poi, venuta la luna di tisri, riprenderemo ad andare. Alla sera, intanto, continuerò a migliorarvi…».
   Gesù tace perché vede che il sonno rende inutili le sue parole. Sorride scuotendo il capo nel rimirare questa accolta di persone che la fatica ha sopraffatto e che in pose più o meno comode se la dorme. Il silenzio della casa e della campagna assolata è completo. Sembra un posto incantato. Gesù si fa sulla porta, presso la siepe dei fiori, e guarda, attraverso i rami, i dolci colli galilei tutti grigi di ulivi immobili.

   262.3 Uno scalpiccio leggero, unito ad uno stridolino incerto di neonato, suona sulla sua testa. E Gesù alza il volto, sorridendo a sua Madre che scende portando sulle braccia un fagottino bianco dal quale emergono tre cosette rosee: una testolina e due pugnelli che annaspano.
   «Guarda, Gesù, che bella bambina! Assomiglia un poco a Te quando avevi un giorno. Eri così biondo, tanto da parere senza capelli se non fossero stati fin d’allora sollevati in ricciolini lievi come un fiocco di nube, ed eri così come una rosa nel colore. E, guarda, guarda, ora che apre gli occhietti in quest’ombra e cerca il capezzolo, ha i tuoi occhi azzurro scuri… Oh! cara! Ma io non ce l’ho il latte, piccolina, rosellina, tortorina mia!», e la Madonna cuna la piccola, che calma il suo vagito in un gorgoglio proprio di tortorina e si addormenta.
   «Mamma, facevi così anche con Me?», chiede Gesù che osserva sua Madre cullare la piccina, stando con la guancia appoggiata alla testolina bionda.
   «Sì, Figlio. Ma a Te dicevo “agnellino mio”. È bella, non è vero?».
   «Molto bella e robusta. La madre può esserne felice», conferma Gesù, curvo anche Lui ad osservare il sonno dell’innocente.
   «Invece non lo è… Il marito è irritato perché tutti i figli sono femmine. È vero che coi campi che abbiamo sono meglio i maschi. Ma la nostra figlia non ne ha colpa…», sospira la padrona di casa, sopraggiunta.
   «Sono giovani. Si amino e avranno anche maschi», dice sicuro il Signore.

   262.4 «Ecco Filippo… Ora si farà scuro…», mormora turbata la donna. E più forte dice: «Filippo, c’è il Rabbi di Nazaret».
   «Molto lieto di vederlo. Pace a Te, Maestro».
   «E a te, Filippo. Ho visto la tua bella bambina. Anzi la sto ancora guardando perché è degna di lode. Dio ti benedice con bambini belli, sani e buoni. Gli devi essere molto grato… Non rispondi? Sembri crucciato…».
   «Speravo fosse un maschio, io!».
   «Non vorrai già dirmi che sei ingiusto accusando l’innocente di essere femmina, e tanto meno essere duro con la tua sposa?», chiede severo Gesù.
   «Volevo un maschio io! Per il Signore e per me!», esclama risentito Filippo.
   «Ed è con una ingiustizia ed una ribellione che credi di ottenerlo? Hai letto forse nel pensiero di Dio? Sei da più di Lui per dirgli: “Fa’ così perché ciò è giusto?”. Questa donna mia discepola non ha figli, ad esempio. Ed è giunta a dirmi: “Benedico la mia sterilità che mi dà ali per seguirti”. E questa, madre di quattro maschi, anela che tutti e quattro siano non più suoi. È vero, Susanna e Maria? Le senti? E tu, sposato da pochi anni ad una donna feconda, benedetto da tre bocci di rose che chiedono il tuo amore, sei sdegnato? Con chi? Perché? Non lo vuoi dire? Lo dico Io: perché sei un egoista. Deponi subito il tuo rancore. Apri le braccia a questa creatura nata dal tuo seme ed amala. Avanti! Prendila!», e Gesù prende il fagottino di lini e lo depone nelle braccia del giovane padre. Gesù riprende a parlare: «Vai da tua moglie che piange e dille che tu l’ami. O Dio veramente non ti darà mai più un maschio. Io te lo dico. Vai!…».
   L’uomo sale nella camera dove è la sposa.
   «Grazie, Maestro!», sussurra la suocera. «Egli da ieri era molto crudele…».
   L’uomo ridiscende dopo qualche minuto e dice: «L’ho fatto, Signore. La donna ti ringrazia. E dice di chiederti il nome della piccina, perché… perché io avevo destinato a lei un nome troppo brutto nel mio odio ingiusto…».
   «Chiamala Maria. Ha bevuto il pianto amaro insieme alla prima goccia di latte, amaro esso pure per la tua durezza; può chiamarsi Maria, e Maria l’amerà. Non è vero, Madre?».
   «Sì, povera piccolina. È tanto graziosa. E sarà certo buona divenendo una stellina del Cielo».

   262.5 Tornano nello stanzone dove gli apostoli stanchi dormono pesantemente, meno l’Iscariota che pare sulle spine.
   «Mi volevi, Giuda?», chiede Gesù.
   «No, Maestro, ma non riesco a dormire e vorrei uscire un poco».
   «Chi te lo vieta? Io pure esco. Salgo su quel poggetto. C’è tutt’ombra… Riposerò pregando. Vuoi venire con Me?».
   «No, Maestro. Ti darei disturbo perché non sono in condizione di pregare. Forse… forse non mi sento bene e ciò mi turba…».
   «Resta, allora. Non forzo nessuno. Addio. Addio, donne.
   Madre, quando Giovanni di Endor si sveglia lo mandi da Me, e da solo».
   «Sì, Figlio. La pace sia con Te».
   Gesù esce, Maria e Susanna si chinano ad osservare la stoffa sul telaio. Maria si siede con le mani in grembo, stando un poco curva. Forse prega Lei pure. Maria di Alfeo presto si stanca di osservare il lavoro. Si siede nell’angolo più buio e presto dorme. Susanna pensa bene di imitarla.
   Restano svegli Maria e Giuda. L’una tutta raccolta in se stessa. L’altro che la guarda ad occhi ben aperti non perdendola mai di vista. Infine si alza e le si avvicina lentamente senza fare rumore. Non so perché, ma nonostante la sua indiscutibile bellezza mi fa pensare ad un felino o ad un serpente che si avvicini alla preda. Forse è l’antipatia che ho per lui, che mi fa vedere subdolo e crudele anche il suo passo… Chiama sottovoce: «Maria!».
   «Che vuoi da me, Giuda?», chiede dolcemente Maria, e lo guarda col suo occhio dolcissimo.
   «Vorrei parlarti…».
   «Parla. Ti ascolto».
   «Non qui… Non vorrei essere sentito… Non usciresti un poco lì fuori? C’è ombra anche lì…».
   «Andiamo pure. Ma tu vedi… Dormono tutti… potevi parlare anche qui», dice la Vergine. Però si alza ed esce per la prima, addossandosi all’alta siepe di fiori.
   «Che vuoi da me, Giuda?», torna a chiedere fissando acutamente l’apostolo, che si turba un poco e pare stenti a trovare le parole. «Ti senti male? O hai fatto del male e non sai come dirlo? O anche ti senti in procinto di fare del male e ti pesa confessarti tentato? Parla, figlio. Come ti ho curato la carne, ti curerò l’anima. Dimmi quello che ti turba, ed io se potrò ti rasserenerò. Se non potrò da sola, lo dirò a Gesù. Anche tu avessi molto peccato, Egli ti perdonerà se io chiedo perdono per te. Veramente anche Gesù ti perdonerebbe subito… Ma forse di Lui, Maestro, ti vergogni. Io sono una mamma… Non faccio vergogna…».
   «Sì. Non fai vergogna perché sei madre e buona tanto. Sei veramente la pace fra di noi.

   262.6 Io… io mi sento molto turbato. Ho un pessimo carattere, Maria. Io non so cosa ho nel sangue e nel cuore… Ogni tanto io non so più comandare ad essi… e allora farei le cose più strane… e più cattive».
   «Anche con Gesù vicino non riesci più a resistere a chi ti tenta?».
   «Anche. E ne soffro, credilo. Ma così è. Sono un infelice».
   «Pregherò per te, Giuda».
   «Non basta».
   «Farò pregare senza dire per chi è la preghiera che chiedo ai giusti».
   «Non basta».
   «Farò pregare i bambini. Ce ne sono tanti che vengono da me, nel mio orto, come uccellini in cerca di grano. E il grano sono le carezze e le parole che do loro. Parlo di Dio… Ed essi, innocenti, preferiscono questo ai giuochi e alle favole. La preghiera dei bambini è grata al Signore».
   «Mai quanto la tua. Ma non basta ancora».
   «Dirò a Gesù di pregare il Padre per te».
   «Non basta ancora».
   «Ma più di così non c’è! La preghiera di Gesù vince anche i demoni…».
   «Sì. Ma Gesù non pregherebbe sempre. E io tornerei ad essere io… Gesù, sempre lo dice, se ne andrà un giorno. Io devo pensare a quando sarò senza di Lui. Gesù ora ci vuole mandare ad evangelizzare. Io ho paura ad andare con questo mio nemico, che sono io stesso, a spargere la parola di Dio. Io vorrei essermi formato per quest’ora».
   «Ma, figlio mio, se neppure Gesù ci riesce, chi vuoi che possa?».
   «Tu, Madre! Lasciami stare un poco di tempo con te. Ci sono stati i pagani e le meretrici. Posso starci io pure. Se non vuoi che io stia dove tu vivi, nella notte, andrò a dormire da Alfeo o da Maria Cleofa, ma il giorno lo passerò con te, con i bambini. Le altre volte ho cercato di fare da me e ho fatto peggio. Se vado a Gerusalemme ho troppi amici malvagi, e nelle condizioni in cui sono quando mi prende questa cosa divento il loro zimbello… Se vado in altra città è uguale. La tentazione della via mi si accende insieme a questa che già ho. Se vado a Keriot, presso mia madre, la superbia mi fa schiavo. Se vado in solitudine, il silenzio mi dilania con le voci di Satana. Ma da te… oh! da te sento che sarà diverso!… Lasciami venire! Dillo a Gesù che me lo conceda! Vuoi tu che io mi perda? Hai paura di me? Mi guardi con lo sguardo di una gazzella ferita e che non ha più la forza di fuggire i suoi assalitori. Ma io non ti farò offesa. Ho una madre anche io… e ti amo più di mia madre. Abbi pietà di un peccatore, Maria! Guarda, piango ai tuoi piedi… Se tu mi respingi, può essere la mia morte spirituale…», e Giuda piange proprio ai piedi di Maria, che lo guarda con uno sguardo di pietà e di angoscia misto a paura.
   È pallidissima. Ma pure fa un passo avanti, perché si era quasi sprofondata nella siepe per sfuggire Giuda che le si avvicinava troppo, e mette una mano sui capelli bruni dell’Iscariota. «Taci! Che non ti sentano. Parlerò a Gesù. E se Egli vorrà… verrai nella mia casa. Del giudizio del mondo non mi curo. Non lede l’anima mia. E solo di essere colpevole io verso Dio avrei orrore. La calunnia mi lascia indifferente. Ma non sarò calunniata perché Nazaret sa che la sua figlia non è scandalo alla sua città. E poi, avvenga ciò che vuole, mi preme che tu ti salvi nel tuo spirito. Vado da Gesù. Sta’ in pace». E si avvolge nel suo velo, bianco come la veste, e va svelta per il sentiero che porta ad un poggetto coperto di ulivi.

   262.7 Cerca il suo Gesù e lo trova assorto in meditazione profonda.
   «Figlio, sono io… Ascoltami!».
   «Oh! Mamma! Vieni a pregare con Me? Che gioia, che sollievo mi dai!».
   «Che, Figlio mio? Sei affaticato nello spirito? Triste? Dillo alla tua Mamma!».
   «Affaticato, lo hai detto, e afflitto. Non tanto per la fatica e le miserie che vedo nei cuori, quanto per l’immutabilità di quelli che sono i miei amici. Ma non voglio essere ingiusto con loro. Uno solo mi affatica. Ed è Giuda di Simone…».
   «Figlio, di lui venivo a parlarti…».
   «Ha fatto del male? Ti ha dato dolore?».
   «No. Ma mi ha fatto la pena che avrei vedendo uno molto infetto… Povero figlio! Quanto è malato nel suo spirito!».
   «E tu ne hai pietà? Non ne hai più paura? Un tempo l’avevi…».
   «Figlio mio, la mia pietà è ancora più grande della mia paura. E vorrei aiutare Te e lui a salvare il suo spirito. Tu tutto puoi e non hai bisogno di me. Ma Tu dici che tutti devono cooperare col Cristo nel redimere… e questo figlio è così bisognoso di redenzione!».
   «Che devo fare più che non faccia per lui?».
   «Tu non puoi fare di più. Ma potresti lasciarmi fare. Egli mi ha pregata di lasciarlo sostare nella nostra casa, perché gli pare che là potrà liberarsi dal suo mostro… Tu scuoti il capo?
   Non vuoi? Glielo dirò…».
   «No, Mamma. Non è che non voglia. Scuoto il capo perché so che è inutile. Giuda è come uno che affoga e che, nonostante senta di affogare, respinge per orgoglio la fune gettatagli per trarlo a riva. Manca in lui la volontà di venire a riva. Ogni tanto, preso dal terrore di affogare, cerca e invoca l’aiuto, ci si attacca… e poi, ripreso dall’orgoglio, lascia l’aiuto, lo respinge, vuol fare da sé… e sempre più si appesantisce per l’acqua melmosa che inghiotte. Ma perché non si dica che ho lasciato intentato un rimedio, si faccia anche questo, povera Mamma… Sì, povera Mamma che ti sottoponi, per amore di un’anima, alla sofferenza di avere vicino… uno che ti fa paura».
   «No, Gesù. Non lo dire. Io sono una povera donna perché sono ancora soggetta ad antipatie. Rimproverami. Lo merito. Non dovrei avere ribrezzo di nessuno, per tuo amore. Ma non per altro sono povera. Oh! potessi renderti Giuda spiritualmente guarito! Darti un’anima è darti un tesoro. E chi dà tesori non è povero, Figlio!… Vado a dire a Giuda che sì, che Tu concedi? Tu lo hai detto[57]: “Verrà un tempo che tu dirai: ‘Come è difficile essere la Madre del Redentore’”. Una volta già l’ho detto… per Aglae… Ma cosa è mai una volta? L’umanità è tanta! E Tu di tutti sei Redentore. Figlio!… Figlio!… Come ho tenuto fra le braccia la piccolina, per portarla alla tua benedizione, lascia che tenga nelle braccia Giuda, per portarlo alla tua benedizione…».
   «Mamma… Mamma… Egli non ti merita…».
   «Gesù mio, quando Tu titubavi a dare Marziam a Pietro io ti ho detto che ciò gli avrebbe giovato. Non puoi negare che Pietro si è rinnovato da quel momento… Lasciami fare con Giuda».
   «E sia come tu vuoi! E che tu sia benedetta per la tua intenzione d’amore per Me e per Giuda! Ora preghiamo insieme, Mamma. È così dolce pregare con te!…»…

   262.8 …È il tramonto appena iniziato quando rivedo la partenza dalla casa che li ha ospitati.
   Giovanni di Endor con Ermasteo si accomiatano da Gesù subito dopo essere giunti sulla via. Maria con le donne prosegue invece insieme al Figlio per una via fra gli uliveti dei colli.
   Parlano. E, naturalmente, dei fatti del giorno.
   Pietro dice: «Un bel matto quel Filippo! A momenti rinnegava la moglie e la figlia se non ti mettevi a fargli capire la ragione».
   «Speriamo però che duri nel pentimento attuale e non gli ripigli subito la mattana del dispregio verso le femmine. In fondo… è per le donne che il mondo va avanti», dice Tommaso, e molti ridono dell’uscita.
   «Certo. È vero. Ma sono più immonde di noi e…», risponde Bartolomeo.
   «Ma va! Riguardo a immondezza!… Anche noi non siamo degli angeli. Ecco, io vorrei sapere se dopo la Redenzione sarà sempre così per la donna. Ci insegnano ad onorare la madre, ad avere il massimo rispetto alle sorelle, alle figlie, alle zie, alle nuore, alle cognate e poi… anatema di qua, anatema di là! Nel Tempio no. Avvicinarle, molte volte, no… Ha peccato Eva? D’accordo. Ma ha peccato anche Adamo. Dio ha dato ad Eva il suo castigo ed è ben severo. Non basta?».
   «Ma Toma! La donna è considerata impura anche da Mosè».
   «Il quale senza le donne sarebbe morto affogato… Però, abbi pazienza, Bartolmai, però ti ricordo, anche che io non sia dotto come te, ma solo un battiloro, che Mosè cita le impurità carnali della donna perché noi la si rispetti, non per metterla all’anatema».

   262.9 La discussione si accende.
   Gesù, che era avanti, proprio con le donne e con Giovanni e Giuda Iscariota, si ferma e si volta, e interviene: «Dio aveva davanti un popolo moralmente e spiritualmente informe, contaminato da contatti con idolatri. Voleva di esso farne un popolo forte nel fisico e nello spirito. Dette come precetti le norme salutari alla robustezza fisica e salutari all’onestà dei costumi. Non poteva fare diversamente per frenare le cupidigie maschili, acciò i peccati per cui fu sommersa la Terra[58] e arsa Sodoma e Gomorra non si ripetessero. Ma nel tempo futuro la donna redenta non sarà così oppressa come lo è ora. Rimarranno i divieti di prudenza fisica, ma saranno levati gli ostacoli al suo venire al Signore. Io già li levo per preparare le prime sacerdotesse del tempo futuro».
   «Oh! ci saranno le donne sacerdoti?!», chiede quasi sbalordito Filippo.
   «Non mi fraintendete. Non saranno sacerdotesse come gli uomini, non consacreranno e non amministreranno i doni di Dio, quelli che voi non potete per ora sapere. Ma saranno della classe sacerdotale lo stesso, cooperando con i sacerdoti al bene delle anime, in molti modi».
   «Predicheranno?», chiede incredulo Bartolomeo.
   «Come già predica mia Madre».
   «Faranno pellegrinaggi apostolici?», chiede Matteo.
   «Sì. Portando la Fede molto lontano e, devo dirlo, con ancor più eroismo degli uomini».
   «Faranno miracoli?», chiede ridendo l’Iscariota.
   «Qualcuna farà anche miracoli. Ma non vi basate sul miracolo come sulla cosa essenziale. Esse, le donne sante, faranno anche molti miracoli di conversioni con la preghiera».
   «Umh! le donne pregare al punto di fare miracoli!», borbotta Natanaele.
   «Non essere chiuso come uno scriba, Bartolomeo. Secondo te cosa è la preghiera?».
   «Il rivolgersi a Dio con le formule che sappiamo».
   «Questo e più ancora. La preghiera è la conversazione del cuore con Dio e dovrebbe essere lo stato abituale dell’uomo. La donna, per la sua vita più ritirata della nostra e per la sua facoltà affettiva più forte della nostra, è portata a questa conversazione con Dio più di noi. In essa ella trova conforto ai suoi dolori, sollievo alle sue fatiche, che non sono solo quelle della casa e del generare, ma anche quelle di sopportare noi uomini; trova ciò che asciuga i suoi pianti e riconduce un sorriso nel cuore. Perché essa sa parlare con Dio e più ancora lo saprà in futuro. Gli uomini saranno i giganti della dottrina, le donne saranno sempre quelle che col loro orare sostengono i giganti e anche il mondo, perché molte sventure saranno evitate per le loro preghiere e molti castighi trattenuti. Perciò faranno miracolo, invisibile per lo più e conosciuto solo da Dio, ma non perciò irreale».

   262.10 «Anche Tu oggi hai fatto un miracolo invisibile ma certo reale. Non è vero, Maestro?», chiede il Taddeo.
   «Sì, fratello».
   «Era meglio farlo visibile», osserva Filippo.
   «Volevi che cambiassi la piccola in un pargolo? Il miracolo in realtà è una alterazione delle cose destinate, un benefico disordine, perciò, che Dio concede per acconsentire alla preghiera dell’uomo, onde mostrargli che lo ama, o persuadere che Egli è Colui che è. Ma dato che Dio è ordine, non viola in maniera esagerata l’ordine. La bambina è nata donna e donna resta».
   «Ero così afflitta questa mattina!», sospira la Vergine.
   «Perché? La bambina disamata non era tua», dice Susanna.
   E aggiunge: «Io quando vedo qualche disgrazia in un fanciullo dico: “Buon per me che non ne ho!”».
   «Non lo dire, Susanna! Non è carità. Io pure potrei dirlo, perché la mia unica Maternità è trascesa dalle leggi naturali. Ma non lo dico perché sempre penso: “Se Dio non mi avesse voluta vergine, forse quel seme sarebbe caduto in me, e madre sarei io di quest’infelice”, e così ho pietà di tutti… Perché dico: “Avrebbe potuto essere mio figlio”, e come madre vorrei tutti buoni, sani, amati e amabili, perché così desiderano le madri per i figli loro», risponde dolcemente Maria. E Gesù pare vestirla di luce tanto la guarda con occhio radioso.
   «È per questo che hai pietà di me…», dice l’Iscariota sottovoce.
   «Di tutti. Fosse anche dell’assassino del mio Figlio. Perché penso che sarebbe il più bisognoso di perdono… e di amore. Perché tutto il mondo lo odierebbe certamente».
   «Donna, dovresti faticare molto a difenderlo per dargli tempo di convertirsi… Io lo leverei subito di mezzo, per il primo…», dice Pietro.

   262.11 «Eccoci al luogo di commiato. Madre, Dio sia con te. E con te, Maria. E anche con te, Giuda». Si baciano e Gesù aggiunge ancora: «Ricordati che ti ho concesso una grande cosa, Giuda.
   Fattene un bene e non un male. Addio».
   E Gesù con gli undici rimasti e con Susanna vanno lesti verso oriente, mentre Maria, la cognata e l’Iscariota vanno diritti.

[57] hai detto, in 157.7;  l’ho detto, in 168.9.
[58] sommersa la Terra, come si narra in: Genesi 6, 5-22; 7 arsa Sodoma e Gomorra, come si narra in: Genesi 19, 1-29.