MARIA
VALTORTA

Voglio che le anime possano bere alla Fonte vitale della mia parola

"Quando la Chiesa - e per tale alludo ora alla riunione degli alti dignitari di Essa - agì secondo i dettami della mia Legge e del mio Vangelo, la Chiesa conobbe tempi fulgidi di fulgore. Ma guai quando, anteponendo gli interessi della Terra a quelli del Cielo, inquinò Se stessa con passioni umane! Tre volte guai quando adorò la Bestia di cui parla Giovanni, ossia la Potenza politica, e se ne fece asservire..." (Qd 12 dicembre 1943)

OPERA MAGGIORE

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VOLUME IV CAPITOLO 276



CCLXXVI. L'uomo avido e la parabola del ricco stolto. Le inquietudini e la vigilanza nei servi di Dio.

   10 settembre 1945.

   276.1 Gesù è su uno dei colli della riva occidentale del lago.
   Ai suoi occhi si mostrano le città e i paesi sparsi sulle rive di questa e quella sponda, ma proprio sotto del colle sono Magdala e Tiberiade: la prima con il suo rione di lusso tutto sparso di giardini, separato nettamente dalle povere case dei pescatori, contadini e popolo minuto, da un torrentello ora asciutto del tutto; l’altra splendida in ogni sua parte, città che ignora ciò che è miseria e decadenza, e ride, bella e nuova, sotto al sole, di fronte al lago. Fra l’una e l’altra città, le ortaglie, poche ma ben tenute, della breve pianura, e poi l’ascendere degli ulivi alla conquista dei colli. Dietro le spalle di Gesù, da questa cima, si vede la sella del monte delle Beatitudini, ai cui piedi è la via maestra che dal Mediterraneo va a Tiberiade.
   Forse per questa vicinanza di una via maestra frequentatissima, Gesù ha scelto questa località alla quale le persone possono accedere da molte città del lago o della Galilea interna e da dove, a sera, è facile tornare alle case o trovare ospitalità in molti paesi. Il calore è anche temperato per l’altezza e per gli alberi di alto fusto che sulla vetta hanno preso il posto degli ulivi. Vi è infatti molta gente oltre gli apostoli e i discepoli. Gente che ha bisogno di Gesù per la salute o per dei consigli, gente venuta per curiosità, gente portata lì da amici o per spirito di imitazione. Molta insomma. La stagione, non più canicolare ma tendente alle languide grazie dell’autunno, invita più che mai a pellegrinare in cerca del Maestro.

   276.2 Gesù ha già guarito i malati e parlato alla gente, e certo sul tema delle ricchezze ingiuste e del distacco da esse, necessario a tutti per guadagnarsi il Cielo ma indispensabile ad aversi in chi vuole essere discepolo suo. E ora sta rispondendo alle domande di questo o quello dei discepoli ricchi, che sono un poco turbati per questa cosa.
   Lo scriba Giovanni dice: «Devo allora distruggere ciò che ho, spogliando i miei del loro?».
   «No. Dio ti ha dato dei beni. Fàlli servire alla Giustizia e servitene con giustizia. Ossia, con essi soccorri la tua famiglia, è dovere; tratta umanamente i servi, è carità; benefica i poveri, sovvieni ai bisogni dei discepoli poveri. Ecco che le tue ricchezze non ti saranno inciampo, ma aiuto».
   E poi, parlando a tutti, dice: «In verità vi dico che lo stesso pericolo di perdere il Cielo per amore alle ricchezze può averlo anche il discepolo più povero se, divenuto mio sacerdote, mancherà a giustizia col patteggiare col ricco. Colui che è ricco o maligno molte volte tenterà sedurvi con donativi per avervi consenzienti al suo modo di vivere e al suo peccato. E vi saranno quelli fra i miei ministri che cederanno alla tentazione dei donativi. Non deve essere. Il Battista vi insegni. Veramente in lui, pur senza essere giudice e magistrato, era la perfezione del giudice e del magistrato quale la indica[81] il Deuteronomio: “Tu non avrai riguardi personali, non accetterai donativi, perché essi acciecano gli occhi dei savi e alterano le parole dei giusti”. Troppe volte l’uomo si lascia levare il filo dalla spada della giustizia dall’oro che un peccatore vi passa sopra. No, non deve essere. Sappiate esser poveri, sappiate saper morire, ma non patteggiate mai con la colpa. Neppure con la scusa di usare quell’oro a pro’ dei poveri. È oro maledetto e non darebbe loro del bene. È oro di un compromesso infame. Voi siete costituiti discepoli per essere maestri, medici e redentori. Che sareste se diveniste consenzienti al male per interesse? Maestri di mala scienza, medici che uccidono il malato, non redentori ma cooperatori della rovina dei cuori».

   276.3 Uno della folla si fa avanti e dice: «Io non sono discepolo.
   Ma ti ammiro. Rispondi dunque a questa mia domanda: è lecito ad uno trattenere il denaro di un altro?».
   «No, uomo. Ciò è furto, come lo è quello di levare la borsa ad un passante».
   «Anche se è denaro della famiglia?».
   «Anche. Non è giusto che uno si appropri del denaro di tutti gli altri».
   «Allora, Maestro, vieni ad Abelmain sulla via di Damasco e ordina a mio fratello di spartire meco la eredità del padre morto senza avere lasciato scritto parola. Egli tutta se l’è presa. E nota che gemelli siamo, nati da primo ed unico parto. Io ho dunque gli stessi diritti che lui».
   Gesù lo guarda e dice: «È una penosa situazione, e tuo fratello certo non agisce bene. Ma tutto quello che Io posso fare è pregare per te e più per lui, che si converta, e venire al tuo paese ad evangelizzare, toccandogli il cuore così. Non mi pesa il cammino se posso mettere pace fra voi».
   L’uomo, inviperito, scatta: «E che vuoi che me ne faccia delle tue parole? Ci vuol ben altro che parole in questo caso!».
   «Ma non mi hai detto di ordinare a tuo fratello di…».
   «Ordinare non è evangelizzare. Ordinare è sempre unito a minaccia. Minaccialo di percuoterlo nella persona se non mi dà il mio. Tu lo puoi fare. Come dai salute, puoi dare malattia».
   «Uomo, Io sono venuto a convertire, non a percuotere. Ma se tu avrai fede nelle mie parole troverai pace».
   «Quali parole?».
   «Ti ho detto che pregherò per te e per tuo fratello, acciò tu sia consolato ed egli si converta».
   «Storie! Storie! Io non ho la dabbenaggine di crederle. Vieni e ordina».

   276.4 Gesù, che era mite e paziente, si fa imponente e severo. Si raddrizza — prima stava un po’ curvo sull’ometto corpulento e acceso d’ira — e dice: «Uomo, e chi mi ha costituito giudice e arbitro fra di voi? Nessuno. Ma, per levare una scissura fra due fratelli, accettavo a venire per esercitare la mia missione di pacificatore e di redentore e, se tu avessi creduto nelle mie parole, tornando ad Abelmain avresti trovato già convertito il fratello. Tu non sai credere. E non avrai il miracolo. Tu, se per primo avessi potuto afferrare il tesoro, te lo saresti tenuto privandone il fratello, perché, in verità, come siete nati gemelli, così avete gemelle le passioni, e tu come tuo fratello avete solo un amore: l’oro; una fede: l’oro. Sta’ dunque con la tua fede.
   Addio».
   L’uomo se ne va maledicendolo fra lo scandalo di tutti, che lo vorrebbero punire.
   Ma Gesù si oppone. Dice: «Lasciatelo andare. Perché volete sporcarvi le mani percuotendo un bruto? Io perdono perché è un posseduto dal demone dell’oro che lo travia. Fatelo voi pure. Piuttosto preghiamo per questo infelice che torni uomo dall’anima bella di libertà».
   «È vero. Anche nel volto è divenuto orrendo nella sua cupidigia. Hai visto?», si chiedono l’un coll’altro discepoli e astanti che erano vicini all’avaro.
   «È vero! È vero! Non pareva più quello di prima».
   «Sì. Quando poi ha respinto il Maestro, per poco lo percuoteva mentre lo malediceva, è divenuto un demone nel volto».
   «Un demone tentatore. Tentava il Maestro alla cattiveria…».

   276.5 «Udite», dice Gesù. «Veramente le alterazioni dell’animo si riflettono sul volto. È come se il demonio affiorasse alla superficie di quel suo possesso. Pochi sono quelli che, essendo demoni, o con atti o con aspetto non tradiscano ciò che sono. E questi pochi sono i perfetti nel male e i perfettamente posseduti. Il volto del giusto invece è sempre bello, anche se materialmente deforme, per una bellezza soprannaturale che si effonde dall’interno all’esterno. E, non per modo di dire, ma per verità di fatti, noi osserviamo nel puro dai vizi una freschezza anche di carni. L’anima è in noi e ci abbraccia tutti. E i fetori di un’anima corrotta corrompono anche le carni. Mentre i profumi di un’anima pura preservano. L’anima corrotta spinge la carne a peccati osceni, e questi invecchiano e deformano. L’anima pura spinge la carne a vita pura. E ciò conserva freschezza e comunica maestà.
   Fate che in voi permanga giovinezza pura di spirito, o risorga se già perduta, e badate di guardarvi da ogni cupidigia, sia del senso che del potere. La vita dell’uomo non dipende dall’abbondanza dei beni che possiede. Né questa, né tanto meno l’altra: quella eterna. Ma dalla sua maniera di vivere. E, con la vita, la felicità di questa Terra e del Cielo. Perché il vizioso non è mai felice, realmente felice. Mentre il virtuoso è sempre felice di una letizia celeste anche se povero e solo. Neppure la morte lo impressiona. Perché non ha colpe e rimorsi a fargli temere l’incontro con Dio, e non ha rimpianti per ciò che lascia sulla Terra. Egli sa che in Cielo è il suo tesoro e, come uno che vada a prendere l’eredità che gli spetta, e eredità santa, va lieto, sollecito, incontro alla morte che gli apre le porte del Regno dove è il suo tesoro.
   Fatevi subito il vostro tesoro. Iniziatelo dalla giovinezza, voi che giovani siete; indefessamente lavorate, voi anziani che, per l’età, avete più prossima la morte. Ma, posto che morte è scadenza ignota, e sovente cade il fanciullo prima del vegliardo, non rimandate il lavoro di farvi un tesoro di virtù e di buone opere per l’altra vita, onde non vi raggiunga la morte senza che voi abbiate messo un tesoro di meriti in Cielo. Molti sono quelli che dicono: “Oh! sono giovane e forte! Per ora godo sulla Terra, poi mi convertirò”. Grande errore!

   276.6 Udite questa parabola. Ad un uomo ricco aveva fruttato molto bene la campagna. Proprio un raccolto da miracolo. Egli contempla felice tutta questa dovizia che si accumula sui suoi campi e le sue aie e che non trova posto nei granai, tanto che è ospitata sotto tettoie provvisorie e persino nelle stanze della casa, e dice: “Ho lavorato come uno schiavo, ma la terra non mi ha deluso. Ho lavorato per dieci raccolti e ora voglio riposare per altrettanto. Come farò a mettere a posto tutti questi raccolti? Venderne non voglio, perché mi costringerei a lavorare per avere il prossimo anno nuovo raccolto. Farò così: demolirò i miei granai e ne farò di più vasti, che c’entrino tutti i raccolti e i miei beni. E poi dirò all’anima mia: ‘Oh, anima mia! Tu hai ora da parte dei beni per molti anni. Riposati dunque, mangia e bevi e godi’”. Costui, come molti, confondeva il corpo con l’anima e mescolava il sacro al profano, perché realmente nelle gozzoviglie e nell’ozio l’anima non gode ma languisce, e anche costui, come molti, dopo il primo buon raccolto nei campi del bene, si fermava, parendogli di avere fatto tutto.
   Ma non sapete che, posta la mano all’aratro, occorre perseverare uno e dieci e cent’anni, quanto la vita dura, perché fermarsi è delitto verso se stessi ai quali si nega una gloria maggiore, è regredire perché chi si ferma generalmente non solo non progredisce più, ma si volge indietro? Il tesoro del Cielo deve aumentare anno per anno per essere buono. Ché, se la Misericordia sarà benigna anche con chi ebbe pochi anni per formarlo, non sarà complice dei pigri che avendo lunga vita fanno poco. È un tesoro in continuo aumento. Se no non è più tesoro fruttifero, ma inerte, e ciò va a detrimento della pronta pace del Cielo.
   Dio disse allo stolto: “Uomo stolto, che confondi il corpo e i beni della Terra con ciò che è spirito, e di una grazia di Dio te ne fai un male, sappi che questa notte stessa ti sarà chiesta l’anima e levata, e il corpo giacerà senza vita. Quanto hai preparato, di chi sarà? Lo porterai teco? No. Te ne verrai nudo di raccolti terreni e di opere spirituali al mio cospetto e povero sarai nell’altra vita. Meglio ti era dei tuoi raccolti farne opere di misericordia al prossimo e a te. Perché, essendo misericordioso agli altri, alla tua anima eri misericorde. E, invece di nutrire pensieri d’ozio, coltivare attività da cui trarre onesto utile al tuo corpo e grandi meriti alla tua anima finché Io ti avessi chiamato”. E l’uomo nella notte morì e fu severamente giudicato. In verità vi dico che così capita a chi tesoreggia per sé e non arricchisce agli occhi di Dio.
   Ora andate e fate tesoro della dottrina che vi viene data. La pace sia con voi».
   E Gesù benedice e si ritira in un folto di bosco con gli apostoli e i discepoli per prendere cibo e ristoro.

   276.7 Ma, mentre mangiano, Egli ancora parla continuando la lezione di prima, ripetendo un tema già detto[82] agli apostoli più volte e che credo sarà sempre insufficientemente detto, perché l’uomo è troppo preso dalle paure stolte.
   «Credete», dice, «che solo di questo arricchimento di virtù occorre preoccuparsi. E badate: non sia mai la vostra una preoccupazione affannosa, inquieta. Il bene è nemico delle inquietudini, delle paure, delle frette, che troppo risentono ancora di avarizia, di gelosia, di diffidenza umana. Il vostro lavoro sia costante, fiducioso, pacifico. Senza brusche partenze e bruschi arresti. Così fanno gli onagri selvaggi. Ma nessuno li usa, a meno che sia un matto, per fare del sicuro cammino. Pacifici nelle vittorie, pacifici nelle sconfitte. Anche il pianto per un errore fatto, che vi addolora perché con esso errore avete spiaciuto a Dio, deve essere pacifico, confortato dall’umiltà e dalla fiducia. L’accasciamento, il rancore verso se stesso, è sempre sintomo di superbia e così anche di sfiducia. Se uno è umile sa di essere un povero uomo soggetto alle miserie della carne che talora trionfa. Se uno è umile ha fiducia non tanto in sé quanto in Dio, e sta calmo anche nelle disfatte dicendo: “Perdonami, Padre. Io so che Tu sai la mia debolezza che mi prevale talora. Io credo che Tu mi compatisci. Io ho ferma fiducia che Tu mi aiuterai in avvenire ancor più di prima, nonostante io ti soddisfi così poco”. E non siate né apatici né avari dei beni di Dio. Di quanto avete di sapienza e virtù, date. Siate operosi nello spirito come gli uomini lo sono per le cose della carne.

   276.8 E, riguardo alla carne, non imitate quelli del mondo, che sempre tremano per il loro domani, per la paura che manchi loro il superfluo, che la malattia venga, che venga la morte, che i nemici possano nuocere e così via. Dio sa di che abbisognate. Non temete perciò per il vostro domani. Siate liberi dalle paure più pesanti delle catene dei galeotti. Non vi prendete pena della vostra vita, né per il mangiare, né per il bere, né per il vestire. La vita dello spirito è da più di quella del corpo, e il corpo è da più del vestito, perché col corpo, non col vestito, voi vivete, e con la mortificazione del corpo aiutate lo spirito a conseguire la vita eterna. Dio sa fino a quando lasciarvi l’anima nel corpo, e fino a quell’ora vi darà ciò che è necessario. Lo dà ai corvi, animali impuri che si pascono di cadaveri e che hanno la loro ragione di esistere appunto in questa loro funzione di eliminatori di putrefazioni. E non lo darà a voi? Essi non hanno dispense e granai, eppure Dio li nutre lo stesso. Voi siete uomini e non corvi. Presentemente, poi, siete il fior degli uomini, perché siete i discepoli del Maestro, gli evangelizzatori del mondo, i servi di Dio. E potete pensare che Iddio, che ha cura dei gigli delle convalli e li fa crescere e li veste di veste che più bella non l’ebbe Salomone, senza che loro compiano altro lavoro che profumare, adorando, possa trascurare voi anche nella veste? Voi sì che da soli non potete aggiungere un dente alle bocche sdentate, né allungare di un pollice la gamba rattratta, né dare acutezza alla pupilla annebbiata. E, se non potete fare queste cose, potete pensare di poter respingere da voi miseria e malattia e far spuntare cibo dalla polvere? Non potete. Ma non siate gente di poca fede. Avrete sempre di che vi è necessario. Non vi appenate come le genti del mondo, che si arrabattano per provvedersi di che godere. Voi avete il Padre vostro che sa di che abbisognate. Voi dovete solo cercare — e sia la prima delle vostre cure — il Regno di Dio e la sua giustizia, e tutto il resto vi sarà dato in più.

   276.9 Non temete, voi del mio piccolo gregge. Al Padre mio è piaciuto chiamarvi al Regno perché voi abbiate questo Regno. Potete perciò aspirare ad esso ed aiutare il Padre con la vostra buona volontà e santa operosità. Vendete i vostri beni, fatene elemosina se siete soli. Date ai vostri il viatico del vostro abbandono della casa per seguire Me, perché è giusto non levare il pane ai figli e alle spose. E, se non potete perciò sacrificare le ricchezze di denaro, sacrificate le ricchezze di affetto. Anche queste sono monete che Dio valuta per quello che sono: oro più puro d’ogni altro, perle più preziose di quelle rapite ai mari, e rubini più rari di quelli delle viscere del suolo. Perché rinunciare alla famiglia per Me è carità perfetta più di oro senza atomo impuro, è perla fatta di pianto, e rubino fatto di sangue che geme dalla ferita del cuore, lacerato dal distacco da padre e madre, sposa e figli. Ma queste borse non si logorano, questo tesoro non viene mai meno. I ladri non penetrano in Cielo. Il tarlo non corrode ciò che là è depositato. E abbiate il Cielo nel cuore e il cuore in Cielo presso il vostro tesoro. Perché il cuore, nel buono o nel malvagio, è là dove è ciò che vi sembra vostro caro tesoro. Perciò, come il cuore è là dove è il tesoro (in Cielo), così il tesoro è là dove è il cuore (ossia in voi), anzi il tesoro è nel cuore e col tesoro dei santi è nel cuore il Cielo dei santi.

   276.10 Siate sempre pronti come chi è in procinto di viaggio o in attesa del padrone. Voi siete servi del Padrone-Iddio. Ad ogni ora vi può chiamare dove Egli è, o venire dove voi siete. Siate perciò sempre pronti ad andare, o a fargli onore stando a fianchi cinti da cintura di viaggio e di lavoro, e con le lampade accese nelle mani. Uscendo da una festa di nozze con uno che vi abbia preceduto nei Cieli e nella consacrazione a Dio sulla Terra, Dio può sovvenirsi di voi che attendete e può dire: “Andiamo da Stefano o da Giovanni, oppure da Giacomo e da Pietro”. E Dio è ratto nel venire o nel dire : “Vieni”. Perciò siate pronti ad aprirgli la porta quando Egli giungerà, o a partire se Egli vi chiama.
   Beati quei servi che il Padrone, arrivando, troverà vigilanti. In verità, per ricompensarvi della attesa fedele, Egli si cingerà la veste e, fattili sedere a tavola, si metterà a servirli. Può venire alla prima vigilia, come alla seconda e alla terza. Voi non lo sapete. Siate perciò sempre vigilanti. E beati voi se lo sarete e così vi troverà il Padrone! Non vi lusingate col dire: “C’è tempo! Questa notte Egli non viene”. Ve ne accadrebbe male. Voi non sapete. Se uno sapesse quando il ladro viene, non lascerebbe incustodita la casa perché il malandrino possa sforzarne la porta e i forzieri. Anche voi state preparati, perché, quando meno ve lo penserete, verrà il Figlio dell’uomo dicendo: “È l’ora”».

   276.11 Pietro, che si è persino dimenticato di finire il suo cibo per ascoltare il Signore, vedendo che Gesù tace, chiede: «Questo che dici è per noi o per tutti?».
   «È per voi e per tutti. Ma più è per voi, perché voi siete come intendenti preposti dal Padrone a capo dei servi e avete doppio dovere di stare pronti, e per voi come intendenti, e per voi come semplici fedeli. Che deve essere l’intendente preposto dal padrone a capo dei suoi famigli per dare a ciascuno, a suo tempo, la giusta porzione? Deve essere accorto e fedele. Per compiere il suo proprio dovere, per far compiere ai sottoposti il loro proprio dovere. Altrimenti ne soffrirebbero gli interessi del padrone, che paga perché l’intendente faccia in sua vece e ne tuteli gli interessi in sua assenza.
   Beato quel servo che il padrone, tornando alla sua casa, trova ad operare con fedeltà, solerzia e giustizia. In verità vi dico che lo farà intendente anche di altre proprietà, di tutte le sue proprietà, riposando e giubilando in cuor suo per la sicurezza che quel servo gli dà. Ma se quel servo dice: “Oh! bene! Il padrone è molto lontano e mi ha scritto che tarderà a tornare. Perciò io posso fare ciò che mi pare e poi, quando penserò prossimo il ritorno, provvederò”. E comincerà a mangiare e a bere fino ad essere ubbriaco e a dare ordini da ebbro e, poiché i servi buoni, a lui sottoposti, si rifiutano di eseguirli per non danneggiare il padrone, si dà a battere servi e serve fino a farli cadere in malattia e languore. E crede di essere felice, e dice: “Finalmente gusto ciò che è esser padrone e temuto da tutti”.
   Ma che gli avverrà? Gli avverrà che il padrone giungerà quando meno egli se lo aspetta, magari sorprendendolo nell’atto di intascare denaro o di corrompere qualche servo fra i più deboli. Allora, Io ve lo dico, il padrone lo caccerà dal posto di intendente, e persino dalle file dei suoi servi, perché non è lecito tenere gli infedeli e traditori in mezzo agli onesti.
   E tanto più sarà punito quanto più il padrone prima lo aveva amato e istruito. Perché chi più conosce la volontà e il pensiero del padrone più è tenuto a compierlo con esattezza. Se non fa così come il padrone ha detto, ampiamente, come a nessun altro, avrà molte percosse, mentre chi, come servo minore, ben poco sa e sbaglia credendo di far bene, avrà castigo minore. A chi molto fu dato molto sarà chiesto, e dovrà rendere molto chi molto ebbe in custodia, perché sarà chiesto conto ai miei intendenti anche dell’anima del pargolo di un’ora.

   276.12 La mia elezione non è fresco riposo in un boschetto fiorito. Io sono venuto a portare fuoco sulla Terra; e che posso desiderare se non che si accenda? Perciò mi affatico e voglio vi affatichiate fino alla morte e finché la Terra sia tutta un rogo di fuo co celeste. Io devo essere battezzato con un battesimo. E come sarò angustiato finché non sarà compiuto! Non vi chiedete perché? Perché per esso potrò di voi fare dei portatori del Fuoco, degli agitatori che si muoveranno in tutti e contro tutti gli strati sociali, per farne un’unica cosa: il gregge di Cristo.
   Credete voi che Io sia venuto a metter pace sulla Terra? E secondo il modo di vedere della Terra? No. Ma anzi discordia e separazione. Perché d’ora innanzi, e fintanto che tutta la Terra non sarà un unico gregge, di cinque che sono in una casa due saranno contro tre, e sarà il padre contro il figlio, e questo contro il padre, e la madre contro le figlie, e queste contro quella, e le suocere e nuore avranno un motivo di più per non intendersi, perché un linguaggio nuovo sarà su certe labbra e accadrà come una Babele, perché un sommovimento profondo scuoterà il regno degli affetti umani e soprumani. Ma poi verrà l’ora in cui tutto si unificherà in una lingua nuova, parlata da tutti i salvati dal Nazareno, e si depureranno le acque dei sentimenti, andando sul fondo le scorie e brillando alla superficie le limpide onde dei laghi celesti.
   In verità che non è riposo il servirmi, secondo quanto dà, l’uomo, di significato a questa parola. Occorre eroismo e instancabilità. Ma Io ve lo dico: alla fine sarà Gesù, sempre e ancora Gesù, che si cingerà la veste per servirvi, e poi si siederà con voi ad un banchetto eterno e sarà dimenticata fatica e dolore.

   276.13 Ora, posto che nessuno più ci ha cercato, andiamo al lago.
   Riposeremo in Magdala. Nei giardini di Maria di Lazzaro c’è posto per tutti, ed ella ha messo la sua casa a disposizione del Pellegrino e dei suoi amici. Non occorre che vi dica che Maria di Magdala è morta col suo peccato ed è rinata dal suo pentimento Maria di Lazzaro, discepola di Gesù di Nazaret. Voi lo sapete già, perché la notizia è corsa come fremito di vento in una foresta. Ma Io vi dico ciò che non sapete: che tutti i beni personali di Maria di Lazzaro sono per i servi di Dio e per i poveri di Cristo. Andiamo…».

[81] la indica, in: Deuteronomio 16, 19.
[82] già detto, per esempio nel capitolo 173.