MARIA
VALTORTA

Voglio che le anime possano bere alla Fonte vitale della mia parola

"Quando la Chiesa - e per tale alludo ora alla riunione degli alti dignitari di Essa - agì secondo i dettami della mia Legge e del mio Vangelo, la Chiesa conobbe tempi fulgidi di fulgore. Ma guai quando, anteponendo gli interessi della Terra a quelli del Cielo, inquinò Se stessa con passioni umane! Tre volte guai quando adorò la Bestia di cui parla Giovanni, ossia la Potenza politica, e se ne fece asservire..." (Qd 12 dicembre 1943)

OPERA MAGGIORE

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VOLUME IV CAPITOLO 282



CCLXXXII. La delazione al Sinedrio riguardo ad Ermasteo, a Giovanni di Endor e a Sintica.

   21 settembre 1945.

   282.1 Gesù, con gli apostoli e i discepoli, è diretto a Betania e sta proprio parlando ai discepoli, ai quali dà l’ordine di separarsi andando — i giudei per la Giudea, i galilei risalendo per l’Oltre Giordano — annunciando il Messia.
   Questa cosa solleva qualche obbiezione. Mi pare che l’Oltre Giordano non godesse buona fama fra gli israeliti. Ne parlano quasi come di regioni pagane. Ma ciò offende i discepoli d’Oltre Giordano, fra i quali, voce più autorevole di tutte, il sinagogo dell’Acqua Speciosa e poi un giovane di cui ignoro il nome, che difendono accanitamente le loro città e i loro concittadini.
   Timoneo dice: «Vieni, Signore, ad Aera, e vedrai se là non ti si rispetta. Non troverai tanta fede in Giudea quanta là. Anzi, io non ci voglio andare. Tienimi con Te e vada un giudeo con un galileo nella mia città. Vedranno come ha saputo credere in Te sulla mia sola parola».
   E il giovane dice: «Io ho saputo credere senza neppure averti mai visto. E ho cercato Te dopo il perdono di mia madre. Ma io sono felice di tornare lassù, per quanto ciò vorrà dire beffe dei concittadini malvagi, come lo ero io un tempo, e rimproveri dei buoni per la mia passata condotta. Ma non mi importa. Ti predicherò col mio esempio».
   «Bene dici. Farai come hai detto. E poi Io verrò. E tu, Timoneo, anche hai detto bene. Andranno dunque Erma con Abele di Betlemme di Galilea ad annunciarmi ad Aera, mentre tu, Timoneo, resterai con Me. Ma però Io non voglio queste dispute. Siete non più giudei o galilei: siete i discepoli. Basta così. Il nome e la missione vi parificano in regione, in grado, in tutto. Solo in una cosa potete differenziarvi: nella santità. Quella sarà individuale e nella misura che ognuno saprà raggiungere. Ma Io vorrei aveste tutti una stessa misura: quella perfetta. Vedete gli apostoli? Erano come voi divisi dalle razze e da altre cose. Ora, dopo un anno e più di istruzione, sono unicamente gli apostoli. Fate voi pure così, e come fra voi il sacerdote sta presso all’antico peccatore, e il ricco presso al già mendico, il giovane presso al vegliardo, così fate che si annulli la separazione di essere di questa o quella regione. Avete una sola patria: il Cielo, ormai. Perché sulla via del Cielo vi siete volontariamente messi. Non date mai ai nemici miei l’impressione di essere nemici fra di voi. Il nemico è il peccato. Non altro».

   282.2 Procedono in silenzio qualche tempo. Poi Stefano si fa vicino al Maestro e dice: «Io ti dovrei dire una cosa. Speravo Tu me la chiedessi, ma non lo hai fatto. Ieri mi ha parlato Gamaliele…».
   «Ho visto».
   «Non mi chiedi ciò che mi ha detto?».
   «Attendo che tu me lo dica, perché il buon discepolo non ha segreti per il suo Maestro».
   «Gamaliele… Maestro, vieni qualche metro avanti con me…».
   «Andiamo pure. Ma potevi parlare alla presenza di tutti…».
   Si dilungano per qualche metro. Stefano, avvampando in viso, dice: «Io ti devo dare un consiglio, Maestro. Perdonami…».
   «Se è buono lo accetterò. Parla, dunque».
   «Maestro, nel Sinedrio tutto si sa prima o poi. È una istituzione che ha mille occhi e cento branche. Penetra da per tutto, vede tutto, sente tutto. Ha più… informatori che mattoni nei muri del Tempio. Molti vivono così…».
   «Facendo la spia. Termina pure. È verità e la so. Ebbene?
   Che è stato detto, di più o meno vero, al Sinedrio?».
   «È stato detto… tutto. Io non so come possano sapere certe cose. Non so neppure se sono vere… Ma ti dico ciò che mi ha detto Gamaliele, testualmente: “Di’ al Maestro che faccia circoncidere Ermasteo o lo allontani, per sempre. Non occorre dire altro”».
   «Infatti non occorre dire altro. Prima di tutto perché appunto Io vado a Betania per questo, e là sosterò finché Ermasteo potrà viaggiare di nuovo. In secondo luogo perché nessuna giustificazione potrebbe far cadere le prevenzioni e… le sostenutezze di Gamaliele, scandalizzato dal fatto che ho con Me un incirconciso su un membro del corpo. Oh! che se si guardasse intorno e dentro di sé! Quanti incirconcisi in Israele!».
   «Ma Gamaliele…».
   «È il perfetto rappresentante del vecchio Israele. Non è malvagio, ma… Guarda questo ciottolo. Io potrei spaccarlo, ma non renderlo malleabile. Così lui. Dovrà essere stritolato per essere ricomposto. E Io lo farò».
   «Vuoi combattere Gamaliele? Bada! È potente!».
   «Combattere? Come fosse un nemico? No. Anziché combatterlo Io lo amerò, accontentandolo in un suo desiderio per il suo cervello mummificato ed effondendo su lui un balsamo che lo discioglierà per ricomporlo nuovo».
   «Pregherò io pure perché ciò avvenga, perché gli voglio bene. Faccio male?».
   «No. Devi volergli bene pregando per lui. E lo farai. Certo che lo farai. Anzi mi aiuterai proprio tu a comporre il balsamo… Dirai però a Gamaliele, perché si tranquillizzi, che Io avevo già provveduto per Ermasteo e che gli sono grato del consiglio.

   282.3 Eccoci a Betania. Fermiamoci perché Io vi benedica tutti, perché qui è il luogo di separazione».
   E, riunendosi al gruppo folto degli apostoli fusi coi discepoli, li benedice e congeda, tutti meno Ermasteo e Giovanni di Endor e Timoneo.
   Poi con i rimasti fa svelto i pochi passi che ancora lo dividono dal cancello di Lazzaro, già spalancato a riceverlo, ed entra nel giardino alzando la mano a benedire la casa ospitale, nel cui ampio parco sono sparsi i padroni di casa e le pie donne, che ridono delle corse di Marziam per i sentieri decorati delle ultime rose. E con i padroni e le donne, al grido di queste ultime, spuntano da un sentiero Giuseppe d’Arimatea e Nicodemo, ospiti essi pure di Lazzaro per potere stare in pace col Maestro. E accorrono tutti incontro a Gesù, Maria col suo dolce sorriso e Maria di Magdala col grido d’amore: «Rabbomi!», e Lazzaro claudicante e i due solenni sinedristi e, in coda, le pie donne di Gerusalemme e di Galilea, volti segnati da rughe e volti lisci di giovani donne e, soave come volto d’angelo, il visetto verginale di Annalia che avvampa nel salutare il Maestro.
   «Sintica non c’è?», chiede Gesù dopo i primi saluti.
   «È con Sara e Marcella e Noemi all’addobbo delle mense.
   Ma eccole che vengono».
   E vengono, infatti, insieme alla vecchia Ester di Giovanna: due volti segnati dall’età e dai dolori passati, in mezzo ad altri due volti sereni e, diverso per razza e per tutto un certo “che” che lo distingue, il volto severo e pur luminoso di pace della greca.
   Non potrei neanche definirla una vera e propria bellezza. Ma pure i suoi occhi, di un nero addolcito da sfumature d’indaco cupissimo, sotto una fronte alta e nobilissima, colpiscono più ancora del suo corpo, che è certo più bello del volto, questo sì. Un corpo snello senza esser magro, proporzionato, armonico nel passo e nelle movenze. Ma è lo sguardo, questo sguardo intelligente, aperto, profondo, che pare aspirare il mondo, selezionarlo, trattenere il buono, l’utile, il santo, e respingere ciò che è male, è questo sguardo sincero, che si lascia frugare fin nel profondo e dal quale l’anima si affaccia a scrutare chi l’avvicina, quello che colpisce. Se è vero che l’occhio permette di conoscere l’individuo, io dico che Sintica è donna di giudizio sicuro e di fermi e onesti pensieri.
   Si inginocchia essa pure con le altre e attende a rialzarsi che il Maestro lo ordini.

   282.4 Gesù procede per il verde giardino fino al portico che precede la casa ed entra poi in una sala, dove i servi sono pronti a dare ristoro e ad aiutare i sopraggiunti per le purificazioni avanti il pasto. Mentre le donne si ritirano, tutte, Gesù resta con gli apostoli nella sala, mentre Giovanni di Endor con Ermasteo vanno alla casa di Simone Zelote per deporre le sacche di cui si sono caricati.
   «Quel giovane che è andato con Giovanni il guercio è quel filisteo che Tu hai accettato?», chiede Giuseppe.
   «Sì, Giuseppe. Come fai a saperlo?».
   «Maestro… Io e Nicodemo ce lo domandiamo da qualche giorno come possiamo saperlo e come lo possano sapere gli altri del Tempio, purtroppo. Ma certo è che lo sappiamo. Avanti ai Tabernacoli, alla seduta che sempre precede le feste, alcuni farisei hanno detto di sapere con esattezza che fra i tuoi discepoli, oltre alle… — perdona, Lazzaro — alle peccatrici note e ignote, e ai pubblicani — perdona, Matteo figlio d’Alfeo — e ai già galeotti, si erano uniti un filisteo incirconciso e una pagana. Per la pagana, che certo è Sintica, si comprende che si possa sapere, o per lo meno intuire. Il baccano che ne fece il romano fu grande, ed ha fatto il soggetto di risate fra i suoi simili e fra i giudei, anche perché andò, querulo e minaccioso insieme, a cercarla per ogni dove la sua fuggitiva, importunando persino Erode, perché diceva che si era nascosta in casa di Giovanna e che il Tetrarca doveva imporre al suo intendente di consegnarla al padrone. Ma che fra tanti uomini che ti seguono si possa sapere che uno è filisteo e incirconciso, e uno un già galeotto!… È strano. Molto strano. Non ti pare?».
   «Lo è e non lo è.

   282.5 Provvederò per Sintica e per il già galeotto».
   «Sì. Farai bene ad allontanare Giovanni soprattutto. Non sta bene nelle tue schiere».
   «Giuseppe, sei tu forse divenuto fariseo?», chiede severo Gesù.
   «No… ma…».
   «Ed Io dovrei avvilire un’anima, che si è rigenerata, per stolto scrupolo del peggior fariseismo? No, che non lo farò! Provvederò alla sua tranquillità. Alla sua. Non alla mia. Veglierò alla sua formazione come veglio a quella dell’innocente Marziam. In verità che non vi è differenza nella loro ignoranza spirituale! L’uno dice per le prime volte parole di sapienza perché Dio lo ha perdonato, perché egli è rinato in Dio, perché Dio ha stretto a Sé il peccatore. L’altro le dice perché, passando dalla fanciullezza derelitta ad una adolescenza su cui veglia l’amore dell’uomo oltre che di Dio, apre la sua anima come una corolla al sole, e il Sole di Sé lo illumina. Il suo Sole: Iddio. E uno sta per dire le ultime parole… Non avete occhi per vedere che egli si consuma di penitenza e d’amore? Oh! che in verità vorrei avere molti Giovanni di Endor in Israele e fra i miei servi. Vorrei che anche tu, Giuseppe, e tu, Nicodemo, aveste il suo cuore e soprattutto lo avesse il suo delatore, l’abbietta serpe che si cela sotto veste di amico e che fa la spia prima di fare l’assassino. La serpe che invidia all’uccello le ali e lo insidia per strappargliele e gettarlo nella carcere. Ah! no! L’uccello sta per mutarsi in angelo. E se anche il serpe potesse strappargli le ali, ma non potrà, esse, messe sul suo corpo viscido, si muteranno in ali di demonio. Ogni delatore è già un demonio».

   282.6 «Ma dove sarà questo tale? Ditemelo, che io possa andare subito a strappargli la lingua», esclama Pietro.
   «Faresti meglio a strappargli i denti del veleno», dice Giuda d’Alfeo.
   «Ma no! Meglio strozzarlo! Così non farà più male con niente. Sono esseri che sempre possono nuocere…», dice reciso l’Iscariota.
   Gesù lo fissa e termina: «…e mentire. Ma nessuno deve fare nulla verso di lui. Non merita, per occuparsi del colubro, lasciar perire l’uccello. Riguardo ad Ermasteo Io sosterò qui, proprio in casa di Lazzaro, per la circoncisione dello stesso Ermasteo, che abbraccia, per mio amore e per evitare persecuzioni delle piccole menti ebree, la religione santa del nostro popolo. Non è che un trapasso dalle tenebre alla luce. E non necessario perché venga la luce in un cuore. Ma lo concedo per calmare le suscettibilità d’Israele e per mostrare la vera volontà del filisteo di giungere a Dio. Ma, Io ve lo dico, nel tempo del Cristo non è necessario questo per esser di Dio. Basta la volontà e l’amore, basta la rettezza di coscienza. E dove circoncideremo la greca? In quale punto del suo spirito, se da sé ha saputo sentire Dio meglio di tanti in Israele? In verità che fra i presenti molti sono tenebre rispetto agli sprezzati da voi come tenebre. Ad ogni modo il delatore e voi, sinedristi, potete informare chi di dovere che lo scandalo è levato da oggi stesso».
   «Per chi? Per tutti e tre?».
   «No, Giuda di Simone. Per Ermasteo. Agli altri provvederò.
   Hai altro da chiedere?».
   «Io no, Maestro».
   «E neppure Io ho altro da dirti.

   282.7 Però chiedo a voi di dirmi, se lo sapete, che ne è del padrone di Sintica».
   «È che Pilato lo ha spedito in Italia con la prima nave che ebbe sotto mano, per non aver noie con Erode e cogli ebrei in genere. Traversa dei brutti momenti Pilato… e gli bastano…», dice Nicodemo.
   «Sicura la notizia?».
   «Posso controllarla se lo credi, Maestro», dice Lazzaro.
   «Sì. Fàllo. E dimmi poi la verità».
   «Ma in casa mia Sintica è sicura lo stesso».
   «Lo so. Anche Israele tutela[91] la schiava fuggita a padrone straniero e crudele. Ma voglio saperlo».
   «E io vorrei sapere chi è il delatore, l’informatore, la graziosa spia dei farisei… e, questo si può sapere e lo voglio sapere, chi sono i farisei denunciatori. Fuori i nomi dei farisei e della città loro. Dico dei farisei che hanno fatto il bel lavoro di informare, previo tradimento di uno di noi — perché solo noi sappiamo certe cose, noi, discepoli vecchi e nuovi — di informare il Sinedrio sui fatti del Maestro, i quali fatti sono tutti giusti, ed è un demonio chi dice e pensa il contrario, e…».
   «E basta, Simone di Giona. Io te lo comando».
   «E io ubbidisco, anche a costo che mi si scoppino le vene del cuore per lo sforzo. Ma intanto il bello di questa giornata è andato…».
   «No. Perché? È mutato qualcosa fra noi? E allora? O mio Simone! Ma vieni qui al mio fianco e parliamo di ciò che è buono…».
   «Ci vengono a dire che è ora del pasto, Maestro», dice Lazzaro.
   «E andiamo, allora…».

[91] tutela, come già detto in 255.9. Le leggi sulla schiavitù e sulla condotta da tenersi verso gli schiavi sono in: Esodo 21, 1-11.20-21.26-27.32; Levitico 25, 39-55; Deuteronomio 15, 12-18; 16, 11; 23, 16-17; Geremia 34, 8-22.