MARIA
VALTORTA

Voglio che le anime possano bere alla Fonte vitale della mia parola

"Quando la Chiesa - e per tale alludo ora alla riunione degli alti dignitari di Essa - agì secondo i dettami della mia Legge e del mio Vangelo, la Chiesa conobbe tempi fulgidi di fulgore. Ma guai quando, anteponendo gli interessi della Terra a quelli del Cielo, inquinò Se stessa con passioni umane! Tre volte guai quando adorò la Bestia di cui parla Giovanni, ossia la Potenza politica, e se ne fece asservire..." (Qd 12 dicembre 1943)

OPERA MAGGIORE

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VOLUME IV CAPITOLO 285



CCLXXXV. Lazzaro offre un rifugio per Giovanni di Endor e Sintica. Viaggio lieto verso Gerico senza l'Iscariota.

   24 settembre 1945.

   285.1 «Lazzaro, amico mio, Io ti chiedo di venire con Me», dice Gesù apparendo sulla soglia della sala dove Lazzaro sta semisdraiato su un lettuccio, leggendo un rotolo.
   «Subito, Maestro. Dove andiamo?», chiede Lazzaro alzandosi subito.
   «Per la campagna. Ho bisogno di essere tutto solo con te». Lazzaro lo guarda turbato e chiede: «Hai tristi notizie da darmi in segreto? Oppure… No, non ci voglio pensare…».
   «Non ho che da consigliarmi con te, e neppure l’aria deve sapere ciò che noi diremo. Ordina il carro, perché non ti voglio stancare. Quando saremo in aperta campagna ti parlerò».
   «Allora guido io. Così neppure il servo sa che abbiamo detto».
   «Sì. Proprio così».
   «Vado subito, Maestro. Fra poco tempo sarò pronto», ed esce.
   Anche Gesù esce dopo essere rimasto un poco pensieroso in mezzo alla ricca stanza. Mentre pensava, ha macchinalmente mosso due o tre oggetti, raccolto il rotolo caduto per terra, e infine, nel rimetterlo a posto in una scansia per quell’innato istinto dell’ordine che è tanto forte in Gesù, rimane a braccio alzato ad osservare degli oggetti di un’arte strana, per lo meno diversa da quella corrente in Palestina, allineati sopra il piano della scansia. Sono anfore e coppe antichissime, sembra, dagli sbalzi e disegni imitanti i fregi dei templi dell’antica Grecia e delle urne funerarie. Cosa veda oltre l’oggetto in se stesso, non so… Esce e va nel cortile interno dove sono gli apostoli.
   «Dove andiamo, Maestro?», chiedono vedendo che Gesù si aggiusta il mantello.
   «In nessun luogo. Io esco con Lazzaro. Voi rimanete qui ad attendermi, tutti insieme. Sarò presto di ritorno».
   I dodici si guardano fra di loro… Sono poco contenti…
   Pietro dice: «Vai solo? Stai attento…».
   «Non temere cosa alcuna. Mentre attendete, non state in ozio. Istruite ancora Ermasteo perché sempre più conosca la Legge e fatevi buona compagnia, senza dispute e sgarbi. Compatitevi, amatevi».
   Si avvia verso il giardino e tutti lo seguono. Presto viene un carro leggero, coperto, su cui è già Lazzaro.
   «Col carro vai?».
   «Sì, perché Lazzaro non si affatichi le gambe. Addio, Marziam. Sii buono. La pace a voi tutti».
   Monta sul carro che, facendo scricchiolare la ghiaietta del viale, esce dal giardino prendendo la via maestra.
   «Vai all’Acqua Speciosa, Maestro?», gli grida dietro Tommaso.
   «No. Ancora vi dico: siate buoni».

   285.2 Il cavallo parte con un robusto trotto. La via, quella che da Betania va a Gerico, passa per la campagna che si spoglia. E sempre più si nota questo morire del verde quanto più si scende verso la pianura.
   Gesù pensa. Lazzaro tace occupandosi solo della guida del cavallo. Quando sono proprio in pianura — una pianura fertile, già tutta pronta a nutrire il seme del futuro grano, già tutta dormente nei suoi vigneti come una donna che ha dato da poco alla luce il suo frutto e si riposa della dolce fatica — Gesù fa cenno di fermare. E Lazzaro ferma ubbidiente, conducendo il cavallo in una stradella secondaria diretta verso case lontane… e spiega: «Qui saremo ancora più tranquilli che sulla grande strada. Questi alberi ci riparano dalla vista di molti».
   Infatti un ciuffo di piante basse e folte fanno come da paravento contro le curiosità dei passanti. E Lazzaro sta dritto davanti a Gesù, in attesa.
   «Lazzaro, Io ho bisogno di allontanare Giovanni di Endor e Sintica. Tu vedi che la prudenza lo consiglia, e anche la carità. Per l’uno e per l’altra sarebbe una pericolosa prova, un inutile dolore essere a conoscenza della persecuzione lanciatasi su loro… e che potrebbe, almeno per uno, provocare penosissime sorprese».
   «In casa mia…».
   «No. Neppure in casa tua. Non sarebbero toccati materialmente, forse. Ma avviliti moralmente. Il mondo è crudele. Frantuma le sue vittime. Io non voglio che si perdano queste due belle forze, così. Perciò, come ho unito un giorno il vecchio Ismaele con Sara, ora unirò il mio povero Giovanni con Sintica. Voglio che muoia in pace e non sia solo, e con l’illusione di essere mandato altrove non perché è “l’ex-galeotto”, ma perché è il discepolo proselite che può trasferirsi altrove a predicare il Maestro. E Sintica lo aiuterà… Sintica è una bella anima e sarà una grande forza nella Chiesa futura e per la Chiesa futura.

   285.3 Mi puoi tu consigliare dove mandarli? In Giudea, in Galilea e neppure nella Decapoli, là dove Io e con Me gli apostoli e discepoli andiamo, no. Nel mondo pagano, no. Dove allora? Dove, che siano utili e sicuri?».
   «Maestro… io… Ma consigliare io Te!».
   «No, no. Parla. Tu mi vuoi bene, tu non tradisci, tu ami chi Io amo, tu non sei di mente ristretta come altri».
   «Io… Sì. Io ti consiglierei di mandarli dove io ho degli amici. A Cipro o in Siria. Scegli Tu. In Cipro ho persone fidate. In Siria poi!… Ho ancora qualche piccola casa, sorvegliata da un intendente fedele più di una pecorina. Il nostro vecchio Filippo! Per me farà ogni cosa che dico. E, se me lo concedi, essi, coloro che Israele perseguita e ti sono cari, potranno dirsi miei ospiti da ora, sicuri nella casa… Oh! non è una reggia! È una casa in cui abita solo Filippo con un nipote che si occupa dei giardini di Antigonio. Gli amati giardini della madre mia. Li abbiamo conservati per suo ricordo. Aveva portato in essi le piante dei suoi giardini giudei, dalle essenze rare… La mamma!… Con esse quanto bene faceva ai poveri… Erano il suo feudo segreto… La mia mamma… Maestro, io presto le andrò a dire: “Godi, o madre buona. Il Salvatore è sulla Terra”. Ti attendeva…». Due righe di pianto sono sul volto sofferente di Lazzaro. Gesù lo guarda e sorride.

   285.4 Lazzaro si riprende. «Ma parliamo di Te. Ti pare buon luogo?».
   «Mi pare. E una volta di più ti ringrazio, per Me e per loro. Mi sollevi di un grande peso…».
   «Quando partiranno? Lo chiedo per preparare una lettera per Filippo. Dirò che sono due miei amici di qui, bisognosi di pace. E basterà così».
   «Sì. Basterà così. Però, te ne prego, neppur l’aria sappia tutto questo. Tu lo vedi! Io sono spiato…».
   «Lo vedo. Non parlerò neppure con le sorelle. Ma come farai a condurli là? Hai con Te gli apostoli…».
   «Ora risalirò fino a Aera senza Giuda di Simone, Tommaso, Filippo e Bartolomeo. Intanto istruirò a fondo Sintica e Giovanni… perché vadano con grande viatico di Verità. Poi scenderò al Meron e da lì a Cafarnao. E lì… e lì manderò ancora via i quattro, con altre missioni, e intanto farò partire per Antiochia i due. A questo sono costretto…».
   «A dover temere dei tuoi. Hai ragione… Maestro, io soffro nel vederti crucciato…».
   «Ma la tua buona amicizia mi conforta tanto… Lazzaro, Io ti ringrazio… Dopo domani Io parto e ti levo le sorelle. Ho bisogno di molte discepole per confondere fra esse Sintica. Viene anche Giovanna di Cusa. Da Meron andrà a Tiberiade perché passerà l’inverno là. Così vuole il marito per averla più vicina, perché Erode torna a Tiberiade per qualche tempo».
   «Sarà fatto come Tu desideri. Le mie sorelle sono tue, come lo sono io, le mie case, i miei servi, i miei averi. Tutto è tuo, Maestro. Usane per il bene. Ti preparerò la lettera per Filippo.
   È meglio che Tu l’abbia direttamente».
   «Grazie, Lazzaro».
   «È tutto quello che posso fare… Fossi sano, verrei… Guariscimi, Maestro, e verrò».
   «No, amico. Tu mi necessiti così come sei».
   «Anche se non faccio nulla?».
   «Anche. Oh! mio Lazzaro!», e Gesù lo abbraccia e bacia.

   285.5 Risalgono sul carro e tornano indietro.
   Ora è Lazzaro che è molto silenzioso e pensieroso, e Gesù gliene chiede la ragione.
   «Penso che perdo Sintica. Mi attraevano la sua scienza e la sua bontà…».
   «L’acquista Gesù…».
   «È vero. È vero. Quando ti rivedrò, Maestro?».
   «A primavera».
   «Fino a primavera più? Lo scorso anno eri da me per l’Encenie…».
   «Quest’anno accontento gli apostoli. Ma l’anno futuro starò molto con te. Te lo prometto».
   Betania appare sotto al sole ottobrino. Stanno quasi per giungervi quando Lazzaro trattiene il cavallo per dire: «Maestro, fai bene ad allontanare l’uomo di Keriot. Io temo di lui.
   Non ti ama. Non mi piace. Non mi è mai piaciuto. È un sensuale e un avido. Per questo può giungere ad ogni peccato. Maestro, è lui che ti ha denunciato…».
   «Ne hai le prove?».
   «No».
   «E allora non giudicare. Non sei molto esperto nel giudicare. Ricordati che giudicavi inesorabilmente perduta la tua Maria… Non dire che è merito mio. Lei mi ha cercato per prima».
   «È vero anche questo. Ma insomma, temi di Giuda».
   Dopo poco rientrano nel giardino dove attendono gli apostoli, curiosi.

   285.6 L’assenza di quattro apostoli, e soprattutto di Giuda, fa più intimo e felice il gruppo dei superstiti. È proprio una famiglia, i cui capi sono Gesù e Maria, quella che, volgendo le spalle a Betania in una mattina serena di ottobre, si dirige verso Gerico per passare alla sponda opposta del Giordano. Raggruppate le donne intorno a Maria: e non manca che Annalia al gruppo femminile delle discepole, ossia delle tre Marie, Giovanna, Susanna, Elisa, Marcella, Sara e Sintica. Raggruppati intorno a Gesù: Pietro, Andrea, Giacomo e Giuda d’Alfeo, Matteo, Giovanni e Giacomo di Zebedeo, Simone Zelote, Giovanni di Endor, Ermasteo e Timoneo; mentre Marziam, saltando come un capretto, fa la spola da questo a quel gruppo, che procedono a pochi metri l’uno dall’altro. Carichi di pesanti sacche, vanno allegri per la via soleggiata dolcemente, per la campagna solenne nel suo riposo.

   285.7 Giovanni di Endor procede a fatica sotto il peso che gli pende sulle spalle.
   Pietro se ne accorge e dice: «Da’ qui, posto che hai voluto riprendere questa zavorra. Ne avevi nostalgia?».
   «Me lo ha ordinato il Maestro».
   «Sì? Oh! bella! Perché mai?».
   «Non lo so. Mi ha detto ieri sera: “Riprendi i tuoi libri e vieni dietro a Me con quelli”».
   «Oh! bella, bella!… Ma se lo ha detto Lui, certo è cosa buona. Forse lo farà per quella donna. Quante cose sa, eh? Le sai anche tu?».
   «Quasi quanto lei. È molto dotta».
   «Ma non continuerai a venirci dietro con questo peso, eh?».
   «Oh! non credo. Ma non lo so. Ma posso portarlo anche io…».
   «No, amico. Mi preme che tu non ti ammali. Sei male in arnese, lo sai?».
   «Lo so. Mi sento morire».
   «Non fare scherzi! Lasciaci almeno arrivare a Cafarnao. Si sta così bene ora che siamo fra noi senza quel… Maledetta lingua! Ho mancato ancora alla promessa fatta al Maestro!…

   285.8 Maestro? Maestro?».
   «Che vuoi, Simone?».
   «Ho mormorato su Giuda e ti avevo promesso che non lo avrei più fatto. Perdonami».
   «Sì. Cerca di non farlo più».
   «Ho ancora 489 volte da avere il tuo perdono…».
   «Ma che dici, fratello?», chiede Andrea stupito.
   E Pietro, tutto un brillìo di arguzia sul viso buono, torcendo il collo sotto il peso della sacca di Giovanni di Endor: «E non ti ricordi che ha detto Lui di perdonare settanta volte sette?
   Perciò io ho ancora da avere 489 perdoni. Ne terrò conto accurato…».
   Ridono tutti, anche Gesù deve sorridere per forza. Ma risponde: «Faresti meglio a tenere conto di tutte le volte che sai essere buono, o grande bambino che sei».
   Pietro gli va vicino e col braccio destro cinge la vita di Gesù dicendo: «Caro il mio Maestro! Come sono felice di essere con Te senza… Va’ là! Sei contento anche Tu… E Tu mi capisci quel che voglio dire. Siamo fra noi. C’è tua Madre. C’è il bambino. Si va verso Cafarnao. La stagione è bella… Cinque ragioni per essere felici. Oh! è pur bello venire con Te! Dove ci fermiamo questa sera?».
   «A Gerico».
   «L’anno passato ci abbiamo visto la Velata. Ma chissà mai che ne è successo… Sarei curioso di saperlo… E abbiamo tro vato anche quello delle vigne…». La risata di Pietro è contagiosa, tanto è sonora. Ridono tutti, ripensando alla scena dell’incontro con Giuda di Keriot.
   «Ma sei incorreggibile, Simone!», rimprovera Gesù.
   «Non ho detto niente, Maestro. Ma mi è venuto da ridere pensando alla sua faccia quando ci ha trovati lì… nelle sue vigne…». Pietro ride così di gusto che deve fermarsi, mentre gli altri vanno avanti ridendo per forza.

   285.9 Pietro è raggiunto dalle donne. Maria chiede dolcemente:
   «Che hai, Simone?».
   «Ah! non lo posso dire perché farei un’altra mancanza di carità. Ma… ecco, Madre, dimmi un poco, tu che sei sapiente. Se io faccio una insinuazione o, peggio, una calunnia, pecco, è naturale. Ma se io rido di una cosa nota a tutti, di un fatto che è noto a tutti, fatto che fa ridere, come per esempio ricordare la sorpresa di un bugiardo, il suo impiccio, le sue scuse, e tornare a ridere come già ridemmo, è ancora male?».
   «È una imperfezione alla carità. Non è peccato come la maldicenza o la calunnia e neppure come l’insinuazione, ma è sempre una mancanza di carità. È come un filo tirato fuori in un tessuto. Non è un vero strappo, non è neppure una consunzione della stoffa, ma è sempre una cosa che intacca l’integrità della stoffa e la sua bellezza, predisponendo diradature e buchi. Non ti pare?».
   Pietro si stropiccia la fronte e dice un poco mortificato: «Mi pare. Non ci avevo pensato mai».
   «Pensaci ora e non lo fare più. Vi sono risate più offensive alla carità di schiaffi. Ha sbagliato qualcuno? Lo abbiamo colto in colpa di menzogna o altro? Ebbene? Perché ricordarlo? E farlo ricordare? Caliamo il velo sulle colpe del fratello, sempre pensando: “Fossi io il colpevole, amerei che un altro ricordasse questa colpa e la facesse ricordare?”. Ci sono dei rossori intimi, Simone, che fanno tanto soffrire. Non scuotere il capo. So ciò che vuoi dire… Ma anche i colpevoli li hanno, credilo. Parti, parti sempre dal pensiero: “Amerei per me ciò?”. Vedrai che non peccherai mai più contro la carità. E avrai sempre tanta pace in te. Guarda là Marziam come salta e canta beato. È perché lui non ha nessun pensiero in cuore. Lui non deve pensare a itinerari, a spese, a parole da dire. Lui sa che altri pensano a tutto questo per lui. Anche tu fa’ così. Abbandona tutto a Dio. Anche il giudizio sulle persone. Finché puoi essere come un bambino che il buon Dio conduce, perché ti vuoi caricare del peso di decidere e giudicare? Verrà il momento che dovrai essere giudice e arbitro, e allora dirai: “Oh! come era più facile prima, meno pericoloso!” e ti darai dello stolto per avere voluto caricarti prima del tempo di tanta responsabilità. Giudicare! Che cosa difficile! Hai sentito cosa ha detto Sintica giorni or sono? “Le ricerche a mezzo del senso sono sempre imperfette”. Ha detto molto bene. Molte volte noi giudichiamo proprio per le reazioni del senso.
   Con imperfezioni somme, perciò. Lascia di giudicare…».
   «Sì, Maria. A te lo prometto proprio.

   285.10 Ma io tutte le belle cose che sa Sintica non le so!».
   «E te ne affliggi, uomo? Non sai che io me ne voglio sbarazzare per prendere solamente quelle che tu sai?».
   «Davvero? Perché?».
   «Perché con la scienza puoi reggerti sulla Terra, ma con la sapienza conquisti il Cielo. La mia è scienza, la tua è sapienza».
   «Ma con la tua scienza hai saputo venire a Gesù! Dunque è buona cosa».
   «Mescolata a tanti errori, per cui io vorrei spogliarmene per rivestirmi solo della sapienza. Via le vesti ornate e vane. Sia mia la veste severa e senza appariscenza esterna della sapienza, che non il corruttibile ma l’immortale riveste[93] di imperitura veste. La luce della scienza tremola e vacilla. Quella della sapienza splende uniforme e invariabilmente costante così come è il Divino da cui essa si genera».
   Gesù ha rallentato il passo per sentire. Si volge e dice alla greca: «Non devi anelare a spogliarti di tutto quanto sai. Ma devi scegliere, fra questo tuo sapere, ciò che è atomo di Intelligenza eterna conquistato da menti di innegabile valore».
   «Hanno dunque quelle menti ripetuto in sé il mito del fuoco rapito agli dèi?».
   «Sì, donna. Qui non rapito. Ma saputo cogliere quando la Divinità li sfiorava dei suoi fuochi, carezzandoli come esemplari, sparsi fra un’umanità decaduta, di ciò che è l’uomo, essere dotato di ragione».
   «Maestro, Tu dovresti indicarmi ciò che devo ritenere e ciò che devo lasciare. Io non sarei buon giudice. E poi, a colmare gli spazi vuoti, mettere luci della tua sapienza».
   «È ciò che intendo fare. Ti indicherò fino a che punto è saggio il pensiero che sai e lo continuerò da quel punto fino alla fine della idea vera. Perché tu sappia. Farà bene anche a costoro, destinati ad avere molti contatti futuri con i gentili».
   «Non ci capiremo niente, Signore», geme Giacomo di Zebedeo.
   «Poco per ora. Ma un giorno capirete. E le lezioni di ora e la necessità di esse. E tu, Sintica, esponimi i punti per te più oscuri. Nelle soste te li chiarirò».
   «Sì, mio Signore. È il desiderio dell’anima mia che si fonde al tuo desiderio. Io discepola della Verità, e Tu Maestro. Il sogno di tutta la mia vita: il possesso della Verità».

[93] riveste, invece di veste, è correzione nostra per evitare l’equivoco della parola veste, usata come forma del verbo vestire e ripetuta come sostantivo.