MARIA
VALTORTA

Voglio che le anime possano bere alla Fonte vitale della mia parola

"Quando la Chiesa - e per tale alludo ora alla riunione degli alti dignitari di Essa - agì secondo i dettami della mia Legge e del mio Vangelo, la Chiesa conobbe tempi fulgidi di fulgore. Ma guai quando, anteponendo gli interessi della Terra a quelli del Cielo, inquinò Se stessa con passioni umane! Tre volte guai quando adorò la Bestia di cui parla Giovanni, ossia la Potenza politica, e se ne fece asservire..." (Qd 12 dicembre 1943)

OPERA MAGGIORE

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VOLUME IV CAPITOLO 287



CCLXXXVII. Da Ramot a Gerasa con la carovana del mercante.

   26 settembre 1945.

   287.1 Nella luce un poco cruda del mattino alquanto ventoso, la singolarità di questo paese appoggiato su una piattaforma rocciosa, sollevata fra una corona di picchi, quali più alti, quali più bassi di esso, appare in tutta la sua caratteristica bellezza. Sembra un grande vassoio di granito con sopra appoggiate case, casette, ponti, fontane, per il divertimento di un bambino gigante.
   Le case sembrano intagliate nella roccia calcarea, che costituisce la materia base di questa zona. Squadrate a blocchi sovrapposti, quali senza intonaco, quali neppur sgrezzati, sembrano proprio casette di un paesello da presepio, costruito coi cubi da un grande bambino ingegnoso.
   E tutto intorno a questo paesello si contempla la sua fertile campagna alberata, variata nelle colture per cui dall’alto sembra un tappeto a quadri, a trapezi, a triangoli, quali bruni di terra zappata di fresco, quali verdi smeraldo per l’erba rinata alle piogge d’autunno, quali rosseggianti per le estreme foglie delle viti e dei frutteti, quali verde grigio per pioppi e salici, o verde smalto per querce e carrubbi, o verde bronzo per cipressi e conifere. Molto, molto bello!
   E strade che vanno, come nastri da un nodo, dal paese alla pianura lontana, oppure verso monti anche più alti, e sprofondano sotto boschi, oppure dividono di un segno bigio il verde dei prati, il bruno dei campi arati.
   E vi è un ridente corso d’acqua, che è d’argento oltre il paese verso la sorgente, che è di azzurro sfumato in giada al lato opposto, nella discesa a valle fra gole e pendici, e che appare e dispare, scherzoso, sempre più robusto e sempre più azzurro man mano che, ingrossando le sue acque, non permette più alle canne del fondale e alle erbe nate nell’alveo nei mesi di secca di tingerlo di verde, ma riflette il cielo, avendo seppellito gli steli sotto un velo d’acque già fonde.
   Il cielo è di un azzurro irreale: una scaglia preziosa di smalto azzurro carico, senza una incrinatura impura nella sua compagine stupenda.

   287.2 E la carovana si rimette in moto così, con le donne a cavallo ancora perché, come dice il mercante, la strada è penosa oltre il paese e occorre farla presto per giungere a Gerasa entro notte. Imbacuccati, lesti perché riposati, vanno svelti per la strada che ascende fra boscaglie stupende, rasentando le pendici più alte di un monte solitario, che si alza come un enorme blocco sulle schiene degli altri monti sottoposti. Un vero gigante, quale se ne riscontrano nei punti più alti del nostro Appennino.
   «Galaad», dice accennandolo il mercante, che è rimasto presso a Gesù, conducente sempre per le briglie il muletto della Vergine. E aggiunge: «Dopo questo la strada è più buona. Sei mai stato qui?».
   «Mai. Volevo farla a primavera. Ma a Galgala fui respinto».
   «Respingere Te? Che errore!».
   Gesù lo guarda e tace.
   Il mercante si è preso in sella Marziam, che proprio penava con le sue gambette corte a tenere dietro al passo sollecito dei cavalli. E lo sa Pietro se è sollecito! Viene avanti arrancando a tutta forza, imitato dagli altri, ma è sempre distanziato alquanto dalla carovana. Suda, ma è contento perché sente ride re Marziam, vede riposata la Madonna e lieto il Signore. Parla sbuffando con Matteo e con suo fratello Andrea, che sono quelli che restano in coda a tutti come lui, e li fa ridere dicendo che se come ha le gambe avesse le ali sarebbe felice in quella mattina. Si è sbarazzato da ogni peso, come gli altri, legando le sacche alle selle delle donne, ma la strada è proprio tremenda, su pietre che la guazza fa scivolose. I due Giacomi insieme a Giovanni e il Taddeo sono più bravi e tengono il passo presso le mule delle donne. Simone Zelote parla con Giovanni di Endor. Timoneo ed Ermasteo si occupano anche loro di guidare i muletti.

   287.3 Finalmente il più brutto è superato e tutto un diverso scenario si apre alla vista stupita. La valle del Giordano è definitivamente sparita. Ora l’occhio spazia ad oriente su un altipiano di una estensione imponente, sul quale solo una crespatura di colli accenna appena ad elevarsi per interrompere la monotonia del paesaggio. Non avrei mai pensato che ci potesse essere in Palestina una simile cosa. Sembra che, dopo la tempesta rocciosa dei monti, questa si sia pietrificata e pacificata in un enorme flutto rimasto sospeso fra il livello del fondo e il cielo, con unico ricordo della sua furia originale in quelle rughettine di colli, la spuma delle creste solidificata qua e là, mentre l’acqua del flutto si è distesa in una piana superficie di una magnificenza meravigliosa. E a questa zona di pace luminosa si accede per l’ultima gola, selvaggia come è l’abisso fra due marosi che si cozzano, i due ultimi marosi di una mareggiata, nel cui fondo è un nuovo torrente spumeggiante che corre verso ovest venendo da est in un tormentato, iroso cammino fra rocce e cascate, così in contrasto con la pace lontana dell’enorme pianoro.
   «Ora la via sarà buona. Se permetti ordino la sosta», dice il mercante.
   «Io mi lascio guidare da te, uomo. Tu sai».
   Scendono tutti e si spargono per la pendice cercando legna per cuocere i cibi, acqua per i piedi stanchi, per le gole assetate. Le bestie, scaricate del carico, brucano l’erba folta o scendono all’abbeverata nelle acque limpide del torrente. Odor di resine e di carni arrostite si spargono dai piccoli roghi drizzati per cuocere gli agnelli.
   Gli apostoli si sono preparati il loro fuocherello e su questo scaldano del pesce salato, previa lavatura nell’acqua fresca del torrente. Ma il mercante vede, e viene portando un agnelletto scuoiato, o capretto che sia, e forza ad accettare. E Pietro si accinge ad arrostirlo dopo averlo stipato di mentucce fresche.
   Il pasto è presto preparato e presto consumato.

   287.4 E sotto il sole a perpendicolo del mezzodì la marcia è ripresa su una via migliore, che costeggia il torrente in direzione nord-est, in una zona di una fertilità meravigliosa e molto ben coltivata, ricca di pecore e di branchi di porci che fuggono grugnando davanti alla carovana.
   «Quella città murata è Gerasa, Signore. Città di grande avvenire. Ora si sta formando, e credo di non errare dicendo che competerà presto con Joppe ed Ascalona, con Tiro e con molte altre città, per bellezza, commerci e ricchezza. I romani ne vedono l’importanza su questa via che dal mar Rosso, e perciò dall’Egitto, per Damasco va al mare Pontico. E aiutano i geraseni a costruire… Hanno occhio e fiuto buono. Per ora ha solo molti commerci, ma poi!… Oh! sarà bella e ricca! Una piccola Roma con templi e piscine, circhi e terme. Io vi avevo solo commerci. Ma ora vi ho già preso molto suolo, per farvi empori, per rivenderlo a caro prezzo fra poco, forse per costruirvi una casa da vero signore e venire a starvi in vecchiaia quando Baldassare, Nabor, Felice e Sidmia potranno rispettivamente tenere e guidare gli empori di Sinopo, Tiro, Joppe e Alessandria nella foce del Nilo. Intanto cresceranno gli altri tre figli maschi e darò loro gli empori di Gerasa, di Ascalona, di Gerusalemme forse. E le femmine, ricche e belle, saranno cercate e faranno buoni matrimoni e mi daranno molti nipoti…».
   Il mercante sogna ad occhi aperti il più roseo e aureo futuro.

   287.5 Gesù chiede calmo: «E poi?».
   Il mercante si scuote, lo guarda perplesso e poi dice: «E poi? Basta. Dopo verrà la morte… È triste. Ma è così».
   «E lascerai ogni attività? Ogni emporio? Ogni affetto?».
   «Ma Signore! Io non lo vorrei. Ma, come sono nato, devo anche morire. E dovrò lasciare tutto», e tira un sospirone tale da far procedere la carovana col suo vento…
   «Ma chi ti dice che da morti si lascia tutto?».
   «Chi? Ma i fatti! Morti che si è… Più nulla. Non più mani, non più occhi, non più orecchie…».
   «Non sei soltanto mani, occhi e orecchie».
   «Sono un uomo. Lo so. Ho altre cose. Ma tutte finite con la morte. È come il tramonto del sole. Il tramonto lo annulla…».
   «Ma l’aurora lo ricrea, o meglio lo ripresenta. Tu sei un uomo, lo hai detto. Non sei un animale come quello che cavalchi. Lui, morto che sia, è realmente finito. Tu no. Tu hai l’anima.
   Non lo sai? Neppur questo sai più?».
   Il mercante sente il triste rimprovero, triste e dolce, e china la testa mormorando: «Questo lo so ancora…».
   «E allora? Non sai che l’anima sopravvive?».
   «Lo so».
   «E allora? Non sai che ha sempre un’attività nell’oltre vita?
   Santa, se ella è santa. Malvagia, se ella è malvagia. Ha i suoi sentimenti. Oh! Come li ha! Di amore, se santa. Di odio, se dannata. Odio per chi? Per le cause della sua dannazione. Nel tuo caso le attività, gli empori, gli affetti tutti umani. Di amore per chi? Per le stesse cose. E che benedizioni sui figli e sulle attività dei figli può portare un’anima che è nella pace del Signore!».
   L’uomo è pensieroso. Dice poi: «È tardi. Sono vecchio, ormai». E ferma il mulo.
   Gesù sorride e risponde: «Io non ti forzo. Ti consiglio», e poi si volge a guardare gli apostoli che, nella tappa prima di entrare in città, aiutano le donne a scendere e prendono le loro sacche.

   287.6 La carovana riparte, entrando presto dalla porta vegliata dalle torri nella città piena di traffico.
   Il mercante torna da Gesù: «Vuoi ancora stare con me?».
   «Se tu non mi scacci, perché non dovrei volere?».
   «Per quello che ti ho detto. A Te, santo, io devo fare schifo».
   «Oh! no! Sono venuto per quelli come te. Vi amo perché siete i più bisognosi. Tu non mi conosci ancora. Ma Io sono l’Amore che passa mendicando amore».
   «Allora non mi odii?».
   «Io ti amo».
   L’uomo ha un luccichio negli occhi fondi. Ma dice con un sorriso: «Allora staremo insieme. A Gerasa io mi fermo tre giorni per affari. Lì lascio i muli per i cammelli. Ho la posta delle carovane nei luoghi di tappa maggiore e ho un servo a badare le bestie che lascio nel luogo. E Tu che farai?».
   «Evangelizzerò nel sabato. Ti avrei lasciato se tu non avessi sostato, perché il sabato è sacro al Signore».
   L’uomo aggrotta la fronte, pensa e, come a fatica, assente:
   «…Già… È vero. È sacro al Dio d’Israele. È sacro. È sacro». Guarda Gesù… «Te lo consacrerò, se permetti».
   «A Dio. Non al suo Servo».
   «A Dio e a Te, ascoltandoti. Farò oggi gli affari e nella mattina di domani. E poi ti ascolterò. Vieni all’albergo ora?».
   «Per forza. Ho le donne e qui sono sconosciuto».
   «Eccolo il mio. È mio perché ci stanno le mie scuderie di anno in anno. Ma ho vaste stanze per le mercanzie. Se credi…».
   «Dio te ne compensi. Andiamo».