MARIA
VALTORTA

Voglio che le anime possano bere alla Fonte vitale della mia parola

"Quando la Chiesa - e per tale alludo ora alla riunione degli alti dignitari di Essa - agì secondo i dettami della mia Legge e del mio Vangelo, la Chiesa conobbe tempi fulgidi di fulgore. Ma guai quando, anteponendo gli interessi della Terra a quelli del Cielo, inquinò Se stessa con passioni umane! Tre volte guai quando adorò la Bestia di cui parla Giovanni, ossia la Potenza politica, e se ne fece asservire..." (Qd 12 dicembre 1943)

OPERA MAGGIORE

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VOLUME IV CAPITOLO 292



CCXCII. A Bozra l'insidia di scribi e farisei.

   1 ottobre 1945.

   292.1 Bozra, sia per la stagione, sia per essere così chiusa nelle sue stradette, si mostra al mattino opaca di nebbia. Opaca e molto sporca. Gli apostoli, tornati dalle compere sul mercato, ne parlano fra di loro. Perché l’industria alberghiera di quei tempi e di questi luoghi è talmente preistorica, che ognuno deve pensare ai suoi vettovagliamenti. Si capisce che gli osti non ci vogliono rimettere una briciola. Si limitano a cucinare ciò che gli avventori portano, e speriamo che non rubino sul portato. O al massimo a comperare per l’avventore o a vendere direttamente all’avventore le vettovaglie di cui hanno scorte, facendo da macellai, all’occorrenza, sui poveri agnelli destinati ad essere arrostiti.
   Questo di comperare dall’oste non è garbato a Pietro, e ora continua il battibecco fra l’apostolo e l’oste — una faccia malandrina alquanto — il quale non manca di insolentire l’apostolo dandogli del «galileo», mentre quello rimbecca, accennando ad un porcellino sgozzato or ora dall’oste per conto di avventori di passaggio: «Io galileo, tu porco, pagano che sei. Nel tuo fetido albergo non ci starei un’ora se fossi padrone di me. Ladro e…» (e qui aggiunge un altro termine molto… esplicativo, che lascio nella penna). Deduco che fra questi di Bozra e i galilei ci sia una delle tante incompatibilità regionali e religiose di cui era pieno Israele, o meglio la Palestina.
   L’oste urla più forte: «Se non fosse perché tu sei col Nazareno, e io sono meglio dei vostri lerci farisei che lo odiano senza ragione, ti laverei il muso col sangue del porco, così dovresti sgombrare di qui per correre a purificarti. Ma rispetto Lui, di cui è certa la potenza. E ti dico che con tutte le vostre storie siete dei peccatori. Siamo meglio noi di voi. Noi non insidiamo, noi non tradiamo. Voi, puah! Razza di traditori ingiusti e ribaldi che non rispettate neppure i pochi santi che avete fra voi».
   «A chi traditori? A noi? Ah! viva il Cielo che ora…». Pietro è inviperito e sta per scagliarsi, mentre suo fratello e Giacomo lo trattengono e Simone Zelote si interpone con Matteo.

   292.2 Ma, più che la loro opera, vale a far cadere l’ira la voce di Gesù, che si affaccia da una porta e dice: «Che ora tu, Simone, taci. E tu, uomo, taci ugualmente».
   «Signore, quest’oste ha insinuato e minacciato per il primo».
   «Nazareno, io sono stato offeso per il primo».
   Io, lui. Lui e io. Si rimbalzano a vicenda la colpa i due colpevoli.
   Gesù si fa avanti serio e calmo. «Avete torto tutti e due. E tu, Simone, più di lui. Perché tu conosci la dottrina dell’amore, del perdono, della mansuetudine, della pazienza, della fratellanza. Per non essere maltrattati come galilei occorre farsi rispettare come santi. E tu, uomo, se ti senti migliore degli altri, benedicine Iddio e sii degno di divenire sempre di più buono. E soprattutto non sporcare la tua anima con accuse bugiarde. I miei discepoli non tradiscono e non insidiano».
   «Ne sei certo, Nazareno? E allora perché quei quattro sono venuti a farmi domande se eri venuto, con chi eri e tante belle cose?».
   «Cosa? Cosa? Chi sono? Dove sono?». Gli apostoli si affollano, dimenticando che si accostano ad uno bagnato di sangue di porco, cosa che prima li faceva stare alla larga inorriditi.
   «Andate voi ai vostri affari. Resta pure, tu, Misace».

   292.3 Gli apostoli se ne vanno nella stanza dalla quale è uscito Gesù, e nel cortile restano solo, uno di fronte all’altro, Gesù e l’oste. A qualche passo da Gesù è il mercante che sta osservando la scena, stupito.
   «Rispondi, uomo. Con sincerità. E perdona se il sangue ha inviperito la lingua di un mio discepolo. Chi sono questi quattro e che hanno detto?».
   «Chi siano non so di preciso. Ma certo scribi e farisei dell’altra parte. Chi li abbia portati qui non so. Non li ho mai visti. Ma loro sono bene al corrente di Te. Sanno da dove vieni, dove vai, con chi sei. Ma ne volevano conferma da me. No. Io sarò ribaldo. Ma so il mio mestiere. Io non conosco nessuno, non vedo nulla, non so niente. Per gli altri, si capisce. Perché per me so tutto. Ma perché devo dire agli altri ciò che so, e specie a quegli ipocriti? Ribaldo io? Sì. All’occorrenza sostengo anche i ladroni. Tanto Tu lo sai… Ma non saprei rubare o tentare di rubare a Te libertà, onore, vita. E quelli — non sono più Fara di Tolomeo se non è vero ciò che dico — e quelli ti posteggiano per farti del male. E chi ce li manda? Forse un della Perea o della Decapoli? Forse uno della Traconite o della Gaulanite o dell’Auranite? No. Noi, o non ti conosciamo o, se di Te sappiamo, ti rispettiamo come un giusto se non crediamo in Te come un santo. Chi allora li ha mandati? Uno della tua parte e forse uno dei tuoi amici, perché sanno troppe cose…».
   «Sapere della mia carovana è facile…», dice Misace.
   «No, mercante. Non di te. Ma di altri che sono con Gesù. Io non so e non voglio sapere. Non vedo e non voglio vedere. Però ti dico: se sai di essere colpevole ripara, se sai d’essere tradito provvedi».
   «Non colpevole, uomo. E non tradito. Solo è che Israele non comprende Me.

   292.4 Ma tu come sai di Me?».
   «Per un ragazzo. Un discolo che faceva parlare di sé Bozra e Arbela. Qui perché veniva a consumare i suoi peccati, là perché disonorava la sua famiglia. E poi si è convertito. E più onesto di un giusto si è fatto. E ora è passato coi tuoi discepoli, discepolo esso pure, e ti attende ad Arbela per onorarti col padre e la madre. E narra a tutti che Tu gli hai mutato il cuore per le preghiere di sua madre. Filippo di Giacobbe, se santa diverrà mai questa regione, avrà merito di esserne il santificatore. E se in Bozra c’è chi ti crede, è per lui».
   «Dove sono ora gli scribi qui venuti?».
   «Non lo so. Se ne sono andati, perché ho detto che non avevo posto per loro. Ce l’avevo. Ma non ho voluto ospitare i serpenti vicino alla colomba. Nella zona sono di certo. Sta’ attento».
   «Io ti ringrazio, uomo. Come ti chiami?».
   «Fara. Ho fatto il mio dovere. Ricordati di me».
   «Sì. E tu di Dio. E perdona al mio Simone. Il molto amore che mi porta lo acceca talora».
   «Niente di male. L’ho offeso anche io… Ma fa male sentirsi insultare. Tu non insulti…».
   Gesù sospira… Poi dice: «Vuoi aiutare il Nazareno?».
   «Se posso…».
   «Io parlerei volentieri da questo cortile…».
   «E io ti lascerò parlare. Quando?».
   «Fra sesta e nona».
   «Va’ tranquillo dove vuoi. Bozra saprà che parli. Ci penso io».
   «Dio te ne compensi», e Gesù gli dà un sorriso che è già un compenso. Poi si avvia verso la stanza dove era prima.
   Alessandro Misace dice: «Maestro, sorridi anche a me così… Vado anche io a dire ai cittadini di venire a sentire la Bontà che parla. Ne conosco molti. Addio».
   «Anche a te Dio dia compenso», e Gesù gli sorride.

   292.5 Entra nella stanza. Le donne sono intorno a Maria che ha il viso addolorato e che si alza subito andando dal Figlio. Non parla. Ma tutto in Lei è domanda. Gesù le sorride e le risponde dicendo a tutti: «Fate di essere liberi per l’ora di sesta. Dopo qui Io parlerò a molti. Intanto andate, tutti meno Simon Pietro, Giovanni ed Ermasteo. Annunciatemi e fate molte elemosine».
   Gli apostoli se ne vanno.
   Pietro si accosta lentamente a Gesù, che è presso le donne, e chiede: «Perché non anche io?».
   «Quando si è troppo impulsivi si sta in casa. Simone, Simone! Quando mai saprai piegare la tua carità verso il prossimo? Per ora è una fiamma accesa, ma tutta per Me, è una lama diritta e rigida, ma solo per Me. Sii mite, Simone di Giona».
   «Hai ragione, Signore. Mi ha già rimproverato tua Madre, come Lei sa, senza far male. Ma fin di dentro mi ha penetrato. Però… rimproverami anche Tu, ma… poi non mi guardare più così triste».
   «Sii buono. Sii buono…

   292.6 Sintica, vorrei parlarti in disparte.
   Sali sulla terrazza. Vieni tu pure, Madre mia…».
   E sul rustico terrazzo che copre un’ala del fabbricato, nel sole tepido che scalda l’aria, Gesù, passeggiando lentamente fra Maria e la greca, dice: «Domani ci separeremo per qualche tempo. Presso Arbela voi donne, insieme a Giovanni di Endor, andrete verso il mar di Galilea, proseguendo fino a Nazaret insieme. Ma, per non mandarvi sole con un uomo quasi inabile, vi farò accompagnare dai miei fratelli e da Simon Pietro. Prevedo che ci saranno delle ripugnanze per questa separazione. Ma l’ubbidienza è la virtù del giusto. Passando dalle terre che Cusa sorveglia in nome di Erode, Giovanna può avere scorta per il resto della via. Allora rimanderete i figli di Alfeo e Simon Pietro. Ma quello per cui ti ho chiesto di salire qui è questo. Io ti voglio dire, o Sintica, che ho deciso per te una sosta in casa di mia Madre. Ella sa già. Con te sarà Giovanni di Endor e Marziam. Statevi di cuore, formandovi sempre più alla Sapienza. Io voglio che tu abbia molta cura del povero Giovanni. A mia Madre non dico questo perché Ella non occorre di consigli. Tu puoi capire e compatire Giovanni, ed egli può farti tanto bene perché è un esperto maestro. Poi verrò Io. Oh! presto! E ci vedremo sovente. Spero trovarti sempre più sapiente nella Verità. Io ti benedico, Sintica, in particolare. Questo è il mio addio per te, per questa volta. A Nazaret troverai amore e odio come dovunque. Ma nella mia casa troverai pace. Sempre».
   «Nazaret mi ignorerà e io la ignorerò. Vivrò nutrendomi della Verità e il mondo sarà nulla per me, Signore».
   «Sta bene. Vai pure, Sintica. E silenzio per ora. Madre, tu sai… Ti affido queste mie perle più care. Mentre siamo in pace, fra noi, Mamma, fa’ che il tuo Gesù si ristori nelle tue carezze…».
   «Quanto odio, Figlio mio!».
   «Quanto amore!».
   «Quanta amarezza, Gesù caro!».
   «Quanta dolcezza!».
   «Quanta incomprensione, Creatura mia!».
   «Quanta comprensione, Mamma!».
   «Oh! mio Tesoro, Figlio caro!».
   «Mamma! Gioia di Dio e mia! Mamma!».
   Si baciano restando poi vicini, sulla panchina di pietra che costeggia il muretto del terrazzo, Gesù tenendo abbracciata la Madre, protettore e amoroso, Lei stando col capo sulla spalla del Figlio, le mani nella sua mano: beati… Il mondo è tanto lontano… sepolto da onde di amore e di fedeltà…