MARIA
VALTORTA

Voglio che le anime possano bere alla Fonte vitale della mia parola

"Quando la Chiesa - e per tale alludo ora alla riunione degli alti dignitari di Essa - agì secondo i dettami della mia Legge e del mio Vangelo, la Chiesa conobbe tempi fulgidi di fulgore. Ma guai quando, anteponendo gli interessi della Terra a quelli del Cielo, inquinò Se stessa con passioni umane! Tre volte guai quando adorò la Bestia di cui parla Giovanni, ossia la Potenza politica, e se ne fece asservire..." (Qd 12 dicembre 1943)

OPERA MAGGIORE

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VOLUME IV CAPITOLO 294



CCXCIV. Il ricco obolo lasciato dal mercante. Commiato dalla Madre e dalle discepole.

   3 ottobre 1945.

   294.1 La venerazione di Misace si rivela al mattino di poi col far fare i primi chilometri di strada sui cammelli, di cui ha fatto aggiustare il carico in modo che sia comoda cuna agli inesperti cavalieri. Ed è discretamente buffo vedere emergere da fagotti e casse le teste brune o bionde, dai capelli lunghi fino alle orecchie degli uomini, o dalle trecce che si rivelano dal mazzocchio nascosto sotto al velo delle donne. Ogni tanto il vento della corsa, perché i cammelli vanno celermente, butta indietro questi veli e brillano al sole i capelli d’oro acceso di Maria di Magdala o quelli più dolcemente biondi di Maria Ss., mentre le teste scure o dolcemente morate di Giovanna, Sintica, Marta, Marcella, Susanna e Sara prendono riflessi di indaco o bronzature cupe, e le teste canute di Elisa, Salome e Maria Cleofe sembrano spolverate d’argento sotto al nitido sole che le scalda. Gli uomini procedono bravamente sul nuovo mezzo di trasporto, e Marziam ride felice.
   Ci si accorge che l’asserzione del mercante è vera quando, volgendosi, si vede là in basso Bozra con le sue torri e le sue alte case fra il dedalo di vie strette. Delle lievi colline si presentano a nord-ovest. È alla loro base che scorre la via diretta ad Aera; e lì si ferma la carovana per far scendere i pellegrini e separarsi. I cammelli si inginocchiano col loro beccheggio molto sensibile che fa strillare più di una donna. Mi accorgo ora che le donne erano state prudentemente assicurate con lacci alle selle. Scendono un poco sbalordite da tanto rollio, ma riposate.
   Scende anche Misace, che si era tenuto in sella Marziam, e mentre i cammellieri riformano il carico nella maniera abituale si accosta a Gesù per un nuovo saluto.
   «Io ti ringrazio, Misace. Ci hai risparmiato molta fatica e molto tempo».
   «Sì. Oltre venti miglia si sono fatte in breve ora. Hanno lunghe gambe i cammelli, se anche non hanno dolce ambio. Voglio sperare che le donne non abbiano troppo sofferto di esso».
   Le donne rassicurano tutte di essere riposate e senza sofferenze.
   «Ormai siete a sei miglia da Arbela. Vi accompagni il Cielo e vi dia leggero cammino. Addio, mio Signore. Permetti che io baci i tuoi piedi santi. Felice di averti incontrato, Signore. Ricordati di me».
   Misace bacia i piedi di Gesù e poi rimonta in sella, e il suo crrr crrr fa alzare i cammelli… E la carovana parte di galoppo sulla strada piana, fra nuvoli di polvere.
   «Buon uomo! Sono tutto ammaccato, ma in compenso si sono riposati i piedi. Ma che scosse! Altro che tempesta di borea sul lago! Ridete? Non avevo cuscini io come le donne. Viva la mia barca! È ancora la cosa più pulita e più sicura.

   294.2 E ora mettiamoci addosso le sacche e andiamo pure».
   C’è una gara per caricarsi di più. Ma la vincono quelli che resteranno con Gesù, ossia Matteo, lo Zelote, Giacomo e Giovanni, Ermasteo e Timoneo, che prendono tutto per risparmiare i tre che andranno con le donne, anzi i quattro, perché c’è anche Giovanni di Endor, ma il suo aiuto sarà molto relativo, così in mal arnese come è.
   Vanno lesti per qualche chilometro. Raggiunta la cima del placido colle che faceva da paravento a occidente, riappare una pianura fertile, cinta da un anello di colli più alti del primo incontrato, aventi al centro un colle lungo e isolato. Nella pianura una città: Arbela.
   Scendono e presto sono in pianura.
   Vanno ancora per qualche tempo, poi Gesù si ferma dicendo: «Ecco l’ora della separazione. Prendiamo insieme il cibo e poi separiamoci. Questo è il bivio per Gadara. Prenderete quella via. È il più breve cammino, e avanti sera potrete essere nelle terre che Cusa ha in consegna».
   Non c’è molto entusiasmo… Ma insomma si ubbidisce.

   294.3 Mentre mangiano, Marziam dice: «Allora è anche il momento di darti questa borsa. Me l’ha data il mercante mentre ero in sella con lui. Mi ha detto: “La darai a Gesù prima di separarti da Lui e gli dirai che mi ami come ama te”. Eccola. Mi pesava qui nella veste. Sembra piena di sassi».
   «Fa’ vedere! Fa’ vedere! Il denaro pesa!». Sono tutti curiosi. Gesù slega le cordicelle di cuoio ritorto che tengono stretta la borsa di pelle di gazzella, credo, perché sembra pelle di camoscio, e rovescia il contenuto sul suo grembo. Monete rotolano fuori. Ma sono il meno. Rotolano fuori tanti sacchettini di sottilissimo bisso: fagottini legati con un filo. Vaghi colori traspaiono dal lino leggerissimo, e il sole pare accendere un fuocherello in quei fagottini, come fossero brage sotto una velatura di cenere.
   «Che è? Che è? Slega, Maestro».
   Sono tutti curvi su di Lui che, molto calmo, scioglie il nodo di un primo fagottello dal fuoco biondo: topazi di diverse grandezze, ancora grezzi, splendono liberi al sole. Un altro fagottello: rubini, gocce di sangue rappreso. Un altro: prezioso rider di verde per schegge di smeraldi. Un altro: scaglie di cielo con zaffiri puri. Un altro: languide ametiste. Un altro: indaco viola di berilli. Un altro: splendore nero d’onici… E così via per dodici fagottini. Nell’ultimo, il più pesante e tutto un brillio d’oro di crisoliti, una piccola pergamena: «Per il tuo razionale di vero Pontefice e Re».
   Il grembo di Gesù è un praticello su cui sono sfogliati petali luminosi… Gli apostoli tuffano le mani in questa luce che si è fatta materia multicolore. Sono sbalorditi…
   Pietro mormora: «Se ci fosse Giuda di Keriot!…».
   «Taci! È meglio che non ci sia», dice reciso il Taddeo.

   294.4 Gesù chiede un pezzo di tela per fare un unico fagottino delle pietre e, mentre durano i commenti, pensa.
   Gli apostoli dicono: «Ma era ben ricco quell’uomo!»; e Pietro fa ridere dicendo: «Abbiamo trottato su un trono di gemme. Non credevo di esser su simile splendore. Ma fosse stato più morbido! Che ne fai adesso?».
   «Lo vendo per i poveri». Alza gli occhi e con un sorriso guarda le donne.
   «E dove trovi, qui, il gioielliere che ti compra questa roba?».
   «Dove? Qui. Giovanna, Marta e Maria, acquistate il mio tesoro?».
   Le tre donne, senza consultarsi neppure, dicono: «Sì», impetuosamente. Ma Marta aggiunge: «Qui abbiamo poco denaro».
   «Me lo farete trovare a Magdala per la nuova luna».
   «Quanto vuoi, Signore?».
   «Per Me nulla. Per i miei poveri molto».
   «Da’ qui. Molto avrai», dice la Maddalena e prende la borsa mettendosela in seno.
   Gesù trattiene solo le monete. Si alza. Bacia sua Madre, bacia la zia, bacia i cugini, Pietro, Giovanni di Endor e Marziam. Benedice le donne e le congeda. E loro se ne vanno, volgendosi indietro ancora, ancora finché una curva li nasconde.
   Gesù con i superstiti va verso Arbela. Una molto esile comitiva ormai, fatta di sole otto persone. Vanno solleciti e silenziosi verso la città sempre più vicina.
   […].