MARIA
VALTORTA

Voglio che le anime possano bere alla Fonte vitale della mia parola

"Quando la Chiesa - e per tale alludo ora alla riunione degli alti dignitari di Essa - agì secondo i dettami della mia Legge e del mio Vangelo, la Chiesa conobbe tempi fulgidi di fulgore. Ma guai quando, anteponendo gli interessi della Terra a quelli del Cielo, inquinò Se stessa con passioni umane! Tre volte guai quando adorò la Bestia di cui parla Giovanni, ossia la Potenza politica, e se ne fece asservire..." (Qd 12 dicembre 1943)

OPERA MAGGIORE

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VOLUME IV CAPITOLO 242



CCXLII. A Tiberiade con Maria di Magdala. Il romano Crispo e la ricerca della Verità.

   3 agosto 1945.

   242.1 Quando la barca si ferma nel porticciuolo di Tiberiade, accorrono a vedere chi giunge alcuni sfaccendati che passeggiavano presso il moletto. Vi sono persone di ogni ceto e di ogni nazionalità. Perciò le lunghe vesti ebraiche di tutti i colori, le zazzere e le barbe imponenti degli israeliti, si mescolano alle vesti di lana candida, più corte e sbracciate, e ai visi glabri, dai capelli corti, dei romani robusti, e a quelle ancor più ridotte che coprono i corpi snelli ed effeminati dei greci, che sembra abbiano assimilato fin nelle pose l’arte della loro nazione lontana, come statue di dèi scese sulla Terra in corpi di uomini avvolti in tuniche molli, volti classici sotto chiome arricciate e profumate, braccia cariche di braccialetti che scintillano nelle movenze studiate.
   Molte donne di piacere sono mescolate a questi due ultimi generi di persone, perché i romani e gli elleni non si peritano di esporre i loro amori sulle piazze e per le vie, mentre i palestinesi se ne astengono, salvo poi praticare allegramente il libero amore con donne di piacere dentro le loro case. Ciò appare nettamente perché le cortigiane, nonostante gli occhiacci che fanno loro gli interpellati, chiamano famigliarmente per nome diversi ebrei fra i quali non manca un infiocchettato fariseo.

   242.2 Gesù si dirige verso la città, proprio là dove la folla più elegante si raduna più fitta. La folla elegante, ossia romana e greca per lo più, con qualche pizzico di cortigiani di Erode e di altri che credo ricchi mercanti della costa fenicia, verso Sidone e Tiro, perché parlano di quelle città e di empori e navi. Le terme hanno i portici esterni pieni di questa folla elegante e oziosa, che perde così il suo tempo discutendo su argomenti molto piccini, quali il favorito discobolo o l’atleta più agile e armonico nella lotta greco-romana. Oppure cicaleggiano di mode e di banchetti, e prendono appuntamenti per gite allegre andando ad invitare le più belle cortigiane o le dame che escono profumate e arricciate dalle terme o dai palazzi, riversandosi in questo centro di Tiberiade, marmoreo, artistico come un salone.
   Naturalmente il passaggio del gruppo suscita curiosità in tensa, e questa diventa addirittura morbosa quando vi è chi riconosce Gesù per averlo visto a Cesarea, e vi è chi riconosce la Maddalena per quanto proceda tutta ammantellata e col velo bianco molto calato sulla fronte e sulle guance, di modo che per essere così velata, e a capo chino per giunta, ben poco del suo viso si vede.
   «È il Nazzareno che ha guarito la bambina di Valeria», dice un romano.
   «Mi piacerebbe vedere un miracolo», gli risponde un altro romano.
   «Io lo vorrei sentire parlare. Dicono che è un gran filosofo.
   Gli diciamo che parli?», chiede un greco.
   «Non te ne impicciare, Teodate. Predica nuvole. Sarebbe piaciuto al tragedo per una satira», risponde un altro greco.
   «Non inquietarti, Aristobulo. Pare che ora scenda dalle nuvole e vada al solido. Vedi che ha scorta di femmine giovani e belle?», scherza un romano.

   242.3 «Ma quella è Maria di Magdala!», urla un greco e poi chiama: «Lucio! Cornelio! Tito! Ma guardate là Maria!».
   «Ma non è lei! Maria così! Sei ebbro?».
   «È lei, ti dico. Non posso ingannarmi anche se è così mascherata».
   Romani e greci si affollano verso il gruppo apostolico che taglia per sbieco la piazza piena di portici e fontane.
   Anche donne si uniscono a questi curiosi, ed è proprio una donna che va quasi sotto il volto di Maria per vederla meglio e resta di sasso vedendo che è proprio lei. Chiede: «Che fai in questa guisa?», e ride di scherno.
   Maria si ferma, si raddrizza, alza una mano e si scopre il volto gettando indietro il velo. È la Maria di Magdala signora potente su tutto ciò che è spregevole e padrona, già padrona delle sue impressioni, che appare. «Sono io, sì», dice con la sua splendida voce e con dei lampi negli occhi bellissimi. «Sono io.
   E mi disvelo perché non abbiate a pensare che mi vergogno di essere con questi santi».
   «Oh! Oh! Maria coi santi! Ma vieni via! Non avvilire te stessa!», dice la donna.
   «Avvilita fui fino ad ora. Adesso non più».
   «Ma sei folle? O è un capriccio?», dice.
   Un romano dice scherzando e ammiccando con gli occhi:
   «Vieni con me. Sono più bello e più allegro di quella prèfica coi baffi che mortifica la vita e ne fa un funerale».
   «Bella è la vita! Un trionfo! Un’orgia di gioia. Vieni. Io saprò superare tutti per farti felice», dice un giovane brunetto dal volto volpino, pur essendo bello, e fa per toccarla.
   «Indietro! Non mi toccare. Hai detto bene: la vita che voi fate è un’orgia. E delle più vergognose. Ne ho nausea».
   «Oh! Oh! Fino a poco fa era la tua vita, però», risponde il greco.
   «Ora fa la vergine!», ghigna un erodiano.
   «Tu rovini i santi! Il tuo Nazzareno perderà l’aureola con te.
   Vieni con noi», insiste un romano.
   «Venite voi con me dietro a Lui. Cessate di essere animali e divenite almeno uomini».
   Un coro di risate e di beffe le risponde.
   Solo un vecchio romano dice: «Rispettate una donna. È libera di fare ciò che vuole. Io la difendo».
   «Il demagogo! Sentilo! Ti ha fatto male il vino di ieri sera?», chiede un giovane.
   «No. È ipocondriaco perché gli duole la schiena», gli risponde un altro.
   «Vai dal Nazzareno che te la gratti».
   «Vado perché mi gratti il fango che ho preso in contatto con voi», risponde l’anziano.
   «Oh! Crispo che si è corrotto a sessant’anni!», ridono in molti facendogli cerchio intorno.

   242.4 Ma l’uomo detto Crispo non si preoccupa di essere beffato e si dà a camminare dietro alla Maddalena, che raggiunge il Maestro messosi all’ombra di un edificio bellissimo che si stende in forma di esedra su due lati di una piazza.
   E Gesù è già alle prese con uno scriba che lo rimprovera di essere in Tiberiade e con quella compagnia.
   «E tu perché vi sei? Questo per essere a Tiberiade. E anche ti dico che pure a Tiberiade, anzi più qui che altrove, vi sono anime da salvare», gli risponde Gesù.
   «Non sono salvabili: sono gentili, pagani, peccatori».
   «Per i peccatori Io sono venuto. Per far conoscere il Dio vero. A tutti. Anche per te sono venuto».
   «Non ho bisogno di maestri né di redentori. Io sono puro e dotto».
   «Almeno lo fossi tanto da conoscere il tuo stato!».
   «E Tu da sapere quanto ti pregiudichi con la compagnia di una meretrice».
   «Ti perdono anche in suo nome. Ella, nella sua umiltà, annulla il suo peccato. Tu, per la tua superbia, raddoppi le tue colpe».
   «Non ho colpe».
   «Hai la capitale. Sei senza amore».
   Lo scriba dice: «Raca!», e volge le spalle.
   «Per mia colpa, Maestro!», dice la Maddalena. E vedendo il pallore di Maria Vergine geme: «Perdonami. Io faccio insultare tuo Figlio. Mi ritirerò…».
   «No. Tu resti dove sei. Lo voglio Io», dice Gesù con voce incisiva e un balenare tale negli occhi, un che di dominio in tutta la sua persona che lo fa quasi inguardabile. E poi più dolcemente: «Tu resti dove sei. E se qualcuno non sopporta la tua vicinanza, questo qualcuno se ne va, lui soltanto».
   E Gesù si riavvia dirigendosi verso la parte occidentale della città.

   242.5 «Maestro!», chiama il romano corpulento e vecchiotto che ha difeso la Maddalena.
   Gesù si volge.
   «Ti chiamano Maestro, e io pure ti chiamo così. Desideravo sentirti parlare. Sono un mezzo filosofo e un mezzo gaudente. Ma forse Tu potresti fare di me un onesto uomo».
   Gesù lo guarda fisso e dice: «Io lascio la città dove regna la bassezza della animalità umana ed è sovrano lo scherno». E riprende a camminare.
   L’uomo dietro, sudando e faticando perché il passo di Gesù è sollecito e lui è grosso e vecchiotto, appesantito anche dai vizi. Pietro, che si volta indietro, ne avverte Gesù.
   «Lascialo camminare. Non te ne occupare».
   Dopo poco è l’Iscariota che dice: «Ma quell’uomo ci segue.
   Non va bene!».
   «Perché? Per pietà o per altro motivo?».
   «Pietà di lui? No. Perché più in distanza ci segue lo scriba di prima con altri giudei».
   «Lasciali fare. Ma era meglio se avevi pietà di lui che di te».
   «Di Te, Maestro».
   «No: di te, Giuda. Sii schietto nel capire i tuoi sentimenti e nel confessarli».
   «Io veramente ho pietà anche del vecchio. Si fatica, sai, a starti dietro», dice Pietro che suda.
   «A seguire la Perfezione si fatica sempre, Simone».
   L’uomo li segue instancabile, cercando di stare vicino alle donne, alle quali però non rivolge mai la parola.

   242.6 La Maddalena piange silenziosamente sotto al suo velo.
   «Non piangere, Maria», conforta la Madonna prendendole la mano. «Dopo il mondo ti rispetterà. Sono i primi giorni quelli più penosi».
   «Oh! non per me! Ma per Lui. Se gli dovessi fare del male non me lo perdonerei. Hai sentito lo scriba che cosa ha detto? Io lo pregiudico».
   «Povera figlia! Ma non sai che queste parole fischiano come tanti serpenti intorno a Lui da quando tu ancora non pensavi di venire a Lui? Mi ha detto Simone che lo accusarono di questo fino dallo scorso anno, per avere guarito una lebbrosa, un tempo peccatrice, vista nel momento del miracolo e poi mai più, vecchia più di me che gli sono madre. Ma non sai che dovette fuggire dall’Acqua Speciosa perché una tua disgraziata sorella era andata là per redimersi? Come vuoi che l’accusino se Egli è senza peccato? Con menzogne. E in che trovarle? Nella sua missione fra gli uomini. L’atto buono viene agitato come prova di colpa. E qualunque cosa facesse mio Figlio, sarebbe sempre colpa per loro. Se si chiudesse in un eremo sarebbe colpevole di trascurare il popolo di Dio. Scende fra il popolo di Dio ed è colpevole di farlo. Per loro è sempre colpevole».
   «Sono odiosamente cattivi, allora!».
   «No. Sono ostinatamente chiusi alla Luce. Egli, il mio Gesù, è l’eterno Incompreso. E sempre, e sempre più lo sarà».
   «E non ne soffri? Mi sembri tanto serena».
   «Taci. È come se il mio cuore fosse fasciato di spine roventi[23].
   Ad ogni respiro io ne sono punta. Ma che Egli non lo sappia! Mi faccio vedere così per sostenerlo con la mia serenità. Se non lo conforta la sua Mamma, dove potrà trovare conforto il mio Gesù? Su quale seno potrà curvare il capo senza trovare ferita o calunnia per farlo? È dunque ben giusto che io, al disopra delle spine che già mi lacerano il cuore, e delle lacrime che bevo nelle ore di solitudine, posi un morbido manto di amore, metta un sorriso, a qualunque costo, per lasciarlo più quieto, più quieto finché… finché l’onda dell’odio sarà tale che nulla più gioverà. Neanche l’amore della Mamma…». Maria ha due righe di pianto sul volto pallido.
   Le due sorelle la guardano commosse. «Ma Egli ha noi che lo amiamo. Gli apostoli poi…», dice Marta per consolarla.
   «Ha voi, sì. Ha gli apostoli… Ancora molto inferiori al loro compito… E il mio dolore è più forte perché so che Egli nulla ignora…».
   «Allora saprà anche che io lo voglio ubbidire fino all’immolazione se occorre?», chiede la Maddalena.
   «Lo sa. Sei una grande gioia sul suo duro cammino».
   «Oh! Madre!», e la Maddalena prende la mano di Maria e la bacia con espansione.

   242.7 Tiberiade finisce nelle ortaglie del suburbio. Oltre è la via polverosa che conduce a Cana, limitata da un lato da frutteti, dall’altro da una serie di prati e di campi arsi dall’estate.
   Gesù si inoltra in un frutteto e sosta all’ombra delle piante folte. Lo raggiungono le donne e poi il trafelato romano, che proprio non ne può più. Si mette un poco scosto, non parla, ma guarda.
   «Mentre riposiamo, prendiamo il cibo», dice Gesù. «Là vi è un pozzo e presso un contadino. Andate a chiedergli acqua».
   Va Giovanni e il Taddeo. Tornano con una brocca gocciolante d’acqua, seguiti dal contadino che offre degli splendidi fichi.
   «Dio te ne compensi nella salute e nel raccolto».
   «Dio ti protegga. Sei il Maestro, vero?».
   «Lo sono».
   «Parli qui?».
   «Non c’è chi lo desidera».
   «Io, Maestro. Più dell’acqua che è così buona per chi ha sete», grida il romano.
   «Hai sete?».
   «Tanto. Ti sono venuto dietro dalla città».
   «Non mancano in Tiberiade fontane d’acqua fresca».
   «Non fraintendermi, Maestro, o fare mostra di fraintendermi. Ti sono venuto dietro per sentirti parlare».
   «Ma perché?».
   «Non so perché e come. È stato vedendo lei (e accenna la Maddalena). Non so. Qualche cosa che mi ha detto: “Quello ti dirà ciò che ancora non sai”. E sono venuto».
   «Date all’uomo acqua e fichi. Che si ristori il corpo».
   «E la mente?».
   «La mente ha ristoro nella Verità».
   «È per quello che ti sono venuto dietro. Ho cercato la Verità nello scibile. Ho trovato la corruzione. Nelle dottrine anche migliori c’è sempre un che di non buono. Io mi sono avvilito fino a divenire un nauseato e nauseante uomo senza altro futuro che l’ora che vivo».
   Gesù lo guarda fissamente mentre mangia pane e fichi che gli hanno portato gli apostoli.
   Il pasto è presto finito.

   242.8 Gesù, rimanendo seduto, principia a parlare come se facesse una semplice lezione ai suoi apostoli. Rimane vicino anche il contadino.
   «Molti sono quelli che cercano la Verità per tutta la vita senza giungere a trovarla. Sembrano folli che vogliano vedere pur tenendo una cavezza di bronzo sui loro occhi e annaspano cercando convulsamente, tanto che sempre più si allontanano dalla Verità, oppure la nascondono rovesciando su essa cose che la loro ricerca folle smuove e fa precipitare. Non può che accadere loro così, perché cercano là dove la Verità non può essere.
   Per trovare la Verità bisogna unire l’intelletto con l’amore e guardare le cose non solo con occhi sapienti, ma con occhi buoni. Perché vale più la bontà della sapienza. Colui che ama giunge sempre ad avere una traccia verso la Verità.
   Amare non vuole dire godere di una carne e per la carne. Quello non è amore. È sensualità. Amore è l’affetto da animo ad animo, da parte superiore a parte superiore, per cui nella compagna non si vede la schiava ma la generatrice dei figli, solo quello, ossia la metà che forma con l’uomo un tutto che è capace di creare una vita, più vite; ossia la compagna che è madre e sorella e figlia dell’uomo, che è debole più di un neonato o più forte di un leone a seconda dei casi, e che come madre, sorella, figlia, va amata con rispetto confidente e protettore. Ciò che non è quanto Io dico, non è amore. È vizio. Non conduce all’alto ma al basso. Non alla Luce ma alle Tenebre. Non alle stelle ma al fango. Amare la donna per sapere amare il prossimo. Amare il prossimo per sapere amare Dio.

   242.9 Ecco trovata la via della Verità. La Verità è qui, uomini che la cercate. La Verità è Dio. La chiave per comprendere lo scibile è qui. La dottrina che è senza difetto non è che quella di Dio. Come può l’uomo dare risposta ai suoi “perché”, se non ha Dio che gli risponde? Chi può svelare i misteri del creato, anche solo e semplicemente quelli, se non il Fattore supremo che ha fatto questo creato? Come comprendere il prodigio vivente che è l’uomo, essere in cui si fonde la perfezione animale con quella perfezione immortale che è l’anima, per cui dèi siamo se abbiamo in noi viva l’anima, ossia libera da quelle colpe che avvilirebbero il bruto e che pure l’uomo compie, e si vanta di compierle?
   Io vi dico le parole[24] di Giobbe, o cercatori della Verità: “Interroga i giumenti e ti istruiranno, gli uccelli e te lo indicheranno. Parla alla terra e ti risponderà, ai pesci e te lo faranno sapere”.
   Sì, la terra, questa terra verdeggiante e fiorita, queste frutta che si gonfiano sulle piante, questi uccelli che prolificano, queste correnti di venti che distribuiscono le nubi, questo sole che non erra il suo sorgere da secoli e millenni, tutto parla di Dio, tutto spiega Dio, tutto svela e disvela Iddio. Se la scienza non si appoggia su Dio diviene errore che non eleva ma avvilisce. Il sapere non è corruzione se è religione. Chi sa in Dio non cade perché sente la sua dignità, perché crede nel suo futuro eterno. Ma bisogna cercare il Dio reale. Non le fantasime che dèi non sono ma solo deliri di uomini ancora avvolti nelle fasce della ignoranza spirituale, per cui non c’è ombra di sapienza nelle loro religioni e ombra di verità nelle loro fedi.

   242.10 Ogni età è buona per divenire sapienti. Anzi, ancora in Giobbe questo è detto[25]: “Sul far della sera ti sorgerà una specie di luce meridiana, e quando ti crederai finito sorgerai come la stella del mattino. Sarai pieno di fiducia per la speranza che ti attende”.
   Basta la buona volontà di trovare la Verità, e prima o poi essa si lascerà trovare. Ma una volta che trovata sia, guai a chi non la segue, imitando i cocciuti di Israele che, avendo già in mano il filo conduttore per trovare Dio — tutte le cose che di Me sono dette nel Libro — non vogliono arrendersi alla Verità e la odiano, accumulando sul loro intelletto e sul loro cuore le macie dell’odio e delle formule, e non sanno che per troppo peso la terra si aprirà sotto il loro passo che crede essere di trionfatore e non è che passo di schiavo dei formalismi, dell’astio, degli egoismi, ed essi saranno ingoiati, precipitando là dove vanno i colpevoli coscienti di un paganesimo più colpevole ancora di quello che dei popoli si sono dati, da se stessi, per avere una religione su cui regolare se stessi.
   No, che Io, così come non respingo chi si pente fra i figli di Israele, così non respingo neppure questi idolatri che credono in ciò che fu loro dato da credere, e che dentro, nell’interno, gemono: “Dateci la Verità!”.

   242.11 Ho detto. Ora riposiamo in questo verde, se l’uomo lo concede. A sera andremo a Cana».
   «Signore, io ti lascio. Ma poiché non voglio profanare la scienza che Tu mi hai dato, partirò questa sera da Tiberiade. Lascio questa terra. Mi ritiro col mio servo sulle coste della Lucania. Ho là una casa. Molto mi hai dato. Di più comprendo che Tu non possa dare al vecchio epicureo. Ma in quello che mi hai dato ho già tanto da ricostruire un pensiero. E… Tu prega il tuo Dio per il vecchio Crispo. L’unico tuo ascoltatore di Tiberiade. Prega perché prima della stretta di Libitina io possa riudirti e, con la capacità che credo poter creare in me sulle tue parole, capirti meglio e capire meglio la Verità. Salve, Maestro». E saluta alla romana.
   Ma poi, passando presso le donne sedute un poco in disparte, si inchina a Maria di Magdala e le dice: «Grazie, Maria. Bene fu che ti conoscessi. Al tuo vecchio compagno di festini tu hai dato il tesoro cercato. Se giungerò dove tu già sei, lo dovrò a te. Addio». E se ne va.
   La Maddalena si stringe le mani sul cuore, con un viso stupito e radioso. Poi a ginocchi si trascina davanti a Gesù. «Oh! Signore! Signore! È dunque vero che io posso portare al bene? Oh! mio Signore! Ciò è troppa bontà!». E curvandosi col viso fra l’erba bacia i piedi di Gesù bagnandoli di nuovo col pianto, ora riconoscente, della grande amorosa di Magdala.

[23] È come se il mio cuore fosse fasciato di spine roventi. Anche fra i cattolici – così inizia una lunga nota di MV, scritta sulle quattro facciate di un foglio piegato e inserito a questo punto della copia dattiloscritta – vi sono alcuni i quali dicono che Maria Ss., dato che era la Piena di Grazia, conobbe soltanto il gaudio mentre non ebbe il retaggio del dolore, essendo questo uno dei castighi conseguenti alla Colpa ed eredità di Adamo, decaduto dal suo stato di Grazia. Costoro non troveranno perciò giuste le parole di questa frase di Maria, Vergine e Madre, così come giudicheranno inammissibile il suo strazio della sera del Venerdì Santo. Considerino costoro – così prosegue la nota autografa di MV, di cui riportiamo solo una parte – che, come è vero che per la sua immacolatezza Maria avrebbe dovuto essere esente dal dolore, così come fu esente dalla corruzione di morte, è anche vero che come Corredentrice Ella “dovette” patire, nel suo cuore e nel suo spirito immacolati, quanto il Figlio suo patì nella carne, nel cuore e nello spirito Ss. Anzi, proprio per la pienezza di tutti i doni divini che era in Lei, Ella comprese che le sue privilegiate ed “uniche” condizioni di Immacolata e di Madre di Dio le erano state concesse in vista della Passione del Redentore, e che quindi questa sua specialissima condizione di gloria, seconda unicamente all’infinita gloria di Dio, le era stata data a prezzo del Sacrificio del Figlio di Dio e suo, dello spargimento totale di quel Sangue divino e dell’immolazione di quella Carne divina che si erano formati nel suo seno verginale, col suo sangue verginale, e che erano stati nutriti dal suo latte verginale. Anche questa conoscenza era cagione di dolore. Dolore che si fondeva al gaudio, ugualmente vasto e profondo come il dolore. Perché Colui “che fu posto come segno di contraddizione tra gli uomini” (Luca 2, 34) fu causa di contrasto di gioie e dolori smisurati anche per la Donna: sua Madre. Ancora: sempre per la pienezza dei doni divini che era in Lei, Maria conobbe anticipatamente o contemporaneamente e intellettivamente tutta la complessa sofferenza del Figlio suo. Sulla sua anima di Immacolata, piena della Luce di Dio, si proiettò sempre l’ombra dolorosa della Croce e di tutte le lotte e ostacoli che avrebbero preceduto la Passione e afflitto il suo Gesù. […]. Riporteremo altri passi della stessa nota, che tuttavia non la esauriscono, in calce a 612.7, a giustificazione della “Angoscia di Maria al Sepolcro” e del “Lamento della Vergine”.
[24] le parole, che sono in: Giobbe 12, 7-8.
[25] è detto, in: Giobbe 11, 17-18.