MARIA
VALTORTA

Voglio che le anime possano bere alla Fonte vitale della mia parola

"Quando la Chiesa - e per tale alludo ora alla riunione degli alti dignitari di Essa - agì secondo i dettami della mia Legge e del mio Vangelo, la Chiesa conobbe tempi fulgidi di fulgore. Ma guai quando, anteponendo gli interessi della Terra a quelli del Cielo, inquinò Se stessa con passioni umane! Tre volte guai quando adorò la Bestia di cui parla Giovanni, ossia la Potenza politica, e se ne fece asservire..." (Qd 12 dicembre 1943)

OPERA MAGGIORE

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VOLUME IV CAPITOLO 243



CCXLIII. A Cana nella casa di Susanna. L'aspetto, i modi e la voce di Gesù. Una disputa sulle possessioni.

   4 agosto 1945.

   243.1 Nella casa di Cana la festa per la venuta di Gesù è di poco minore di quanto lo fu per le nozze di miracolo. Mancano i suonatori, non ci sono gli invitati, la casa non è inghirlandata di fiori e rami verdi, non ci sono le tavole per i molti ospiti né il maestro di tavola presso le credenze e le idrie colme di vini. Ma tutto è superato dall’amore che ora è dato nella sua giusta forma e misura, ossia non all’ospite, forse anche un poco parente, ma che è sempre un uomo, ma all’Ospite Maestro di cui si conosce e riconosce la vera Natura e si venera la Parola come cosa divina. Perciò i cuori di Cana amano con tutti se stessi il Grande Amico che si è affacciato con la sua veste di lino all’apertura dell’orto, fra il verde della terra e il rosso del tramonto, abbellendo le cose tutte colla sua presenza, comunicando la sua pace non solo agli animi a cui rivolge il suo saluto, ma financo alle cose.
   Veramente sembra che, dovunque si volga il suo occhio azzurro, si stenda un velo di pace solenne e pur lieta. Purezza e pace fluiscono dalle sue pupille, così come la sapienza dalla sua bocca e l’amore dal suo cuore. A chi leggerà queste pagine parrà forse impossibile quanto io dico. Eppure lo stesso luogo, che prima della venuta di Gesù era un luogo comune, oppure era un luogo di movimento indaffarato che esclude la pace che si presuppone priva di orgasmi di lavoro, non appena Egli si presenta, si nobilita, e il lavoro stesso prende un che di ordinato che non esclude la presenza di un pensiero soprannaturale fuso al lavoro manuale. Non so se mi spiego bene.

   243.2 Gesù non è mai arcigno, neppure nelle ore di maggior disgusto per qualche azione che gli accade, ma è sempre maestosamente dignitoso, e comunica questa dignità soprannaturale al luogo in cui si muove. Gesù non è mai allegrone né piagnucolone, con faccia squarciata dal riso né ipocondriaca, neppure nei momenti di maggiore letizia o di maggiore sconforto.
   Il suo sorriso è inimitabile. Nessun pittore lo potrà mai ripetere. Sembra sia una luce che gli si emani dal cuore, una luce radiosa nelle ore di maggior letizia per qualche anima che si redime o per qualche altra che si avvicina alla perfezione; un sorriso direi roseo, quando approva le azioni spontanee dei suoi amici o discepoli e gode della loro vicinanza; un sorriso, sempre per stare nei colori, azzurro, angelico, quando si curva sui bambini per ascoltarli, per ammaestrarli, per benedirli; un sorriso temperato di pietà quando guarda qualche miseria della carne o dello spirito; infine un sorriso divino quando parla del Padre o della Madre sua, o guarda e ascolta questa Madre purissima.
   Non posso dire di averlo visto ipocondriaco neppure nelle ore di maggiore strazio. Fra le torture dell’essere tradito, fra le angosce del sudore di sangue, fra gli spasimi della Passione, se la mestizia sommerge il fulgore dolcissimo del suo sorriso, non è sufficiente a cancellare quella pace che pare un diadema di paradisiache gemme fulgente sulla sua fronte liscia e illuminante, della sua luce, tutta la divina persona. E così non posso dire di averlo mai visto abbandonarsi a smodate allegrie. Non alieno ad una schietta risata se il caso lo richiede, riprende subito dopo la sua dignitosa serenità. Ma quando ride, ringiovanisce prodigiosamente, fino ad assumere un volto di giovane ventenne, e pare che il mondo ringiovanisca per la sua bella risata, schietta, sonora, tonata.
   Non posso ugualmente dire di avergli visto fare affrettatamente le cose. Sia che parli o che si muova, lo fa sempre con pacatezza pur non essendo mai lento o svogliato. Sarà forse perché, alto come è, può fare passi lunghi senza per questo mettersi a correre per fare molta strada, e ugualmente può raggiungere con facilità oggetti lontani senza avere bisogno di alzarsi per raggiungerli. Certo è che, fin nel suo modo di muoversi, è signorile e maestoso.
   E la voce? Ecco, io sono a momenti due anni che lo sento parlare, eppure delle volte quasi perdo il filo del suo dire tanto mi sprofondo nello studio della sua voce. E il buon Gesù, paziente, ripete ciò che ha detto e mi guarda col suo sorriso di Maestro buono per non fare che nei dettati risultino mutilazioni dovute alla mia beatitudine di ascoltarne la voce, gustarla e studiarne il tono e il fascino. Ma dopo due anni ancora non so dire di preciso che tono abbia.
   Escludo assolutamente il tono di basso, come escludo quello di tenore leggero. Ma sono sempre incerta se sia una potente voce tenorile o quella di un perfetto baritono dalla gamma vocale amplissima. Direi che è questo, perché la sua voce prende delle volte delle note bronzee, fin quasi ovattate tanto sono profonde, specie quando parla a tu per tu con un peccatore per riportarlo alla Grazia o indica le deviazioni umane alle turbe; mentre poi, quando si tratta di analizzare e mettere all’indice le cose proibite e scoprire le ipocrisie, il bronzo si fa più chiaro; e diviene tagliente come schianto di fulmine quando impone la Verità e la sua volontà, fino a giungere a cantare come lastra d’oro percossa con martello di cristallo quando si eleva in neggiando alla Misericordia o magnificando le opere di Dio; oppure fascia questo timbro di amore per parlare alla Madre e della Madre. Veramente allora è fasciata di amore questa sua voce, di un amore riverenziale di figlio e di un amore di Dio che loda la sua opera migliore. E questo tono, sebbene meno marcato, usa per parlare ai prediletti, ai convertiti o ai bambini. E non stanca mai, neppure nel più lungo discorso, perché è voce che riveste e completa il pensiero e la parola, rendendone la potenza o la dolcezza a seconda del bisogno.
   E io resto talora con la penna in mano, ad ascoltare, e poi trovo il pensiero andato troppo avanti, impossibile ad afferrarsi… e lì resto, finché il buon Gesù non lo ripete, come fa quando sono interrotta per insegnarmi a sopportare pazientemente le cose o le persone moleste, che glielo lascio pensare quanto mi sono moleste quando mi levano dalla beatitudine di ascoltare Gesù…

   243.3 Ora, a Cana, sta ringraziando Susanna dell’ospitalità data ad Aglae. Sono in disparte, sotto una folta pergola carica di grappoli che già invaiano, mentre tutti gli altri prendono ristoro nella vasta cucina.
   «La donna era molto buona, Maestro. Non ci fu certo un peso. Volle aiutarmi in tutti i bucati, nella pulitura della casa per la Pasqua, come fosse una serva, e lavorò, te lo assicuro, come una schiava per aiutarmi a terminare le vesti pasquali. Prudente, si ritirava ad ogni persona che venisse, e fino con mio marito cercava non rimanere. Poco parlava alla presenza della famiglia, poco si cibava. Si alzava avanti giorno per ravviarsi prima che fossero desti gli uomini, ed io trovavo sempre il fuoco già acceso e scopata la casa. Ma quando eravamo sole mi chiedeva di Te e di insegnarle i salmi della nostra religione. Diceva: “Per saper pregare come prega il Maestro”. E ora ha finito di penare? Perché penare penava molto. Di tutto aveva paura e molto sospirava e piangeva. È ora felice?».
   «Sì. Soprannaturalmente felice. Libera dalle paure. In pace. Io ancora ti ringrazio del bene che le hai fatto».
   «Oh! mio Signore! Che bene mai? Non le ho dato che amore in nome tuo, perché altro non so fare. Era una povera sorella. Lo capivo. E io, per riconoscenza all’Altissimo che mi ha tenuta nella sua grazia, l’ho amata».
   «E hai fatto più che se avessi predicato nel Bel Nisdrasc. Ora ne hai qui un’altra. L’hai riconosciuta?».
   «E chi la ignora per queste contrade?».
   «Nessuno, è vero. Ma ancora ignorate, voi e le contrade, la seconda Maria, quella che sarà sempre della sua vocazione.
   Sempre. Ti prego crederlo».
   «Tu lo dici. Tu sai. Io credo».
   «Di’ anche: “Io amo”. So che è più difficile compatire e perdonare uno che ha mancato, essendo dei nostri, che non uno che ha la scusa di essere pagano. Ma se il dolore di vedere apostasie famigliari fu forte, più forte sia il compatimento e il perdono. Io ho perdonato per tutto Israele», termina Gesù marcando le parole.
   «Ed io perdonerò per la mia parte. Perché penso che un discepolo debba fare ciò che fa il Maestro».
   «Sei nella verità, e Dio ne giubila.

   243.4 Andiamo dagli altri. La sera scende. Sarà dolce il riposo nel silenzio della sera».
   «Non ci dirai nulla, Maestro?».
   «Non so ancora».
   Entrano nella cucina dove sono preparate pietanze e bevande per la cena prossima.
   Susanna si fa avanti, dicendo con un lieve rossore sul viso giovanile: «Vogliono le mie sorelle venire con me nella stanza alta? Dobbiamo preparare presto le mense, perché poi dobbiamo stendere i giacigli per gli uomini. Potrei fare da sola. Ma ci terrei più tempo».
   «Vengo anche io, Susanna», dice la Vergine.
   «No. Bastiamo noi e servirà a conoscerci, perché il lavoro affratella».
   Escono insieme mentre Gesù, dopo avere bevuto dell’acqua corretta con non so che sciroppo, va a sedersi con la Madre, gli apostoli e gli uomini di casa, al fresco della pergola, lasciando libere le serventi e la padrona anziana di ultimare le vivande.

   243.5 Si sentono venire dalla stanza alta le voci delle tre discepole che preparano le tavole. Susanna racconta il miracolo avvenuto per le sue nozze, e Maria di Magdala risponde: «Cambiare l’acqua in vino è forte. Ma cambiare una peccatrice in discepola è ancora più forte. Voglia Iddio che io faccia come quel vino: che io diventi del migliore».
   «Non ne avere dubbio. Egli muta tutto in modo perfetto. Ci fu qui una, e per giunta pagana, da Lui convertita nel sentimento e nella fede. Puoi dubitare che ciò non avvenga per te che già sei d’Israele?».
   «Una? Giovane?».
   «Giovane. Bellissima».
   «E dove è ora?», chiede Marta.
   «Solo il Maestro lo sa».
   «Ah! allora è quella di cui ti ho parlato. Lazzaro era da Gesù quella sera[26] e ha sentito le parole dette per lei. Che profumo c’era in quella stanza! Lazzaro lo portò nelle vesti per più giorni. Eppure Gesù disse superiore ancora il cuore della convertita col suo profumo di pentimento. Chissà dove è andata?
   Io credo in solitudine…».
   «Lei in solitudine, ed era straniera. Io qui, e sono nota. La sua espiazione nella solitudine, la mia nel vivere fra il mondo che mi conosce. Non invidio la sua sorte perché sono con il Maestro. Ma spero poterla imitare un giorno per essere senza nulla che mi distragga da Lui».
   «Lo lasceresti?».
   «No. Ma Egli dice che se ne va. E allora il mio spirito lo seguirà. Con Lui posso sfidare il mondo. Senza Lui avrei paura del mondo. Metterò il deserto fra me e il mondo».
   «E io e Lazzaro? Come faremo?».
   «Come avete fatto nel dolore. Vi amerete e mi amerete. E senza rossori. Perché allora sarete soli, ma saprete che sono con il Signore. E che nel Signore vi amerò».
   «È forte e netta, Maria, nelle sue decisioni», commenta Pietro che ha sentito.
   E lo Zelote risponde: «Una lama diritta come il padre suo. Della madre ha le fattezze. Ma del padre ha lo spirito indomito».
   E colei che ha lo spirito indomito scende ora svelta venendo verso i compagni per dire che le mense sono pronte…

   243.6 …La campagna si annulla nella notte serena ma per ora illune. Solo un tenue chiarore di astri serve a mostrare gli ammassi oscuri delle piante e quelli bianchi delle case. Null’altro.
   Degli uccelli notturni svolazzano col loro volo muto intorno alla casa di Susanna, in cerca di mosche, rasentando anche le persone sedute sulla terrazza intorno ad una lampada che getta una lieve luce giallognola sui volti raccolti intorno a Gesù. Marta, che deve avere una gran paura dei pipistrelli, getta uno strillo ogni qualvolta un nottolone la sfiora. Invece Gesù si preoccupa delle farfalle che la lampada attira e con la lunga mano cerca di allontanarle dalla fiamma.
   «Sono bestie molto stupide tanto le une che gli altri», dice Tommaso. «I primi ci scambiano per mosconi, le seconde prendono la fiamma per un sole e si bruciano. Non hanno neppure l’ombra di un cervello».
   «Sono animali. Vuoi che ragionino?», chiede l’Iscariota.
   «No. Vorrei che avessero almeno l’istinto».
   «Non fanno a tempo ad averlo. Parlo delle farfalle. Perché dopo la prima prova sono belle e morte. L’istinto si sveglia e si fa forte dopo le prime penose sorprese», commenta Giacomo d’Alfeo.
   «E i pipistrelli? Quelli dovrebbero averlo perché vivono per degli anni. Sono stupidi, ecco», ribatte Tommaso.
   «No, Tommaso. Non più degli uomini. Anche gli uomini sembrano pipistrelli stupidi, molte volte. Volano, o meglio, svolazzano come ubriachi intorno a cose che non servono che a dare dolore.

   243.7 Ecco qua: mio fratello, con una buona sventolata del manto, ne ha abbattuto uno. Datemelo», dice Gesù.
   Giacomo di Zebedeo, ai cui piedi è caduto il pipistrello che ora, sbalordito, si dimena sul pavimento con mosse goffe, lo prende con due dita per una delle ali membranose e, tenendolo sospeso come fosse un cencio sporco, lo depone in grembo a Gesù.
   «Eccolo qui l’imprudente. Lasciamolo fare e vedrete che si riprende, ma non si corregge».
   «Un singolare salvataggio, Maestro. Io lo uccidevo del tutto», dice l’Iscariota.
   «No. Perché? Anche esso ha una vita e ci tiene», gli risponde Gesù.
   «Non mi pare. O non sa di averla, oppure non ci tiene. La mette in pericolo!».
   «Oh! Giuda! Giuda! Come saresti severo con i peccatori, con gli uomini! Anche gli uomini sanno che hanno una e una vita, e non si peritano di mettere in pericolo questa e quella».
   «Due vite abbiamo?».
   «Quella del corpo e quella dello spirito, lo sai».
   «Ah! credevo alludessi a rincarnazioni. C’è chi ci crede».
   «Non c’è rincarnazione. Ma due vite ci sono. Eppure l’uomo mette in pericolo tutte e due le sue vite. Se tu fossi Dio, come giudicheresti gli uomini che sono dotati di ragione oltre che d’istinto?».
   «Severamente. A meno che non fosse un uomo menomato nella mente».
   «Non considereresti le circostanze che rendono folli moralmente?».
   «Non le considererei».
   «Sicché tu, di uno che sa di Dio e della Legge, e che pure pecca, non avresti pietà».
   «Non avrei pietà. Perché l’uomo deve sapersi reggere».
   «Dovrebbe».
   «Deve, Maestro. È una vergogna imperdonabile che un adulto cada in certi peccati, soprattutto, tanto più se nessuna forza ve lo spinge».
   «Quali peccati secondo te?».
   «Quelli del senso per i primi. È un degradarsi senza rimedio…». Maria di Magdala china la testa… Giuda prosegue:
   «…è un corrompere anche gli altri, perché dal corpo degli impuri esala come un fermento che turba anche i più puri e li porta a imitarli…».

   243.8 Mentre la Maddalena curva sempre più il capo, Pietro dice:
   «Oh! là, là! Non essere così severo! La prima a commettere questa imperdonabile vergogna è stata Eva. E non mi vorrai dire che è stata corrotta dal fermento impuro esalante da un lussurioso. Intanto sappi che, per conto mio, proprio niente si agita anche se siedo a lato di un lussurioso. Affari suoi…».
   «La vicinanza sporca sempre. Se non la carne, l’anima, ed è peggio ancora».
   «Mi sembri un fariseo! Ma scusa, allora a questo modo bisognerebbe chiudersi dentro una torre di cristallo e starsene là, sigillati».
   «E non ti credere, Simone, che ti gioverebbe. Nella solitudi ne sono più tremende le tentazioni», dice lo Zelote.
   «Oh! bene! Rimarrebbero sogni. Nulla di male», risponde Pietro.
   «Nulla di male? Ma non sai che la tentazione porta alla cogitazione, questa alla ricerca di un mezzo termine per soddisfare in qualche modo l’istinto che urla, e il mezzo termine spiana la via ad un raffinamento di peccato nel quale è unito il senso al pensiero?», interroga l’Iscariota.
   «Non so niente di questo, caro Giuda. Forse perché non sono mai stato cogitabondo, come tu dici, su certe cose. So che mi pare che siamo andati molto lontani dai pipistrelli e che è bene che tu non sia Dio. Altrimenti in Paradiso ci resteresti da solo, con tutta la tua severità.

   243.9 Che ne dici, Maestro?».
   «Dico che è bene non essere troppo assoluti, perché gli angeli del Signore ascoltano le parole degli uomini e le segnano sui libri eterni, e potrebbe dispiacere un giorno sentirsi dire: “Ti sia fatto come tu hai giudicato”. Dico che se Dio mi ha mandato è perché vuole perdonare tutte le colpe di cui un uomo si pente, sapendo quanto l’uomo è debole per causa di Satana. Giuda, rispondi a Me: ammetti tu che Satana possa impossessarsi di un’anima di modo da esercitare su di essa una coercizione che le diminuisce il peccato agli occhi di Dio?».
   «Non lo ammetto. Satana non può intaccare che la parte inferiore».
   «Ma tu bestemmi, Giuda di Simone!», dicono quasi insieme lo Zelote e Bartolomeo.
   «Perché? In che?».
   «Smentendo Dio e il Libro. In esso si legge[27] che Lucifero intaccò anche la parte superiore, e Dio, per bocca del suo Verbo, ce lo ha detto infinite volte», risponde Bartolomeo.
   «È detto anche che l’uomo ha il libero arbitrio. Ciò significa che sulla libertà umana del pensiero e del sentimento Satana non può fare violenza. Non la fa neppure Dio».
   «Dio no, perché è Ordine e Lealtà. Ma Satana sì, perché esso è Disordine e Odio», ribatte lo Zelote.
   «L’odio non è il sentimento opposto alla lealtà. Dici male».
   «Dico bene perché, se Dio è Lealtà e perciò non manca alla parola data di lasciare l’uomo libero delle sue azioni, il demonio non può a questa parola mentire, non avendo promesso all’uomo libertà di arbitrio. Ma è pur vero che esso è Odio e che perciò si avventa contro Dio e l’uomo, e ci si avventa assalendo la libertà intellettiva dell’uomo, oltre che la sua carne, e portando questa libertà di pensiero a schiavitù, a possessi per cui l’uomo fa cose che, se libero da Satana, non farebbe», sostiene Simone Zelote.
   «Non lo ammetto».
   «Ma gli indemoniati, allora? Tu neghi l’evidenza», urla Giuda Taddeo.
   «Gli indemoniati sono sordi, o muti, o folli. Non lussuriosi».
   «Hai solo questo vizio presente?», chiede ironico Tommaso.
   «Perché è il più diffuso e il più basso».
   «Ah! credevo che fosse quello che conoscevi meglio», dice Tommaso ridendo.
   Ma Giuda scatta in piedi come volesse reagire. Poi si domina e scende la scaletta allontanandosi per i campi.

   243.10 Un silenzio… Poi Andrea dice: «In tutto la sua idea non è sbagliata. Si direbbe che infatti Satana ha possessi solo sui sensi: occhi, udito, favella, e sul cervello. Ma allora, Maestro, come si spiegano certe cattiverie? Quelle non sono forse possessioni? Un Doras, ad esempio?…».
   «Un Doras, come tu dici per non mancare di carità a nessuno, e di ciò Dio ti doni compenso, oppure una Maria, come tutti, lei per prima, pensiamo dopo le chiare e anticaritatevoli allusioni di Giuda, sono i posseduti più completamente da Satana, che estende il suo potere sui tre gradi dell’uomo. Le possessioni più tiranniche e sottili, dalle quali si liberano solo coloro che sono sempre tanto poco degradati nello spirito da sapere ancora comprendere l’invito della Luce. Doras non fu un lussurioso. Ma con tutto questo non seppe venire al Liberatore. In questo sta la differenza. Che mentre nei lunatici, e nei muti, sordi, o ciechi, per opera demoniaca, cercano e pensano i parenti a portarli a Me, in questi, posseduti nello spirito, è solo il loro spirito che provvede a cercare la libertà. Per questo essi sono perdonati oltre che liberati. Perché il loro volere ha per primo iniziato la spossessione dal Demonio. E ora andiamo al riposo. Maria, tu che sai cosa è l’esser presi, prega per quelli che prestano se stessi ad intermittenze al Nemico, facendo peccato e dando dolore».
   «Sì, Maestro mio. E senza rancore».
   «La pace a tutti. Lasciamo qui la causa di tanta discussione. Tenebra con tenebra fuori nella notte. E noi rientriamo per dormire sotto lo sguardo degli angeli».
   E depone il pipistrello, che fa i primi tentativi di volo, su una panca, ritirandosi con gli apostoli nella stanza alta, mentre le donne con i padroni di casa scendono al terreno.

[26] quella sera, in 200.7.
[27] si legge, interpretando il testo di: Genesi 3, 1-15 è detto anche, in: Siracide 15, 14 e, implicitamente, dovunque si parli di libera scelta tra bene e male, a cominciare dal precedente rinvio al libro della Genesi.