MARIA
VALTORTA

Voglio che le anime possano bere alla Fonte vitale della mia parola

"Quando la Chiesa - e per tale alludo ora alla riunione degli alti dignitari di Essa - agì secondo i dettami della mia Legge e del mio Vangelo, la Chiesa conobbe tempi fulgidi di fulgore. Ma guai quando, anteponendo gli interessi della Terra a quelli del Cielo, inquinò Se stessa con passioni umane! Tre volte guai quando adorò la Bestia di cui parla Giovanni, ossia la Potenza politica, e se ne fece asservire..." (Qd 12 dicembre 1943)

OPERA MAGGIORE

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VOLUME IV CAPITOLO 244



CCXLIV. Giovanni ripete un discorso di Gesù sul Creato e sui popoli che attendono la Luce.

   5 agosto 1945.

   244.1 Stanno tutti salendo per fresche scorciatoie che portano a Nazaret. Le coste delle colline galilee sembrano create in quella mattina, tanto la recente burrasca le ha lavate e la rugiada le mantiene lucide e fresche, tutte un brillio al primo sole. L’aria è così pura che discopre ogni particolarità dei monti più o meno vicini e dà un senso di leggerezza e di brio.
   Quando viene raggiunto lo scrimolo di un colle la vista si bea su uno scorcio di lago, bellissimo in questa luce mattinale. Tutti ammirano, imitando Gesù. Ma Maria di Magdala presto storce lo sguardo da quel punto cercando in altra direzione qualche cosa. I suoi occhi si posano sulle creste montane che sono a nord-ovest dal punto dove si trova, e pare non trovare.
   Susanna, perché è presente anche lei, le chiede: «Che cerchi?».
   «Vorrei riconoscere il monte dove incontrai[28] il Maestro».
   «Chiedilo a Lui».
   «Oh! non merita che io lo disturbi. Sta parlando proprio con Giuda di Keriot».
   «Che uomo quel Giuda!», sussurra Susanna. Non dice altro, ma si capisce il resto.
   «Quel monte non è certo su questa via. Ma qualche volta ti ci condurrò, Marta. C’era un’aurora come questa e tanti fiori… E tanta gente… Oh! Marta! Ed io ho osato mostrarmi a tutti con quella veste di peccato e con quegli amici… No, non puoi essere offesa per le parole di Giuda. Me le sono meritate. Tutto mi sono meritato. E in questo soffrire è la mia espiazione. Tutti ricordano, tutti hanno diritto di dirmi la verità. E io devo tacere. Oh! se si riflettesse prima di peccare! Chi mi offende ora è il mio più grande amico, perché mi aiuta ad espiare».
   «Ma ciò non toglie che egli ha mancato. Madre, è proprio contento di quell’uomo tuo Figlio?».
   «Bisogna molto pregare per lui. Così Egli dice».

   244.2 Giovanni lascia gli apostoli per venire ad aiutare le donne in un passaggio scabroso su cui i sandali scivolano, molto più che il sentiero è sparso di pietre lisce, come scaglie di ardesia rossastra, e di un’erbetta lucida e dura, molto traditrici per il piede che su esse non ha presa. Lo Zelote lo imita e appoggiandosi a loro le donne superano il punto pericoloso.
   «È un poco faticosa questa via. Ma è senza polvere e senza folla. Ed è più breve», dice lo Zelote.
   «La conosco, Simone», dice Maria. «Venni a quel paesello a mezza costa, con i nipoti, quando Gesù fu cacciato da Nazaret», dice Maria Ss. e sospira.
   «Però è bello da qui il mondo. Ecco là il Tabor e l’Hermon, e a settentrione i monti d’Arbela, e là in fondo il grande Hermon. Peccato che non si veda il mare come si vede dal Tabor», dice Giovanni.
   «Ci sei stato?».
   «Sì, col Maestro».
   «Giovanni, col suo amore per l’infinito, ci ha ottenuto una grande letizia, perché Gesù, là in cima, parlò di Dio con un rapimento mai udito. E poi, dopo avere avuto già tanto, ottenemmo una grande conversione. Lo conoscerai anche tu, Maria. E ti si fortificherà lo spirito più ancora che già non sia. Trovammo un uomo indurito nell’odio, abbruttito dai rimorsi, e Gesù ne fece uno che non esito a dire che sarà un grande discepolo. Come te, Maria.

   244.3 Perché, credi pure che è verità ciò che ti dico, noi peccatori siamo i più cedevoli al Bene che ci prende, perché sentiamo il bisogno di essere perdonati anche da noi stessi», dice lo Zelote.
   «È vero. Ma tu sei molto buono dicendo “noi peccatori”. Tu sei stato un disgraziato, non un peccatore».
   «Tutti lo siamo, chi più chi meno, e chi crede di esserlo meno è il più soggetto a divenirlo se pure non lo è già. Tutti lo siamo. Ma i più grandi peccatori che si convertono sono quelli che sanno essere assoluti nel bene come lo furono nel male».
   «Il tuo conforto mi solleva. Sei sempre stato un padre per i figli di Teofilo, tu».
   «E come un padre giubilo di avervi tutti e tre amici di Gesù».
   «Dove lo avete trovato quel discepolo gran peccatore?».
   «A Endor, Maria. Simone vuol dare al mio desiderio di vedere il mare il merito di tante cose belle e buone. Ma se Giovanni l’anziano è venuto a Gesù non è per merito di Giovanni lo stolto. È per merito di Giuda di Simone», dice sorridendo il figlio di Zebedeo.
   «Lo ha convertito?», chiede dubbiosa Marta.
   «No. Ma ha voluto andare a Endor e…».
   «Sì, per vedere l’antro della maga… È un uomo molto strano Giuda di Simone… Bisogna prenderlo come è… Già!… E Giovanni di Endor ci guidò alla caverna e poi rimase con noi. Ma, figlio mio, sempre tuo è il merito, perché senza il tuo desiderio di infinito non avremmo fatto quella via e non sarebbe venuto a Giuda di Simone il desiderio di andare a quella strana ricerca».

   244.4 «Mi piacerebbe sapere cosa ha detto Gesù sul Tabor[29]… come mi piacerebbe riconoscere il monte dove lo vidi», sospira Maria Maddalena.
   «Il monte è quello su cui pare ora accendersi un sole per quel piccolo stagno, usato dalle greggi, che raccoglie le acque sorgive. Noi eravamo più su, dove la cima pare spaccata come un largo bidente che voglia infilzare le nuvole e portarle altrove. Per il discorso di Gesù, credo che Giovanni te lo può dire».
   «Oh! Simone! Può mai un ragazzo ripetere le parole di Dio?».
   «Un ragazzo no. Tu sì. Provati. Per compiacenza alle tue sorelle e a me che ti voglio bene».

   244.5 Giovanni è molto rosso quando inizia a ripetere il discorso di Gesù.
   «Egli disse:
   “Ecco la pagina infinita su cui le correnti scrivono la parola ‘Credo’. Pensate il caos dell’Universo avanti che il Creatore volesse ordinare gli elementi e costituirli a meravigliosa società, che ha dato agli uomini la Terra e quanto contiene e al firmamento gli astri e i pianeti. Tutto già non era. Nè come caos informe, né come cosa ordinata. Dio la fece. Fece dunque per primi gli elementi. Perché necessari sono, sebbene talora sembra che siano nocivi.
   Ma, pensatevelo sempre, non c’è la più piccola stilla di rugiada che non abbia la sua ragione buona di essere; non c’è insetto, per piccolo e noioso che sia, che non abbia la sua ragione buona di essere. E così non c’è mostruosa montagna eruttante dalle viscere fuoco e incandescenti lapilli che non abbia la sua ragione buona di essere. E non vi è ciclone senza motivo. E non vi è — passando dalle cose alle persone — e non vi è evento, non pianto, non gioia, non nascita, non morte, non sterilità o maternità abbondante, non lungo coniugio né rapida vedovanza, non sventura di miserie e malattie, come non prosperità di mezzi e di salute, che non abbia la sua ragione buona di essere, anche se tale non appaia alla miopia e alla superbia umana, che vede e giudica con tutte le cataratte e tutte le nebbie proprie delle cose imperfette. Ma l’occhio di Dio, ma il pensiero senza limitazione di Dio, vede e sa. Il segreto per vivere immuni da sterili dubbi che innervosiscono, esauriscono, avvelenano la giornata terrena, è nel saper credere che Dio fa tutto per ragione intelligente e buona, che Dio fa ciò che fa per amore, non nello stolido intento di crucciare per crucciare.

   244.6 Dio aveva già creato gli angeli. E parte di essi, per avere voluto non credere che fosse buono il livello di gloria al quale Dio li aveva collocati, si erano ribellati e con l’animo arso dalla mancanza di fede nel loro Signore avevano tentato di assalire il trono irraggiungibile di Dio. Alle armoniose ragioni degli angeli credenti avevano opposto il loro discorde, ingiusto e pessimistico pensiero, e il pessimismo, che è mancanza di fede, li aveva da spiriti di luce fatti divenire spiriti ottenebrati.
   Viva in eterno coloro che in Cielo come in Terra sanno basare ogni loro pensiero su un presupposto di ottimismo pieno di luce! Mai sbaglieranno completamente, anche se i fatti li smentiranno. Non sbaglieranno almeno per quanto riguarda il loro spirito, il quale continuerà a credere, a sperare, ad amare soprattutto Dio e prossimo, rimanendo perciò in Dio fino ai secoli dei secoli!
   Il Paradiso era già stato liberato da questi orgogliosi pessimisti, i quali vedevano nero anche nelle luminosissime opere di Dio, così come in Terra i pessimisti vedono nero anche nelle più schiette e solari azioni dell’uomo, e per volersi separare in una torre di avorio, credendosi gli unici perfetti, si autocondannano ad una oscura galera, la cui via termina nelle tenebre del regno infero, il regno della Negazione. Perché il pessimismo è Negazione esso pure.

   244.7 Dio fece dunque il Creato. E come per comprendere il mistero glorioso del nostro Essere uno e trino bisogna saper credere e vedere che fin dal principio il Verbo era, ed era presso Dio, uniti dall’Amore perfettissimo che solo possono effondere due che Dèi sono pur essendo Uno, così ugualmente, per vedere il creato per quello che è, occorre guardarlo con occhi di fede, perché nel suo essere, così come un figlio porta l’incancellabile riflesso del padre, così il creato ha in sé l’incancellabile riflesso del suo Creatore. Vedremo allora che anche qui in principio fu il cielo e la terra e fu poi la luce, paragonabile all’amore. Perché la luce è letizia così come lo è l’amore. E la luce è l’atmosfera del Paradiso. E l’incorporeo Essere che è Dio, Luce è, ed è Padre di ogni luce intellettiva, affettiva, materiale, spirituale, così in Cielo come in Terra.
   In principio fu il cielo e la terra, e per essi fu data la luce e per la luce tutte le cose furono fatte. E come nel Cielo altissimo furono separati gli spiriti di luce da quelli di tenebre, così nel creato furono separate le tenebre dalla luce e fu fatto il Giorno e la Notte, e il primo giorno del creato fu, col suo mattino e la sua sera, col suo meriggio e la sua mezzanotte. E quando il sorriso di Dio, la luce, tornò dopo la notte, ecco che la mano di Dio, il suo potente volere, si stese sulla terra informe e vuota, si stese sul cielo su cui vagavano le acque, uno degli elementi liberi nel caos, e volle che il firmamento separasse il disordinato errare delle acque fra il cielo e la terra, acciò fosse velario ai fulgori paradisiaci, misura alle acque superiori, perché sul ribollire dei metalli e degli atomi non scendessero i diluvi a dilavare e disgregare ciò che Dio riuniva.
   L’ordine era stabilito nel Cielo. E l’ordine fu sulla Terra per il comando che Dio dette alle acque sparse sulla Terra. E il mare fu. Eccolo. Su esso, come sul firmamento, è scritto: ‘Dio è’. Quale che sia l’intellettualità di un uomo e la sua fede o la sua non fede, davanti a questa pagina, in cui brilla una particella dell’infinità che è Dio, in cui è testimoniata la sua potenza — perché nessuna potenza umana né nessun assestamento naturale di elementi possono ripetere, seppure in minima misura, un simile prodigio — è obbligato a credere. A credere non solo alla potenza ma alla bontà del Signore, che per quel mare dà cibo e vie all’uomo, dà sali salutari, dà tempera al sole e spazio ai venti, dà semi alle terre l’una dall’altre lontane, dà voce di tempeste perché richiamino la formica che è l’uomo all’Infinito suo Padre, dà modo di elevarsi, contemplando più alte visioni, a più alte sfere.

   244.8 Tre sono le cose che più parlano di Dio nel creato che è tutto testimonianza di Lui. La luce, il firmamento, il mare. L’ordine astrale e meteorologico, riflesso dell’Ordine divino; la luce, che solo un Dio poteva fare; il mare, la potenza che solo Dio, dopo averla creata, poteva mettere in saldi confini, dandole moto e voce, senza che per questo, come turbolento elemento di disordine, sia danno alla terra che lo sopporta sulla sua superficie.
   Penetrate il mistero della luce che mai si consuma. Alzate lo sguardo al firmamento dove ridono le stelle e i pianeti. Abbassate lo sguardo al mare. Vedetelo per quello che è. Non separazione, ma ponte fra i popoli che sono sulle altre sponde, invisibili, ignote anche, ma che bisogna credere che ci siano solo perché è questo mare. Dio non fa nulla di inutile. Non avrebbe perciò fatto questa infinità se essa non avesse a limite, là, oltre l’orizzonte che ci impedisce di vedere, altre terre, popolate da altri uomini, venuti tutti da un unico Dio, portati là, per volere di Dio, a popolare continenti e regioni, da tempeste e correnti. E questo mare porta nei suoi flutti, nelle voci delle sue onde e delle sue maree, appelli lontani. Tramite è, non separazione.
   Quell’ansia che dà dolce angoscia a Giovanni è questo ap pello di fratelli lontani. Più lo spirito diviene dominatore della carne e più è capace di sentire le voci degli spiriti che sono uniti anche se divisi, così come i rami sgorgati da un’unica radice sono uniti anche se l’uno neppur più vede l’altro perché un ostacolo si frappone fra essi.
   Guardate il mare con occhi di luce. Vi vedrete terre e terre sparse sulle sue spiagge, ai suoi limiti, e nell’interno terre e terre ancora, e da tutte giunge un grido: ‘Venite! Portateci la Luce che voi possedete. Portateci la Vita che vi viene data. Dite al nostro cuore la parola che ignoriamo ma che sappiamo essere la base dell’universo: amore. Insegnateci a leggere la parola che vediamo tracciata sulle pagine infinite del firmamento e del mare: Dio. Illuminateci perché sentiamo che una luce vi è più vera ancora di quella che arrossa i cieli e fa di gemme il mare. Date alle nostre tenebre la Luce che Dio vi ha data dopo averla generata col suo amore, e l’ha data a voi ma per tutti, così come la dette agli astri ma perché la dessero alle terre. Voi gli astri, noi la polvere. Ma formateci così come il Creatore creò con la polvere la terra perché l’uomo la popolasse adorandolo ora e sempre, finché venga l’ora che più terra non sia, ma venga il Regno. Il Regno della luce, dell’amore, della pace, così come a voi il Dio vivente ha detto che sarà, perché noi pure siamo figli di questo Dio e chiediamo di conoscere il Padre nostro’.
   E per vie di infinito sappiate andare. Senza timori e senza sdegni. Incontro a quelli che chiamano e piangono. Verso quelli che vi daranno anche dolore perché sentono Dio ma non sanno adorare Dio, ma che pure vi daranno la gloria perché grandi sarete quanto più possedendo l’amore lo saprete dare, portando alla Verità i popoli che attendono”.

   244.9 Gesù ha detto così, molto meglio di come io ho detto. Ma almeno questo è il suo concetto».
   «Giovanni, tu hai dato una esatta ripetizione del Maestro.
   Solo hai lasciato ciò che disse del tuo potere di capire Iddio per la tua generosità di donarti. Tu sei buono, Giovanni. Il migliore fra noi! Abbiamo fatto la via senza avvedercene. Ecco là Nazaret sulle sue colline. Il Maestro ci guarda e sorride. Raggiungiamolo solleciti per entrare in città uniti».
   «Io ti ringrazio, Giovanni», dice la Madonna. «Hai fatto un grande regalo alla Mamma».
   «Io pure. Anche alla povera Maria tu hai aperto orizzonti infiniti…».
   «Di che parlavate tanto?», chiede Gesù ai sopraggiungenti.
   «Giovanni ha ripetuto il tuo discorso del Tabor. Perfettamente. E ne fummo beati».
   «Sono contento che la Madre lo abbia udito, Lei che porta un nome in cui il mare non è estraneo e possiede una carità vasta come il mare».
   «Figlio mio, Tu la possiedi come Uomo, e nulla ancora è rispetto alla tua infinita carità di Verbo divino. Mio dolce Gesù!».
   «Vieni, Mamma, al mio fianco. Come quando tornavamo da Cana o da Gerusalemme quando ero bambino e tu mi tenevi per mano».
   E si guardano col loro sguardo d’amore.

[28] dove incontrai, in 174.11/14.
[29] sul Tabor… L’opera non ha mostrato quella sosta sul monte, ma solo l’andata ad esso (in 187.5) e il ritorno (in 188.1).