MARIA
VALTORTA

Voglio che le anime possano bere alla Fonte vitale della mia parola

"Quando la Chiesa - e per tale alludo ora alla riunione degli alti dignitari di Essa - agì secondo i dettami della mia Legge e del mio Vangelo, la Chiesa conobbe tempi fulgidi di fulgore. Ma guai quando, anteponendo gli interessi della Terra a quelli del Cielo, inquinò Se stessa con passioni umane! Tre volte guai quando adorò la Bestia di cui parla Giovanni, ossia la Potenza politica, e se ne fece asservire..." (Qd 12 dicembre 1943)

OPERA MAGGIORE

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VOLUME IV CAPITOLO 247



CCXLVII. Maria Ss. ammaestra la Maddalena sull'orazione mentale.

   8 agosto 1945.

   247.1 «Dove faremo tappa, mio Signore?», chiede Giacomo di Zebedeo, mentre camminano per una gola fra due colline tutte coltivate e verdi dalla base alle vette.
   «A Betlem di Galilea. Ma nelle ore calde sosteremo sul monte che sovrasta Meraba[36]. Così tuo fratello sarà beato un’altra volta vedendo il mare», e Gesù sorride. Poi termina: «Noi uomini avremmo potuto fare più strada, ma abbiamo dietro di noi le discepole, che non si lamentano mai, ma che non dobbiamo stancare eccessivamente».
   «Non si lamentano mai. È vero. Siamo più facili a lamentarci noi», ammette Bartolomeo.
   «Eppure sono meno abituate di noi a questa vita…», dice Pietro.
   «Forse lo fanno volentieri per questo», dice Tommaso.
   «No, Toma. Lo fanno volentieri per amore. Credi pure che mia Madre e neppure le altre donne di casa, come Maria d’Alfeo, Salome e Susanna, lasciano volentieri la casa per venire per le vie del mondo e fra la gente. E Marta e Giovanna, quando anche ella verrà, non use alle fatiche, non lo farebbero volentieri se l’amore non le spronasse.

   247.2 Riguardo a Maria di Magdala, solo un potente amore le può dare la forza di subire questa tortura», dice Gesù.
   «Perché gliel’hai imposta, allora, se sai che è tortura?», chiede l’Iscariota. «Non è buona cosa per lei e non la è per noi».
   «Null’altro che la dimostrazione palese, indubitabile del suo mutamento poteva persuadere il mondo. Maria vuole persuadere il mondo di questo. La sua separazione dal passato è stata completa. È completa».
   «Ciò è da vedersi. È presto ora per dirlo. Quando si è fatto abitudine ad un genere di vita, difficilmente ci se ne stacca del tutto. Amicizie e nostalgie ci riportano ad esso», dice l’Iscariota.
   «Tu hai nostalgie, allora, per la vita di prima?», chiede Matteo.
   «Io… no. Ma faccio per dire. Io sono io: uomo, amante del Maestro e… Insomma io ho in me elementi che mi servono a resistere nel proposito. Ma lei è una donna, e che donna! E poi, anche fosse ben ferma, è sempre poco piacevole averla con noi. Se si avesse ad incontrare dei rabbi, sacerdoti o grandi farisei, credete che non sarebbe piacevole il loro commento. Io ci penso con anticipato rossore».
   «Non ti contraddire, Giuda. Se tu hai realmente tagliato i ponti col passato, come vuoi dire, perché tanto ti duoli che una povera anima ci segua per completare la sua trasformazione nel Bene?».
   «Ma per amore, Maestro. Io pure faccio tutto per amore. Verso di Te».
   «Allora perfezionati in questo tuo amore. Non deve un amore, per essere veramente tale, essere mai esclusivista. Quando uno sa amare solo un oggetto e non sa amarne nessun altro, anche se amato dall’oggetto che egli ama, dimostra di non essere nel vero amore. L’amore perfetto ama, con le dovute gradazioni, tutto il genere umano, e anche animali e vegetali, stelle e acque, perché tutto vede in Dio. Ama Dio come si conviene e ama tutto in Dio. Guarda che l’amore esclusivista è spesso egoismo. Sappi perciò giungere ad amare anche gli altri per amore».
   «Sì, Maestro».
   L’oggetto della discussione procede intanto con le altre donne vicino a Maria, senza pensare di essere causa di tanta discussione.

   247.3 L’agglomerato di Jafia viene raggiunto, attraversato, superato senza che nessun cittadino mostri desiderio di seguire il Maestro o di trattenerlo.
   Proseguono, gli apostoli inquieti per l’indifferenza del luogo, Gesù che cerca di calmarli.
   La valle prosegue in direzione ovest e mostra al suo estremo un altro paese che si adagia alla base di un altro monte. Anche questo paese, che sento chiamare Meraba, è indifferente. Solo dei bambini si avvicinano agli apostoli mentre attingono acqua ad una limpida fontana addossata ad una casa. Gesù li accarezza chiedendo il loro nome, e i bambini chiedono il suo e chi è, dove va, cosa fa. Si avvicina anche un mendicante semicieco, vecchio, curvo, e stende la mano per ricevere l’obolo che infatti riceve.
   La marcia ricomincia con la salita di un colle, quello che sbarra la valle nella quale riversa le acque dei suoi fiumicelli, ora ridotti a un filo d’acqua o a sole pietre arse dal sole. Ma la strada è buona, aperta fra i boschi di ulivi prima, di altre piante poi, che intrecciano i rami facendo galleria verde sopra la strada.
   Raggiungono la vetta, che è coronata da uno stormente bosco di frassini, se non erro. E là si siedono per prendere riposo e cibo. E, col cibo e il riposo, diletto anche alla vista, perché il panorama è bellissimo, con la catena del Carmelo alla sinistra di chi guarda verso ovest; e là dove la catena del Carmelo — una verdissima catena in cui sono presenti tutti i toni più belli del verde — finisce, scintilla il mare, aperto, sconfinato, stendendosi, col suo drappo mosso da lievi ondette, verso il nord, a bagnare le sponde che dalla punta del promontorio, formato dall’estrema propaggine del Carmelo, salgono verso Tolemaide e le altre città fino a perdersi in una lieve nebbia verso la SiroFenicia. Non si vede invece il mare al sud del promontorio del Carmelo, perché la catena, più alta del colle dove ci si trova, ne cela la vista.

 
   Passano le ore nell’ombra frusciante del bosco arioso. Chi dorme, chi parla sottovoce, chi guarda. Giovanni si dilunga dai compagni andando il più in alto possibile per vedere di più. Gesù si isola in un folto per pregare e meditare. Le donne si sono a loro volta ritirate dietro una cortina di ondulante caprifoglio tutto in fiore, e là si sono rinfrescate ad una minuscola sorgente che, ridotta ad un filo, forma in terra una pozzanghera che non riesce a mutarsi in rio. Poi le più anziane si sono addormentate, stanche, mentre Maria Ss. con Marta e Susanna parlano della loro casa lontana, e Maria dice che vorrebbe avere quel bel cespuglio tutto in fiore a veste della sua grotticella.

   247.4 La Maddalena, che si era sciolti i capelli non potendo resistere al loro peso, se li raccoglie di nuovo e dice: «Vado da Giovanni, ora che è con Simone, a guardare con loro il mare».
   «Vengo io pure», risponde Maria Ss.
   Marta e Susanna restano presso le compagne dormenti.
   Per raggiungere i due apostoli devono passare presso il roveto in cui si è isolato Gesù per pregare.
   «Mio Figlio trova riposo nella preghiera», dice piano Maria.
   La Maddalena le risponde: «Credo che gli sia anche indispensabile l’isolarsi per mantenere il meraviglioso dominio che ha e che il mondo mette a dura prova. Sai, Madre? Ho fatto quanto tu mi hai detto. Ogni notte mi isolo per un tempo più o meno lungo per potere ristabilire in me stessa la calma che molte cose turbano. Mi sento molto più forte dopo».
   «Per ora forte, più tardi ti sentirai beata. Credi pure, Maria, che sia nella gioia come nel dolore, sia nella pace come nella lotta, lo spirito nostro ha bisogno di tuffarsi tutto dentro all’oceano della meditazione, per ricostruire ciò che il mondo e le vicende abbattono e per creare nuove forze per sempre più salire. In Israele noi usiamo e abusiamo della preghiera vocale. Non voglio già dire che essa sia inutile e invisa a Dio. Ma dico però che è sempre molto più utile allo spirito l’elevazione mentale a Dio, la meditazione, in cui, contemplando la sua divina perfezione e la nostra miseria, o quella di tante povere anime, non già per criticarle ma per compatirle e capirle, e per avere riconoscenza al Signore che ci ha sorrette per non farci peccare, o ci ha perdonate per non lasciarci cadute, noi giungiamo a pregare realmente, ossia ad amare. Perché l’orazione, per essere realmente tale, deve essere amore. Altrimenti è borbottio di labbra dal quale l’anima è assente».

   247.5 «Ma parlare con Dio è lecito quando si hanno le labbra ancora sporche di tante parole profane? Io, nelle mie ore di raccoglimento, che faccio come tu mi hai insegnato, tu, mio apostolo dolcissimo, faccio violenza al mio cuore che vorrebbe dire a Dio: “Io ti amo”…».
   «Nooh! Perché?».
   «Perché mi pare che farei sacrilega offerta a offrirgli il mio cuore…».
   «Non lo fare, figlia. Non lo fare. Il tuo cuore è, prima di tutto, riconsacrato dal perdono del Figlio, e il Padre non vede che questo perdono. Ma se anche Gesù non ti avesse ancora perdonata, e tu, in una solitudine ignorata, che tanto può essere materiale come morale, gridassi a Dio: “Io ti amo. Padre, perdona le mie miserie. Perché io di esse me ne spiaccio per il dolore che ti danno”, credi pure, o Maria, che il Padre Iddio ti assolverebbe di suo, e caro gli sarebbe il tuo grido di amore. Abbandonati, abbandonati all’amore. Non fare violenza ad esso. Lascia anzi che esso divenga violento come incendio avvampante. L’incendio consuma tutto ciò che è materiale, ma non distrugge una molecola di aria. Perché l’aria è incorporea. Anzi la purifica dai detriti minuscoli che i venti vi seminano, la fa più leggera. Così l’amore allo spirito. Consumerà più presto la materia dell’uomo, se Dio lo permette, ma non distrugge lo spirito. Anzi ne accresce la vitalità e lo fa puro e agile per le ascensioni a Dio.

   247.6 Vedi là Giovanni? È proprio un ragazzo. Ma pure è un’aquila. È il più forte di tutti gli apostoli. Perché ha compreso il segreto della fortezza, della formazione spirituale: la amorosa meditazione».
   «Ma lui è puro. Io… Lui è un ragazzo. Io…».
   «Guarda allora lo Zelote. Non è un ragazzo. Ha vissuto, ha lottato, ha odiato. Egli lo confessa sinceramente. Ma ha imparato a meditare. E lui pure, credimi, è bene in alto. Vedi? Si cercano quei due. Poiché si sentono uguali. Hanno raggiunto la stessa età perfetta dello spirito e con lo stesso mezzo: la orazione mentale. Per essa il ragazzo è divenuto virile nello spirito, e per essa il già vecchio e stanco è ritornato ad una virilità forte. E sai un altro che, senza essere apostolo, sarà, anzi è molto avanti per la sua tendenza naturale alla meditazione, che da quando è amico di Gesù è divenuta in lui necessità spirituale? Tuo fratello».
   «Lazzaro mio?…

   247.7 Oh! Madre! Dimmelo, tu che sai tante cose perché Dio te le mostra, come mi tratterà Lazzaro al primo incontro? Prima taceva sdegnoso. Ma lo faceva perché io non sopportavo osservazioni. Sono stata molto crudele coi fratelli… Ora lo comprendo. Ora che sa che può parlare, che mi dirà? Temo il suo aperto rimprovero. Oh! certo mi ricorderà tutte le pene di cui sono causa. Io vorrei volare da Lazzaro. Ma ne ho paura. Prima ci andavo, e neppure i ricordi della mamma morta, le sue lacrime ancora vive sugli oggetti da lei usati, lacrime per me, per mia colpa, mi turbavano. Il mio cuore era cinico, sfrontato, chiuso ad ogni voce che non fosse “male”. Ma ora io non ho più la malvagia forza del Male e tremo… Che mi farà Lazzaro?».
   «Ti aprirà le braccia e ti chiamerà, più col cuore che con le labbra, “sorella diletta”. È tanto formato in Dio che non può che usare questo modo. Non temere. Non ti dirà una parola sul passato. Egli, è come se io lo vedessi, è là, a Betania, e gli sono ben lunghi i giorni dell’attesa. Attende te, per stringerti sul cuore. Per saziare il suo amore di fratello. Tu non hai che amarlo come ti ama lui per gustare la dolcezza di essere nati da un seno».
   «Lo amerei anche se mi rimproverasse. Me lo merito».
   «Ma egli ti amerà soltanto. Questo solo».

   247.8 Hanno raggiunto Giovanni e Simone, che parlano dei viaggi futuri e che si alzano riverenti quando giunge la Madre del Signore.
   «Veniamo anche noi a lodare il Signore per le belle opere della sua creazione».
   «Hai mai visto il mare, Madre?».
   «Oh! l’ho visto. Ed era allora meno turbato esso, nella sua tempesta, del mio cuore, e meno salato del mio pianto, mentre fuggivo lungo il litorale da Gaza verso il Mar Rosso, col mio Bambino fra le braccia e la paura di Erode alle spalle. E l’ho visto al ritorno. Ma allora era primavera sulla terra e nel mio cuore. La primavera del ritorno in patria. E Gesù batteva le manine, felice di vedere cose nuove… E io e Giuseppe pure eravamo felici. Per quanto la bontà del Signore ci avesse fatto men duro l’esilio a Matarea, in mille modi».
   La loro conversazione dura mentre a me cessa la capacità di vedere e di udire.

[36] Meraba, qui e più sotto (in 247.3), potrebbe leggersi anche Merala sul manoscritto originale.