MARIA
VALTORTA

Voglio che le anime possano bere alla Fonte vitale della mia parola

"Quando la Chiesa - e per tale alludo ora alla riunione degli alti dignitari di Essa - agì secondo i dettami della mia Legge e del mio Vangelo, la Chiesa conobbe tempi fulgidi di fulgore. Ma guai quando, anteponendo gli interessi della Terra a quelli del Cielo, inquinò Se stessa con passioni umane! Tre volte guai quando adorò la Bestia di cui parla Giovanni, ossia la Potenza politica, e se ne fece asservire..." (Qd 12 dicembre 1943)

OPERA MAGGIORE

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VOLUME IV CAPITOLO 226



CCXXVI. Un buon segno da Maria di Magdala. Morte del vecchio Ismaele.

   22 luglio 1945.

   226.1 Gesù con la compagnia dello Zelote giunge al giardino di Lazzaro in un mattino bellissimo d’estate. Ancora non è terminata l’aurora e perciò tutto è fresco e ridente.
   Il servo-giardiniere, che accorre a ricevere il Maestro, indica allo stesso un lembo di veste bianca che scompare dietro una siepe, dicendo: «Lazzaro va alla pergola dei gelsomini con dei rotoli da leggere. Ora lo chiamo».
   «No. Vado Io. Da solo».
   E Gesù cammina svelto lungo un sentiero bordato da siepi in fiore. L’erbetta che è sul limite della siepe attutisce il rumore dei passi, e Gesù cerca di posare il piede proprio su quella per giungere all’improvviso davanti a Lazzaro.
   Lo sorprende così che, ritto in piedi, coi rotoli appoggiati ad un tavolo di marmo, prega a voce alta. «Non mi deludere, Signore. Questo filo di speranza che mi è nato in cuore fàllo Tu crescere. Dàmmi ciò che con lacrime ti ho chiesto dieci e cento mila volte. Ciò che ti ho chiesto con le azioni, col perdono, con tutto me stesso. Dàmmelo in cambio della mia vita. Dàmmelo in nome del tuo Gesù che mi ha promesso questa pace. Può mai Egli mentire? Devo pensare che la sua promessa fu solo di parole? Che il suo potere è inferiore all’abisso di peccato che è mia sorella? Dimmelo, Signore, che io mi rassegnerò per tuo amore…».
   «Sì, te lo dico!», dice Gesù.
   Lazzaro si volge di scatto e grida: «Oh! mio Signore! Ma quando sei venuto?», e si china a baciare la veste di Gesù.
   «Da qualche minuto».
   «Solo?».
   «Con Simone Zelote. Ma qui, dove tu eri, sono venuto solo.
   So che mi devi dire una grande cosa. Dimmela dunque».
   «No. Prima rispondi alle domande che io faccio a Dio. A seconda della tua risposta, te la dirò».
   «Dimmela, dimmela questa tua grande cosa. La puoi dire…», e Gesù sorride aprendo le braccia in atto d’invito.
   «Dio altissimo! Ma è vero? Tu allora sai che è vero?!», e Lazzaro va fra le braccia di Gesù a confidare la sua grande cosa.

   226.2 «Maria ha chiamato Marta a Magdala. E Marta è partita in affanno temendo qualche forte sventura… Ed io qui, con lo stesso timore, solo sono rimasto. Ma Marta, dal servo che l’ha accompagnata, mi ha mandato una lettera che mi ha empìto di speranza. Guarda, l’ho qui, sul cuore. La tengo lì perché mi è più preziosa di un tesoro. Sono poche parole ma le leggo ogni poco per essere certo che sono proprio state scritte. Guarda…», e Lazzaro leva dalla veste un piccolo rotolo legato da un nastrino violetto e lo spiega. «Vedi? Leggi, leggi. A voce alta. Letta da Te mi parrà più certa la cosa».
   «“Lazzaro, fratello mio. A te pace e benedizione. Sono giunta presto e bene. E il mio cuore non ha più palpitato di tema di nuove sciagure perché ho visto Maria, la nostra Maria sana e… te lo devo dire? e meno frenetica nell’aspetto di prima. Mi ha pianto sul cuore. Un grande pianto… E poi, a notte, nella stanza dove mi aveva condotta, mi ha chiesto tante e tante cose sul Maestro. Non di più che questo, per ora. Ma io, che vedo il volto di Maria oltre che sentirne le parole, dico che nel mio cuore è nata la speranza. Prega, fratello. Spera. Oh! fosse vero! Io resto ancora perché sento che ella mi vuole vicina come per essere difesa dalla tentazione. E per imparare… Che? Ciò che noi già sappiamo. La bontà infinita di Gesù. Le ho detto di quella donna venuta a Betania… Vedo che pensa, pensa, pensa… Ci vorrebbe Gesù. Prega. Spera. Il Signore sia con te”». Gesù ripiega il rotolo e lo rende.
   «Maestro…».
   «Andrò. Hai modo di avvisare Marta che mi venga incontro a Cafarnao fra quindici giorni, al massimo?».
   «Ne ho modo, Signore. E io?».
   «Tu resti qui. Anche Marta la rimanderò qui».
   «Perché?».
   «Perché le redenzioni hanno un pudore profondo. E nulla fa più vergogna dell’occhio di un genitore o di un fratello. Io pure ti dico: “Prega, prega, prega”».
   Lazzaro piange sul petto di Gesù… Dopo, quando si è ripreso, racconta ancora del suo orgasmo, dei suoi scoramenti… «È quasi un anno che spero… che dispero… Come è lungo il tempo della risurrezione!…», esclama.

   226.3 Gesù lo lascia parlare, parlare, parlare… finché Lazzaro si accorge di mancare ai suoi doveri di ospitalità e si alza per condurre Gesù in casa. Per farlo, passano presso una folta siepe di gelsomini in fiore, sulle cui corolle stellari ronzano api d’oro.
   «Ah! mi dimenticavo di dirti… Il vecchio patriarca che Tu mi hai mandato è tornato in grembo ad Abramo. Lo trovò Massimino seduto qui, con la testa appoggiata a questa siepe, come se si fosse addormentato presso gli alveari che egli curava come fossero delle case piene di bambini d’oro. Egli chiamava le api così. Pareva le comprendesse e ne fosse compreso. E sul patriarca addormentato nella pace della buona coscienza, quando Massimino lo trovò, era un velo prezioso di piccoli corpi d’oro. Tutte le api posate sul loro amico. I servi dovettero lavorare non poco per staccarle da lui. Era tanto buono che forse sapeva di miele… Era tanto onesto che forse per le api era come una corolla non contaminata… Ne ho avuto dolore. Avrei voluto averlo più a lungo nella mia casa. Era un giusto…».
   «Non lo rimpiangere. Egli è in pace, e dalla pace prega per te che gli hai reso dolci gli ultimi giorni. Dove è sepolto?».
   «In fondo al verziere. Ancora vicino ai suoi alveari. Vieni che ti ci conduco…».
   E se ne vanno, per un piccolo bosco di laurocèrasi, verso gli alveari da cui viene un brusio operoso…