MARIA
VALTORTA

Voglio che le anime possano bere alla Fonte vitale della mia parola

"Quando la Chiesa - e per tale alludo ora alla riunione degli alti dignitari di Essa - agì secondo i dettami della mia Legge e del mio Vangelo, la Chiesa conobbe tempi fulgidi di fulgore. Ma guai quando, anteponendo gli interessi della Terra a quelli del Cielo, inquinò Se stessa con passioni umane! Tre volte guai quando adorò la Bestia di cui parla Giovanni, ossia la Potenza politica, e se ne fece asservire..." (Qd 12 dicembre 1943)

OPERA MAGGIORE

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VOLUME V CAPITOLO 340



CCCXL. Ravvedimento di Giuda Iscariota e scontro con i rabbi al sepolcro di Hillele.

   24 novembre 1945.

   340.1Dal paese di Meieron Gesù coi suoi apostoli prende una strada in direzione nord-ovest, sempre montana, fra boschi e pascoli, e continua a salire. Forse hanno già venerato delle tombe perché sento che ne parlano fra di loro.
   Adesso è proprio l’Iscariota che è davanti con Gesù. Si capisce che a Meieron hanno ricevuto e dato elemosine, e Giuda ne dà il rendiconto, dicendo le offerte ricevute e le elemosine date.
   Termina dicendo: «Ed ora ecco qui la mia offerta. L’ho giurato questa notte di dartela per i poveri, per penitenza. Non è molta. Ma non ho molto denaro. Però ho persuaso mia madre a mandarmene sovente attraverso a molti amici. Le altre volte che lasciavo la casa era con molto denaro. Ma questa volta, dovendo girare per i monti da solo o col solo Tommaso, ne ho preso il sufficiente per la durata del viaggio. Preferisco fare così. Soltanto… dovrò qualche volta chiederti licenza di separarmi per qualche ora da voi per andare dai miei amici. Ho già combinato tutto… Maestro, la moneta la tengo sempre io? Ancora io? Ti fidi ancora di me?».
   «Giuda, tu dici tutto da te stesso. E non ne so il motivo per il quale lo fai.

   340.2Sappi che per Me nulla è mutato… perché spero, con questo, che abbia a mutare tu e ritornare ad essere il discepolo di un tempo, e divenire il giusto per la cui conversione a tale Io prego e soffro».
   «Hai ragione, Maestro. Ma col tuo aiuto certo lo diventerò. Del resto… sono imperfezioni di gioventù. Cose senza peso. Servono, anzi, a potere comprendere i propri simili e a curarli».
   «In verità, Giuda, la tua morale è molto strana! E dovrei dire di più. Mai non si è visto un medico che si ammali volontariamente per poter poi dire: “Adesso so curare meglio i malati di questo male”. Sicché Io sono un incapace?».
   «Chi lo dice, Maestro?».
   «Tu. Io non faccio peccati, perciò allora non so curare i peccatori».
   «Tu sei Tu. Ma noi non siamo Tu e occorriamo della esperienza per saper fare…».
   «È la tua vecchia idea. La stessa di un venti lune fa. Solo che allora giudicavi che Io dovessi peccare per essere capace di redimere. In verità mi stupisco che tu non abbia cercato di correggere questo mio… difetto, secondo i tuoi modi di giudicare, e di dotarmi di questa… capacità di comprendere i peccatori».
   «Tu scherzi, Maestro. E ne ho piacere. Mi facevi pena. Eri tanto triste. E che sia proprio io che ti faccio scherzare mi dà doppio piacere. Ma io non ho mai pensato ad erigermi a tuo pedagogo. E del resto, lo vedi! Ho corretto il mio modo di pensare, tanto che dico che solo per noi è necessaria questa esperienza. Per noi, poveri uomini. Tu sei il Figlio di Dio, non è vero? Hai dunque una sapienza che non abbisogna di esperienze per essere tale».
   «Ebbene, allora sappi che anche l’innocenza è sapienza, molto più sapienza della bassa e pericolosa conoscenza del peccatore. Dove l’ignoranza santa del male renderebbe limitata la capacità di guidarsi e di guidare, sopperisce il ministero angelico, che non è mai assente presso un cuore puro. E credi che gli angeli, purissimi quali sono, sanno però anche distinguere il Bene e il Male e condurre il puro, che custodiscono, sul sentiero giusto e ad atti giusti. Il peccato non è aumento di sapienza. Non è luce. Non è guida. Mai. È corruzione. È accecamento. È caos. Di modo che chi lo ha fatto ne saprà il sapore, ma anche avrà perduto la capacità di sapere molte altre spirituali cose e non avrà più un angelo di Dio, spirito di ordine e di amore, a guidarlo, ma avrà un angelo di Satana a condurlo su un disordine sempre maggiore per l’odio insaziabile che divora questi spiriti diabolici».

   340.3«E… senti, Maestro. Se uno volesse tornare ad avere la guida angelica? Basta il pentimento, oppure il veleno del peccato perdura anche dopo che si è pentito ed è stato perdonato?… Sai? Uno che si è dato al vino, ad esempio, se anche giura di non ubbriacarsi più, e lo giura con vera volontà di farlo, sente sempre lo stimolo a bere. E soffre…».
   «Certo. Soffre. Per questo non si dovrebbe mai rendersi schiavi di ciò che è male. Ma soffrire non è peccare. È espiare. Così come un ubbriacone pentito non fa peccato ma acquista merito se resiste eroicamente allo stimolo e non beve più vino, altrettanto chi ha peccato, e si pente, e resiste ad ogni stimolo, acquista un merito, né gli manca l’aiuto soprannaturale per questa resistenza. Essere tentati non è peccato. Anzi è battaglia che procura vittoria. E, credilo anche, in Dio non c’è che il desiderio di perdonare e di aiutare chi ha sbagliato ma poi si pente…».
   Giuda tace qualche tempo… Poi, prendendo la mano di Gesù, la bacia dicendo, stando curvo sulla mano baciata: «Ma io ieri sera ho passato la misura. Ti ho insultato, Maestro… Ti ho detto che finirò ad odiarti… Quante bestemmie ho detto! Possono mai essermi perdonate?».
   «Il più grande peccato è disperare della misericordia divina… Giuda, Io l’ho detto[73]: “Ogni peccato contro il Figlio dell’uomo sarà perdonato”. Il Figlio dell’uomo è venuto per perdonare, per salvare, per guarire, per portare al Cielo. Perché vuoi tu perdere il Cielo?

   340.4Giuda! Giuda! Guardami! Lavati l’anima nell’amore che esce dai miei occhi…».
   «Ma non ti faccio ribrezzo?».
   «Sì… Ma l’amore è più grande del ribrezzo. Giuda, povero lebbroso, il più grande lebbroso di Israele, vieni ad invocare la salute da Chi te la può dare…».
   «Dammela, Maestro».
   «No. Non così. Non c’è in te il pentimento vero e la volontà ferma. C’è solo un conato di amore superstite per Me, per la tua passata vocazione. C’è un agitarsi di sentimento, ma tutto umano. Non è male tutto questo. È anzi il primo passo verso il Bene. Coltivalo, aumentalo, innestalo col soprannaturale, fànne un vero amore per Me, un ritorno vero a ciò che eri quando a Me venisti, quello almeno, quello almeno! Fànne non un palpito transitorio, emotivo, di sentimentalismo inattivo, ma un vero sentimento, attivo, di attrazione al Bene. Giuda, Io aspetto. Io so aspettare. Io prego. Sono Io che sopperisco, in quest’attesa, il tuo angelo disgustato. La mia pietà, la mia pazienza, il mio amore, essendo perfetti, sono superiori a quelli angelici e possono rimanere al tuo fianco, fra i fetori disgustosi di quello che ti fermenta in cuore, per aiutarti…».

   340.5Giuda è commosso, in realtà, non per finta. Con labbra tremanti e voce resa malferma da ciò che lo commuove, pallido, chiede: «Ma Tu sai realmente ciò che ho fatto?».
   «Tutto, Giuda. Vuoi che te lo dica o preferisci che Io ti risparmi questo avvilimento?».
   «Ma… non posso credere, ecco…».
   «Andiamo a ritroso, allora, e diciamo all’incredulo la verità. Tu questa mattina hai mentito già più volte. E sui denari e sul modo come hai passato la notte. Tu ieri sera hai cercato di soffocare con la lussuria ogni tuo altro sentimento, ogni odio, ogni rimorso. Tu…».
   «Basta! Basta! Per carità non andare oltre! O io fuggirò dal tuo cospetto».
   «Dovresti all’opposto stringerti ai miei ginocchi chiedendo perdono».
   «Sì, sì! Perdono! Perdono, Maestro mio! Perdono! Aiutami! Aiutami! È più forte di me! Tutto è più forte di me».
   «Fuorché l’amore che dovresti avere per Gesù… Ma vieni qui, che ti vinca la tentazione e te ne liberi». E lo piglia fra le braccia, piangendo silenziose lacrime sul capo bruno di Giuda.

   340.6Gli altri, indietro di qualche metro, si sono prudentemente fermati e commentano.
   «Vedete?! Forse Giuda ha proprio dei dispiaceri».
   «E questa mattina se ne è aperto col Maestro».
   «Che stolto! Io lo facevo subito».
   «Saranno cose penose».
   «Oh! non sarà certo per mala condotta di sua madre! È una santa donna lei! Che dunque di penoso?».
   «Forse interessi che vanno male…».
   «Ma no! Spende e benefica di suo con generosità».
   «Bene! Affari suoi! L’importante è che sia d’accordo col Maestro, e pare che sia così. Parlano da tanto e con pace. Ora sono abbracciati… Molto bene».
   «Sì, perché è uno capace ed ha tante conoscenze. È buona cosa che sia d’accordo e di buona volontà con noi e specie col Maestro».
   «Gesù ha detto a Ebron che le tombe dei giusti sono luoghi di miracolo, o su per giù… In questi luoghi ve ne sono molte. Forse hanno fatto miracolo, sul turbamento di Giuda, quelle di Meieron».
   «Oh! allora finirà di farsi santo ora alla tomba di Hillele. Non è Giscala quella?».
   «Sì, Bartolomeo».
   «Eppure lo scorso anno non passammo di qui…».
   «Sfido! Venivamo dall’altra parte!».
   Gesù si volta e li chiama. Accorrono festosi.
   «Venite. La città è prossima. Dobbiamo attraversarla per trovare la tomba di Hillele. Facciamolo in gruppo», dice Gesù senza spiegare altro, mentre gli undici sbirciano curiosi Lui e Giuda. Ma se quest’ultimo ha un viso pacificato ma dimesso, Gesù non ha un viso radioso. È solenne, ma serio.

   340.7Entrano in Giscala, che è vasta e bella e ben tenuta. Vi deve essere un fiorente centro rabbinico, perché vedo molti dottori raccolti in gruppi qua e là, con allievi vicino a loro in ascolto delle loro lezioni. Il passaggio degli apostoli, e specie del Maestro, è molto notato e molti si accodano al loro gruppo. Qualcuno sogghigna, altri chiamano Giuda di Keriot. Ma lui è al fianco del Maestro e non si volta neppure.
   Escono dalla città e vanno alla casa nei cui pressi è la tomba di Hillele.
   «Che sfacciataggine!».
   «È imprudente e impudente!».
   «Ci provoca».
   «Profanatore!».
   «Diglielo, Uziel».
   «Io non mi contamino. Diglielo tu, Saul, che sei soltanto allievo».
   «No. Diciamolo a Giuda. Vallo a chiamare».
   Il giovane detto Saul, un mingherlino, pallido, tutt’occhi e bocca, va da Giuda e gli dice: «Vieni. Ti vogliono i rabbi».
   «Non vengo. Sto dove sono. Lasciatemi stare».
   Il giovane torna e riferisce ai suoi capi.
   Intanto Gesù, nel cerchio dei suoi, prega con venerazione presso il sepolcro ben candido di calcina di Hillele.
   I rabbi si accostano piano, come serpi silenziose, e osservano; e due, barbuti, anziani, tirano la veste di Giuda, che nel mettersi in preghiera si è trovato non più difeso dalle coppie degli altri compagni.
   «Ma che volete, insomma?», chiede piano ma con risentimento. «Neanche pregare si può?».
   «Una parola sola. Poi ti lasciamo in pace».
   Simone Zelote e il Taddeo si voltano e zittiscono i sussurroni. Giuda si scosta due o tre passi e chiede: «Che volete?».
   Non intendo ciò che gli mormora il più vecchio all’orecchio. Ma vedo bene l’atto di Giuda che si scansa d’impeto dicendo:
   «No. Lasciatemi in pace, anime di veleno. Non vi conosco, non vi voglio più conoscere».
   Una risata di scherno esce dal gruppetto rabbinico e una minaccia: «Bada ciò che fai, stolto ragazzo!».
   «Badateci voi. Via! Andate pure a dirlo agli altri. A tutti gli altri. Avete capito? Rivolgetevi a chi vi pare. Non a me, demoni che siete», e li pianta in asso.
   Ha parlato tanto forte che gli apostoli si sono voltati stupefatti. Gesù no. Neppure per la risata di scherno e la promessa:
   «Ci rivedremo, Giuda di Simone! Ci rivedremo!», che risuona nel silenzio del luogo.
   Giuda torna al suo posto, anzi sposta Andrea che si era messo vicino a Gesù e, quasi per essere difeso e protetto, prende un lembo del mantello di Gesù fra le mani.

   340.8L’ira si avventa su Gesù, allora. Si fanno avanti, minacciosi, e urlano: «Che fai qui, Tu, anatema di Israele? Via! Non fare fremere le ossa del Giusto che non sei degno di avvicinare. Lo diremo a Gamaliele e ti faremo punire».
   Gesù si volta e li guarda. Uno per uno.
   «Perché ci guardi così, indemoniato?».
   «Per conoscere bene i vostri volti e i vostri cuori. Perché non solo il mio apostolo si rivedrà con voi. Ma Io pure. E vorrò avervi ben conosciuto per potervi subito ben ravvisare».
   «Bene, ci hai visti? Vattene. Gamaliele, se ci fosse, non lo permetterebbe».
   «Lo scorso anno fui qui con lui…».
   «Non è vero, mentitore!».
   «Chiedeteglielo e, poiché egli è un onesto, vi dirà che sì. Io amo e venero Hillele, e rispetto e onoro Gamaliele. Sono due uomini nei quali si appalesa l’origine dell’uomo per la loro giustizia e sapienza, che ricorda che l’uomo è fatto a somiglianza di Dio».
   «In noi no, eh?», interrompono gli energumeni.
   «In voi è offuscata dagli interessi e dall’odio».
   «Uditelo! In casa altrui così parla e offende! Via! Via di qui, corruttore dei migliori d’Israele! O noi daremo mano alle pietre. Qui non c’è Roma a proteggerti, trescatore col nemico pagano…».
   «Perché mi odiate? Perché mi perseguitate? Che vi ho fatto di male? Alcuni di voi hanno avuto da Me benefici, tutti rispetto. E allora perché siete con Me crudeli?». Gesù è umile, mite, afflitto e amoroso. Li supplica di amarlo.
   Essi prendono questo per un segno di debolezza e di paura e incalzano. La prima pietra vola e sfiora Giacomo di Zebedeo. Questo, rapido, fa l’atto di reagire col lanciarla agli assalitori, mentre tutti si stringono intorno a Gesù. Ma sono dodici contro un centinaio circa. Un’altra pietra colpisce alla mano Gesù che sta ordinando ai suoi di non reagire. La mano, ferita sul dorso, sanguina. Pare già ferita dal chiodo…

   340.9Allora Gesù non prega più. Si raddrizza, imponente, li guarda, li fulmina coi suoi sguardi. Ma un altro sasso fa sanguinare Giacomo d’Alfeo sulla tempia. Gesù deve paralizzare ogni altro atto col suo potere, a difesa dei suoi apostoli che, ubbidienti, subiscono la sassaiola senza reagire. E quando i vili sono dominati dal volere di Gesù, Egli — ed è di una imponenza spaventosa — dice con voce tonante:
   «Me ne vado. Ma sappiate che, per quanto fate, Hillele vi avrebbe maledetti. Me ne vado. Però ricordate[74] che neppure il mar Rosso arrestò gli israeliti dal loro cammino segnato da Dio. Tutto si spianò e si fece strada al volere di Dio che passava. E ciò è anche per Me. Come egizi e filistei, amorrei, cananei e ogni altro popolo non arrestarono la marcia trionfale di Israele, così voi, peggio che tali, non arresterete il cammino e la missione di Me: Israele. Ricordate che fu cantato[75] al pozzo dell’acqua data da Dio: “Sgorga, o pozzo, pozzo scavato dai principi, preparato dai capi del popolo, col dator della Legge, coi loro bastoni”. Io sono quel Pozzo! Quel Pozzo Io sono! Scavato dai Cieli per tutte le preghiere, le giustizie dei veri principi e capi del Popolo santo, che non siete voi. No. Non lo siete. Per voi mai il Messia sarebbe venuto, perché non ve lo meritate. Perché la sua venuta è la vostra rovina. Perché l’Altissimo sa tutti i pensieri degli uomini e li sa da sempre, da prima che fosse Caino da cui venite, e Abele al quale Io sono simile, da prima che fosse Noè mia figura, Mosé che per primo ha usato il mio simbolo, da prima che fosse Balaam che profetizzò[76] la Stella, e Isaia e tutti i profeti. E sa i vostri, Dio, e ne inorridisce. Ne ha sempre inorridito, così come ha sempre giubilato per i giusti per i quali era giusto mandarmi, e che veramente, oh! sì! veramente mi hanno aspirato dalla profondità dei Cieli per portare l’Acqua viva alla sete degli uomini. Io sono la Fonte di Vita eterna. Ma voi non vi volete bere. E morrete».
   E passa lentamente in mezzo ai paralizzati rabbini e allievi e prosegue la sua via, lento, solenne, in un silenzio stupefatto di uomini e di cose.

[73] l’ho detto, in 269.8.
[74] ricordate, ciò che si narra in: Esodo 14, 15-31.
[75] fu cantato, in: Numeri 21, 17-18.
[76] profetizzò, in: Numeri 24, 15-19.