MARIA
VALTORTA

Voglio che le anime possano bere alla Fonte vitale della mia parola

"Quando la Chiesa - e per tale alludo ora alla riunione degli alti dignitari di Essa - agì secondo i dettami della mia Legge e del mio Vangelo, la Chiesa conobbe tempi fulgidi di fulgore. Ma guai quando, anteponendo gli interessi della Terra a quelli del Cielo, inquinò Se stessa con passioni umane! Tre volte guai quando adorò la Bestia di cui parla Giovanni, ossia la Potenza politica, e se ne fece asservire..." (Qd 12 dicembre 1943)

OPERA MAGGIORE

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VOLUME V CAPITOLO 303



CCCIII. Gesù dalla Madre a Nazareth.

   15 ottobre 1945.

   303.1Una sera già scura di dicembre. Fredda, ventosa. Tolte le foglie strappate alle piante che ancora ne hanno e che frusciano fra sibili di vento, non vi è altro rumore per le vie di Nazaret, oscure come quelle di una città morta. Dalle case sprangate non filtrano né luce né rumori. Proprio una sera da lupi…
   E invece per le vie deserte di Nazaret si aggira l’Agnello di Dio, diretto alla sua casa. Alta ombra oscura nella veste oscura, si perde quasi nel fosco della notte senza stelle, e il suo passo è appena un fruscio quando si posa su un mucchio di foglie secche che, dopo averle fatte mulinare nell’aria, il vento ha deposto al suolo, pronto a riprenderle per portarle altrove.
   Giunge presso la casa di Maria Cleofe. Resta un attimo incerto se entrare nell’orto e bussare alla porta di cucina o se proseguire… Ma poi prosegue senza sostare. Eccolo ormai nella viuzza dove è la sua casa. Il tormentato ondeggiare degli ulivi sul poggetto al quale è addossata la casa già si vede, ondare nero sul cielo nero. Affretta il passo. Giunge alla porta. Ascolta attento. È così facile sentire che avviene in quella casa così piccina! Basta stringersi allo stipite per avere solo i pochi centimetri del legno dell’uscio fra chi ascolta e chi parla… Eppure non sente nessuna voce.
   «È tardi», sospira. «Attenderò l’alba per bussare».

   303.2Ma mentre sta per allontanarsi lo raggiunge il ritmico rumore del telaio. Sorride. Dice: «È alzata. Tesse. Certo è Lei… È la cadenza della Mamma, questa». Non posso vederne il viso ma sono certa che sorride, perché il sorriso è nella sua voce che prima era triste ed ora è già ilare.
   Bussa. Il rumore cessa un momento e poi ecco il suono di un sedile respinto, e poi la voce argentina che chiede: «Chi bussa?».
   «Io, Mamma!».
   «Figlio mio!». Un dolce grido di gioia, grido se anche tenuto in tono basso. Si sente il trepestio delle mani sui chiavistelli, lo scorrere di questi… e l’uscio si apre mettendo uno squarcio d’oro sul nero della notte. Maria cade nelle braccia di Gesù, lì sulla soglia, come non potessero tardare un minuto, Lui a riceverla, Ella a gettarsi su quel Cuore. «Figlio! Figlio! Figlio mio!».
   Baci e le dolci parole di «Mamma», «Figlio»… Poi entrano e l’uscio si rinchiude pianamente.
   Maria spiega sottovoce: «Dormono tutti. Io vegliavo… Da quando sono tornati Giacomo e Giuda, dicendo che Tu li seguivi, ti ho sempre atteso fino a tarda ora. Hai freddo, Gesù? Sì. Sei di gelo. Vieni. Ho tenuto acceso il focolare. Vi getterò una fascina. Ti scalderai». E lo conduce per mano come fosse sempre il piccolo Gesù…
   La fiamma splende lieta e crepitante sul focolare ravvivato. Maria guarda Gesù che tende le mani alla fiamma per scaldarsele. «Come sei pallido! Non eri così quando ci siamo lasciati… Divieni sempre più magro ed esangue, Creatura mia. Un tempo eri di latte e rose. Ma ora sembri fatto di avorio vecchio. Che hai avuto di nuovo, Figlio mio? Sempre i farisei?».
   «Sì… e altro ancora. Ma ora sono felice, qui con te, e starò subito bene. Quest’anno le Encenie si fanno qui, Mamma! Raggiungo l’età perfetta qui al tuo fianco. Sei contenta?».
   «Sì. Ma l’età perfetta per Te, cuor mio, è ancora lontana…
   Sei giovane, e per me sei sempre il mio Bambino. Ecco, il latte è caldo. Vuoi berlo qui o di là?».
   «Di là, Mamma. Ho caldo ora. Lo berrò mentre tu copri il tuo telaio».

   303.3Tornano nella stanzetta e Gesù siede sulla cassapanca presso il tavolo e beve il suo latte. Maria lo guarda e sorride. Sorride più ancora quando tocca la sacca di Gesù e la posa su una mensola. Sorride tanto che Gesù chiede: «Che pensi?».
   «Penso che Tu sei giunto proprio nell’anniversario della nostra partenza per Betlemme… Anche allora c’erano sacche e cofani aperti e colmi di vesti e specie di piccoli panni… per un Piccolino che poteva nascere, dicevo a Giuseppe; che doveva nascere, dicevo a me stessa, a Betlem di Giuda… Li avevo nascosti nel fondo perché Giuseppe aveva timore di questo… Non sapeva ancora che la nascita del Figlio di Dio non sarebbe stata soggetta, né per lo Stesso, né per la Mamma sua, alle comuni miserie del partorire e del nascere. Non sapeva… e aveva paura di essere lontano da Nazaret con me in quello stato. Io ero certa che sarei stata Puerpera là… Tu esultavi troppo in me per la gioia di esser giunto al tuo Natale, e al natale della Redenzione, perciò, perché io potessi ingannarmi. Gli angeli turbinavano intorno alla Donna che portava Te, mio Dio… Non era più l’Arcangelo sublime, non il dolcissimo Angelo che mi è custode, come era nei mesi prima. Ora erano cori e cori d’angeli, che saettavano dal Cielo di Dio al mio piccolo Cielo: il mio seno dove Tu eri… Io li sentivo cantare e scambiarsi le loro parole di luce… parole ansiose di vedere Te, incarnato Dio… Io li sentivo durante le loro fughe d’amore dal Paradiso per venire ad adorare Te, Amore del Padre, nascosto nel mio seno. E cercavo imparare le loro parole… i loro canti… i loro ardori… Ma una creatura umana non può dire e avere cose di Cielo…».
   Gesù l’ascolta, Lui seduto, Ella in piedi presso la tavola, sognante come Lui è beato… una manina abbandonata sul legno oscuro, l’altra che si appoggia sul cuore… E Gesù le copre la manina bianca e gentile con la sua lunga e più scura, e stringe nel suo pugno quella manina santa… E quando Lei tace, quasi rammaricandosi di non aver potuto imparare dagli angeli parole, canti e ardori, Gesù dice: «Tutte le parole degli angeli, tutti i loro canti, tutti i loro ardori, non mi avrebbero fatto felice sulla Terra se non avessi avuto i tuoi, Mamma mia! Tu mi hai detto e dato ciò che essi non hanno potuto darmi. Non tu da loro, ma loro da te hanno imparato…

   303.4Vieni qui, Mamma, al mio fianco e racconta ancora… Non di allora… ma di ora. Che facevi?».
   «Lavoravo…».
   «Lo so. Ma che era? Scommetto che ti stancavi per Me. Fa’ vedere…».
   Maria diventa più rossa della stoffa che è sul telaio e che Gesù, alzatosi, osserva.
   «Porpora? Chi te l’ha data?».
   «Giuda di Keriot. Se l’è fatta dare dai pescatori di Sidone, credo. Vuole che io ti faccia una veste da re… La veste te la faccio, sì. Ma per Te non c’è bisogno di porpora ad essere re».
   «Giuda è cocciuto più di un mulo», è l’unico commento sulla porpora donata…
   Poi si volge alla Madre: «E ci viene tutta una veste con quel che ti ha dato?».
   «Oh! no, Figlio! Potrà servire per le balze della veste e del mantello. Non di più».
   «Va bene. Ho capito perché la fai a strisce basse. Allora… Mamma, mi piace questo pensiero. Tu mi terrai da parte queste strisce e un giorno ti dirò di usarle per una bella veste. Ma ora c’è tempo. Non ti affaticare».
   «Lavoro quando sono a Nazaret…».
   «È vero…

   303.5E gli altri che hanno fatto in questo tempo?».
   «Si sono istruiti».
   «Ovvero, li hai istruiti. Che te ne pare?».
   «Oh! sono tre buoni. Tolto Te, non ho mai avuto scolari più dolci e attenti. Ho cercato anche di rinforzare un poco Giovanni. È molto malato. Non camperà molto…».
   «Lo so. Ma per lui è un bene. Del resto egli stesso lo desidera. Ha compreso spontaneamente il valore della sofferenza e della morte. E Sintica?».
   «È una pena allontanarla. Vale cento discepoli per santità e capacità di intendere il soprannaturale».
   «Comprendo. Ma lo devo fare».
   «Ciò che fai è sempre ben fatto, Figlio».
   «E il bambino?».
   «Anche lui impara. Ma è molto triste in questi giorni… Ricorda la sventura di or è un anno… Oh! non c’era molta letizia qui!… Giovanni e Sintica sospirano pensando alla partenza da qui, il bambino piange pensando alla mamma morta…».
   «E tu?».
   «Io… lo sai, Figlio. Non c’è sole quando Tu mi sei lontano.
   Non ci sarebbe neppure se il mondo ti amasse. Ma almeno ci sarebbe sereno… Invece…».
   «C’è pianto. Povera Mamma!… Non ti hanno fatto domande su Giovanni e Sintica?».
   «E chi vuoi mai che le facesse? Maria d’Alfeo sa e tace. Alfeo di Sara ha già visto Giovanni e non è curioso. Lo chiama “il discepolo”».
   «E gli altri?».
   «Meno Maria e Alfeo, non viene nessuno da me. Qualche donna per qualche lavoro o consiglio. Ma gli uomini di Nazaret non varcano più la mia soglia».
   «Neppure Giuseppe e Simone?».
   «…No… Simone mi manda olio, farine, ulive, legna, uova…
   come per farsi perdonare di non capirti, come per parlare attraverso i doni… Ma li dà a Maria, sua madre, e qui non viene. Del resto, chiunque venisse non vedrebbe che me, perché Sintica e Giovanni si ritirano quando bussa qualcuno…».
   «Una vita molto triste».
   «Sì. E il bambino ne soffre un poco, tanto che ora Maria d’Alfeo se lo porta con sé quando mi fa le spese. Ma ora non saremo più tristi, mio Gesù. Ci sei Tu!».
   «Ci sono Io… Ora andiamo a dormire. Benedicimi, Mamma, come quando ero piccino».
   «Benedicimi, Figlio. Sono la tua discepola».
   Si baciano… Accendono una nuova lucernetta ed escono per andare al riposo.