MARIA
VALTORTA

Voglio che le anime possano bere alla Fonte vitale della mia parola

"Quando la Chiesa - e per tale alludo ora alla riunione degli alti dignitari di Essa - agì secondo i dettami della mia Legge e del mio Vangelo, la Chiesa conobbe tempi fulgidi di fulgore. Ma guai quando, anteponendo gli interessi della Terra a quelli del Cielo, inquinò Se stessa con passioni umane! Tre volte guai quando adorò la Bestia di cui parla Giovanni, ossia la Potenza politica, e se ne fece asservire..." (Qd 12 dicembre 1943)

OPERA MAGGIORE

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VOLUME V CAPITOLO 359



CCCLIX. Nella capanna di Mattia presso Jabes Galaad.

   13 dicembre 1945.

   359.1La valle profonda e boscosa dove sorge Jabes Galaad è sonante per un torrentello molto gonfio che va spumando al prossimo Giordano. Cupezza di crepuscolo e cupezza di giornata aggravano gli aspetti cupi delle selve, e perciò il paese appare triste e inospitale fin dal primo momento.
   Tommaso, sempre di buon umore nonostante che le sue vesti siano nello stato di un panno levato da una tinozza, dalla testa ai fianchi e dai fianchi ai piedi fango che cammina, dice:
   «Uhm! non vorrei che dopo secoli si vendicasse su di noi, questo paese, della brutta sorpresa[107] avuta da Israele. Basta! Andiamo a soffrire per il Signore».
   Non li accoppano, questo no. Ma li cacciano da ogni luogo, chiamandoli ladroni e peggio ancora, e Filippo con Matteo devono fare una bella corsa per salvarsi da un grosso cane che un pastore ha aizzato contro di loro, andati a bussare alla porta dell’ovile chiedendo ricovero per la notte, «almeno sotto le tettoie delle bestie».
   «E ora che facciamo?».
   «Non abbiamo pane».
   «E non denari. Senza denari non si trova né pane né alloggio!».
   «E siamo fradici, gelati, affamati».
   «E viene la notte. Saremo belli domani mattina, dopo una notte nel bosco!».
   Su dodici che sono, sette brontolano apertamente, tre hanno il malcontento scritto sul viso e, anche se tacciono, è come parlassero. Simone Zelote va a capo chino, indecifrabile. Giovanni pare sulla brage accesa e la sua testa si volta veloce dai brontoloni a Gesù, da questo a quelli, con la pena dipinta sul viso. Gesù continua ad andare personalmente, posto che gli apostoli si rifiutano o lo fanno con timore, a bussare di casa in casa, percorrendo paziente le stradette mutate in pantani scivolosi e fetidi. Ma dovunque è respinto.

   359.2Sono all’estremità del paese, là dove la valle già si allarga nei pascoli della pianura transgiordanica. Qualche rara casa resta ancora… E sono tutte delusioni…
   «Cerchiamo nei campi. Giovanni, riesci tu a salire su quest’olmo? Dall’alto puoi vedere».
   «Sì, mio Signore».
   «L’olmo è scivoloso di pioggia. Il ragazzo non riuscirà e si farà del male. Così, per soprappiù, avremo anche un ferito», brontola Pietro.
   E Gesù, mite: «Salirò Io».
   «Questo poi no!», urlano in coro. E più di tutti urlano i pescatori, aggiungendo: «Se è pericoloso per noi che siamo pescatori, cosa vuoi potere Tu che non ti sei mai arrampicato sugli spigoli e sulle corde?».
   «Lo facevo per voi. Per cercarvi un ricovero. Per Me è indifferente. Non è l’acqua quella che mi è penosa…». Quanta tristezza! Quanto richiamo alla pietà per Lui è nella voce!
   Qualcuno lo sente e tace. Altri, e questi sono proprio Bartolomeo e Matteo, dicono: «Ormai è troppo tardi per provvedere. Si doveva pensarci prima».
   «Già, e non fare i capricci col volere partire da Pella benché già piovesse. Sei stato caparbio e imprudente, e ora tutti ne paghiamo lo scotto. Cosa vuoi provvedere, ora? Se avessimo avuto una ben nutrita borsa, vedi che tutte le case si sarebbero aperte! Ma Tu!… Perché non fai un miracolo, almeno un miracolo per i tuoi apostoli, Tu che ne fai anche agli indegni?», dice Giuda di Keriot gestendo come un matto, aggressivo, tanto che gli altri, benché in fondo la pensino in parte come lui, sentono il bisogno di richiamarlo al rispetto.
   Gesù pare già il Condannato che guarda mite i suoi carnefici. E tace. Questo tacere, che si fa sempre più frequente in Gesù da qualche tempo, preludio al “grande tacere” davanti al Sinedrio, a Pilato e a Erode, mi fa tanta pena. Mi sembrano quelle pause di silenzio che si sentono nel lamento di un morente, che non sono calma nei dolori ma preludio della morte. Mi sembra che gridino, questi silenzi di Gesù, più di ogni parola, col loro tacere, e dicano tutto il dolore di Gesù davanti all’incomprensione degli uomini e al loro disamore. E la sua mitezza che non reagisce, lo stare così col capo un po’ basso, me lo fanno apparire già legato, consegnato al livore degli uomini.
   «Perché non parli?», gli chiedono.
   «Perché direi parole che il vostro cuore non intenderebbe in quest’ora… Andiamo. Cammineremo per non ghiacciarci… E perdonate…».
   Si volta rapido, mettendosi in testa alla comitiva che un po’ lo compassiona, un po’ lo accusa e un po’ dà la voce ai compagni.

   359.3Giovanni resta lentamente indietro, fa in modo che non se ne accorga nessuno. Poi va ad un alto piantone, mi pare un pioppo o un frassino, e gettati via mantello e veste si dà a salire seminudo, faticosamente, finché i primi rami non gli agevolano la salita. Va su, su, su, come un gatto. Talora scivola, anche, ma si riprende. È quasi in vetta. Scruta l’orizzonte nelle ultime luci, che qui, in aperta pianura, e per un assottigliamento delle nubi plumbee, sono più chiare che nella valle. Aguzza lo sguardo in ogni senso. Ed ha infine un atto di gioia.
   Si lascia scivolare rapidamente a terra, si riveste, si dà a correre raggiungendo e sorpassando i compagni. Eccolo al fianco del Maestro. Dice col fiato corto per la fatica fatta e la corsa:
   «Una capanna, Signore… una capanna verso oriente… Ma occorre tornare indietro… Sono salito su un albero… Vieni, vieni…».
   «Io vado con Giovanni da questa parte. Se volete venire venite, altrimenti proseguite sino al prossimo paese lungo il fiume. Ci troveremo là», dice Gesù serio e deciso.
   Lo seguono tutti per i prati ammollati.
   «Ma si torna verso Jabes!».
   «Io non vedo case…».
   «Chissà cosa ha visto il ragazzo!».
   «Un pagliaio forse».
   «O la capanna di un lebbroso».
   «Così finiamo di bagnarci. Questi prati sembrano spugne», brontolano gli apostoli.

   359.4Ma non è una capanna di lebbroso né un pagliaio quello che si disvela da dietro un fitto di tronchi. È una capanna, questo sì. Larga, bassa, simile ad un povero ovile, col tetto di paglia per metà e i muri di mota che a fatica tengono a posto i quattro piloni angolari di pietre grezze. Un recinto a palafitte è intorno alla casupola e dentro vi sono delle verdure stillanti acqua.
   Giovanni dà la voce. Si affaccia un vecchio. «Chi è?».
   «Pellegrini diretti a Gerusalemme. Un ricovero in nome di Dio!», dice Gesù.
   «Sempre. È dovere. Ma capitate male. Ho poco spazio e non ho letti».
   «Non importa. Avrai fuoco almeno».
   L’uomo armeggia alla chiusura e l’apre. «Entrate e la pace sia con voi».
   Passano per la minuscola ortaglia. Entrano nell’unica stanza che è cucina e camera da letto. Un fuoco arde sul focolare. Vi è ordine e povertà. Non un utensile più del necessario.
   «Vedete! Non ho che il cuore grande e ornato, io! Ma se vi adattate… Avete pane?».
   «No. Un pugno di ulive…».
   «Io non ho pane per tutti. Ma vi farò una cosa col latte. Ho due pecore. Mi bastano. Vado a mungerle. Volete darmi i mantelli? Li stenderò nell’ovile, qui dietro. Asciugheranno un poco e domani con la fiamma faranno il resto».
   L’uomo esce carico delle stoffe umide. Tutti sono vicino alla fiamma e si rallegrano del calore.
   Torna l’uomo con una rustica stuoia. La stende. «Levatevi i sandali. Li sciacquerò dal fango e li appenderò, che si asciughino. E vi darò acqua calda per levarvi la mota dai piedi. La stuoia è rustica ma pulita e alta. Vi potrà fare piacere più del suolo freddo».
   Stacca un paiolo colmo di acqua verdastra, perché delle verdure bollono in essa, e versa l’acqua metà in un catino e metà in una conca. La allunga con acqua fredda e dice: «Ecco.
   Vi ristorerà. Lavatevi. Questa è una tela pulita».
   E intanto traffica al fuoco, lo avviva, versa il latte in un paiuolo, lo mette al fuoco. E appena leva il bollore vi cala dei semi che mi sembrano o orzo tritato o miglio sgusciato. E rimesta la sua pappa.

   359.5Gesù, che si è lavato fra i primi, gli viene vicino: «Dio ti dia grazia per la tua carità».
   «Non faccio che rendere ciò che ho avuto da Lui. Ero lebbroso. Dai trentasette ai cinquantuno lebbroso. Poi sono guarito. Ma al paese ho trovato morti i parenti, la moglie, e devastata la casa. E poi ero “il lebbroso”… Sono venuto qui. E mi sono fatto il nido. Da me e con l’aiuto di Dio. Prima una capanna di falaschi. Poi una di legno. Poi dei muri… E tutti gli anni una cosa nuova. L’anno passato ho fatto il luogo delle pecore. Le ho comperate fabbricando stuoie che vendo e stoviglie di legno. Ho un melo, un pero, un fico, una vite. Dietro ho un campetto d’orzo, davanti le verdure. Quattro coppie di colombi e due pecore. Fra poco avrò gli agnelli. E speriamo che siano femmine questa volta. Benedico il Signore e non chiedo di più.
   E Tu chi sei?».
   «Un galileo. Hai prevenzioni?».
   «Alcuna, benché di razza giudea. Se avessi avuto figli, avrei potuto averne uno come Te… Faccio da padre ai colombini… Mi sono abituato a stare solo».
   «E per le Feste?».
   «Empio le mangiatoie e vado. Prendo a nolo un asino. Corro, faccio, e torno. Mai mi è mancata una foglia. Dio è buono».
   «Sì, coi buoni e con i meno buoni. Ma i buoni sono sotto le sue ali».
   «Sì. Lo dice[108] anche Isaia… Me, mi ha protetto».
   «Sei stato lebbroso però», osserva Tommaso.
   «E sono divenuto povero e solo. Ma, ecco, questa è grazia di Dio, tornare uomo e avere tetto e pane. Il mio modello nella sventura[109] fu Giobbe. Spero di meritare come lui la benedizione di Dio, non in ricchezze ma in grazia».
   «L’avrai. Sei un giusto.

   359.6Come ti chiami?».
   «Mattia». E stacca il suo paiolo, lo porta sulla tavola, vi aggiunge burro e miele, fruga, rimette al fuoco e dice: «Ho solo sei stoviglie fra piatti e scodelle. Farete a turno».
   «E tu?».
   «Chi ospita si serve per ultimo. Per primi i fratelli che Dio manda. Ecco. È pronto. E questo fa bene». E versa delle ramaiolate di pappa fumante in quattro piatti e due scodelle. I cucchiai di legno ci sono.
   Gesù consiglia i più giovani a mangiare.
   «No. Tu, Maestro», dice Giovanni.
   «No, no. È bene che si sazi Giuda e veda che c’è sempre cibo per i figli».
   L’Iscariota cambia colore ma mangia.
   «Sei un rabbi?».
   «Sì. Questi sono i miei discepoli».
   «Io andavo dal Battista, quando era a Betabara. Sai nulla del Messia? Dicono che c’è e che Giovanni lo ha indicato. Quando vado a Gerusalemme spero sempre di vederlo. Ma non ci sono mai riuscito. Io compio il rito e non mi fermo. Per questo sarà che non lo vedo. Qui sono isolato e poi… Gente non buona in Perea. Ho parlato con dei pastori, vengono qui per i pascoli. Loro sapevano. Mi hanno detto. Che parole! Chissà poi quando dette da Lui!…».
   Gesù non si disvela. È la sua volta di mangiare e lo fa serenamente presso il vecchio buono.
   «E ora? Come faremo per il sonno? Vi cedo il letto. Ma è uno solo… Io andrò dalle pecore».
   «No, ci andremo noi. Il fieno è buono per chi è stanco».
   La cena è finita e pensano di coricarsi per partire all’aurora. Ma il vecchio insiste e nel suo letto ci va Matteo, molto costipato.

   359.7Ma l’aurora è un diluvio. Come partire sotto quelle cateratte? Dànno ascolto al vecchio e sostano. Intanto le vesti vengono spazzolate, asciugate, unti i sandali, riposate le membra. Il vecchio ricuoce orzo nel latte per tutti e poi mette delle mele nella cenere. Il loro pasto. E lo stanno consumando quando viene dal di fuori una voce.
   «Un altro pellegrino? Come faremo?», dice il vecchio. Ma si alza ed esce ravvolto in una coperta di lana grezza, impermeabile.
   Nella cucina vi è calore di fuoco, ma non di buon umore. Gesù tace.
   Torna il vecchio con gli occhi sbarrati. Guarda Gesù, guarda gli altri. Pare abbia paura… pare sia incerto e indagatore.
   Infine dice: «Fra voi c’è il Messia? Ditelo, ché quei di Pella lo cercano per adorarlo, per un grande miracolo fatto da Lui. Hanno bussato da ieri sera a tutte le case fino al fiume, fino al primo paese… Ora, al ritorno, hanno pensato a me. Qualcuno ha indicato la mia casa. Sono fuori, coi carri. Tanta gente!».
   Gesù si alza. I dodici dicono: «Non ci andare. Se hai detto che era prudente avere evitato di sostare a Pella, è inutile mostrarti ora».
   «Ma allora!… Oh! Benedetto! Benedetto Tu e chi ti ha mandato. E me che ti ho accolto! Tu sei il Rabbi Gesù, quello… Oh!». L’uomo è in ginocchio, fronte a terra.
   «Sono Io. Ma lasciami andare da questi che mi cercano. Poi verrò da te, uomo buono». Si libera le caviglie strette dalle mani del vecchio ed esce nell’ortaglia innondata.

   359.8«Eccolo! Eccolo! Osanna!». Si gettano dai carri. Sono uomini e donne, e c’è il ciechino di ieri e la madre, e c’è la gerasena. Incuranti del fango, si inginocchiano e supplicano: «Torna, torna indietro! Da noi. A Pella».
   «No, a Jabes», urlano altri, certo di Jabes. «Ti vogliamo!
   Siamo pentiti di averti cacciato!», urlano quelli di Jabes.
   «No, da noi. A Pella dove è vivo il tuo miracolo. A loro gli occhi. A noi la luce nell’anima».
   «Non posso. Vado a Gerusalemme. Là mi troverete».
   «Sei corrucciato perché ti abbiamo scacciato».
   «Sei disgustato perché sai che avevamo creduto alle calunnie di un peccatore».
   La madre di Marco si copre il viso piangendo.
   «Dillo tu, Jaia, a Colui che ti ha amato, di tornare».
   «Mi troverete a Gerusalemme. Andate e perseverate. Non siate simili ai venti che vanno in ogni direzione. Addio».
   «No. Vieni. Ti rapiamo con la forza se non vieni».
   «Voi non alzerete la mano su Me. Questa è idolatria, non vera fede. La fede crede anche senza vedere. Persevera anche se combattuta. Cresce anche senza miracoli. Resto da Mattia, che ha saputo credere senza nulla vedere e che è un giusto».
   «Almeno accetta i nostri doni. Denaro, pane. Ci hanno detto che avete dato tutto quanto avevate a Jaia e a sua madre. Prendi un carro. Anderai con quello. Lo lascerai a Gerico da Timone alberghiere. Prendilo. Piove e pioverà. Sarai riparato.
   Farai presto. Mostraci che non ci odii».
   Essi al di là della palizzata, Gesù al di qua, si guardano, e quelli di là tumultuano. Dietro a Gesù il vecchio Mattia in ginocchio, a bocca aperta, e poi, in piedi, gli apostoli.
   Gesù tende la mano e dice: «Accetto per i poveri. Ma non accetto il carro. Sono il Povero fra i poveri. Non insistete. Jaia, donna, e tu di Gerasa, venite, che vi benedica in particolare». E avutili vicini, poiché Mattia ha aperto la palizzata, li carezza e benedice, e li congeda. Benedice poi gli altri che si sono affollati sulla soglia, dando agli apostoli monete e viveri, e li congeda.

   359.9Torna in casa…
   «Perché non hai parlato loro?».
   «Parla il miracolo dei due ciechi».
   «Perché non hai preso il carro?».
   «Perché è bene andare a piedi». E si volge a Mattia: «Ti avrei ricompensato con le benedizioni. Ora posso unirvi un poco di denaro per le spese che ti costiamo…».
   «No, Signore Gesù… Non lo voglio. Ho fatto ciò di buon cuore. E ora, ora lo faccio servendo il Signore. Non paga il Signore. Non vi è tenuto. Sono io che ho avuto, non Tu! Oh! questo giorno! Verrà, col suo ricordo, fino nell’altra vita!».
   «Hai detto bene. La tua misericordia verso i pellegrini la troverai scritta in Cielo, e così il tuo pronto credere… Non appena schiarirà un poco ti lascerò. Essi potrebbero tornare. Insistenti finché il miracolo li scuote, e poi… torpidi come prima, o nemici. Io vado. Fino ad ora ho sostato cercando convertirli. Ora vengo e passo, senza sostare. Vado al mio destino che mi incalza. Dio e l’uomo mi spronano, e non posso più sostare. Mi pungola l’amore e mi pungola l’odio. Chi mi ama mi può seguire. Ma il Maestro non corre più dietro alle pecore riottose».
   «Non ti amano, Maestro divino?», chiede Mattia.
   «Non mi comprendono».
   «Cattivi sono».
   «Li appesantiscono le concupiscenze».
   L’uomo non osa più essere confidenziale come prima. Pare sia di fronte all’altare. Gesù, all’opposto, ora che non è più lo Sconosciuto, è meno sostenuto e parla al vecchio come a un parente.
   E così passano le ore fino ad un principio di meriggio. La nube, rotta, promette sospensione alla pioggia. Gesù ordina la partenza. E, mentre il vecchio va a prendere i mantelli asciutti, depone in un cassetto delle monete e fa mettere pani e formaggi in una madia.
   Torna il vecchio e Gesù lo benedice. Poi riprende il cammino, volgendosi ancora a guardare la testa bianca che sporge dalla palizzata oscura.

[107] brutta sorpresa, narrata in: 1 Maccabei 5, 9-36.
[108] Lo dice, quanto al concetto, in vari punti e con forme diverse, come per esempio in: Isaia 3, 10.
[109] sventura, esposta nel prologo del libro: Giobbe 1-2; benedizione, che ne è l’epilogo: Giobbe 42, 10-17. Il modello di Giobbe, richiamato anche in 544.6.8 (per bocca del morente Lazzaro), in 555.5 (da parte di Pietro) e in 579.6/7, è quello dell’uomo giusto, colpito dalla sofferenza senza averne colpa.