MARIA
VALTORTA

Voglio che le anime possano bere alla Fonte vitale della mia parola

"Quando la Chiesa - e per tale alludo ora alla riunione degli alti dignitari di Essa - agì secondo i dettami della mia Legge e del mio Vangelo, la Chiesa conobbe tempi fulgidi di fulgore. Ma guai quando, anteponendo gli interessi della Terra a quelli del Cielo, inquinò Se stessa con passioni umane! Tre volte guai quando adorò la Bestia di cui parla Giovanni, ossia la Potenza politica, e se ne fece asservire..." (Qd 12 dicembre 1943)

OPERA MAGGIORE

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VOLUME V CAPITOLO 358



CCCLVIII. A Pella. Il giovinetto Jaia e la madre di Marco di Giosia.

   12 dicembre 1945.

   358.1La strada che da Gadara va a Pella corre per una zona fertile, distesa fra due ordini di colli, l’uno più alto dell’altro. Sembrano due enormi scalini di una scala da giganti favolosi, per salire dalla valle del Giordano ai monti dell’Auran. Quando la strada si accosta maggiormente allo scaglione di occidente, l’occhio domina non solo sui monti dell’altra sponda, credo quelli della Galilea meridionale e certamente quelli della Samaria, ma anche sulla verde bellezza che fa da ala all’azzurro fiume dall’una parte e dall’altra. Quando se ne scosta, avvicinandosi alle catene di oriente, allora perde di vista la valle del Giordano, ma ancora vede le cime delle catene di Samaria e di Galilea stagliarsi col loro verde sul cielo grigio.

   In giorno di sole sarebbe un bel panorama, dalle tinte vaghe di bellezza e decise. Oggi che il cielo è ormai tutto coperto di nuvole basse, ammonticchiate dallo scirocco che cresce sempre e spinge nuovi ammassi di nuvole pesanti a sovrapporsi a quelli già esistenti, abbassando il cielo con tutta questa ovatta grigia e arruffata, il panorama perde la luminosità dei verdi, che appaiono smorzati come per una opacità di nebbia.
   Qualche paesello viene raggiunto e sorpassato senza che accada nulla di notevole. L’indifferenza accoglie e segue il Maestro. Solo gli accattoni non mancano di interessarsi del gruppo di pellegrini galilei, e vanno chiedendo elemosina. Non mancano i soliti ciechi dagli occhi per lo più distrutti dal tracoma, o i quasi ciechi che vanno a capo basso, mal soffrendo la luce, rasente ai muri, talora soli, altre volte uniti ad una donna o ad un bambino. In un paese, dove si interseca la strada per Pella con quella di Gerasa e Bosra per il lago di Tiberiade, ve ne è tutta una turba, che assalta le carovane coi suoi lamenti simili ad uggiolii di cani, rotti ogni tanto da veri ululati. Stanno in ascolto, un gruppo di miseria, di sudiciume e di stracci, addossato alle mura delle prime case, rosicchiando croste di pane e ulive, oppure sonnecchiano mentre le mosche pascolano a loro piacere sulle palpebre ulcerate; ma al primo rumore di zoccoli o al primo scalpiccio di numerosi piedi, sorgono e vanno, simili ad un cencioso coro di tragedia antica, tutti con le stesse parole e gli stessi gesti, verso i sopravvenienti. Qualche moneta vola e qualche tozzo di pane, e i ciechi o i semi-ciechi annaspano nella polvere e nelle lordure per trovare l’obolo.

   358.2Gesù li osserva e dice a Simone Zelote e a Filippo: «Portate loro denaro e pane. Il denaro lo ha Giuda, il pane Giovanni».
   I due vanno avanti solleciti a fare quanto è stato ordinato e si fermano a parlare mentre Gesù viene avanti adagio, ritardato da una fila di asinelli che sbarra la via.
   I mendichi sono stupiti del saluto e della grazia con i quali vengono salutati e beneficati dai sopraggiunti, e chiedono:
   «Chi siete che avete buona grazia con noi?».
   «I discepoli di Gesù di Nazaret, il Rabbi di Israele, Colui che ama i poveri e gli infelici perché è il Salvatore, e passa annunziando la Buona Novella e facendo miracoli».
   «Il miracolo è questo», dice uno dalle palpebre atrocemente devastate. E picchia sul suo pezzo di pane pulito, vero animale che non sente e ammira che le cose materiali.
   Una donna, che passa con le brocche di rame e che sente, dice: «Taci là, lurido poltrone». E si volge ai discepoli dicendo:
   «Non è del paese. Ed è rissoso e violento coi suoi simili. Bisognerebbe cacciarlo perché ruba ai poveri del paese. Ma abbiamo paura delle sue vendette»; e piano, proprio con un filo di voce, mormora: «Si dice che sia un ladrone che per anni ha rubato e ucciso, calando dai monti di Caracamoab e di Sela, che ora è detta Petra dai dominatori, coloro che fanno le vie dei deserti. Si dice che è un soldato disertore di quel romano venuto là a… fare conoscere Roma… Elio, mi pare, e un altro nome ancora… Se lo fate bere racconta… Ora, cieco, è capitato qui…
   È quello il Salvatore?», chiede poi accennando Gesù che è passato diritto.
   «È quello. Gli vuoi parlare?».
   «Oh! no!», dice la donna indifferente.
   I due apostoli la salutano e si avviano a raggiungere il Maestro.

   358.3Ma un tumulto avviene fra i ciechi e vi è un pianto quasi di fanciullo. Si voltano in diversi, e la donna di prima, che è sulla soglia della sua casa, spiega: «Sarà quel crudele che leva i soldi ai più deboli. Fa sempre così».
   Anche Gesù si è voltato a guardare…
   Infatti un fanciullo, meglio, un adolescente, esce sanguinando e piangendo dal gruppo e si lamenta: «Tutto mi ha levato! E la mamma non ha più pane!».
   Chi compassiona, chi ride…
   «Chi è?», chiede Gesù alla donna.
   «Un fanciullo di Pella. Povero. Viene mendicando. Tutti ciechi nella casa, per malattia presa l’uno dall’altro. Il padre è morto. La madre sta in casa. Il giovinetto chiede l’obolo ai passanti e ai contadini».
   Il ragazzo viene avanti col suo bastoncello, asciugandosi il pianto e il sangue, che gli scende dalla fronte, con un angolo del suo mantello sdruscito.
   La donna lo chiama: «Fermati, Jaia. Ti laverò la fronte e ti darò un pane!».
   «Avevo denaro e pane per più giorni! Ora più niente! La mamma mi aspetta per mangiare…», si lamenta l’infelice mentre si deterge con l’acqua della donna.

   358.4Gesù si fa avanti e dice: «Ti darò quanto ho. Non piangere».
   «Ma Signore! Perché? Dove alloggeremo? Che faremo?», dice inquieto Giuda.
   «Loderemo Dio che ci conserva sani. È già somma grazia».
   Il ragazzo dice: «Oh! sì che lo è! Ci vedessi! Lavorerei io, per la mamma».
   «Vorresti guarire?».
   «Sì».
   «Perché non vai dai medici?».
   «Nessuno ci ha mai guariti. Ci hanno detto che c’è Uno in Galilea che non è medico ma guarisce. Ma come si fa ad andare da Lui?».
   «Va’ a Gerusalemme. Al Getsemani. È un uliveto alle falde del monte degli ulivi presso la via di Betania. Chiedi di Marco e di Giona. Tutti quelli del sobborgo di Ofel te lo indicheranno. Puoi unirti a una carovana. Ne passano tante. A Giona chiedi di Gesù di Nazaret…».
   «Ecco! È quello il nome! Mi guarirà?».
   «Se hai fede, sì».
   «E fede ho. Tu dove vai, Tu che sei buono?».
   «A Gerusalemme, per la Pasqua».
   «Oh! prendimi con Te! Non ti darò noia. Dormirò all’aperto e mi basterà un pezzo di pane! Andiamo a Pella… Tu vai là, vero? E lo diciamo alla madre, e poi si va… Oh! vederci! Sii buono, Signore!…». E il giovanetto si inginocchia cercando i piedi di Gesù per baciarli.
   «Vieni. Ti condurrò alla luce».
   «Te benedetto!».

   358.5Riprendono a camminare e la mano affusolata di Gesù tiene per un braccio il fanciullo per guidarlo sollecitamente. E il fanciullo parla.
   «Tu chi sei? Un discepolo del Salvatore?».
   «No».
   «Ma lo conosci, almeno?».
   «Sì».
   «E credi che mi guarirà?».
   «Lo credo».
   «Ma… vorrà denaro? Non ne ho. I medici ne vogliono tanto! Alla fame siamo andati per curarci…».
   «Gesù di Nazaret non vuole che fede e amore».
   «È molto buono, allora. Però anche Tu sei buono», dice il giovinetto, e per prendere e carezzare la mano che lo conduce palpeggia la manica della veste. «Che bell’abito che hai! Sei un signore! Non ti vergogni di me, stracciato come sono?».
   «Mi vergogno solo delle colpe che disonorano l’uomo».
   «Io ho quelle di mormorare qualche volta sul mio stato e di desiderare abiti caldi, pane e soprattutto la vista».
   Gesù lo carezza: «Non sono colpe disonoranti queste. Però cerca di non avere neanche queste imperfezioni e sarai santo».
   «Ma se guarisco non le avrò più… Oppure… non guarisco e Tu lo sai, e mi prepari alla mia sorte e mi istruisci a santificarmi come Giobbe?».
   «Tu guarirai. Ma dopo, soprattutto dopo, devi sempre essere contento del tuo stato anche se non sarà dei più lieti».
   Pella è raggiunta. Le ortaglie che sempre precedono le città espongono la fecondità delle loro aiuole con un verzichio rigoglioso di verdure.
   Delle donne intente al lavoro sui solchi, oppure alle conche del bucato, salutano Jaia e gli dicono: «Torni presto, oggi. Ti è andata bene?», o anche: «Hai trovato un protettore, povero figlio?». Una, anziana, grida dal fondo di un’ortaglia: «O Jaia! Se hai fame c’è una scodella per te. Se no per tua madre. Vai a casa? Prendila».
   «Vado a dire alla mamma che vado con questo signore buono a Gerusalemme per guarire. Conosce Gesù di Nazaret e mi ci conduce».

   358.6La via, quasi alle porte di Pella, è piena di folla. Vi sono mercanti, ma vi sono anche pellegrini.
   Una donna di buon aspetto, che viaggia su un ciuco, accompagnata da una serva e da un servo, si volta sentendo parlare di Gesù e poi tira le redini, ferma il ciuco, scende e si dirige da Gesù.
   «Tu conosci Gesù di Nazaret? E vai da Lui? Io pure ci vado… Per la guarigione di un figlio. Vorrei parlare col Maestro perché…». Si mette a piangere sotto il fitto velo.
   «Che malattia ha tuo figlio? Dove sta?».
   «È di Gerasa. Ma ora è verso la Giudea. Va come un invasato… Oh! che ho detto!».
   «È indemoniato?».
   «Signore, lo era e fu guarito. Ora… è più demonio di prima perché… Oh! posso dire questo solo a Gesù di Nazaret!».
   «Giacomo, prendi il fanciullo fra te e Simone, e andate avanti con gli altri. Mi attenderete di là della porta. Donna, puoi mandare avanti i servi. Parleremo fra noi».
   La donna dice: «Ma Tu non sei il Nazareno! Solo a Lui io voglio parlare. Perché Lui solo può capire e avere misericordia».
   Ormai sono soli, però. Gli altri vanno avanti per conto loro. Gesù attende che la via sia vuota e poi dice: «Puoi parlare. Io sono Gesù di Nazaret».
   La donna ha un gemito e fa per cadere in ginocchio.
   «No. La gente non deve sapere per ora. Andiamo. Là vi è una casa aperta. Chiederemo riposo e parleremo. Vieni».
   Vanno per una stradella fra due ortaglie ad una casa popolana sulla cui aia ruzzano dei bambini.
   «La pace sia con voi. Mi permettete di fare riposare la donna per qualche momento? Devo parlare con lei. Veniamo da lontano per poterci parlare e Dio ci ha uniti prima della mèta».
   «Entrate. L’ospite è benedizione. Vi daremo latte e pane, e acqua per i piedi stanchi», dice una vecchia.
   «Non occorre. Ci basta un luogo quieto per poter parlare».
   «Venite», e li conduce su una terrazza che si inghirlanda di una vite che sboccia in foglie smeraldine.

   358.7Restano soli.
   «Parla, donna. Io l’ho detto: Dio ci ha uniti prima della mèta per tuo sollievo».
   «Non c’è, non c’è sollievo più per me! Avevo un figlio. Divenne indemoniato. Una belva nei sepolcri. Nulla lo teneva. Nulla lo guariva. Ti vide. Ti adorò con la bocca del demonio e Tu lo guaristi. Voleva venire con Te. Tu pensasti alla madre sua e me lo mandasti. A ridarmi vita e ragione che vacillavano così, per il dolore di un figlio indemoniato. E lo mandasti anche perché ti predicasse, posto che voleva amarti. Io… oh! esser madre di nuovo e di un figlio santo! Di un tuo servo! Ma dimmi, dimmi! Quando lo hai mandato indietro Tu sapevi che egli era… che sarebbe divenuto un demonio ancora? Perché è un demonio, che ti lascia dopo tanto bene avuto, dopo averti conosciuto, dopo essere stato eletto al Cielo… Dimmelo! Lo sapevi? Ma io vaneggio! Parlo e non ti dico perché è un demonio… È tornato come un folle da qualche tempo, oh! pochi giorni! ma più penosi per me dei lunghi anni in cui fu posseduto… E allora credevo che mai avrei avuto dolori più grandi di quello… È venuto… e ha demolito la fede che Gerasa coltivava per Te, per tuo e suo merito, dicendo infamie di Te. E ti precede verso il guado di Gerico facendoti del male, facendoti del male!».
   La donna, che non si è mai levata il velo dietro il quale singhiozza straziantemente, si getta ai piedi di Gesù supplicando:
   «Va’ via! va’ via! Non ti fare insultare! Io sono partita, d’accordo col marito malato, pregando Dio di trovarti. Mi ha esaudita! Oh! ne sia benedetto! Non voglio, non voglio permettere io che Tu, Salvatore, sia malmenato per causa di mio figlio! Oh! perché l’ho messo al mondo? Ti ha tradito, Signore! Riporta male le tue parole. Il demonio lo ha ripreso. E… oh! Altissimo e Santo! Pietà di una madre! E sarà dannato. Mio figlio, mio figlio! Prima non ne aveva colpa di essere pieno di demoni. Era una sventura capitata a lui. Ma ora! Ma ora che Tu lo avevi graziato, ora che aveva conosciuto Dio, ora che Tu lo avevi istruito! Ora egli ha voluto essere un demonio, e nessuna forza lo libererà più! Oh! Oh!».
   La donna è gettata al suolo, mucchio di vesti e di carni che si agitano nei singhiozzi. E geme: «Dimmi, dimmi, che devo fare per Te, per mio figlio? Per riparare! Per salvare! No. Riparare! Tu vedi che il mio dolore è riparazione. Ma salvare! Non posso salvare il rinnegatore di Dio. È dannato… E per me, israelita, cosa è questo? Tormento».

   358.8Gesù si china. Le posa la mano sulla spalla. «Alzati, calmati! Tu mi sei cara. Ascolta, povera madre».
   «Non mi maledici di averlo generato?!».
   «Oh! no! Non sei responsabile del suo errore e, sappilo per tuo conforto, puoi invece essere causa della sua salvezza. Le rovine dei figli possono essere riparate dalle madri. E tu lo farai. Il tuo dolore, perché è buono, non è sterile, ma è fecondo.
   Per il tuo soffrire sarà salva l’anima che ami. Tu espii per lui, ed espii con così retta intenzione che tu sei l’indulgenza del figlio tuo. Egli tornerà a Dio. Non piangere».
   «Ma quando? Quando mai?».
   «Quando il tuo pianto si sarà disciolto nel mio Sangue».
   «Il tuo Sangue? Ma allora è vero ciò che egli dice? Che Tu sarai ucciso perché degno di morte?… Bestemmia orrenda!».
   «È verità vera nella prima parte. Io sarò ucciso per farvi degni di Vita. Sono il Salvatore, donna. E salvezza si dà con la parola, con la misericordia e con l’olocausto. Per tuo figlio questo ci vuole. E questo darò. Ma tu aiutami. Dàmmi il tuo dolore. Va’ con la mia benedizione. Conservala in te per poter essere misericorde e paziente presso tuo figlio e ricordargli così che Un altro fu misericorde con lui. Va’, va’ in pace».
   «Ma Tu non parlare a Pella! Non parlare in Perea! Egli te li ha messi contro. E non è solo. Ma io vedo e parlo solo di lui…».
   «Parlerò con un atto. E sarà sufficiente ad annullare l’opera di altri. Va’ in pace alla tua casa».
   «Signore, ora che mi hai assolta di averlo generato, vedi il mio volto per conoscere quale è il viso di una madre quando è straziata», e si scopre il volto dicendo: «Ecco la faccia della madre di Marco di Giosia[106], rinnegatore del Messia e torturatore della sua genitrice», e riabbassa poi il fitto velo sul volto devastato dal pianto gemendo : «Nessun’altra madre d’Israele sarà pari a me nel dolore!».

   358.9Scendono dal luogo ospitale e riprendono la via. Entrano in Pella e si riuniscono: la donna ai servi, Gesù ai discepoli.
   Ma la donna lo segue come affascinata mentre Gesù va dietro al ragazzo che si dirige alla sua casupola, situata in uno scantinato di una costruzione addossata al fianco del monte, caratteristica di questa città che sale a scaglioni, di modo che il terreno del lato ovest è il secondo piano del lato est, ma in realtà è un terreno anche là, perché vi si può accedere dalla via soprastante che è al livello dell’ultimo piano. Non so se riesco a spiegarmi bene.
   Il ragazzo chiama forte: «Madre! Madre!».
   Dall’antro misero e buio viene avanti una donna ancora giovane, cieca, disinvolta perché cognita dell’ambiente.
   «Già di ritorno, figlio mio? Così numerosi gli oboli da farti tornare mentre è ancora alto il giorno?».
   «Mamma, ho trovato uno che conosce Gesù di Nazaret e che dice che mi conduce da Lui per essere guarito. È molto buono. Mi lasci andare, mamma?».
   «Ma sì, Jaia! Anche se resto sola, va’, va’, benedetto, e guardalo anche per me il Salvatore!». L’adesione, la fede della donna è assoluta.
   Gesù sorride. Parla: «Tu non dubiti, donna, né di me, né del Salvatore?».
   «No. Se tu lo conosci e gli sei amico, non puoi essere che buono. Lui poi! Va’, va’, figlio! Non tardare un momento. Diamoci un bacio e va’ con Dio».
   Si baciano, trovandosi a tentoni.
   Gesù pone sulla tavola grezza un pane e delle monete. «Addio, donna. Qui vi è di che procurarti cibo. La pace sia con te».

   358.10Escono. La comitiva riprende l’andare. Cadono le prime gocce di pioggia.
   «Ma non ci fermiamo? Piove…», dicono gli apostoli.
   «Ci fermeremo a Jabes Galaad. Camminate».
   Si tirano su i mantelli sul capo e Gesù stende il suo sul capo del ragazzo. La madre di Marco di Giosia lo segue coi servi, sul suo asinello. Sembra non si possa separare da Lui.
   Escono da Pella. Si inoltrano per la campagna verde e triste nella giornata piovosa.
   Fanno almeno un chilometro, poi Gesù si ferma. Prende il capo del ciechino fra le mani e lo bacia sugli occhi spenti dicendo: «Ed ora torna indietro. Va’ a dire a tua madre che il Signore premia chi ha fede, e va’ a dire a quelli di Pella che questo è il Signore». Lo lascia andare e si allontana rapido.
   Ma non passano tre minuti che il ragazzo grida: «Ma io ci vedo! Oh! non fuggire! Tu sei Gesù! Fa’ che io veda Te per primo!», e cade in ginocchio sulla via bagnata di pioggia.
   La donna gerasena e i servi da una parte, gli apostoli dall’altra, corrono a vedere il miracolo.
   Anche Gesù torna, lentamente, sorridente. Si china ad accarezzare il ragazzo. «Va’, va’ dalla mamma e sappi credere in Me, sempre».
   «Sì, Signor mio… Ma alla mamma nulla?! Nel buio lei che crede come me?».
   Gesù sorride più luminosamente ancora. Si guarda intorno. Vede sul ciglio della via un ciuffo di margheritine roride d’acqua. Si china e le coglie, le benedice, le dà al fanciullo.
   «Passale sugli occhi di tua madre ed ella vedrà. Io non torno indietro. Io vado avanti. Chi è buono mi segua col suo spirito e parli di Me ai dubbiosi. Tu parla di Me a Pella che tituba nella fede. Va’. Dio è con te».
   E poi si volge alla donna di Gerasa: «E tu seguilo. Questa è la risposta di Dio a tutti coloro che tentano sminuire la fede degli uomini nel Cristo. E ciò rafforzi la tua fede e quella di Giosia. Va’ in pace».
   Si separano. Gesù riprende la marcia a sud. Il fanciullo, la gerasena e i servi, verso nord. Il velo dell’acqua fitta li separa come dietro una tenda fumosa…

[106] Marco di Giosia, uno dei due indemoniati geraseni guariti (in 186.5/8), divenuto discepolo (in 296.1 e 338.2). Dopo il discorso sul Pane del Cielo viene annoverato tra i discepoli che abbandonano Gesù (in 354.15). Di nuovo indemoniato, lo è in maniera tanto completa da sembrare irrecuperabile (in 368.12 e 369.4). Tuttavia, le parole di Gesù alla madre di lui fanno capire che la sua rovina, per quanto completa, non sarà definitiva. L’opera valtortiana afferma che perfino Giuda Iscariota si sarebbe salvato se si fosse pentito dopo il tradimento.