MARIA
VALTORTA

Voglio che le anime possano bere alla Fonte vitale della mia parola

"Quando la Chiesa - e per tale alludo ora alla riunione degli alti dignitari di Essa - agì secondo i dettami della mia Legge e del mio Vangelo, la Chiesa conobbe tempi fulgidi di fulgore. Ma guai quando, anteponendo gli interessi della Terra a quelli del Cielo, inquinò Se stessa con passioni umane! Tre volte guai quando adorò la Bestia di cui parla Giovanni, ossia la Potenza politica, e se ne fece asservire..." (Qd 12 dicembre 1943)

OPERA MAGGIORE

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VOLUME V CAPITOLO 360



CCCLX. Il malumore degli apostoli a il riposo in una grotta. L’incontro con Rosa di Gerico.

   14 dicembre 1945.

   360.1La pianura del lato orientale del Giordano, per le continue piogge, pare divenuta una laguna, specie nel luogo dove si trovano adesso Gesù e gli apostoli. Hanno da poco superato un torrente che scende da una stretta gola delle vicine colline, che sembra facciano tutta una diga ciclopica, dal nord al sud, lungo il Giordano, rotta qua e là da strette vallate dalle quali sgorga l’inevitabile torrente. Sembra che una grande smerlettatura di colli sia stata messa da Dio a fare contorno alla grande valle del Giordano, da questa parte. Direi persino una smerlettatura monotona, tanto è uguale nelle sporgenze, negli aspetti e anche molto nelle altezze. Il gruppo apostolico è fra i due ultimi torrenti, straripati per giunta presso le rive, e perciò più ampi di letto, specie quello a sud che è imponente per la massa d’acqua che convoglia dalle montagne e che rumoreggia torbida nell’avviarsi al Giordano, che si sente a sua volta frusciare forte, specie là dove le curve naturali, quasi potrei dire le strozzature che ha di continuo, o la confluenza di un suo emissario, producono un ingorgo d’acque. Orbene, Gesù è fra questo triangolo mozzo, fatto di tre corsi d’acqua in piena, e trarre le gambe da quel pantano non è cosa facile.

   360.2L’umore apostolico è più torbido della giornata. Ed è tutto dire. Tutti vogliono dire la loro. E ogni cosa detta cela, sotto apparenza di un consiglio, un rimprovero. È l’ora dei: «Io lo avevo detto», «Se si fosse fatto come consigliavo», ecc. ecc., così urtanti per chi ha commesso un errore ed è già accasciato di averlo fatto.
   Qui si dice: «Era meglio passare il fiume all’altezza di Pella e andare per l’altra parte, che è meno brutta», oppure: «Era bene prenderlo quel carro! Abbiamo fatto i bravi, ma poi…», e anche: «Se rimanevamo sui monti non c’era questo fango!».
   Giovanni dice: «Siete i profeti delle cose fatte. Chi lo prevedeva questo insistere di pioggia?».
   «È il suo tempo. Era da prevedersi», sentenzia Bartolomeo.
   «Gli altri anni non era così, avanti Pasqua. Io venni a voi che il Cedron non era certo pieno, e l’anno passato ebbimo persino dell’asciuttore. Voi, che vi lamentate, non ricordate la sete che ebbimo nella pianura filistea?», dice lo Zelote.
   «Eh! È naturale! Parlano i due saggi e ci dànno la voce!», dice ironico Giuda di Keriot.
   «Tu taci, per favore. Sai solo criticare. Ma al momento buono, quando c’è da parlare con qualche fariseo o simile, sei zitto come avessi la lingua legata», gli dice inquieto il Taddeo.
   «Sì. Ha ragione. Perché non hai ribattuto una parola, all’ultimo paese, a quei tre serpenti? Tu lo sapevi che siamo stati anche a Giscala e a Meieron, rispettosi e ossequienti, e che là c’è voluto andare Lui, proprio Lui che onora i grandi rabbi defunti. Ma non hai parlato! Tu sai come Egli esige da noi rispetto alla Legge e ai sacerdoti. Ma non hai parlato! Ora parli. Ora, perché c’è da fare della ironia sui migliori di noi e da fare critiche a ciò che fa il Maestro», incalza Andrea che, di solito paziente, oggi è proprio nervoso.
   «Taci tu. Giuda ha torto, lui che è amico di molti, di troppi samaritani…», dice Pietro[110].
   «Io? Chi sono questi? Fànne il nome, se puoi».
   «Sì, caro. Tutti i farisei, sadducei, potenti di cui vanti l’amicizia, e che ti conoscano si vede! Me, non mi salutano mai. Ma tu, sì».
   «Ne sei geloso! Ma io sono uno del Tempio e tu no».
   «Per grazia di Dio sono un pescatore. Sì. E me ne vanto».
   «Un pescatore tanto stolto che non ha saputo neppure prevedere questo tempo».
   «No! L’ho detto: “Luna di nisam e fatta con pioggia vuol acqua che scende a moggia”», sentenzia Pietro.
   «Ah! qui ti ci volevo! E tu che ne dici, Giuda d’Alfeo? E tu, Andrea? Anche Pietro, il Capo, critica il Maestro!».
   «Io non critico proprio nessuno. Dico un proverbio».
   «Che, a chi lo intende, è critica e rimprovero».
   «Sì… Ma tutto ciò non serve ad asciugare la terra, mi pare.
   Ormai ci siamo e ci dobbiamo stare. Serbiamo il fiato per sradicare i piedi da questo pantano», dice Tommaso.

   360.3E Gesù? Gesù tace. Va un poco avanti, sguazzando nella melma, o cercando zolle erbose emergenti. Ma anche quelle basta calpestarle perché schizzino acqua fino a metà stinco, come se il piede avesse premuto una vescica invece di una zolla erbosa. Tace, li lascia parlare, malcontenti, tutt’affatto uomini, niente più che uomini che il minimo disturbo rende irascibili e ingiusti.
   Ormai è vicino il più meridionale dei fiumi e Gesù, vedendo passare lungo l’argine innondato un uomo su un mulo, chiede:
   «Dove è il ponte?» «Più su. Ci passo anche io. L’altro, a valle, quello romano, è sott’acqua ormai».
   Altro coro di brontolii… Ma si affrettano a seguire l’uomo che parla con Gesù.
   «Ti conviene, però, buttarti a monte», dice. E termina: «Torna in piano quando trovi il terzo fiume dopo il Yaloc. Allora sarai vicino al guado. Ma fa’ presto. Non sostare. Perché il fiume gonfia d’ora in ora. Che brutta stagione! Il gelo prima, poi l’acqua. E forte così. Un castigo di Dio. Ma è giusto! Quando non si lapidano i bestemmiatori della Legge, Dio punisce. E noi ne abbiamo di quelli! Tu sei galileo, non è vero? Allora conoscerai quello di Nazaret che i buoni abbandonano perché causa di ogni male. Le folgori attira con la sua parola! I castighi! Bisogna sentire cosa raccontano di Lui quelli che erano con Lui. Hanno ragione i farisei di perseguitarlo. Chissà che ladrone è! Deve fare paura come un Belzebù. Mi era venuta voglia di andarlo a sentire, perché prima mi era stato detto un gran bene di Lui. Ma… erano discorsi di quelli della sua banda. Tutta gente senza scrupoli come Lui. I buoni lo abbandonano. E fanno bene. Io, già, per mio conto, non ci vado più a vederlo. E se il caso me lo porta vicino, lo prendo a sassate, come è dovere contro i bestemmiatori».
   «Lapidami, allora. Sono Io Gesù di Nazaret. Io non fuggo e non ti maledico. Sono venuto per redimere il mondo versando il mio Sangue. Eccomi. Sacrificami, ma diventa giusto».
   Gesù dice questo aprendo un poco le braccia stese verso terra, lo dice lentamente, mitemente e mestamente. Ma se avesse maledetto non avrebbe fatto più impressione all’uomo, che tira così bruscamente le redini che il mulo fa uno scarto e per poco non cade dall’argine nel fiume in piena. Gesù si abbranca al morso e trattiene la bestia, in tempo, salvando uomo e mulo.
   L’uomo non fa che ripetere: «Tu! Tu!…», e vedendo l’atto che lo salva urla: «Ma ti ho detto che ti avrei lapidato… Non capisci?».
   «Ed Io ti dico che ti perdono e che anche per te soffrirò per redimerti. Questo è il Salvatore».
   L’uomo lo guarda ancora, dà una tallonata nel fianco del mulo e parte di corsa… Fugge… Gesù china il capo…

   360.4Gli apostoli sentono il bisogno di dimenticare il fango e la pioggia e tutte le altre miserie per consolarlo. Gli si fanno intorno e dicono: «Non ti affliggere! Di briganti non ne abbiamo bisogno. E quello è tale. Perché solo un malvagio può credere vere le calunnie su Te e avere paura di Te».
   «Però», dicono anche, «che imprudenza, Maestro! E se ti faceva del male? Perché dire che eri Tu Gesù di Nazaret?».
   «Perché è la verità… Andiamo verso i monti come ha consigliato. Perderemo un giorno, ma voi uscirete dal pantano».
   «Anche Tu», obbiettano.
   «Oh! per Me non conta. È il pantano delle anime morte quello che mi affatica», e due lacrime gocciano dai suoi occhi.
   «Non piangere, Maestro. Noi brontoliamo, ma ti vogliamo bene. Se possiamo incontrare i tuoi denigratori! Ne faremo vendetta».
   «Voi perdonerete come Io perdono. Ma lasciatemi piangere.
   Sono l’Uomo, infine! E l’essere tradito, rinnegato, abbandonato, mi dà dolore!».
   «Guarda noi, guarda noi. Pochi e buoni. Nessuno di noi ti tradirà né ti abbandonerà. Credilo, Maestro».
   «Neanche dirle certe cose! È offesa alla nostra anima pensare che noi si possa tradire!», esclama l’Iscariota.
   Ma Gesù è afflitto. Tace, e lente lacrime rotolano sulle gote pallide di un viso stanco e smagrito.
   Si avvicinano ai monti.
   «Saliremo lassù, o costeggeremo le basi? Vi sono paesi a mezza costa. Guarda. Di qua e di là del fiume», gli osservano.
   «La sera scende. Cerchiamo di raggiungere un paese. Questo o quello è indifferente».
   Giuda Taddeo, che ha occhi molto buoni, scruta le pendici. Va vicino a Gesù. Dice: «All’occorrenza ci sono spacchi nel monte. Li vedi là? Ci rifugeremo in quelli. Sarà sempre meglio che nel fango».
   «Faremo fuoco», conforta Andrea.
   «Con la legna umida?», chiede ironico Giuda di Keriot.
   Nessuno gli risponde.
   Pietro mormora: «Benedico l’Eterno che non sono con noi né le donne né Marziam».

   360.5Passano il ponte, molto preistorico, che è proprio ai piedi della valle, e prendono il lato meridionale di questa, per una strada mulattiera diretta ad un paese. Le ombre scendono rapide. Tanto che decidono rifugiarsi in una vasta grotta per sfuggire ad un piovasco violento. Forse è una grotta che serve di rifugio ai pastori, perché vi è strame e sudiciume e un rozzo focolare.
   «Come letto non serve. Ma per fare del fuoco…», dice Tommaso accennando le ramaglie trite e sporche, che sono sparse al suolo insieme a felci secche e rami di ginepro o altra pianta simile. E le spinge, con l’aiuto di un bastone, verso il focolare. Le ammucchia e dà fuoco.
   Fumo e fetore, insieme a odore di resine e ginepri, si alzano dal fuoco. Eppure è gradito quel calore, e tutti fanno semicerchio mangiando, alla luce mobile delle fiamme, pane e formaggio.
   «Si poteva però tentare al paese», dice Matteo che è roco e infreddato.
   «Oh! senti! per ripetere la storia di tre sere fa? Qui non ci caccia nessuno. Staremo seduti su quelle legna e faremo fuoco finché potremo. Ora che ci si vede, ce n’è della legna! Guarda, guarda! Anche paglia!… È proprio un ovile. Certo per l’estate, o per quando trasmigrano.

   360.6E di qui? Dove si va? Prendi un ramo acceso, Andrea, ché voglio vedere», ordina Pietro che gira in vena di scoperte.
   Andrea ubbidisce. Si infilano per una stretta fessura che è in una parete della grotta.
   «Badate non ci siano bestie brutte!», urlano gli altri. «O dei lebbrosi», dice il Taddeo.
   Dopo un momento viene la voce di Pietro. «Venite! Venite! Qui si sta meglio. C’è pulito e asciutto, e ci sono panche di legno, e legna per bruciare. Ma è una reggia per noi! Portate dei rami accesi, ché facciamo subito fuoco».
   Deve essere proprio un ricovero di pastori. E questa è la grotta dove quelli in riposo dormono, mentre nell’altra vegliano quelli di guardia a turno al gregge. È una escavazione nel monte, molto più piccola e forse fatta dall’uomo, o per lo meno ampliata e solidificata con pali messi a sorreggere la volta. Una cappa di camino primordiale si spiega a gancio verso la prima grotta per aspirare il fumo che non avrebbe uscita. Dei pancacci e della paglia sono contro le pareti, nelle quali sono infissi arpioni per agganciare lucerne e vesti o bisacce.
   «Ma va benone! Sù, facciamo molto fuoco! Staremo caldi e si asciugheranno i mantelli. Via le cinture; facciamone funi per stendervi sopra i mantelli», ordina Pietro, e poi aggiusta le panche e le paglie e dice: «E ora un po’ per uno si dorme e un po’ per uno si tiene vivo il fuoco. Per vederci e per stare caldi. Che grazia di Dio!».
   Giuda borbotta fra i denti. Pietro si volta risentito. «Rispetto alla grotta di Betlemme, dove il Signore è nato, questa è una reggia. Se c’è nato Lui, potremo starci noi per una notte».
   «Anche è più bella delle grotte di Arbela. Là di bello non c’era che il nostro cuore, più buono di ora», dice Giovanni e si sperde in un suo mistico ricordo.
   «È anche molto migliore di quella che ospitò il Maestro per prepararsi alla predicazione», dice severo lo Zelote guardando l’Iscariota come per dirgli di farla finita.
   Gesù apre la bocca per ultimo: «Ed è senza misura più calda e comoda di quella in cui feci penitenza per te, Giuda di Simone, in questo tebet».
   «Penitenza per me? Perché? Non ce ne era bisogno!».
   «In verità dovremmo Io e te passare la vita in penitenza per liberare te da tutto ciò che ti aggrava. E non basterebbe ancora».
   La sentenza, data con pacatezza ma tanto decisa, cade come una folgore nel gruppo sbigottito… Giuda abbassa il viso e si ritira in un angolo. Non ha l’audacia di reagire.

   360.7«Io resto sveglio. Al fuoco bado Io. Dormite voi», ordina Gesù dopo qualche tempo.
   E dopo poco allo scoppiettio della legna si unisce il respiro pesante dei dodici stanchi, sdraiati sulle pancacce fra la paglia. E Gesù, se la paglia cade e li lascia scoperti, si alza e la ridistende sul dormiente, amoroso come una madre. E pure piange mentre contempla i volti ermetici nel sonno di taluni, o placidi, o corrucciati. Guarda l’Iscariota che pare ghignare anche nel sonno, torvo, a pugni stretti… Guarda Giovanni che dorme con una mano sotto la guancia, il viso velato dai capelli biondi, roseo, sereno come un bimbo in cuna. Guarda il volto onesto di Pietro e quello severo di Natanaele, quello butterato dello Zelote, quello aristocratico di suo cugino Giuda, e si ferma a lungo a guardare Giacomo di Alfeo che è un Giuseppe di Nazaret molto giovane. Sorride sentendo i monologhi di Tommaso e di Andrea, che sembra parlino al Maestro. Copre molto Matteo che respira a fatica, prendendo altra paglia per tenerlo caldo e la stende sui piedi di Matteo dopo averla scaldata alla fiamma. Sorride sentendo Giacomo proclamare: «Credete nel Maestro e avrete la Vita»… e continuare in una predica a personaggi di sogno. E si china a raccogliere una borsa dove Filippo tiene ricordi cari, mettendogliela piano sotto la testa. E negli intervalli medita e prega…

   360.8Il primo a destarsi è lo Zelote. Vede Gesù ancora presso il fuoco acceso nella grotta ben calda. E dal mucchio delle legna ridotto a una miseria comprende che sono passate molte ore. Scende dal suo giaciglio e viene in punta di piedi da Gesù.
   «Maestro, non vieni a dormire? Veglio io».
   «È l’alba, Simone. Sono andato di là poco fa. Ho visto il cielo che già schiarisce».
   «Ma perché non ci hai chiamati? Sei stanco Tu pure!».
   «Oh! Simone! Avevo tanto bisogno di pensare… e di pregare», e gli appoggia il capo sul petto.
   Lo Zelote, ritto presso Lui seduto, lo carezza e sospira. Chiede: «Pensare a che, Maestro? Tu non hai bisogno di pensare. Tu sai tutto».
   «Pensare non a ciò che devo dire. Ma a ciò che devo fare. Io sono disarmato contro il mondo astuto, perché Io non ho la malizia del mondo e l’astuzia di Satana. Ed il mondo mi vince… E sono tanto stanco…».
   «E addolorato. E noi contribuiamo a questo, Maestro buono che non meritiamo di avere. Perdona me ed i compagni. Lo dico per tutti».
   «Vi amo tanto… Soffro tanto… Perché così spesso non mi capite?».

   360.9Il loro bisbiglio sveglia Giovanni, che è il più vicino. Apre i suoi occhi celesti, si guarda stupito intorno, poi ricorda e si alza subito, venendo alle spalle dei due che parlano.
   Sente così le parole di Gesù: «Perché tutto l’odio e le incomprensioni divenissero un nulla sopportabile, mi basterebbe il vostro amore, la vostra comprensione… Invece non mi capite… E questa è la mia prima tortura. È pesante! Pesante! Ma non ne avete colpa. Siete uomini… Sarà il vostro dolore non avermi capito quando non potrete più riparare… Per questo, perché allora espierete le superficialità di ora, le meschinità di ora, le ottusità di ora, Io vi perdono e in anticipo dico: “Padre, perdonali perché non sanno quello che fanno né il dolore che mi dànno”».
   Giovanni scivola sul davanti, e in ginocchio, e abbraccia le ginocchia del suo Gesù afflitto, ed è già prossimo al pianto mentre sussurra: «Oh! Maestro mio!».
   Lo Zelote, che ha sempre sul petto la testa di Gesù, si china a baciarlo sui capelli dicendo: «Eppure ti amiamo tanto! Ma pretenderemmo da Te una capacità di difenderti, di difenderci, di trionfare. Ci avvilisce vederti uomo, soggetto agli uomini, alle intemperie, alla miseria, alla cattiveria, ai bisogni della vita… Stolti siamo. Ma così è. Per noi sei il Re, il Trionfatore, il Dio. Non riusciamo a capire la sublimità della tua abnegazione a tanto per amor nostro. Perché Tu solo sai amare. Noi non sappiamo…».
   «Sì, Maestro. Simone dice bene. Non sappiamo amare come ama Dio: Tu. E ciò che è infinita bontà, infinito amore, lo scambiamo per debolezza e ce ne approfittiamo… Aumenta il nostro amore, aumenta il tuo amore, Tu che ne sei la fonte, fàllo straripare come ora straripano i fiumi, imbevici, saturaci di esso, così come lo sono i prati lungo la valle. Non necessita sapienza, valore, austerità per essere perfetti come Tu vuoi. Basta avere l’amore… Signore, io me ne confesso per tutti: non sappiamo amare».
   «Voi, i due che più capiscono, vi accusate. Siete l’umiltà. Ma l’umiltà è amore. Ma anche gli altri non hanno che un diaframma per essere come voi. Ed Io lo abbatterò. Perché infatti sono Re, Trionfatore e Dio. In eterno. Ma ora sono l’Uomo. La mia fronte pesa già sotto il supplizio della mia corona. È sempre stata una torturante corona essere l’Uomo… Grazie, amici. Mi avete consolato. Perché questo ha di buono l’essere uomini: avere una madre che ama e degli amici sinceri.

   360.10Ora destiamo i compagni. Non piove più. I manti sono asciutti. I corpi riposati. Mangiate e partiamo».
   Alza la voce lentamente finché il «partiamo» è un ordine sicuro. Tutti sorgono e si rammaricano di avere sempre dormito mentre Gesù ha vegliato. Si rassettano, mangiano, prendono i mantelli, spengono il fuoco ed escono sul sentiero umido iniziando la discesa fino alla mulattiera che segue la costa, abbastanza in pendenza per non essere un mare di fango. La luce è ancora poca perché non c’è sole né sereno. Ma sufficiente a vedere.

   360.11Andrea e i due figli di Alfeo sono avanti a tutti. Ad un certo punto si chinano, guardano e corrono indietro. «C’è una donna! Pare morta! Sbarra il sentiero».
   «Oh! che noia! Si comincia male. Come si fa? Ora bisognerà anche purificarsi!». I primi brontolii del giorno.
   «Andiamo a vedere noi se è morta», dice Tommaso a Giuda Iscariota.
   «Io non ci vengo per niente», risponde l’Iscariota.
   «Vengo io con te, Toma», dice lo Zelote e va avanti.
   L’avvicinano, si curvano, e Tommaso corre indietro urlando.
   «È assassinata, forse», dice Giacomo di Zebedeo.
   «Oppure morta di freddo», risponde Filippo.
   Ma Tommaso li raggiunge e grida: «Ha la veste scucita dei lebbrosi…», e pare abbia visto il diavolo tanto è stranito.
   «Ma è morta?», chiedono.
   «E chi lo sa! Io sono scappato».
   Lo Zelote si rialza e viene sollecito verso Gesù. Dice: «Maestro, una sorella lebbrosa. Non so se è morta. Non direi. Mi sembra che il cuore batta ancora».
   «L’hai toccata?!», urlano molti scostandosi.
   «Sì. Non ho paura della lebbra da quando sono di Gesù. E ho pietà perché so cosa è l’essere lebbroso. Forse l’infelice è stata colpita, perché sanguina al capo. Forse era scesa in cerca di cibo. È tremendo, sapete, morire di fame e dovere sfidare gli uomini per avere un pane».
   «È molto sciupata?».
   «No. Anzi non so come è fra i lebbrosi. Non ha scaglie, né piaghe, né cancrene. Forse lo è da poco. Vieni, Maestro. Te ne prego. Come per me, abbi pietà della sorella lebbrosa!».
   «Andiamo. Datemi pane, formaggio e quel poco di vino che ancora abbiamo».
   «Non la farai bere dove noi beviamo!», urla terrorizzato l’Iscariota.
   «Non temere. Beverà nella mia mano. Vieni, Simone».

   360.12Vanno avanti… ma la curiosità manda avanti anche gli altri. Senza più noia per l’acqua che è fra il fogliame e che piove sulle teste dai rami scossi, né del musco zuppo, salgono sulla costa per vedere senza essere vicino alla donna. E vedono che Gesù si china, la prende per le ascelle e la trascina seduta contro un masso. La testa pende come fosse morta.
   «Simone, rovesciale il capo, ché le possa far scendere in gola un po’ di vino».
   Lo Zelote ubbidisce senza paura e Gesù, tenendo alta la zucchetta, fa cadere delle stille di vino fra le labbra socchiuse e livide. E dice: «È gelata, l’infelice! Ed è tutta bagnata».
   «Se non era lebbrosa la potevamo portare dove fummo noi», dice impietosito Andrea.
   «Ci mancherebbe altro!», scatta Giuda.
   «Ma se non è lebbrosa! Non ha segno di lebbra».
   «Ha la veste. Basta quella».
   Il vino agisce intanto. La donna ha un sospiro stanco. Gesù gliene cola in bocca un sorso vedendo che inghiotte. La donna apre due occhi annebbiati e spaventati. Vede degli uomini.
   Tenta alzarsi e fuggire gridando: «Sono infetta! Sono infetta!». Ma le forze non la soccorrono. Si copre il volto con le mani gemendo: «Non mi lapidate! Sono scesa perché ho fame… Sono tre giorni che nessuno mi getta nulla…».
   «Qui c’è pane e formaggio. Mangia. Non avere paura. Bevi un po’ di vino dalla mia mano», dice Gesù versandosi nel cavo della mano un po’ di vino e dandoglielo.
   «Ma non hai paura?», dice l’infelice sbalordita.
   «Non ho paura», risponde Gesù. E sorride alzandosi in piedi, ma restando presso la donna che mangia avida il pane e il formaggio.
   Pare una belva affamata. Ansa perfino nell’ansia di nutrirsi.

   360.13Poi, sedata l’animalità delle viscere vuote, si guarda intorno… Conta a voce alta: «Uno… due… tre… tredici… Ma allora?… Oh! Chi è il Nazareno? Tu, non è vero? Solo Tu puoi avere pietà di una lebbrosa come hai avuto!…». La donna si pone in ginocchio a fatica per la debolezza.
   «Sono Io, sì. Che vuoi? Guarire?».
   «Anche… Ma prima devo dirti una cosa… Io sapevo di Te.
   Me ne avevano parlato alcuni, passati tanto tempo fa… Tanto? No. Era l’autunno. Ma per un lebbroso… ogni giorno è un anno… Avrei voluto vederti. Ma come potevo venire in Giudea, in Galilea? Mi chiamano “lebbrosa”. Ma non ho che una piaga sul petto, e me l’ha data il marito che mi ha presa vergine e sana, e sano non era. Ma è un grande… e tutto può. Anche dire che io l’avevo tradito venendo a lui malata, e ripudiarmi così, per prendere un’altra donna di cui era invaghito. Mi ha denunciata per lebbrosa, e perché volli scolparmi fui presa a sassate. Era giusto, Signore? Ieri sera un uomo è passato da Betjaboc avvisando che Tu venivi e dicendo venirti incontro per cacciarti. Io c’ero… Discesa fino alle case perché avevo fame. Avrei frugato nei letamai per sfamarmi… Io che ero la “signora” avrei cercato strappare al pollame un poco di impasto inacidito…».
   Piange… Poi riprende: «L’ansia di trovarti, per Te, per dirti:
   “Fuggi!”; per me, per dirti: “Pietà!”, mi ha fatto dimenticare che, contrariamente alla legge nostra, cani, porci e polli vivono presso le case d’Israele, ma che il lebbroso non può scendere a chiedere un pane, neppure se è una che di lebbrosa ha solo il nome. E mi sono fatta avanti, chiedendo dove eri. Non mi hanno vista subito nell’ombra e mi hanno detto: “Sale per l’argine del fiume”. Ma poi mi hanno vista e mi hanno dato pietre per pane. Sono corsa via, nella notte, per venire incontro a Te, per sfuggire i cani. Avevo fame, avevo freddo, avevo paura. Sono caduta dove mi hai trovata. Qui. Ho creduto di morire. Invece ho trovato Te. Signore, non sono lebbrosa. Ma questa piaga qui alla mammella mi impedisce di tornare fra i viventi. Io non chiedo di tornare Rosa di Gerico come al tempo del padre mio, ma almeno di vivere fra gli uomini e seguire Te. Quelli che mi hanno parlato in ottobre hanno detto che Tu hai discepole e che con loro eri… Ma prima salvati Tu. Non morire, Tu che sei buono!».
   «Io non morirò finché non è il mio tempo.

   360.14Va’ là, a quel masso. Vi è una grotta sicura. Riposati e poi va’ dal sacerdote».
   «Perché, Signore?». La donna trema d’ansia.
   Gesù sorride: «Torna la Rosa di Gerico che fiorisce nel deserto e che è sempre viva anche se pare morta. La tua fede ti ha guarita».
   La donna socchiude la veste sul petto, guarda e grida: «Più niente! Oh! Signore, mio Dio!», e cade fronte a terra.
   «Datele pane e cibi. E tu, Matteo, dàlle un paio dei tuoi sandali. Io darò un mantello. Che possa andare, quando sarà ristorata, dal sacerdote. Dàlle anche l’obolo, Giuda. Per le spese di purificazione. L’attenderemo al Getsemani per darla a Elisa. Mi ha chiesto una figlia».
   «No, Signore. Non riposo. Vado. Subito. Subito».
   «Scendi al fiume, allora, lavati, mettiti il manto addosso…».
   «Signore, io lo do alla sorella lebbrosa. Lascia che lo faccia ed io la condurrò da Elisa. Io guarisco una seconda volta, vedendo me in lei, felice», dice lo Zelote.
   «Sia come vuoi. Dàlle quanto serve. Donna, ascolta bene.
   Andrai a purificarti e poi andrai a Betania, cercherai di Lazzaro e dirai che ti ospiti finché Io vengo. Va’ in pace».
   «Signore! Quando potrò baciarti i piedi?».
   «Presto. Va’. Ma sappi che solo il peccato mi fa ribrezzo. E perdona allo sposo perché per suo mezzo hai trovato Me».
   «È vero. Lo perdono. Vado… Oh! Signore! Non ti fermare qui dove ti odiano. Pensa che ho camminato esausta, per una notte, per venirtelo a dire, e che se invece di Te trovavo altri potevo essere uccisa a sassate come una serpe».
   «Lo ricorderò. Va’, donna. Brucia la veste. Accompagnala, Simone. Noi vi seguiremo. Al ponte vi raggiungeremo».

   360.15Si separano.
   «Però ora bisogna purificarsi. Siamo impuri tutti».
   «Non era lebbra, Giuda di Simone. Io te lo dico».
   «Ebbene, io mi purificherò. Non voglio impurità su di me».
   «Candido giglio!», esclama Pietro. «Se non si sente impuro il Signore, vuoi sentirtici tu?».
   «E per una che Lui dice non lebbrosa? Ma che aveva, Maestro? Tu hai visto la piaga?».
   «Sì. Un frutto della lussuria maschile. Ma non era lebbra. E se l’uomo fosse stato onesto non l’avrebbe scacciata, perché egli era più di lei malato. Ma tutto serve ai lussuriosi per saziare la loro fame. Tu, Giuda, se vuoi va’ pure. Ci ritroveremo al Getsemani. E purificati! Purificati! Però la prima delle purificazioni è la sincerità. Tu sei ipocrita. Ricordalo. Ma va’ pure».
   «No, che resto! Se Tu lo dici, io credo. Non sono perciò impuro e resto con Te. Tu vuoi dire che io sono lussurioso e che profittavo del fatto per… Ti dimostro che il mio amore sei Tu».
   Vanno lesti per la discesa.
   15 dicembre.

   
   360.16
Dice Gesù: «Qui metterete la visione del “Miracolo del Giordano in piena”, avuta il 17 settembre 1944».

[110] dice Pietro è un’aggiunta di MV su una copia dattiloscritta.