MARIA
VALTORTA

Voglio che le anime possano bere alla Fonte vitale della mia parola

"Quando la Chiesa - e per tale alludo ora alla riunione degli alti dignitari di Essa - agì secondo i dettami della mia Legge e del mio Vangelo, la Chiesa conobbe tempi fulgidi di fulgore. Ma guai quando, anteponendo gli interessi della Terra a quelli del Cielo, inquinò Se stessa con passioni umane! Tre volte guai quando adorò la Bestia di cui parla Giovanni, ossia la Potenza politica, e se ne fece asservire..." (Qd 12 dicembre 1943)

OPERA MAGGIORE

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VOLUME V CAPITOLO 314



CCCXIV. La cena nella casa di Nazareth e la dolorosa partenza.

   30 ottobre 1945.

   314.1Ed è sera. Una nuova sera di addio per la casetta di Nazaret ed i suoi abitanti. Un’altra cena durante la quale la pena rende svogliate al cibo le bocche e taciturne le persone.
   Alla tavola sono seduti Gesù con Giovanni e Sintica, e Pietro, Giovanni, Simone e Matteo. Gli altri non hanno potuto sedersi ad essa. È tanto piccola la mensa di Nazaret! Fatta proprio per una piccola famiglia di giusti, che al massimo possono farvi sedere il pellegrino e l’afflitto per dare loro un ristoro più di amore che di cibo! Al massimo, questa sera, avrebbe potuto sedersi ad essa Marziam, perché è un bambino, ed esile molto, che poco posto occupa… Ma Marziam, molto serio e silenzioso, mangia in un angolo, seduto su di un panchettino ai piedi di Porfirea, che la Vergine ha installata sul suo sedile del telaio e che, mite e silenziosa, mangia il cibo che le hanno dato guardando con sguardo di pietà i due prossimi alla partenza, che cercano inghiottire i loro bocconi stando molto a capo chino per nascondere il viso bruciato dalle lacrime. Gli altri, ossia i due figli di Alfeo, Andrea e Giacomo di Zebedeo, si sono installati in cucina, presso una specie di madia. Ma si vedono dalla porta aperta.

   314.2Maria Ss. e Maria d’Alfeo vanno e vengono servendo questi e quelli, materne, affannate, tristi. E se Maria Ss. carezza col suo sorriso, tanto doloroso questa sera, coloro che avvicina, Maria d’Alfeo, meno riservata e più alla buona, unisce al sorriso l’atto e la parola, e più di una volta incita, unendovi una carezza o anche un bacio, a seconda di chi è che ne beneficia, questo o quello a nutrirsi prendendo i cibi più acconci al loro fisico e al prossimo viaggio. Io credo che per amore pietoso per lo sfinito Giovanni, che in questi giorni di attesa è ancor più smagrito, gli darebbe se stessa da mangiare, tanto si studia a persuaderlo a prendere questo o quello, magnificandone il sapore e le proprietà salutifere. Ma, nonostante le sue… seduzioni, i cibi restano quasi intatti sul piatto di Giovanni, e Maria d’Alfeo ne è afflitta come una madre che veda respingere dal suo lattante il capezzolo.
   «Ma così non puoi partire, figlio!», esclama. E nella sua anima materna non riflette che Giovanni di Endor ha su per giù la sua età, e il nome di “figlio” è perciò mal dato. Ma ella vede in lui solo una creatura che soffre, e perciò non trova, per consolarlo, che questo nome… «Viaggiare a stomaco vuoto, su quella carretta traballante, nel freddo umido della notte, ti farà male. E poi, chissà mai come mangerete durante quest’orrido e lungo viaggio!… Eterna pietà! In mare, per tante miglia! Io morirei di paura. E lungo coste fenicie, e poi!… peggio ancora! E, certo, il padrone della nave sarà filisteo o fenicio o di qualche altra nazione d’inferno… e non vi avrà pietà… Su dunque, mentre sei ancora vicino ad una mamma che ti vuol bene!… Mangia: un pezzettino solo di questo pesce ottimo. Tanto per fare contento anche Simone di Giona, che lo ha preparato a Betsaida con tanto amore e oggi mi ha insegnato a cucinarlo così, per te e Gesù, che ne abbiate gran ristoro.

   314.3Non ti va proprio?… Allora… oh! questo lo mangerai!», e corre via verso la cucina tornando con un vassoio colmo di una fumante polentina. Non so cosa sia… Certo è qualche specie di farina o di grani cotti, fino ad essere sfatti, nel latte: «Guarda, questo l’ho fatto io perché mi sono ricordata che un giorno tu ne hai parlato come di un dolce ricordo della tua fanciullezza… È buono e fa bene. Su, un poco».
   Giovanni si lascia mettere qualche cucchiaio della molle pietanza sul piatto e cerca di ingoiarla, ma delle lacrime scendono a mescolare il loro sale nel cibo mentre egli china ancor più il viso sul piatto.
   Gli altri fanno molta festa a questo cibo, che forse è una squisitezza. I loro volti si sono rischiarati nel vederlo, e Marziam si è alzato in piedi… ma poi ha sentito il bisogno di chiedere a Maria Ss.: «Io ne posso mangiare? Mancano ancora cinque giorni alla fine del voto…».
   «Sì, figlio mio. Puoi mangiarne», dice Maria con una carezza.
   Ma il bambino è ancora incerto e allora Maria, per calmare gli scrupoli del piccolo discepolo, interpella suo Figlio: «Gesù, Marziam chiede se può mangiare l’orzo mondo… per via del miele che ne fa un piatto dolce, sai…».
   «Sì, sì, Marziam. Questa sera ti dispenso Io dal tuo sacrificio, a patto che Giovanni mangi lui pure il suo orzo melato. Vedi come lo desidera il bambino? Aiutalo dunque ad ottenere questa cosa». E Gesù, che ha vicino Giovanni, gli prende la mano e gliela tiene mentre Giovanni si sforza, ubbidiente, di finire il suo orzo.

   314.4Maria d’Alfeo è più contenta ora. E torna all’assalto con un bel piatto di pere, cotte nel forno, fumanti. Rientra dall’orto col suo vassoio e dice: «Piove. Comincia ora. Che pena!».
   «Ma no! Meglio anzi! Così non ci sarà nessuno per le vie.
   Quando si parte i saluti fanno sempre del male… Meglio filare col vento nella vela e senza trovare secche o scogli che esigono fermate e lento andare. E i curiosi sono proprio secche e scogli…», dice Pietro che in ogni azione vede la vela e il navigare.
   «Grazie, Maria. Ma non mangio altro», dice Giovanni cercando respingere le frutta.
   «Ah! questo no! Le ha cotte Maria. Vuoi sprezzare il cibo preparato da Lei? Guarda come le ha preparate bene! Con le loro spezie nel buchino… col loro burro alla base… Devono essere un boccone da re. Un giulebbe. Si è rosolata anche Lei al fuoco del forno per cuocerle così dorate. E fanno bene alla gola, alla tosse… Dànno calore e medicano. Maria, diglielo tu come facevano bene anche al mio Alfeo quando era malato. Ma le voleva fatte da te. Eh! già! Le tue mani sono sante e dànno salute!… Benedetti i cibi che tu prepari!… Era più quieto il mio Alfeo dopo che aveva mangiato quelle pere… il suo respiro era più dolce… Povero marito mio!…», e Maria coglie il destro della rievocazione per poter finalmente piangere ed uscire a piangere.
   Forse faccio un cattivo pensiero, ma credo che, senza la pietà per i due che partono, il «povero Alfeo» non avrebbe avuto neppure una lacrima della consorte, quella sera… Maria d’Alfeo era piena di pianto per Giovanni e Sintica, e per Gesù, Giacomo e Giuda che se ne vanno, tanto piena che ha aperto uno sfogo al pianto per non soffocare.

   314.5Maria le subentra ora, posando una mano sulla spalla di Sintica che è di fronte a Gesù fra Simone e Matteo. «Suvvia dunque, mangiate. Volete dunque partire lasciandomi anche l’angoscia che siete partiti quasi digiuni?».
   «Io ho mangiato, Madre», dice Sintica alzando il viso stanco e segnato del pianto fatto per più giorni. E poi abbassa il suo viso sulla spalla, dove è la mano di Maria, strisciando la guancia sulla piccola mano per esserne carezzata. Maria le carezza con l’altra mano i capelli e attira a sé il capo di Sintica, che ora le appoggia il viso sul seno.
   «Mangia, Giovanni. Ti farà realmente bene. Hai bisogno di non raffreddarti. Tu, Simone di Giona, provvederai a dargli il latte caldo col miele ogni sera, o almeno acqua molto calda e melata. Ricòrdatelo».
   «Provvederò io pure, Madre. Stànne sicura», dice Sintica.
   «Ne sono infatti sicura. Ma ciò farai quando sarai installata ad Antiochia. Per ora ci penserà Simone di Giona. E ricorda, Simone, di dargli molto olio d’uliva. Ti ho dato per questo quell’orciolo. Bada che non si infranga. E se lo vedi più chiuso di respiro, fa’ come ti ho detto con l’altro vasetto di balsamo. Ne prendi tanto quanto sia sufficiente a ungergli il petto, le spalle e le reni, e lo scaldi fino a poterlo toccare senza scottarsi, e poi lo ungi e lo copri subito di quelle fasce di lana che ti ho dato. L’ho preparato apposta. E tu, Sintica, ricorda la sua composizione. Per rifarlo. Potrai sempre trovare gigli e canfore e dittami, e resine e garofani con lauri, artemisie e quant’altro.
   Sento che Lazzaro ha là ad Antigonio giardini di essenze».
   «E splendidi», dice lo Zelote che li ha visti. E aggiunge: «Io non consiglio nulla. Ma dico che per Giovanni quel posto dovrebbe essere salutare, sia per lo spirito che per la carne, più ancora di Antiochia. Riparato dai venti, aria leggera che viene dai boschetti di piante resinose site sulle pendici di un piccolo colle, che fa da ostacolo ai venti del mare ma che però permette ai benigni sali marini di diffondersi fin lì, sereno, silenzioso eppure allegro per i mille fiori e uccelli che vi vivono in pace…
   Insomma vedrete voi quello che più vi si confà.

   314.6Sintica ha tanto giudizio! Perché in queste cose è meglio affidarsi alle donne. Non è vero?».
   «Infatti Io affido il mio Giovanni proprio al buon senso e al buon cuore di Sintica», dice Gesù.
   «Ed io pure», dice Giovanni di Endor. «Io… io… io non ho più alcuna energia… e… non sarò mai più utile a nulla…».
   «Giovanni, non lo dire! Quando l’autunno spoglia le piante non è già detto che esse siano inerti. Anzi lavorano con celata energia a preparare il trionfo del prossimo fruttificare. Tu sei lo stesso. Ora sei spogliato dal vento freddo di questo dolore. Ma in realtà nel tuo profondo tu lavori già per i nuovi ministeri. La stessa tua pena sarà uno sprone ad operare. Io ne sono certa. E allora sarai tu, sempre tu, quello che aiuterai me, povera donna che ancor tanto ha da imparare per diventare qualcosa di Gesù».
   «Oh! che vuoi mai che io sia più?! Non ho nulla più da fare… Sono finito!».
   «No. Ciò non sta bene dirlo! Solo chi muore può dire: “Io sono finito come uomo”. Non altri. Credi di non avere a fare più nulla? Ancor ti resta ciò che mi hai detto un giorno: compiere il sacrificio. E come, se non colla sofferenza? Giovanni, a te, pedagogo[28], è stolto citare i saggi, ma ti ricordo Gorgia di Leontina (o Leontine). Egli insegnava che non si espia, in questa o nell’altra vita, altro che coi dolori e le sofferenze. E ancor ti ricordo il nostro grande Socrate: “Disubbidire a chi è superiore di noi, sia dio che uomo, è male e vergogna”. Or se questo era giusto fare per ingiusta sentenza, data da uomini ingiusti, che mai sarà per ordine dato dall’Uomo santissimo e dal Dio nostro? Grande cosa è l’ubbidire, sol perché è ubbidire. Grandissima dunque l’ubbidire ad ordine santo che io giudico, e tu con me lo devi ugualmente giudicare, grande misericordia. Tu sempre dici che la tua vita volge al suo termine. Né ancor senti di avere annullato il tuo debito verso la Giustizia. E perché allora non giudichi questo grande dolore come un mezzo per giungere ad annullare questo debito, e farlo nel breve tempo che ancora ti resta? Grande dolore per avere grande pace! Credimi che vale la pena di soffrirlo. L’unica cosa che importante sia nella vita è di giungere alla morte avendo conquistato la Virtù».
   «Tu mi rincuori, Sintica… Fàllo sempre».
   «Lo farò. Qui lo prometto. Ma tu secondami, da uomo e da cristiano».

   314.7Il pasto è finito. Maria raccoglie le rimaste pere e le mette in un vaso dandole ad Andrea, che esce per tornare dicendo:
   «Sempre più piove. Io direi che è meglio…».
   «Sì. Attendere è sempre più agonia. Vengo subito a preparare la bestia. E voi pure venite, coi cofani e quant’altro. Anche tu, Porfirea. Svelta! Sei tanto paziente che l’asino ne è conquiso e si lascia vestire (dice proprio così) senza fare puntigli. Dopo ci penserà Andrea, che ti somiglia. Su, via tutti!». E Pietro spinge fuori dalla stanza e dalla cucina tutti meno Maria, Gesù, Giovanni di Endor e Sintica.
   «Maestro! Oh! Maestro, aiutami! È l’ora di… sentirmi spaccare il cuore! È proprio venuta! Oh! perché, Gesù buono, non mi hai fatto morire qui, dopo che avevo già avuto lo strazio della mia condanna e fatto lo sforzo dell’accettazione di essa?!». E Giovanni si abbatte sul petto di Gesù, piangendo angosciosamente.
   Maria e Sintica cercano di calmarlo, e Maria, benché sempre così riservata, lo stacca da Gesù abbracciandolo, chiamandolo: «Figlio caro, mio prediletto figlio»…

   314.8Sintica intanto si inginocchia ai piedi di Gesù dicendo:
   «Benedicimi, consacrami perché io sia fortificata. Signore, Salvatore e Re, io, qui, alla presenza di tua Madre, giuro e professo di seguire la tua dottrina e di servirti fino all’ultimo respiro. Giuro e professo di dedicarmi alla tua dottrina ed ai seguaci di essa per amore di Te, Maestro e Salvatore. Giuro e professo che la mia vita non avrà altro scopo, e che tutto quanto è mondo e carne è per me morto definitivamente, mentre, con l’aiuto di Dio e delle preghiere della Madre tua, spero vincere il Demonio onde non mi tragga in errore e nell’ora del tuo Giudizio io non sia condannata. Giuro e professo che seduzioni e minacce non mi piegheranno e non avrò labile memoria, a meno che Dio non permetta altrimenti. Ma spero in Lui e credo nella sua bontà, onde sono certa che non mi lascerà in balìa di forze oscure più forti della mia. Consacra la tua serva, o Signore, perché sia difesa contro le insidie d’ogni nemico».
   Gesù le pone le mani sul capo, a palme aperte, come fanno anche i sacerdoti, e prega su di lei.
   Maria conduce Giovanni al fianco di Sintica e lo fa inginocchiare dicendo: «Anche questo, Figlio mio, perché ti serva con santità e pace».
   E Gesù ripete l’atto sul capo curvo del povero Giovanni. Poi lo alza e fa alzare Sintica, mettendo le loro mani nelle mani di Maria e dicendo: «E sia Essa l’ultima che vi carezza, qui», ed esce svelto andando non so dove.
   «Madre, addio! Non dimenticherò mai questi giorni», geme Giovanni.
   «Neppure io ti dimenticherò, figlio caro».
   «Io pure, Madre… Addio. Lascia che ti baci ancora… Oh!
   dopo tanti anni mi ero sfamata di baci materni!… Ora non più…». Sintica piange fra le braccia di Maria che la bacia.
   Giovanni singhiozza senza ritegno. Maria abbraccia anche lui, ora li ha tutti e due fra le braccia, vera Madre dei cristiani, e sfiora con le sue labbra purissime la gota rugosa di Giovanni, un bacio pudico, ma tanto amoroso. E col bacio resta il pianto della Vergine sulla gota scarna…

   314.9Entra Pietro: «È pronto. Suvvia…», e non dice altro perché è commosso.
   Marziam, che segue suo padre come l’ombra segue il corpo, si attacca al collo di Sintica e la bacia, poi si abbraccia Giovanni e lo bacia, lo bacia… Ma piange anche lui.
   Escono. Maria tenendo per mano Sintica, Marziam per mano di Giovanni.
   «I nostri mantelli…», dice fra le lacrime Sintica e fa per entrare nelle stanze.
   «Sono qui, sono qui. Presto, prendete…». Pietro fa il rude per non fare il commosso, ma dietro le spalle dei due, che si avvolgono nei mantelli, si asciuga le lacrime col dorso della mano…
   Là, oltre la siepe, il lumino ballonzolante del carretto mette una chiazza gialla nell’aria scura… La pioggia fruscia fra le fronde degli ulivi, suona sulla vasca colma d’acqua… Un colombo, svegliato dalla luce delle lampade tenute dagli apostoli, al riparo dei mantelli, basse, per illuminare i sentieri pieni di pozze, tuba lamentosamente…
   Gesù è già presso al carretto su cui è stata tesa una coperta a fare da tetto.
   «Su, su che piove forte!», incita Pietro. E mentre Giacomo di Zebedeo sostituisce Porfirea alle briglie, lui, senza tanti complimenti, alza da terra Sintica e la pone sul carro, e con ancor più sveltezza afferra Giovanni di Endor e lo butta sopra, e sale lui pure, dando subito una nerbata così energica al povero asino che quello scatta in avanti di corsa, quasi travolgendo Giacomo. E Pietro insiste finché sono sulla vera via, un bel po’ lontano dalla casa… Un ultimo grido di addio segue i partenti, che piangono senza ritegno…
   Pietro ferma poi il somaro fuori di Nazaret, in attesa di Gesù e degli altri, che non tardano a raggiungerli camminando svelti sotto la pioggia che infittisce.
   Prendono una strada fra le ortaglie per portarsi di nuovo al nord della città, senza attraversarla. Ma Nazaret è buia e dormente sotto l’acqua gelida della notte d’inverno… e credo che lo zoccolìo dell’asino, poco sensibile sul terreno fradicio, di terra battuta, non sia percepito neppure da chi è sveglio…
   La comitiva procede nel massimo silenzio. Solo i singhiozzi dei due discepoli si sentono, mescolati al rumore della pioggia sulle fronde degli uliveti.

[28] pedagogo, invece di demagogo, è correzione nostra.