MARIA
VALTORTA

Voglio che le anime possano bere alla Fonte vitale della mia parola

"Quando la Chiesa - e per tale alludo ora alla riunione degli alti dignitari di Essa - agì secondo i dettami della mia Legge e del mio Vangelo, la Chiesa conobbe tempi fulgidi di fulgore. Ma guai quando, anteponendo gli interessi della Terra a quelli del Cielo, inquinò Se stessa con passioni umane! Tre volte guai quando adorò la Bestia di cui parla Giovanni, ossia la Potenza politica, e se ne fece asservire..." (Qd 12 dicembre 1943)

OPERA MAGGIORE

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VOLUME V CAPITOLO 315



CCCXV. Il viaggio verso Jiftael e le riflessioni di Giovanni di Endor.

   31 ottobre 1945.

   315.1Deve avere piovuto tutta la notte. Ma con l’alba è succeduto un vento asciutto che ha respinto le nubi verso sud, oltre i colli di Nazaret. Perciò un timido sole invernale osa affacciarsi e accendere col suo raggio un diamante su ogni foglia degli ulivi. Ma è una veste di gala che gli ulivi presto perdono, perché il vento la scrolla dalle fronde che pare piangano scaglie di diamante, le quali poi si sperdono fra le erbe roride o sulla via motosa.
   Pietro, con l’aiuto di Giacomo e Andrea, prepara carro e asino. Gli altri non si vedono ancora. Ma poi escono uno dopo l’altro da una cucina, forse, perché dicono ai tre che sono fuori:
   «Ora andate voi a prendere ristoro». E questi vanno, per uscire dopo poco e questa volta insieme a Gesù.
   «Ho rimesso la copertura per via del vento», spiega Pietro.
   «Se proprio vuoi andare a Jiftael lo avremo in faccia… e pizzicherà… Non so perché non prendiamo la via diretta a Sicaminon, e poi quella della marina… Era più lunga ma meno aspra. Hai sentito cosa diceva quel pastore che io ho fatto cantare abilmente? Ha detto: “Jotapata nei mesi di inverno è isolata. Non c’è che una strada per andarvi e con agnelli non ci si va… Sulle spalle non si deve avere nulla, perché ci sono passi che si fanno con le mani più che coi piedi, e gli agnelli non possono nuotare… Ci sono due fiumi spesso pieni e la stessa via è un torrente che scorre su un fondo di rocce. Io ci vado dopo i Tabernacoli e a primavera piena, e ci vendo bene, perché allora si riforniscono per dei mesi”. Così ha detto… E noi… con questo arnese… (e dà un calcio alla ruota del carretto)… e con questo somaro… uhm!…».
   «La via diretta da Sefori a Sicaminon era migliore. Ma è molto battuta… Ricòrdati che è bene non lasciare tracce di Giovanni…».
   «Il Maestro ha ragione. Potremmo trovare anche Isacco con dei discepoli… E a Sicaminon poi!…», dice lo Zelote.
   «E allora… andiamo pure…».
   «Vado a chiamare quei due…», dice Andrea.
   E, mentre lo fa, Gesù si accomiata da una vecchia e da un fanciullo che escono da un ovile con dei secchi di latte. Sopraggiungono anche dei pastori barbuti, che Gesù ringrazia dell’ospitalità data nella notte piovosa.

   315.2Giovanni e Sintica sono già sul carretto che si avvia sulla strada guidato da Pietro. Gesù, fiancheggiato dallo Zelote e da Matteo, seguito da Andrea, Giacomo, Giovanni e dai due figli d’Alfeo, affretta il passo per raggiungerlo.
   Il vento taglia la faccia e gonfia i mantelli. La copertura stesa sugli archi del carro schiocca come una vela, nonostante che la pioggia della notte l’abbia appesantita.
   «Va’ là, che si asciuga presto!», mormora Pietro guardandola. «Purché non si asciughino i polmoni a quel pover’uomo!… Aspetta, Simone di Giona… Si fa così». Ferma l’asino e si leva il mantello, sale sul carro e vi avviluppa ben bene Giovanni.
   «Ma perché? Ho già il mio…».
   «Perché io a tirare l’asino ho già un caldo come fossi in un forno da pane. E poi sono uso, io, a stare nudo sulla barca, e più che mai nudo più c’è bufera. Il freddo mi fa da pungolo e sono più lesto. Su, sta’ ben coperto. Me ne ha fatte tante e tante delle raccomandazioni Maria a Nazaret, che se tu ti ammali io non potrò mai più andarle davanti…».

   315.3Scende dal carretto e riprende la briglia incitando l’asino ad andare. Ma presto deve chiamare in aiuto suo fratello e anche Giacomo, per aiutare l’asino ad uscire da un luogo melmoso dove la ruota si è affondata. E vanno, spingendo a turno il carro per agevolare l’asino che punta le zampe robuste nel fango e tira, povera bestia, sbuffando e sbruffando di fatica e di golosità, perché Pietro lo stuzzica ad andare con l’offerta di bocconi di pane e di torsi di mela, che però gli concede solo nei momenti di sosta.
   «Sei un ingannatore, Simone di Giona», dice scherzando Matteo che osserva la manovra.
   «No. Applico la bestia al suo dovere, e con dolcezza. Se non facessi così, dovrei usare la frusta. E mi spiace a farlo. Non picchio la barca quando fa le bizze, ed è legno. Perché dovrei picchiare questo che è carne? Ora questo è la mia barca… nell’acqua è… e come! Perciò lo tratto come tratto la barca. Non sono Doras, io! Sapete? Volevo chiamarlo Doras, prima di acquistarlo. Ma poi ho sentito il suo nome e mi è piaciuto. Gliel’ho lasciato…».
   «Come si chiama?», chiedono incuriositi.
   «Indovinate!», e Pietro ride fra la barba.
   Vengono detti i nomi più strani, e dei più feroci farisei o sadducei, ecc. ecc. Ma Pietro scuote sempre il capo. Si dànno vinti.
   «Antonio si chiama! Non è un bel nome? Quel maledetto romano! Si vede che il greco che mi ha venduto l’asino aveva della ruggine anche lui con Antonio!».
   Ridono tutti, mentre Giovanni di Endor spiega: «Sarà uno dei taglieggiati dopo la morte di Cesare. È vecchio?».
   «Avrà settanta anni… e deve avere fatto tutti i mestieri… Adesso ha un albergo a Tiberiade…».

   315.4Sono al trivio di Sefori con la via di Nazaret-Tolemaide, Nazaret-Sicaminon, Nazaret-Jotapata (faccio notare che il J lo dicono come un molto dolce “gi”). Il cippo consolare porta le tre indicazioni di Tolemaide, Sicaminon, Jotapata.
   «Entriamo in Sefori, Maestro?».
   «È inutile. Andiamo a Jiftael. Senza sostare. Mangeremo camminando. Occorre esservi avanti sera».
   Vanno, vanno, superando due torrentelli ben gonfi, attaccando le prime pendici di un sistema di colli in direzione nordsud, che al nord fanno però come un nodo aspro che poi si allunga verso est.

   «Là è Jiftael», dice Gesù.
   «Non vedo nulla», osserva Pietro.
   «È a settentrione. Verso noi sono coste a picco, e così a oriente e ponente».
   «Sicché bisogna girare tutto quel monte?».
   «No. Vi è una strada presso il monte più alto, ai piedi di esso, nella valle. E abbrevia molto, anche se è via molto erta».
   «Ci sei stato?».
   «No. Ma lo so».
   Davvero che è via erta! Tanto che quando vi giungono — e pare di precipitare incontro alla notte tanto si riduce la luce nel fondo di questa valle, che mi fa pensare alle dantesche malebolge tanto è orrida e dirupata, una via proprio incisa nel masso, quasi a gradini tanto è irta di dislivelli, una via stretta, selvaggia, rinserrata fra un torrente rabbioso e una costa ancor più rabbiosa che procede, salendo ripida, verso nord — se ne sgomentano…
   Se la luce cresce man mano che si sale, in compenso cresce anche la fatica, tanto che scaricano il carro delle sacche personali e scende anche Sintica perché il carretto sia il più leggero possibile. Giovanni di Endor, che dopo quelle poche parole non aveva più aperto bocca che per tossire, vorrebbe scendere lui pure. Ma non glielo concedono e resta dove è mentre tutti spingono e tirano bestia e veicolo, e sudano ad ogni dislivello. Ma nessuno brontola. Anzi tutti cercano di mostrarsi soddisfatti dell’esercizio per non avvilire i due per i quali lo fanno, e che più di una volta hanno avuto parole di rammarico per questa fatica.
   La strada fa un angolo retto. E poi un altro angolo ancora, più breve, che termina in una città appollaiata su una pendice tanto ripida che, come dice Giovanni di Zebedeo, fa l’impressione che debba scivolare a valle con le sue case.
   «Ma invece è ben solida. Tutt’una con la roccia».
   «Come Ramot allora…», dice Sintica che ricorda.
   «Più ancora. Qui la roccia è parte delle case, non è solo base ad esse. Ricorda di più Gamala. L’avete presente?».
   «Sì, e con essa abbiamo presenti quei porci…», dice Andrea.
   «Proprio di là siamo partiti per Tarichea e il Tabor ed Endor…», ricorda Simone Zelote.

   315.5«Io sono destinato a darvi ricordi penosi e grandi fatiche…», sospira Giovanni di Endor.
   «No, poi! Tu ci hai dato una fedele amicizia, nulla più, amico», dice con impeto Giuda d’Alfeo. E tutti si uniscono a lui per rendere più netta la conferma.
   «Eppure… io non sono stato amato… Nessuno me lo dice… Ma io so meditare, riunire i fatti sparsi in un quadro solo. Questa partenza, no, non era prevista, e non è spontanea la decisione…».
   «Perché dici così, Giovanni?», chiede dolcemente afflitto Gesù.
   «Perché è vero. Non mi si è voluto. Io, e non altri, neppure i grandi discepoli, sono stato scelto per andare lontano».
   «E Sintica, allora?», chiede Giacomo di Alfeo, contristato della luce che viene alla mente dell’uomo di Endor.
   «Sintica viene per non mandarmi via solo… per pietosamente confondermi la verità…».
   «No, Giovanni!…».
   «Sì, Maestro. E vedi? Potrei anche dirti il nome del mio torturatore. Sai dove lo leggo? Solo a guardare questi otto buoni lo leggo! Solo riflettendo all’assenza degli altri lo leggo! Quello per il quale io sono stato trovato da Te è anche colui che mi vorrebbe fare trovare da Belzebù. E mi ha portato a quest’ora — e ti ci ha portato, Maestro, perché Tu pure soffri come me e forse più di me — e mi ha portato a quest’ora per farmi tornare nella disperazione e nell’odio. Perché egli è cattivo. Egli è crudele. Egli è invidioso. E altro ancora è. È Giuda di Keriot l’anima oscura fra i tuoi servi tutti luce…».
   «Non dire così, Giovanni. Non manca lui solo. Tutti furono assenti per le Encenie meno lo Zelote, senza famiglia. Da Keriot, e in questa stagione, non si viene in poche tappe. Sono quasi duecento miglia di cammino. Ed era giusto che andasse dalla madre, come Tommaso. Anche Natanaele ho risparmiato perché vecchio, e con lui Filippo per dare il compagno a Natanaele…».
   «Sì. Altri tre non ci sono… Ma, o Gesù buono! Tu conosci i cuori perché sei il Santo. Ma non sei solo a conoscerli! Anche i perversi conoscono i perversi perché si riconoscono in loro. Io fui perverso e mi sono rivisto, nei miei istinti peggiori, in Giuda. Ma io lo perdono. Per una cosa sola io lo perdono di mandarmi a morire tanto lontano: perché proprio per lui sono venuto a Te. E Dio lo perdoni per il resto… per tutto il resto».
   Gesù non osa smentire… Tace. Gli apostoli si guardano fra loro mentre a forza di braccia spingono il carretto sulla via scivolosa.

   315.6È prossima la sera quando raggiungono la città dove, sconosciuti fra sconosciuti, prendono alloggio in un albergo messo sullo scrimolo sud del paese. Uno scrimolo che dà le vertigini a gettare lo sguardo giù per la sua parete, tanto è a picco e profonda. In fondo — rumore e nulla più nell’ombra di pace che è già nella valle — rugge un torrente.