MARIA
VALTORTA

Voglio che le anime possano bere alla Fonte vitale della mia parola

"Quando la Chiesa - e per tale alludo ora alla riunione degli alti dignitari di Essa - agì secondo i dettami della mia Legge e del mio Vangelo, la Chiesa conobbe tempi fulgidi di fulgore. Ma guai quando, anteponendo gli interessi della Terra a quelli del Cielo, inquinò Se stessa con passioni umane! Tre volte guai quando adorò la Bestia di cui parla Giovanni, ossia la Potenza politica, e se ne fece asservire..." (Qd 12 dicembre 1943)

OPERA MAGGIORE

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VOLUME V CAPITOLO 318



CCCXVIII. In barca da Tolemaide a Tiro inizia il viaggio degli otto apostoli con Giovanni di Endor e Sintica.

   3 novembre 1945.

   318.1La città di Tolemaide pare debba rimanere schiacciata da un cielo basso, di piombo, senza uno spiraglio di azzurro, senza neppure una varietà nel suo fosco. No. Non una nuvola, un cirro, un nembo che veleggi solo sulla cappa chiusa del firmamento. Ma un’unica volta concava e pesante come un coperchio che stia per essere abbattuto su una cassa. Un enorme coperchio di stagno sporco, fuliginoso, opaco, opprimente. Le case bianche della città sembrano di gesso, un gesso ruvido, grezzo, desolato, in questa luce… e il verde delle piante sempreverdi sembra appannato, triste, e lividi o spettrali i volti delle persone e smorti i colori delle vesti. La città affoga nello scirocco pesante.
   Il mare risponde al cielo con uno stesso aspetto di morte. Un mare sconfinato, fermo, deserto. Non è neanche plumbeo, sarebbe errato dirlo tale. È una distesa senza limite, e direi senza rughe, di una sostanza oleosa, grigia come devono esserlo i laghi di petrolio grezzo, o meglio, se fosse possibile, i laghi di un argento mescolato a fuligine, a cenere, per farne una manteca che ha un suo speciale splendore di scaglia quarzifera e che pure non pare splendere tanto è morta e opaca. Questo suo splendere non lo si avverte che con il disagio che ne soffre l’occhio, abbacinato da questo tremolio di madreperla nerastra che stanca senza rallegrare. Non un’onda a perdita d’occhio. Lo sguardo giunge all’orizzonte, là dove il morto mare tocca il morto cielo, senza vedere un moto d’onda; ma però si comprende che non sono acque solidificate, perché hanno un sotterraneo fiottio che è appena sensibile alla superficie col luccichio sporco delle acque. Tanto morto che a riva le acque sono lì, ferme come acque d’una vasca, senza il minimo accenno di flutto o risacca. E la rena è nettamente segnata di umidore lì, a un metro, poco più, dall’acqua, confessando così che non vi è stato moto d’onde, a riva, da molte ore. L’assoluta calmeria.
   I navigli, pochi, che sono nel porto, non hanno un movimento. Sembrano confitti in una materia solida tanto sono immobili, e quei pochi lembi di stoffa che sono stesi sugli alti ponti, insegne o vestimenta che siano, pendono inerti.

   318.2Da una vietta del quartiere popolare del porto vengono verso la marina gli apostoli con i due diretti ad Antiochia. Non so che fine abbiano fatto l’asino e il carro. Non ci sono. Pietro e Andrea portano un cofano, Giacomo e Giovanni l’altro, mentre Giuda di Alfeo si è affastellato sulle spalle il telaio smontato, e Matteo, Giacomo d’Alfeo e Simone Zelote si sono caricati delle sacche di tutti, compresa quella di Gesù. Sintica non ha fra le mani che un cesto di cibarie. Giovanni di Endor nulla. Vanno lesti fra la gente che torna, per la più parte, dai mercati con le spese, o che, se marittimi, si affretta al porto, per caricare o scaricare i navigli, o ripararli, a seconda dei bisogni.
   Simone di Giona va sicuro. Deve sapere già dove andare perché non si guarda intorno. Tutto rosso, sorregge per un cappio della fune, messa a far da maniglia, il cofano dalla sua parte, e Andrea lo seconda dalla sua. E si vede tanto in loro, come nei compagni Giacomo e Giovanni, lo sforzo del peso che portano nell’inturgidirsi dei muscoli dei polpacci e delle braccia, perché, per essere più liberi, sono con la sola sottoveste corta e sbracciata, in tutto simili ai facchini che si affrettano dai fondachi ai navigli, o viceversa, per le loro operazioni. Perciò passano assolutamente inosservati.

   318.3Pietro non va alla grande calata ma, per una passerella cigolante, va alla calata più piccola, un moletto messo ad arco che fa come un secondo bacino, molto più ristretto, per le barche da pesca. Guarda e dà la voce.
   Risponde un uomo, alzandosi dal fondo di una robusta barca, abbastanza ampia. «Vuoi proprio partire? Guarda che la vela non serve, oggi. Dovrai andare a forza di remi».
   «Servirà a scaldarmi e a darmi appetito».
   «Ma sei proprio capace di navigare?».
   «Ohè! uomo! Non sapevo ancora dire “mamma” e già il padre mi aveva messo in mano la sagola e le corde delle vele. Ci ho arrotato sopra i denti di latte…».
   «È perché, sai?, questa barca è tutto il mio bene, sai?…».
   «E me l’hai detto fin da ieri… Non sai altra canzone?».
   «So che se tu vai a fondo io sono rovinato e…».
   «Rovinato sarò io che ci perdo la pelle, non tu!».
   «Ma questo è il mio bene, il mio pane, la mia gioia e quella della sposa, ed è la dote della mia bambina, e…».
   «Uff! Senti, non mi pizzicare i nervi che hanno già un crampo… un crampo! più tremendo di quello dei nuotatori. Ti ho dato tanto che potrei dire: “la barca l’ho comperata”, non ho tirato sulla tua richiesta, ladrone marittimo che sei, ti ho mostrato che so il remo e la vela meglio di te, e tutto era stabilito. Ora, se l’insalata di porri che hai mangiato ieri sera, e la tua bocca ne puzza come una sentina, ti ha dato l’incubo e i rimorsi, a me non me ne importa. L’affare è stato fatto con due testimoni, uno tuo, uno mio, e basta. Salta fuori di lì, granchio peloso, e lasciami entrare».
   «Ma io… una garanzia almeno… Se tu muori, chi mi paga la nave?».
   «La nave? Chiami nave questa zucca spolpata? Oh! miserabile e superbo! Ma ti darò pace, purché tu ti decida: ti darò altre cento dramme. Fra queste e quello che hai voluto di affitto te ne fai altre tre di queste talpe… No, anzi. Soldi niente. Saresti capace di darmi del matto e volerne di più al ritorno. Perché ritornare torno, sta’ certo. Magari per farti la barba con gli schiaffi se mi hai dato una barca difettosa di carena. Ti darò l’asino e il carro in pegno… No! Neanche quello! Il mio Antonio non te lo affido. Saresti capace di mutare mestiere e da barcaiolo farti carrettiere e filare mentre io sono via. E il mio Antonio vale dieci volte la tua barca. Meglio darti i denari. Bada però che sono una garanzia e tu me la rendi al ritorno. Hai inteso, o no? Ohi, della nave! Chi è di Tolemaide?».
   Da un naviglio vicino si sporgono tre volti: «Noi».
   «Venite qui…».
   «No, no, non serve. Facciamo fra noi», supplica il barcaiolo.
   Pietro lo guarda scrutatore, ragiona dentro di sé e, vedendo che l’altro lascia la barca e si affretta a mettere in essa il telaio che Giuda aveva posato al suolo, mormora: «Ho capito!». Urla a quelli della nave: «Non occorre più. State pure», e poi estrae da una piccola borsa delle monete, le conta e le bacia dicendo:
   «Addio, care!», e le dà al barcaiolo.
   «Perché le hai baciate?», chiede questo stupito.
   «Un… rito. Addio, ladro! Su, voi. Tu, tieni almeno la barca.
   Le conterai dopo. E le troverai esatte. Non voglio averti compagno all’inferno, sai? Non rubo io. Su, issa! Su, issa!». E tira a bordo il primo cofano. Poi aiuta gli altri a stivare il loro, e le sacche, e tutto, equilibrando il peso e sistemando gli oggetti in modo da essere libero nelle manovre e, dopo gli oggetti, le persone. «Vedi che so fare, vampiro? Molla ora e va al tuo destino». E insieme ad Andrea punta il remo contro il moletto per staccarsi da esso.

   318.4Preso il filo della corrente, dà il timone a Matteo dicendo:
   «Tanto tu, per spellarci a dovere, ci venivi a pescare quando pescavamo e lo sai tenere passabilmente», e poi si siede a prua, dando le spalle alla prua, sulla prima panchetta, con Andrea di fianco. Davanti a lui sono seduti Giacomo e Giovanni di Zebedeo e vogano con ritmo regolare e potente.
   La barca va senza scosse e veloce, nonostante sia ben appesantita, sfiorando il fianco dei navigli grossi, dal bordo dei quali scendono parole di lode per la vogata perfetta. E poi ecco l’aperto mare, fuori dalle dighe… Tolemaide sfila tutta davanti agli occhi dei partenti, stesa come è sulla riva e col porto a sud della città. Nella barca è il silenzio assoluto. Si sentono solo i cigolii dei remi negli scalmi.
   Dopo un bel po’, e già Tolemaide è superata, Pietro dice:
   «Però, se c’era un poco di vento… Ma niente! Non un filo!…».
   «Purché non piova!…», dice Giacomo di Zebedeo.
   «Uhm! Ne ha molta voglia…».
   Silenzio e fatica di remi per molto tempo.
   Poi Andrea chiede: «Perché hai baciato le monete?».
   «Perché chi parte per sempre si saluta. Non le vedrò più. E me ne spiace. Preferivo darle a qualche infelice… Ma pazienza! La barca è realmente buona, robusta e ben costruita. La migliore di Tolemaide. È per quello che ho ceduto alle pretese del suo padrone. E anche per non avere molte domande sul dove si va. Per questo gli ho detto: “A comperare al Giardino bianco”… Ahi! Ahi! Comincia a piovere. Copritevi, voi che potete, e tu, Sintica, dài l’uovo a Giovanni. È l’ora… Molto più che, con un mare così, nulla si agita nello stomaco… E Gesù che farà?
   Che mi farà? Senza vesti, senza denaro! Ma dove sarà ora?».
   «A pregare per noi, certamente», risponde Giovanni di Zebedeo.
   «Va bene. Ma dove?…».
   Nessuno può dire dove. E la barca bordeggia pesante, faticosamente, sotto il cielo di piombo, sul mare di bitume cinereo, fra una pioggerella fina come una nebbia, noiosa come un solletico prolungato. I monti, che dopo una zona a pianura tornano ad accostarsi al mare, si avvicinano, lividi nell’aria nebbiosa. Il mare, nella vicinanza, continua a dare noia agli occhi con la sua fosforicità strana; più lontano, si perde in un velo nebbioso.

   318.5«A quel paese fermeremo per riposare e mangiare», dice Pietro che è instancabile nella voga. E gli altri confermano.
   Il paese è raggiunto. Un mucchietto di case di pescatori messo a ridosso di uno sperone di monte che viene verso mare.
   «Qui non si sbarca. Non c’è fondo…», borbotta Pietro. «Bene, mangeremo qui dove siamo». E infatti mangiano di buona voglia i vogatori, svogliatamente i due esiliati. La pioggia riprende e smette alternativamente.
   Il paese è spopolato come fosse senza abitanti. Eppure voli di colombi da casa a casa e vesti stese sulle altane dicono che vi è gente. Infine appare sulla riva un uomo seminudo che va ad una barchetta tirata sulla riva.
   «Ehi! uomo! Sei pescatore?», urla Pietro facendo imbuto delle mani.
   «Sì». Il viene fievole per la distanza.
   «Che tempo farà?».
   «Mare lungo fra poco. Se non sei di qui ti dico di andare subito oltre il capo. Di là l’onda è più quieta, specie se vai sotto riva, e puoi, perché è mare fondo. Ma va’ subito…».
   «Sì. Pace a te!».
   «Pace e fortuna a voi».
   «Forza allora», dice Pietro ai compagni. «E Dio sia con noi».
   «Lo è certo. Gesù certamente prega per noi», risponde Andrea riprendendo la vogata.
   Ma l’onda lunga, infatti, si è già formata e respinge e aspira la povera barca ad ogni suo venire, mentre la pioggia si infittisce… e un vento sincopato si unisce a torturare i poveri naviganti. Simone di Giona lo gratifica di tutti gli epiteti più pittoreschi, perché è un vento malvagio che non può essere usato per la vela e che cerca spingere la barca verso gli scogli del capo ormai prossimo. La barca stenta a navigare nella curva di questo golfetto, che è cupo come un inchiostro. Vogano, vogano, a fatica, rossi, sudati, stringendo i denti, senza sprecare più una briciola di forza in parole. Gli altri, seduti di fronte a loro — ed io li vedo nella schiena — tacciono muti sotto la pioggia noiosa, Giovanni e Sintica al centro, presso l’albero della vela, dietro di loro i figli di Alfeo, ultimi Matteo e Simone che lottano a tenere diritto il timone ad ogni colpo di onda.

   318.6Il doppiare il capo è impresa faticosa. Infine è fatto… E un poco di pace è concessa ai rematori che devono essere stremati. Si consultano se rifugiarsi in un paesello al di là del capo. Ma predomina il concetto che «si deve ubbidire al Maestro anche contro al buon senso. E Lui ha detto che si deve arrivare a Tiro tutto in una giornata». E vanno…
   Il mare si calma all’improvviso. Notano il fenomeno e Giacomo d’Alfeo dice: «Il premio dell’ubbidienza».
   «Sì, Satanasso se ne è andato perché non è riuscito a farci disubbidire», conferma Pietro.
   «Arriveremo a Tiro a notte, però. Ci ha molto ritardato questa cosa…», dice Matteo.
   «Non importa. Andremo a dormire e domani cercheremo la nave», risponde Simone Zelote.
   «Ma la troveremo poi?».
   «Gesù lo ha detto. La troveremo perciò», dice sicuro il Taddeo.
   «Possiamo alzare la vela, fratello», osserva Andrea. «Ora è vento buono e andremo lesti».
   La vela infatti si gonfia, non molto, ma tanto da rendere molto meno necessario il remare, e la barca scivola, come alleggerita, verso Tiro, il cui promontorio — meglio, il cui istmo — biancheggia là, a nord, nelle ultime luci del giorno.
   E la notte cade rapida. E pare strano, dopo tanto fosco di cielo, vedere spuntare le stelle da una imprevedibile schiarita e palpitare lucida nei suoi astri l’Orsa, mentre il mare acquista luce per un raggiare placido di luna, così bianco che pare stia per spuntare l’alba dopo il giorno penoso, senza intervallo di notte…

   318.7Giovanni di Zebedeo alza il capo al cielo, guarda e ride, e d’improvviso apre la bocca al canto, secondando il moto del remo con la strofa e ritmando questa con quello:
   «Ave, Stella del mattino, gelsomino della notte, luna d’oro del mio Cielo, Madre santa di Gesù.
   Spera in te il navigante, sogna te chi soffre e muore. Raggia, Stella santa e pia, a chi t’ama, o Maria!…».
   Canta a voce spiegata e tenorile, beato.
   «Ma che fai? Parliamo di Gesù e tu parli di Maria?», chiede suo fratello.
   «Lui è in Lei, e Lei è in Lui. Ma Lui c’è perché c’è stata Lei…
   Lasciami cantare…». E ci dà dentro, trascinando gli altri…
   Giungono a Tiro così, ed è comodo lo sbarco nel porticciuolo più piccolo, quello a sud dell’istmo, vegliato da lampade pendenti da molte barche, né viene negato aiuto, a questi sopraggiunti, dai presenti.
   Mentre Pietro con Giacomo di Zebedeo[34] resta nella barca per vegliare i cofani, gli altri, con un uomo di un’altra barca, vanno all’albergo per il riposo.

[34] di Zebedeo è un’aggiunta di MV su una copia dattiloscritta.