MARIA
VALTORTA

Voglio che le anime possano bere alla Fonte vitale della mia parola

"Quando la Chiesa - e per tale alludo ora alla riunione degli alti dignitari di Essa - agì secondo i dettami della mia Legge e del mio Vangelo, la Chiesa conobbe tempi fulgidi di fulgore. Ma guai quando, anteponendo gli interessi della Terra a quelli del Cielo, inquinò Se stessa con passioni umane! Tre volte guai quando adorò la Bestia di cui parla Giovanni, ossia la Potenza politica, e se ne fece asservire..." (Qd 12 dicembre 1943)

OPERA MAGGIORE

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VOLUME V CAPITOLO 320



CCCXX. Prodigi sulla nave nel mare in tempesta.

   5 novembre 1945.

   320.1Il Mediterraneo è una distesa irata di acque verd’azzurre che si cozzano in cavalloni altissimi, tutti crestati di spuma. Non c’è nebbia, no, di caligo, oggi. Ma l’acqua marina, polverizzata nei cozzi continui da maroso a maroso, si muta in un pulviscolo salato, bruciante, che penetra fin sotto le vesti, arrossa gli occhi, brucia le fauci e sembra spargersi come un velo di cipria salina su ogni dove, tanto nell’aria, facendola opaca come per nebbia sottile, come sulle cose, che sembrano spruzzate di una farina lucente: i minuti cristalli salini. Questo, però, là dove non arrivano gli schiaffi delle onde oppure le loro sciacquate vigorose, che lavano il ponte da un lato all’altro, precipitandovisi dentro, scavalcando la murata, per poi ricadere a mare, con scroscio di cascata, dai buchi della murata opposta. E la nave s’alza e sprofonda, fuscello in balìa dell’oceano, resa un nulla rispetto all’altro, e cigola e si lamenta dalle sentine alle vette degli alberi… Il mare è realmente il padrone e la nave è il suo trastullo…
   Fuori di chi è alle manovre, nessuno più è sul ponte. E nessuna merce più. Solo le scialuppe di salvataggio. E gli uomini dell’equipaggio, primo fra tutti il cretese Nicomede, nudi affatto, rollando come rolla la nave, corrono qua e là ai ripari e alle manovre, rese difficili dal ponte sempre allagato e scivoloso. I boccaporti sprangati non permettono di vedere che avviene sotto coperta. Ma, certo, non credo che siano molto quieti là dentro!…
   Non so capire dove si sia, perché non c’è che mare all’intorno e una costa lontana che appare molto montuosa, di veri monti, non di colline. Direi che è già più di un giorno che si naviga, perché appare chiaramente che sono ore del mattino, dato che il sole, che appare e dispare da nembi molto folti, viene ancora da oriente. Credo che la nave ben poco proceda nonostante il ballottio al quale è soggetta. E il mare pare farsi sempre più brutto.
   Con uno scroscio pauroso parte un pezzo di albero — non so il nome esatto di questa parte d’alberatura — e nel cadere, trascinato ora da una valanga d’acqua che si precipita sul ponte insieme a un vero turbine di vento, abbatte un pezzo di murata.

   320.2Quelli di sotto devono avere la sensazione di naufragare… E, a dimostrarlo, dopo qualche momento si vede socchiudere un portello di boccaporto e sporgersi la testa brizzolata di Pietro. Guarda, vede, rinchiude in tempo per impedire a un torrente d’acqua di scendere dal boccaporto socchiuso. Ma poi, in una pausa di onda, riapre e salta fuori. Si aggrappa ai sostegni e osserva quell’inferno che è il mare, fischia per tutto commento e mugola.
   Lo vede Nicomede: «Via! Via!», urla. «Chiudi quella portella. Se la nave si appesantisce si va a fondo. Molto è se non devo gettare il carico… Mai vista una tempesta così! Via, ti dico! Non voglio uomini di terra fra i piedi. Non è posto da giardinieri questo, e…». Non può continuare, perché un’altra ondata spazza il ponte ricoprendo chi vi è sopra. «Lo vedi?», urla a Pietro che gronda acqua.
   «Lo vedo. Ma non mi scuote. Non sono solo capace di guardare giardini. Sono nato sull’acqua, di lago, è vero… Ma anche il lago!… Prima di… coltivatore sono stato pescatore, e so…». Pietro è calmissimo e sa secondare il rollio alla perfezione con le sue gambe divaricate e muscolose.
   Il cretese lo osserva mentre si muove per venirgli vicino.
   «Non hai paura?», gli chiede.
   «Neanche per sogno!».
   «E gli altri?».
   «Tre sono pescatori come me, ossia lo erano… Gli altri, meno il malato, sono forti».
   «Anche la donna?… Bada! Bada! Tienti!».
   Un’altra valanga d’acqua, da padrona, sul ponte.
   Pietro aspetta che passi e poi dice: «Questa frescura mi ci sarebbe voluta quest’estate… Pazienza! Dicevi che fa la donna? Prega… e faresti bene a farlo anche tu. Ma dove siamo, ora, di preciso? Nel canale di Cipro?».
   «Così fosse! Appoggerei all’isola aspettando pace di elementi. Siamo appena all’altezza di Colonia Giulia, o Beritus, se più ti piace. E ora viene il brutto… Quelle sono le montagne del Libano».
   «E non potresti entrare lì, in quel paese?».
   «Porto non buono e frangenti e scogli. Non si può. Attento!…».

   320.3Un altro turbine e un altro pezzo d’albero che parte dopo avere colpito un uomo, che non viene portato via solo perché l’onda lo porta contro un ostacolo.
   «Va’ sotto! Va’ sotto! Vedi?».
   «Vedo, vedo… Ma quell’uomo?…».
   «Se non è morto tornerà in sé. Non posso curarlo… Lo vedi!…». Infatti il cretese deve avere occhio a tutto per la vita di tutti.
   «Dàllo a me. Lo curerà la donna…».
   «Tutto quello che vuoi, ma va’ via!…».
   Pietro striscia fino all’uomo immoto, lo afferra per un piede e lo tira a sé. Lo guarda, fischia… Borbotta: «Ha la testa aperta come una melagrana matura. Ci vorrebbe il Signore qui…
   Oh! se c’era! Signore Gesù! Maestro mio, perché ci hai lasciati?». Un grande dolore è nella sua voce…
   Si carica il morente sulle spalle, insanguinandosi a dovere, e torna al boccaporto.
   Il cretese gli urla: «Fatica inutile. Nulla da fare. Lo vedi!…».
   Ma Pietro, carico come è, gli fa un cenno come dire: «Vedremo», e si stringe ad un palo per far forza alla nuova onda, poi apre il boccaporto e urla: «Giacomo, Giovanni, qui!», e col loro aiuto cala il ferito e scende lui pure sprangando il portello.
   Alla luce fumosa di pendule lucerne vedono che Pietro è sanguinante: «Sei ferito?», chiedono.
   «Io no. Sangue di questo… Ma… pregate pure perché…

   320.4Sintica, guarda un po’ qui. Mi hai detto una volta che sai curare i feriti. Guarda questa testa, allora…».
   Sintica lascia di sorreggere Giovanni di Endor, molto sofferente, per venire alla tavola sulla quale hanno steso l’infelice, e guarda…
   «Brutta ferita! L’ho vista due volte, in due schiavi, colpiti l’uno dal padrone, l’altro da un masso a Caprarola. Ci vorrebbe acqua, molt’acqua per nettare e arrestare il sangue…».
   «Se non vuoi che acqua!… Ce ne è fin troppa! Vieni, Giacomo, col mastello. In due faremo meglio».
   Vanno e tornano grondanti. E Sintica, con dei panni inzuppati, lava e applica compresse alla nuca… Ma la ferita è brutta. Dalla tempia alla nuca l’osso è scoperto. Pure l’uomo riapre gli occhi, vaghi, e gorgoglia fra il rantolo. La paura istintiva del morire lo prende.
   «Buono! Buono! Ora guarisci», lo conforta materna la greca e glielo dice in greco, poiché egli in greco parla.
   L’uomo, per quanto stordito, la guarda stupito e con un’ombra di sorriso, sentendo il linguaggio natio, e cerca la mano di Sintica… l’uomo che è bambino appena è sofferente, e cerca la donna che è sempre madre in quei casi.
   «Io provo con l’unguento di Maria», dice Sintica quando il sangue diminuisce il suo fluire.
   «Ma è per i dolori…», obbietta Matteo, pallido come un morto, non so se per il mare o per il sangue, o se per tutte e due le cose.
   «Oh! lo ha fatto Maria, con le sue mani! E io lo uso pregando… Pregate anche voi. Male non può fare. L’olio sempre medica…».
   Va al sacco di Pietro, leva un recipiente, di bronzo direi, lo apre, leva un poco di unguento e lo scalda a un lume nello stesso coperchio del vaso. Lo rovescia su un lino ripiegato e lo applica alla testa ferita. Poi fascia stretto con dei lini che ha fatto a strisce. Mette un mantello ripiegato sotto il capo del ferito, che pare assopirsi, e si siede lì presso pregando; anche gli altri pregano.

   320.5Di sopra continua il rovinio mentre la nave si impenna e sprofonda senza sosta.
   Si apre, dopo qualche tempo, lo sportello e si precipita dentro un marinaio.
   «Che c’è?», chiede Pietro.
   «C’è che si pericola. Vengo a prendere gli incensi e le oblazioni per un sacrificio…».
   «Lascia perdere queste storie!».
   «Ma Nicomede vuole sacrificare a Venere! Siamo nel suo mare…».
   «Che è frenetico come lei», borbotta piano Pietro. Poi, più forte: «Venite voi. Andiamo sul ponte. Forse c’è da fare… Hai paura tu a rimanere col ferito e con quei due?». I due sono Matteo e Giovanni di Endor, che il mal di mare rende due cenci.
   «No, no. Andate pure», risponde Sintica.
   Mentre escono sul ponte si scontrano col cretese che cerca di accendere gli incensi e che li investe furente, per rimandarli dentro, urlando: «Ma non vedete che senza un miracolo si fa naufragio? La prima volta! La prima volta da quando navigo!».
   «Sta’ attento che ora dice che siamo noi quelli del maleficio!», sussurra Giuda d’Alfeo.
   E infatti l’uomo urla più forte: «Maledetti israeliti, che avete addosso? Cani di ebrei, mi avete dato il maleficio! Via! Che ora sacrifico a Venere nascente…».
   «No affatto. Sacrifichiamo noi…».
   «Via! Voi siete pagani, siete demoni, siete…».
   «Sentilo! Io ti giuro che se ci lasci fare vedrai il prodigio».
   «No. Via!», e accende gli incensi buttando in mare, come può, liquidi che prima ha offerto e gustato, e polveri che non so che siano. Ma le onde spengono gli incensi e, invece di calmarsi, il mare si infuria di più, trascinando via tutte le bacheche del rito e per poco lo stesso Nicomede…
   «Bella risposta ti dà la tua dea!

   320.6Ora a noi. Anche noi abbiamo Una, più pura di questa, fatta di spuma, ma poi… Canta, Giovanni, come ieri, e noi ti verremo dietro, e vediamo un po’!».
   «Sì, vediamo un po’! Ma se accade di peggio vi butto in mare per propizie vittime».
   «E va bene. Forza, Giovanni!».
   E Giovanni intona la sua canzone, secondato da tutti gli altri, anche da Pietro, che di solito non canta mai, stonato come è. Il cretese, con le braccia conserte e un sorriso tra irato e ironico sul volto, li guarda. Poi, dopo la canzone, pregano a braccia aperte. Deve essere il “Pater noster”, ma è detto in ebraico e non capisco niente. Poi cantano più forte. E così alternano senza paura, senza interruzione, nonostante le ondate che li schiaffeggiano. Non si tengono neppure ai sostegni, eppure sono sicuri come fossero tutt’uno col legno del ponte. E le onde realmente diminuiscono di violenza piano piano. Non cessano del tutto, come non cade il vento del tutto. Ma non è più la furia di prima e le onde non raggiungono più il ponte.
   Il viso del cretese è un poema di stupore… Pietro lo sbircia e non cessa di pregare. Giovanni sorride e canta più forte… Gli altri lo secondano, vincendo il fragore sempre più nettamente man mano che il mare si placa in un giusto moto e il vento in un giusto spirare.
   «E ora? Che ne dici?…».
   «Ma che avete detto? Che formula è?».
   «Quella del Dio vero e della sua santa Ancella. Drizza pure le vele e aggiusta, qui… Non è quella un’isola?».
   «Sì. È Cipro… E il mare è ancor più quieto nel suo canale…
   Strano! Ma quella stella che adorate chi è? Sempre Venere, no?».
   «Venerate, si dice. Si adora solo Dio. Ma niente Venere. È Maria. Maria di Nazaret, Maria ebrea, la Madre di Gesù, Messia d’Israele».
   «E quell’altra cosa che era? Non era ebraico quello…».
   «No, era il nostro dialetto, del lago nostro, della nostra patria. Ma non si può dire a te, pagano. È discorso fatto a Jeové e solo i credenti lo possono sapere.

   320.7Addio, Nicomede. E non rimpiangere ciò che è andato al fondo. Un… sortilegio di meno a portarti sciagura. Addio, eh? Sei di sale?».
   «No… Ma… Scusate… Vi ho insultato prima!».
   «Oh! non fa nulla! Effetti del… del culto di Venere… Andiamo, ragazzi, dagli altri…», e ridendo felice Pietro si avvia al boccaporto.
   Il cretese li insegue: «Sentite! E l’uomo? Morto?».
   «Macché! Forse te lo ridiamo presto sano… Altro scherzo dei nostri… malefici…».
   «Oh! scusate, scusate! Ma dite, dove si può impararli, per averne aiuto? Io pagherei per questo…».
   «Addio, Nicomede! Affare lungo e… non concesso. Non siano date le cose sacre ai pagani! Addio! Sta’ bene, amico! Sta’ bene!».
   E Pietro, seguito da tutti, si cala di sotto, ridendo, mentre ride anche il mare placato in un giusto maestrale che favorisce la navigazione, mentre cala il sole e ad oriente si delinea uno spicchio di luna tendente al suo colmo…