MARIA
VALTORTA

Voglio che le anime possano bere alla Fonte vitale della mia parola

"Quando la Chiesa - e per tale alludo ora alla riunione degli alti dignitari di Essa - agì secondo i dettami della mia Legge e del mio Vangelo, la Chiesa conobbe tempi fulgidi di fulgore. Ma guai quando, anteponendo gli interessi della Terra a quelli del Cielo, inquinò Se stessa con passioni umane! Tre volte guai quando adorò la Bestia di cui parla Giovanni, ossia la Potenza politica, e se ne fece asservire..." (Qd 12 dicembre 1943)

OPERA MAGGIORE

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VOLUME V CAPITOLO 325



CCCXXV. Gli otto apostoli si riuniscono a Gesù presso Aczib.

   10 novembre 1945.

   325.1Gesù — un Gesù molto magro e pallido, molto mesto, direi sofferente — è sulla cima, proprio sulla cima più alta di un monticello sul quale è anche un paese. Ma Gesù non è nel paese che è in vetta, sì, ma volto sulla pendice sud-est. Gesù, invece, è su uno speroncello, il più alto, volto a nord-ovest. Più ovest che nord, veramente.
   Gesù, guardando come fa da più lati, vede perciò una catena ondulata di monti che all’estremo nord-ovest e sud-ovest tuffa l’ultima propaggine in mare: a sud-ovest col Carmelo, che sfuma lontano nella giornata serena; a nord-ovest con un capo tagliente come uno sperone di nave, molto simile alle nostre Apuane per vene rocciose biancheggianti al sole. Da questa catena ondulata di monti scendono torrenti e fiumicelli, tutti ben colmi d’acque in questa stagione, che per la pianura costiera corrono a gettarsi nel mare. Presso l’ampia baia di Sicaminon, il più rigoglioso di essi, il Kison, sfocia a mare dopo aver quasi fatto uno specchio d’acqua alla confluenza di un altro fiumiciattolo, presso la foce. Il sole meridiano di una giornata serena trae luccichii di topazi o di zaffiri dai corsi d’acqua, mentre il mare è un immenso zaffiro venato di leggere collane di perle.

   La primavera del sud si delinea già con le foglie novelle che erompono dalle gemme dischiuse, tenere, lucide, direi verginali tanto sono novelle, ignare di polvere e di tempeste, di morsi di insetti e di contatti d’uomo. E i rami dei mandorli sono già fiocchi di spuma bianco-rosata, così soffici, così aerei, che dànno l’impressione abbiano a staccarsi dal tronco natale e veleggiare per l’aria serena come piccole nubi. Anche i campi della pianura, non vasta ma fertile, compresa fra il capo a nord-ovest e quello a sud-ovest, mostrano un tenero verzicare di grani che levano ogni tristezza ai campi, solo poco tempo prima nudi.
   Gesù guarda. Dal punto dove è, vede tre strade. Quella che esce dal paese e viene a finire lì, una stradetta adatta solo a persone, e altre due che dal paese scendono biforcandosi in direzione opposta: verso nord-ovest, verso sud-ovest.
   Che Gesù patito è mai! Segnato dalla penitenza molto più di quando digiunò nel deserto. Allora era l’uomo impallidito ma ancora giovane e gagliardo. Ora è l’uomo emunto da un complesso soffrire che accascia tanto le forze fisiche come le forze morali. Il suo occhio è molto mesto, una mestizia dolce e severa insieme. Le gote, assottigliate, fanno ancor più risaltare la spiritualità del suo profilo, della fronte alta, del naso lungo e diritto, della bocca dalle labbra assolutamente prive di sensualità. Un viso angelico, tanto esclude la materialità. Ha la barba più lunga del solito, cresciuta anche sulle guance fino a confondersi con i capelli che cadono sulle orecchie, di modo che del suo volto sono visibili solo la fronte, gli occhi, il naso e gli zigomi sottili e di un color avorio senz’ombra di roseo. Ha i capelli ravviati rudimentalmente, resi opachi e conservanti, per ricordo dell’antro dove è stato, tante piccole parti di foglie secche e di stecchi rimasti aggrovigliati nella lunga capigliatura. E la veste e il mantello, spiegazzati e polverosi, denunciano, pure loro, il luogo selvaggio in cui furono portati e usati senza sosta.

 

   325.2Gesù guarda… Il sole del mezzodì lo scalda, e sembra che Egli ne abbia piacere perché sfugge l’ombra di alcuni roveri per venire proprio al sole, ma per quanto sia un sole netto, splendente, non accende splendori nei suoi capelli polverosi, nei suoi occhi stanchi, né dà colore al suo viso smagrito.
   Non è il sole che lo ristora e avviva nei colori. Ma è la vista dei suoi cari apostoli, che salgono gesticolando e guardando verso il paese dalla strada che viene da nord-ovest, la più piana. Allora avviene la metamorfosi. L’occhio gli si avviva e il viso pare divenire meno macilento per una sfumatura di roseo che si stende sulle gote e più per il sorriso che lo illumina. Disserra le braccia che aveva conserte ed esclama: «I miei cari!».
   Lo dice alzando il volto, girando l’occhio sulle cose, quasi a comunicare a steli e piante, al cielo sereno, all’aria che già sa di primavera, la sua gioia.
   Raccoglie il mantello ben stretto intorno al corpo, perché non si impigli nei cespugli, e scende rapido per una scorciatoia incontro a loro che salgono e che non lo hanno ancora visto. Quando è a portata di voce li chiama, per arrestarli nel loro andare verso il paese.
   Essi sentono il richiamo lontano. Forse dal punto dove sono non possono vedere Gesù, il cui abito scuro si confonde col folto del bosco che copre la pendice. Si guardano intorno, gestiscono… Gesù li chiama di nuovo… Infine una radura nel bosco lo mostra ai loro occhi, nel sole, con le braccia un po’ tese, come già li volesse abbracciare. Allora è un grande grido che si ripercuote sulla costa: «Il Maestro!», e una grande corsa su per i greppi, lasciando la via, graffiandosi, inciampando, ansando, senza sentire il peso delle sacche, la fatica dell’andare… portati dalla gioia di rivederlo.

   325.3Naturalmente i primi ad arrivare sono i più giovani e i più agili, ossia i due figli di Alfeo dal passo sicuro di chi è nato sui colli, e Giovanni e Andrea che corrono come due cerbiatti, ridendo felici. E gli cadono ai piedi, amorosi e riverenti, felici, felici, felici… Poi arriva Giacomo di Zebedeo; ultimi, quasi insieme, i tre meno esperti di corse e di montagne, Matteo e lo Zelote; e ultimo, proprio ultimo, Pietro.
   Ma si fa largo — oh! se si fa largo! — per giungere al Maestro stretto alle gambe dai primi arrivati, che non si stancano di baciargli le vesti o le mani che Egli ha abbandonato a loro. Prende energicamente Giovanni e Andrea, attaccati, come ostriche ad uno scoglio, alle vesti di Gesù, e ansando per la fatica fatta li scansa tanto da poter cadere lui ai piedi di Gesù dicendo: «Oh! Maestro mio! Ora torno a vivere, finalmente!
   Non ne potevo più. Sono invecchiato e smagrito come fossi stato malato forte. Guarda se non è vero, Maestro…», e alza il capo per farsi guardare da Gesù. Ma nel farlo vede lui il mutamento di Gesù e sorge in piedi gridando: «Maestro!? Ma che hai fatto? Stolti! Ma guardate! Non vedete niente voi? Gesù è stato malato!…

   325.4Maestro, Maestro mio, che hai avuto? Dillo al tuo Simone!».
   «Nulla, amico».
   «Nulla? Con quel viso? Allora ti hanno fatto del male?».
   «Ma no, Simone».
   «Non è possibile! O malato o perseguitato sei stato! Ho gli occhi io!…».
   «Io pure. E vedo te smagrito e invecchiato, infatti. Perché, allora, tu sei così?», chiede sorridendo il Signore al suo Pietro, che lo scruta come volesse leggere la verità dai capelli, dalla pelle, dalla barba di Gesù.
   «Ma io ho sofferto, io! E non lo nego. Credi che sia stato piacevole vedere tanto dolore?».
   «Lo hai detto! Io pure ho sofferto per lo stesso motivo…».
   «Proprio solo per quello, Gesù?», chiede impietosito e affettuoso Giuda di Alfeo.
   «Per il dolore, sì, fratello mio. Per il dolore causato dalla necessità di mandare via…».
   «E per il dolore di esservi stato costretto da…».
   «Ti prego!… Silenzio! Mi è più caro il silenzio sulla mia ferita di ogni parola che voglia consolare dicendomi: “Io so perché hai sofferto”. Del resto, sappiatelo tutti, ho sofferto di molte cose, non di questa sola. E se Giuda non mi avesse interrotto ve lo avrei detto». Gesù è austero nel dire questo. Tutti ne restano intimoriti.
   Ma Pietro è il primo a riprendersi e chiede: «E dove sei stato, Maestro? Che hai fatto?».
   «Sono stato in una grotta… a pregare… a meditare… a fortificare lo spirito mio, a ottenervi fortezza, a voi nella vostra missione, a Giovanni e Sintica nel loro soffrire».
   «Ma dove, dove? Senza vesti, senza denaro! Come hai fatto?». Simone è agitato.
   «In una grotta non necessitavo di nulla».
   «Ma il cibo? Ma il fuoco? Ma il letto? Ma… tutto insomma!
   Io ti speravo almeno ospite, come un pellegrino smarrito, a Jiftael, altrove, in una casa insomma. E questo mi dava un poco di pace. Ma però, eh? Ditelo voi se non era il mio tormento il pensiero che Lui era senza vesti, senza cibo, senza modo di procurarselo, senza, soprattutto questo, senza volontà di procurarselo. Ah! Gesù! Questo non lo dovevi fare! E non me lo farai mai più! Non ti lascerò più per un’ora. Mi cucirò alla tua veste per venirti dietro come un’ombra, sia che Tu voglia o che Tu non voglia. Solo se muoio sarò separato da Te».
   «O se Io muoio».
   «Oh! Tu no. Tu non devi morire prima di me. Non lo dire. Mi vuoi rattristare del tutto?».
   «No. Anzi mi voglio con te, con tutti, rallegrare in questa bell’ora che mi riporta i miei cari, prediletti amici. Vedete! Sto già meglio perché il vostro amore sincero mi nutre, mi scalda, mi consola di tutto».
   E li carezza uno per uno, mentre i loro volti splendono in un sorriso beato e gli occhi luccicano e tremano le labbra per l’emozione di queste parole, mentre chiedono: «Davvero, Signore?», «Proprio così, Maestro?», «Tanto cari ti siamo?».
   «Sì. Tanto cari.

   325.5Avete cibo con voi?».
   «Sì. Me lo sentivo che Tu eri sfinito e l’ho preso per via. Ho pane e carne arrostita, ho latte e formaggi e mele, più una borraccia con vino generoso e uova per Te. Purché non si siano rotte…».
   «Ebbene, sediamo allora qui, a questo bel sole, e mangiamo. Mentre mangiamo mi direte…».
   Si siedono al sole su un balzo e Pietro apre la sua sacca, osserva i suoi tesori: «Tutto salvo!», esclama. «Anche il miele di Antigonio. Macché! Se l’ho detto io! Anche se al ritorno ci fossimo messi in una botte e fatti rotolare da un matto, o su una barca senza remi, bucata magari, in ora di tempesta, saremmo arrivati sani e salvi… Ma nell’andare! Sempre più mi convinco che prima era il Demonio che ci ostacolava. Per non farci andare con quei poverini…».
   «Già! ora non aveva più scopo…», conferma lo Zelote.
   «Maestro, hai fatto penitenza per noi?», chiede Giovanni che si dimentica di mangiare per contemplare Gesù.
   «Sì, Giovanni. Vi ho seguiti col pensiero. Ho sentito i vostri pericoli e le vostre afflizioni. Vi ho aiutati come ho potuto…».
   «Oh! io l’ho sentito! Ve l’ho anche detto. Ve lo ricordate?».
   «Sì. È vero», confermano tutti.
   «Ebbene, ora voi mi rendete ciò che vi ho dato».
   «Hai digiunato, Signore?», chiede Andrea.
   «Per forza! Anche se avesse voluto mangiare, senza denaro, in una grotta, come volevi che mangiasse?», gli risponde Pietro.
   «Per causa nostra! Come ne ho dolore!», dice Giacomo d’Alfeo.
   «Oh! no! Non ve ne affliggete! Non per voi soli. Anche per tutto il mondo.

   325.6Come ho fatto quando iniziai la missione, così ho fatto ora. Allora fui, alla fine, soccorso dagli angeli. Ora lo sono da voi. E, credetelo, mi è duplice gioia. Perché negli angeli è inderogabile il ministero di carità. Ma negli uomini è meno facile a trovarsi. Voi lo esercitate. E da uomini siete, per mio amore, divenuti angeli, avendo scelto santità contro ogni cosa. Perciò mi fate felice come Dio e come Uomo-Dio. Perché mi date ciò che è di Dio: la Carità; e mi date ciò che è del Redentore: la vostra elevazione alla Perfezione. Questo mi viene da voi ed è più nutriente d’ogni cibo. Anche allora, nel deserto, fui nutrito di amore dopo il digiuno. E ne fui ristorato. Così ora, così ora! Abbiamo tutti sofferto. Io e voi. Ma non è stata inutile sofferenza. Io credo, Io so che essa vi ha giovato più di un intero anno di ammaestramento. Il dolore, la meditazione di ciò che può fare l’uomo di male ad un suo simile, la pietà, la fede, la speranza, la carità che avete dovuto esercitare, e da soli, vi hanno maturati come fanciulli che divengono uomini…».
   «Oh! sì! Sono diventato vecchio, io. Non sarò mai più il Simone di Giona che ero alla partenza. Ho capito come è dolorosa, faticosa, nella sua bellezza, la nostra missione…», sospira Pietro.
   «Ebbene, ora siamo qui, insieme.

   325.7Narrate dunque…».
   «Parla tu, Simone. Sai dire meglio di me», dice Pietro allo Zelote.
   «No. Tu, da bravo capo, riferisci per tutti», risponde l’altro. E Pietro comincia, dicendo a premessa: «Ma voi aiutatemi». Racconta con ordine fino alla partenza da Antiochia. Poi inizia il racconto del ritorno: «Soffrivamo tutti, sai? Non dimenticherò mai le ultime voci di quei due…». Pietro si asciuga col dorso della mano due lacrimoni che rotolano improvvisi… «Mi sono sembrati l’ultimo grido di uno che affoga… Mah! Insomma, dite voi… io non posso…», e si alza andando un po’ in là per domare la sua emozione.
   Parla Simone Zelote: «Non abbiamo parlato, nessuno, per molta via… Non potevamo parlare… La gola ci doleva per tanto che era gonfia di pianto… E non volevamo piangere… perché se avessimo cominciato, anche uno solo, sarebbe stata finita. Avevo preso le redini io perché Simone di Giona, per non fare vedere che soffriva, si era messo in fondo al carro rovistando nelle sacche. Ci siamo fermati ad un paesino a mezza via fra Antiochia e Seleucia. Per quanto la luna si facesse chiara più la notte si faceva alta, pure, non pratici come eravamo, ci siamo fermati lì. E abbiamo sonnecchiato fra le nostre robe. Non abbiamo mangiato, nessuno, perché… non potevamo. Pensavamo a quei due… Alla prima luce dell’alba abbiamo passato il ponte e siamo arrivati prima dell’ora di terza a Seleucia. Abbiamo riportato il carro e il cavallo all’albergatore e — era tanto un buon uomo — ci siamo consigliati con lui per la nave. Ha detto: “Vengo al porto io. Sono conosciuto e conosco”. E così ha fatto. Ha trovato tre navigli in partenza per questi porti. Ma su uno erano certi… esseri che non abbiamo voluto avere vicini. Ce lo ha detto l’uomo, che lo aveva saputo dal padrone della nave. La seconda era di Ascalona e non voleva fare scalo per noi a Tiro, a meno di una somma che non avevamo più. La terza era un navicello ben meschino, carico di legname greggio. Una povera barca, con poca ciurma e, credo, con molta miseria. Per questo, pure essendo diretta a Cesarea, acconsentì a fermarsi a Tiro, previo sborso di una giornata di vitto e di paga per tutta la ciurma. Ci conveniva. Io, veramente, e con me Matteo, avevo un poco paura. È tempo di tempeste… e Tu sai cosa si trovò nell’andare. Ma Simon Pietro disse: “Non accadrà nulla”. E vi montammo. Pareva che gli angeli fossero le vele della nave, tanto andava liscia e veloce. Meno della metà del tempo impiegato nell’andare ci tenemmo a giungere a Tiro, e lì fu così buono il padrone che ci concesse di rimorchiare la barca fino presso a Tolemaide. Dentro vi scesero Pietro e Andrea con Giovanni, per le manovre. Ma era molto semplice… Non come nell’andare… A Tolemaide ci separammo. Ed eravamo così contenti che gli abbiamo dato ancora denaro oltre il pattuito, prima di scendere tutti nella barca dove erano già le nostre cose. A Tolemaide abbiamo sostato un giorno, poi siamo venuti qui… Ma non dimenticheremo mai il sofferto. Simone di Giona ha ragione».
   «Non abbiamo ragione, anche, di dire che il Demonio ci ostacolava solo nell’andare?», chiedono in più d’uno.
   «Avete ragione.

   325.8Ora ascoltate. La vostra missione è finita. Ora torneremo verso Jiftael, in attesa di Filippo e Natanaele. E occorre farlo presto. Poi verranno gli altri… Intanto evangelizzeremo qui, ai confini della Fenicia, nella Fenicia stessa. Però quanto è avvenuto è seppellito per sempre nei nostri cuori. A nessuna domanda sarà data risposta».
   «Neppure a Filippo e Natanaele? Essi sanno che siamo venuti con Te…».
   «Parlerò Io. Ho molto sofferto, amici, e voi lo avete visto. Ho pagato con la mia sofferenza la pace di Giovanni e Sintica. Fate che il mio soffrire non sia inutile. Non aggravate le mie spalle di un peso. Ne ho già tanti!… E il loro peso cresce giorno per giorno, ora per ora… Dite a Natanaele che ho molto sofferto. Ditelo a Filippo, e che siano buoni. Ditelo agli altri due. Ma non dite di più. Dire che avete capito che ho sofferto, e che ve l’ho confermato, è verità. Non occorre di più».
   Gesù parla stancamente… Gli otto lo guardano dolenti, e Pietro osa accarezzarlo sulla testa, standogli alle spalle. Gesù alza il capo e guarda il suo onesto Simone con un sorriso di una mestizia affettuosa.
   «Oh! non posso vederti così! Mi sembra, ho la sensazione che la gioia della nostra unione sia cessata e che di essa resti la santità, solo quella! Intanto… Andiamo ad Aczib. Ti muterai la veste, ti raderai le guance e ordinerai i capelli. Così no, non così! Non ti posso vedere così… Mi sembri… uno sfuggito da mani crudeli, un percosso, un esausto… Mi sembri Abele[48] di Betlemme di Galilea, liberato dai suoi nemici…».
   «Sì, Pietro. Ma è il cuore del tuo Maestro che è malmenato… e quello non guarirà mai più… Sempre più, anzi, sarà ferito. Andiamo…».

   325.9Giovanni sospira: «Mi spiace… Avrei voluto raccontare a Toma, tanto amante della Madre tua, il miracolo della canzone e dell’unguento…».
   «Lo dirai un giorno… Non ora. Tutto direte un giorno. Allora potrete parlare. Io stesso vi dirò: “Andate a dire tutto ciò che sapete”. Ma intanto sappiate vedere nel miracolo la verità. Questa: la potenza della fede. Tanto Giovanni come Sintica hanno calmato il mare e guarito l’uomo non per le parole, non per l’unguento. Ma per la fede con la quale hanno usato il nome di Maria e l’unguento fatto da Lei. E anche: ciò avvenne perché intorno alla loro fede era la vostra, di tutti voi, e la vostra carità. Carità verso il ferito. Carità verso il cretese. All’uno voleste conservare la vita, all’altro dare la fede. Ma se è ancora facile curare i corpi, è ben dura cosa curare gli animi… Non vi è morbo più difficile a debellare di quello spirituale…», e Gesù sospira forte.
   Sono in vista di Aczib. Pietro va avanti con Matteo per trovare alloggio. Lo seguono gli altri, stretti intorno a Gesù. Il sole cala rapidamente, mentre entrano in paese…

[48] Abele, il giovane protagonista dell’episodio narrato in 248.5/11.