MARIA
VALTORTA

Voglio che le anime possano bere alla Fonte vitale della mia parola

"Quando la Chiesa - e per tale alludo ora alla riunione degli alti dignitari di Essa - agì secondo i dettami della mia Legge e del mio Vangelo, la Chiesa conobbe tempi fulgidi di fulgore. Ma guai quando, anteponendo gli interessi della Terra a quelli del Cielo, inquinò Se stessa con passioni umane! Tre volte guai quando adorò la Bestia di cui parla Giovanni, ossia la Potenza politica, e se ne fece asservire..." (Qd 12 dicembre 1943)

OPERA MAGGIORE

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VOLUME V CAPITOLO 330



CCCXXX. Giacomo e Giovanni di Zebedeo diventano “i figli del tuono”. Verso Aczib con il pastore Anna.

   14 novembre 1945.

   330.1Gesù cammina per una zona molto montagnosa. Non sono monti alti, ma è un continuo salire e scendere di colli e un fluire di torrenti, allegri in questa stagione fresca e nuova, limpidi come il cielo, giovinetti come le prime foglie sempre più numerose sui rami. Ma, per quanto la stagione sia bella, allegra, tale da sollevare il cuore, non sembra che Gesù sia molto sollevato di spirito, e meno di Lui lo sono gli apostoli. Vanno, zitti zitti, per il fondo di una valle. Solo pastori e greggi si presentano ai loro occhi. Ma Gesù neppure pare vederli.
   È il sospiro sconfortato di Giacomo di Zebedeo e le sue parole improvvise, frutto di un pensiero cruccioso, quello che richiama Gesù… Giacomo dice: «E sconfitte!… e sconfitte!…
   Sembra di essere dei maledetti…».
   Gesù gli posa la mano sulla spalla: «Non sai che questa è la sorte dei migliori?».
   «Eh! lo so da quando sono con Te! Ma ogni tanto ci vorrebbe qualcosa di diverso, e prima lo avevamo, per risollevare cuore e fede…».

   330.2«Dubiti di Me, Giacomo?». Quanto dolore trema nella voce del Maestro!
   «Nooo!…». Il “no” non è molto sicuro, in verità.
   «Ma dubitare, dubiti. Di che allora? Non mi ami più come prima? Il vedermi cacciato, o deriso, o anche solo trascurato in questi confini fenici ti ha affievolito l’amore?». Vi è un pianto che trema nelle parole di Gesù, per quanto non vi siano singhiozzi o lacrime. È proprio la sua anima che piange.
   «Questo no, Signore mio! Anzi il mio amore per Te cresce più ti vedo non compreso, non voluto, avvilito, afflitto. E per non vederti così, per poter mutare il cuore agli uomini, sarei pronto a dare la mia vita in sacrificio. Mi devi credere. Non mi stritolare il cuore, già tanto afflitto, con il dubbio che Tu pensi che io non t’ami. Altrimenti… Altrimenti io andrò in eccessi. Tornerò indietro e farò vendetta di chi ti addolora, per provarti che ti amo, per levarti questo dubbio, e se sarò preso e ucciso non mi importerà nulla. Mi basterà averti dato una prova d’amore».
   «Oh! figlio del tuono! Donde tanta irruenza? Vuoi dunque essere un fulmine sterminatore?». Gesù sorride per la foga e i propositi di Giacomo.
   «Oh! almeno ti vedo sorridere! Questo è già un frutto di questi miei propositi. Che dici, Giovanni? Dobbiamo mettere in pratica il mio pensiero per sollevare il Maestro avvilito da tante ripulse?».
   «Oh! sì. Andiamo noi. Torniamo a parlare. E se lo insultano ancora come re di parole, re zimbello, re senza denaro, re pazzo, pestiamo sodo finché si accorgano che il re ha pure un esercito di fedeli e che questi non sono disposti allo scherno. La violenza è utile in certe cose. Andiamo, fratello!», gli risponde Giovanni[53], e non pare più lui, sempre dolce, così irato come è.

   330.3Gesù si pone tra i due, li afferra alle braccia per trattenerli e dice: «Ma uditeli! Ed Io, che ho predicato per tanto tempo? Oh! sorpresa delle sorprese! Anche Giovanni, la mia colomba, mi è divenuto sparviero! Guardatelo, voi, come è brutto, torbo, rabbuffato, svisato dall’odio. Oh! vergogna! E vi stupite se dei fenici restano indifferenti, se degli ebrei sono astiosi, se dei romani mi intimano lo sfratto, quando voi, i primi, non avete ancora capito niente dopo due anni che siete con Me, quando voi siete fatti di fiele per l’astio che avete in cuore, quando voi mettete fuori dai vostri cuori la mia dottrina d’amore e perdono, la sfrattate come cosa stolta e accogliete come buona alleata la violenza! Oh! Padre santo! Questa sì che è una sconfitta! Invece di essere come tanti sparvieri arrotanti rostro e unghioni, non sarebbe meglio foste angeli oranti il Padre di dare conforto al Figlio suo? Quando mai si è visto che un temporale faccia del bene colle sue folgori e le sue grandinate? Ebbene, a ricordo di questo vostro peccato contro la carità, a ricordo di quando ho visto affiorare sul vostro viso l’animale-uomo al posto dell’uomo-angelo che voglio sempre vedere in voi, vi soprannominerò “i figli del tuono”».
   Gesù è semiserio mentre parla ai due infiammati figli di Zebedeo. Ma il suo rimprovero non dura davanti al loro pentimento, e con viso luminoso di amore se li stringe al cuore dicendo: «E mai più brutti così. E grazie del vostro amore. E anche del vostro, amici», dice rivolto ad Andrea, Matteo e i due cugini. «Venite qui, che abbracci voi pure. Ma non sapete che, non avessi altro che la gioia di fare la volontà del Padre mio e il vostro amore, sarei sempre felice, anche se tutto il mondo mi schiaffeggiasse? Sono triste, non per Me, per le mie sconfitte, come voi le dite, ma per pietà delle anime che respingono la Vita. Ecco, ora siamo tutti contenti, non è vero, o grandi bambini che siete? Su, allora.

   330.4Andate da quei pastori che mungono il gregge e chiedete un poco di latte in nome di Dio. Non abbiate paura», dice vedendo lo sguardo desolato degli apostoli.
   «Ubbidite con fede. Avrete latte e non legnate, anche se l’uomo è fenicio».
   E i sei vanno mentre Gesù li attende sulla via. E prega intanto, il mesto Gesù che nessuno vuole…
   Tornano gli apostoli con un piccolo secchiello di latte e dicono: «Ha detto l’uomo che Tu vada là, ti deve parlare, ma non può lasciare le capre ghiribizzose ai piccoli pastori».
   Gesù dice: «Allora andiamo là a mangiare il nostro pane».
   E vanno tutti sul greppo dal quale si spenzolano le capre capricciose.

   330.5«Io ti ringrazio del latte che mi hai dato. Che vuoi da Me?».
   «Tu sei il Nazareno, vero? Quello che fa miracoli?».
   «Sono quello che predica la Salute eterna. Sono la Via per andare al Dio vero, la Verità che si dona, la Vita che vi vivifica. Non sono il fattucchiere che fa prodigi. Quelli sono le manifestazioni della mia bontà e della vostra debolezza, che ha bisogno di prove per credere. Ma che vuoi da Me?».
   «Ecco… Tu eri due giorni or sono ad Alessandroscene?».
   «Sì. Perché?».
   «Io pure c’ero coi miei capretti e quando ho capito che accadeva zuffa me la sono filata, perché è costume suscitarle per rubare ciò che è sui mercati. Sono ladri tutti, i fenici come… gli altri. Io non dovrei dirlo perché sono di padre proselite e di madre siriana, proselite io pure. Ma è verità. Bene. Torniamo al racconto. Mi ero messo in uno stallazzo con le mie bestie, in attesa del carro di mio figlio. E a sera, nell’uscire dalla città, incontrai una donna piangente con una figlioletta fra le braccia. Aveva fatto otto miglia per venire da Te. Perché sta fuori, nelle campagne. Le ho chiesto che avesse. È una proselite. Era venuta per vendere e comperare. Aveva sentito di Te. E la speranza le era venuta in cuore. Era corsa a casa, aveva preso la bambina. Ma con un peso si cammina lenti! Quando fu all’emporio dei fratelli, Tu non c’eri più. Loro, i fratelli, le hanno detto: “Lo hanno cacciato via. Ma ci ha detto ieri sera che rifarà la scala di Tiro”. Io — sono padre anche io — le ho detto: “E allora vai là”. Ma lei mi ha risposto: “E se dopo quanto è accaduto Egli passa da altre vie per tornare in Galilea?”. Le ho detto: “Oh! senti. O quella o l’altra dei confini. Io pascolo tra Rohob e Lesemdan, proprio sulla strada che è di confine fra qui e Neftali. Se lo vedo glielo dico, parola di proselite”. E te l’ho detto».
   «E Dio te ne rimuneri. Io andrò dalla donna.

   330.6Devo tornare ad Aczib».
   «Ad Acziba vai? Allora possiamo fare strada insieme, se non sdegni un pastore».
   «Non sdegno nessuno. Perché vai ad Aczib?».
   «Perché là ho gli agnelli. A meno che… non li abbia più».
   «Perché?».
   «Perché c’è il male… Non so se fu stregoneria o che altro.
   So che la mia bella mandra mi si è ammalata. Per questo ho portato qui le capre, ancora sane, per separarle dalle pecore. Qui staranno con due figli. Ora sono in città, alle spese. Ma torno là… a vederle morire, le mie belle pecore lanute…».
   L’uomo sospira… Guarda Gesù e si scusa: «Parlare a Te, che sei Chi sei, di queste cose, e affliggerti, Tu già certamente afflitto di come ti trattano, è stoltezza. Ma le pecore sono affetto e denaro, sai?, per noi…».
   «Capisco. Ma guariranno. Non le hai fatte vedere a chi se ne intende?».
   «Oh! mi hanno detto tutti la stessa cosa: “Uccidile e vendine le pelli. Non c’è altro da fare”, e anche mi hanno minacciato se le faccio girare… Hanno paura della malattia per le loro. Le devo così tenere chiuse… e muoiono di più. Sono cattivi, sai?, quelli di Acziba…».
   Gesù dice semplicemente: «Lo so».
   «Io dico che me le hanno stregate…».
   «No. Non credere certe storie… Quando verranno i tuoi figli, parti subito?».
   «Subito. A momenti saranno qui.

   330.7Sono i tuoi discepoli questi? Sono questi soli?».
   «No. Ne ho altri ancora».
   «E perché non vengono qui? Una volta, vicino a Meron, incontrai un gruppo di essi. C’era a capo un pastore. Così si diceva. Uno alto, robusto, di nome Elia. Fu in ottobre, mi pare.
   Prima o dopo i Tabernacoli. Ora ti ha lasciato?».
   «Nessun discepolo mi ha lasciato».
   «Mi era stato detto che…».
   «Che cosa?».
   «Che Tu… che i farisei… Insomma che i discepoli ti avevano lasciato per paura, e perché Tu eri un…».
   «Demonio. Dillo pure. Lo so. Doppio merito in te che credi lo stesso».
   «E per questo merito non potresti… ma forse chiedo cosa sacrilega…».
   «Dilla. Se è malvagia, te lo dirò».
   «Non potresti, passando, benedire il mio gregge?». L’uomo è tutto ansia…
   «Benedirò il tuo gregge. Questo…», e alza la mano benedicendo le caprette sparse, «…e quello delle pecore. Credi che la mia benedizione le salvi?».
   «Come salvi gli uomini dalle malattie, così potrai salvare le bestie. Dicono che sei il Figlio di Dio. Le pecore le ha create Dio. Perciò sono cose del Padre. Io… non sapevo se era rispetto chiedertelo. Ma, se si può, fàllo, Signore, ed io porterò al Tempio grandi offerte di lode. Anzi, no! Darò a Te. Per i poveri. E sarà meglio».
   Gesù sorride e tace.

   330.8Giungono i figli del pastore e, dopo poco, Gesù coi suoi e il vecchio partono, lasciando i giovanotti a custodia delle capre.
   Vanno lesti, volendo giungere[54] presto a Chedes per uscirne subito cercando raggiungere la strada che dal mare viene verso l’interno. Deve essere la stessa che si biforca ai piedi del promontorio, fatta nell’andare ad Alessandroscene. Almeno così comprendo dai discorsi del pastore coi discepoli. Gesù è avanti, solo.
   «Ma non avremo altre noie?», chiede Giacomo d’Alfeo.
   «Chedes non dipende da quel centurione. È fuori dei confini fenici. I centurioni basta non stuzzicarli che si disinteressano di religione».
   «E poi non ci fermiamo…».
   «Ce la farete a fare oltre trenta miglia in un giorno?», chiede il pastore.
   «Oh! siamo pellegrini perpetui!».
   Vanno e vanno… Chedes è raggiunta. Ed è sorpassata senza incidenti. Prendono la strada diretta. Sul cippo è segnalata Acziba. Il pastore lo segnala dicendo: «Domani vi saremo. Questa notte verrete con me. Conosco contadini delle valli, ma molti sono nei confini fenici… Bene! Sconfineremo. E certo non saremo subito scoperti… Oh! la vigilanza! Farebbero meglio a farla per i ladroni!…».
   Il sole cade e le valli non giovano certo a mantenere la luce, boscose poi come sono. Ma il pastore è molto pratico e va sicuro.

   330.9Giungono ad un villaggetto, proprio un pugnello di case.
   «Se ci ospitano qui, sono israeliti. Siamo proprio sui confini. Se non ci vorranno, andremo ad altro paese che è fenicio».
   «Non ho prevenzioni, uomo». Bussano ad una casa.
   «Tu, Anna? Con amici? Vieni, vieni, e Dio sia con te», dice una donna molto anziana.
   Entrano in una vasta cucina, allegra di fuoco. Una numerosa famiglia di tutte le età è riunita al desco, ma cortesemente fa posto ai sopraggiunti.
   «Questo è Giona. Questa è la moglie sua e i figli e nipoti e nuore. Una famiglia di patriarchi fedeli al Signore», dice il pastore Anna a Gesù. E poi, volgendosi al vecchio Giona: «E questi che è con me è il Rabbi d’Israele. Quello che tu desideravi conoscere».
   «Benedico Dio di essere ospitale e di avere posto questa sera. E benedico il Rabbi venuto nella mia casa, chiedendo benedizione».
   Anna spiega che la casa di Giona è quasi un albergo per i pellegrini che dal mare vanno nell’interno.
   Si siedono tutti nella cucina calda e le donne servono i sopraggiunti. Vi è un rispetto tale che è persino paralizzante. Ma Gesù risolve la situazione prendendosi intorno, subito dopo il pasto, i molti bambini e interessandosi di loro che subito fraternizzano. E dietro a loro, nel breve spazio di tempo che separa la cena dal riposo, si fanno arditi gli uomini della casa, narrando ciò che hanno saputo del Messia, chiedendo nuove cose. E Gesù rettifica, conferma, spiega, benigno, in una pacata conversazione, finché pellegrini e famigliari vanno al riposo, dopo che Gesù ha benedetto tutti.

[53] gli risponde Giovannifino aper trattenerli e dice : è un’aggiunta di MV su una copia dattiloscritta.
[54] giungere, invece di raggiungere, è correzione nostra.