MARIA
VALTORTA

Voglio che le anime possano bere alla Fonte vitale della mia parola

"Quando la Chiesa - e per tale alludo ora alla riunione degli alti dignitari di Essa - agì secondo i dettami della mia Legge e del mio Vangelo, la Chiesa conobbe tempi fulgidi di fulgore. Ma guai quando, anteponendo gli interessi della Terra a quelli del Cielo, inquinò Se stessa con passioni umane! Tre volte guai quando adorò la Bestia di cui parla Giovanni, ossia la Potenza politica, e se ne fece asservire..." (Qd 12 dicembre 1943)

OPERA MAGGIORE

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VOLUME V CAPITOLO 338



CCCXXXVIII. Giuda Iscariota perde il potere del miracolo. La parabola del coltivatore.

   22 novembre 1945.

   338.1La strada che conduce a Sefet lascia la pianura di Corozim per assalire un gruppo montagnoso abbastanza rilevante e molto folto di piante. Un corso d’acqua scende da questi monti, certo diretto al lago di Tiberiade.
   I pellegrini attendono a questo ponte che li raggiungano gli altri mandati al lago di Merom. Non attendono molto, infatti. Puntuali all’appuntamento, essi vengono avanti lesti e si riuniscono con gioia al Maestro e ai compagni, riferendo sul come si svolse il loro viaggio, benedetto da alcuni miracoli fatti a turno da «tutti gli apostoli», dicono. Ma Giuda di Keriot corregge: «Meno che da me, che non sono riuscito a nulla». E la sua mortificazione, nel confessarlo, è penosa.
   «Ti abbiamo detto che era perché avevamo di fronte un grande peccatore», gli risponde Giacomo di Zebedeo. E spiega:
   «Sai, Maestro? Era Giacobbe, molto ammalato. E ti invoca per questo, perché ha paura della morte e del giudizio di Dio. Ma è più avaro che mai, ora che prevede un vero disastro nei suoi raccolti, completamente rovinati dal gelo. Ha perduto tutto il grano da seme e non può seminarne altro, perché è malato e la serva, sfiancata di fatiche e di fame — perché lui economizza anche la farina da pane, preso come è dalla paura di essere un giorno senza mangiare — non ce la fa ad arare il campo. Noi — abbiamo forse peccato, perché abbiamo lavorato tutto il venerdì e oltre il tramonto, fino all’ultima luce e persino con delle fiaccole e dei falò accesi per vedere — noi abbiamo arato una grande estensione di terreno. Filippo, Giovanni e Andrea sanno fare e io anche. Abbiamo sgobbato… Simone, Matteo e Bartolomeo ci venivano dietro ripulendo le zolle dal grano nato e morto, e Giuda è andato in tuo nome a chiedere un poco di seme a Giuda ed Anna, promettendo la nostra visita di oggi. Lo ha avuto, ed eletto. Allora abbiamo detto: “Domani semineremo”. Per questo abbiamo tardato un poco. Perché abbiamo cominciato all’inizio del tramonto. L’Eterno ci perdoni per il motivo per cui peccammo. Giuda, intanto, rimaneva presso il letto di Giacobbe per convertirlo. Lui sa parlare meglio di noi.
   Almeno così hanno voluto dire di loro anche Bartolomeo e lo Zelote. Ma Giacobbe era sordo ad ogni argomento. Voleva la guarigione perché la malattia gli costa e insolentiva la serva come una poltrona. Per calmarlo, visto che diceva: “Mi convertirò se guarisco”, Giuda gli impose le mani. Ma Giacobbe restò malato come prima. Giuda, sconfortato, ce lo disse. Provammo noi prima di coricarci. Ma non ebbimo miracolo. Ora Giuda sostiene che è perché lui è in tua disgrazia, avendoti dispiaciuto, ed è avvilito. Ma noi diciamo che è perché avevamo di fronte un peccatore ostinato, il quale pretende di ottenere tutto ciò che vuole, mettendo termini e dando ordini anche a Dio. Chi ha ragione?».
   «Voi sette. Avete detto il vero.

   338.2E Giuda e Anna? I loro campi?».
   «Rovinati alquanto. Ma loro hanno mezzi, e tutto è già riparato. Ma sono buoni, quelli! Tieni. Ti mandano quest’offerta e questi cibi. Sperano vederti qualche volta. Quello che rattrista è lo stato d’animo di Giacobbe. Io avrei voluto guarirgli l’anima più che il corpo…», dice Andrea.
   «E negli altri luoghi?».
   «Oh! Sulla via di Deberet, presso il paese, abbiamo — è stato Matteo — guarito uno con le febbri, che tornava da un medico che lo aveva dato per spacciato. Sostammo da lui e la febbre non è tornata dal tramonto all’aurora, ed egli asseriva di sentirsi bene e forte. Poi a Tiberiade fu Andrea che guarì un barcaiolo che si era spezzata una spalla cadendo sul ponte. Gli impose le mani e la spalla guarì. Figurati l’uomo! Ci volle portare senza spesa a Magdala e a Cafarnao, poi a Betsaida, e là è rimasto, perché vi sono i discepoli Timoneo di Aera, Filippo d’Arbela, Ermasteo e Marco di Giosia, uno dei liberati[72] dal demonio presso Gamala. Vuole essere discepolo anche Giuseppe il barcaiolo… I bambini, da Giovanna, stanno bene. Non sembrano più quelli. Erano nel giardino e giocavano con Giovanna e Cusa…».
   «Li ho visti. Ci sono passato Io pure. Continuate».
   «A Magdala è stato Bartolomeo che ha convertito un cuore vizioso e guarito un corpo vizioso. Come ha parlato bene! Ha mostrato che il disordine dello spirito genera disordine nel corpo, e ogni concessione alla disonestà degenera in perdita della tranquillità, della salute e infine dell’anima. Quando lo ha visto pentito e persuaso, gli ha imposto le mani e l’uomo è guarito. Volevano trattenerci a Magdala. Ma noi abbiamo ubbidito proseguendo, dopo la notte, per Cafarnao. Lì vi erano cinque che chiedevano grazia da Te. E stavano per tornare via sconfortati. Li guarimmo. Non abbiamo visto nessuno perché ci rimbarcammo subito per Betsaida, per evitare domande da Eli, Uria e compagni.

   338.3A Betsaida! Ma racconta tu, Andrea, a tuo fratello…», termina Giacomo di Zebedeo che ha sempre parlato.
   «Oh! Maestro! Oh! Simone! Ma se vedeste Marziam! Non si riconosce più!…».
   «Oh! sorte! Non sarà già divenuto una femmina?», esclama e interroga Pietro.
   «No, anzi! Un bel giovinetto, alto ed esile per la grande crescita… Una cosa meravigliosa! Stentammo a conoscerlo. È alto come tua moglie e come me…».
   «Oh! bene! Né io, né te, né Porfirea siamo palme! Tutt’al più potremo essere paragonati a piante di pruno…», dice Pietro, che però gongola sentendo che il suo figlio d’adozione si è sviluppato.
   «Sì, fratello. Ma solo alle Encenie egli era ancora uno stento fanciullino che a malapena ci raggiungeva le spalle. Ora è proprio un giovane uomo, nella statura, nella voce e nella gravità. Ha fatto come quelle piante che stagnano per anni e poi all’improvviso hanno un rigoglio stupefacente. Tua moglie ha avuto un gran da fare ad allungare vesti e a farne di nuove. E le fa con grandi orli e grandi balze alla vita, perché giustamente prevede che Marziam crescerà ancora. E più cresce in sapienza. Maestro, l’umiltà saggia di Natanaele non ti aveva detto che per quasi due mesi Bartolomeo fu maestro al più piccolo e più eroico dei discepoli, che si alza avanti giorno per pasturare le pecore, spezzare le legna, attingere l’acqua, accendere il fuoco, spazzare, fare gli acquisti per amore della mamma putativa, e poi nel pomeriggio, fino a notte tarda, studia e scrive come un piccolo dottore. Pensa! Ha riunito tutti i fanciulli di Betsaida e al sabato tiene loro piccole lezioni evangeliche. Così i piccoli, che per non avere turbamento alle funzioni vengono esclusi dalla sinagoga, hanno la loro giornata di preghiera come i grandi. E mi dicono le madri che è bello sentirlo parlare, e che i fanciulli lo amano e ubbidiscono con rispetto divenendo più buoni. Che discepolo si farà!».
   «Ma guarda! guarda! Io… sono commosso… Il mio Marziam! Ma già anche a Nazaret, eh!, che eroismo per… quella bambina. Rachele, vero?». Pietro si è fermato in tempo, divenendo di porpora per la paura di aver detto troppo.
   Per fortuna Gesù lo soccorre e Giuda è cogitabondo e distratto. O finge d’esserlo. Gesù dice: «Già! Rachele. Ricordi bene. È guarita. E i campi daranno molto grano. Vi passammo Io e Giacomo. Tanto può il sacrificio di un fanciullo giusto».
   «A Betsaida fu Giacomo che fece miracolo su un povero storpio, e Matteo, sulla via, verso la casa di Giacobbe, guarì un fanciullo. Ma proprio oggi, sulla piazza di quel villaggio presso il ponte, Filippo e Giovanni hanno guarito, il primo uno malato d’occhi, e il secondo un fanciullo indemoniato».

   338.4«Avete fatto tutti bene. Molto bene. Ora andremo fino a quel paese sulle pendici e ci fermeremo in qualche casa a dormire».
   «E Tu, Maestro mio, che hai fatto? Come sta Maria? E l’altra Maria?», chiede Giovanni.
   «Stanno bene e vi salutano tutti. Stanno preparando vesti e quanto occorre per il pellegrinaggio di primavera. E non vedono l’ora di farlo per stare con noi».
   «Anche Susanna e Giovanna e nostra madre hanno la stessa ansia», dice sempre Giovanni.
   Bartolomeo dice: «Anche mia moglie colle figlie vuole venire quest’anno, dopo tanti anni, a Gerusalemme. Dice che mai più sarà bello come quest’anno… Non so perché lo dica. Ma ella sostiene che se lo sente in cuore».
   «Certo allora verrà anche la mia. Non me l’ha detto… Ma ciò che fa Anna fa sempre anche Maria», dice Filippo.
   «E le sorelle di Lazzaro? Voi che le avete viste…», chiede Simone Zelote.
   «Ubbidiscono con sofferenza all’ordine del Maestro e alla necessità… Lazzaro è molto sofferente, vero, Giuda? Quasi sempre è coricato. Ma con molta ansia attendono il Maestro», dice Tommaso.
   «Presto sarà Pasqua e andremo da Lazzaro».
   «Ma Tu che hai fatto a Nazaret e a Corozim?».
   «A Nazaret ho salutato i parenti e gli amici e i parenti dei due discepoli. A Corozim ho parlato nella sinagoga e ho guarito una donna. Abbiamo sostato dalla vedova alla quale è morta la madre. Un dolore e un sollievo insieme, per le poche risorse e per quanto tempo sottraeva l’assistenza dell’inferma al lavoro della vedova, che si è messa a filare per conto di altri. Ma non è più disperata. Ha il necessario assicurato ed è paga di ciò. Giuseppe va ogni mattina presso un falegname del Pozzo di Giacobbe per apprendere il mestiere».

   338.5«Sono più buoni quelli di Corozim?», chiede Matteo.
   «No, Matteo. Sono sempre più cattivi», confessa schiettamente Gesù. «E ci hanno maltrattati. I più potenti, è naturale. Non il popolo semplice».
   «È un gran postaccio. Non ci andare più», dice Filippo.
   «Ne avrebbe dolore il discepolo Elia, e la vedova e la donna guarita oggi e gli altri buoni».
   «Sì. Ma sono tanto pochi che… io non mi occuperei più del luogo. Tu lo hai detto: “È inlavorabile”», dice Tommaso.
   «Altra cosa è la resina e altra i cuori. Qualcosa resterà, come seme sprofondato sotto zolle e zolle molto compatte. Ci terrà molto a spuntare. Ma finalmente spunterà. Così di Corozim. Un giorno nascerà ciò che Io ho seminato. Non bisogna stancarsi alle prime sconfitte.

   338.6Sentite questa parabola. Potrebbe essere intitolata: “La parabola del buon coltivatore”.
   Un ricco aveva una grande e bella vigna, nella quale erano anche piante di fichi di diverse qualità. Alla vigna attendeva un suo servo, esperto vignaiolo e potatore di piante da frutto, che faceva il suo dovere con amore al padrone e alle piante. Tutti gli anni il ricco, nella stagione migliore, andava a più riprese alla sua vigna per vedere maturare le uve e i fichi e gustarne, cogliendoli con le sue mani dalle piante. Un giorno, dunque, si diresse a un fico che era di qualità buonissima, l’unica pianta di quella qualità che fosse nella vigna. Ma anche quel giorno, come nei due anni precedenti, lo trovò tutto fogliame e niente frutta. Chiamò il vignaiolo e disse: “Sono tre anni che vengo a cercare frutta su questo fico e non trovo che foglie. Si capisce che la pianta ha finito di fruttificare. Tagliala, dunque. È inutile che sia qui ad occupare posto e ad occupare il tuo tempo, per poi non concludere niente. Segala, bruciala, ripulisci il terreno dalle sue radici e nel posto suo mettici una pianticina novella. Fra qualche anno darà frutto essa”. Il vignaiolo, che era paziente e amoroso, rispose: “Tu hai ragione. Ma lasciami fare ancora per un anno. Io non segherò la pianta. Ma, anzi, con ancora maggior cura le zapperò intorno il suolo, la concimerò e la poterò. Chissà che non fruttifichi ancora. Se dopo quest’ultima prova non farà frutto, ubbidirò al tuo desiderio e la taglierò”.
   Corozim è il fico che non dà frutti. Io sono il buon Coltivatore. E il ricco impaziente siete voi. Lasciate fare al buon Coltivatore».

   338.7«Va bene. Ma la tua parabola non conclude. Il fico, l’anno di poi, fece frutto?», chiede lo Zelote.
   «Non fece frutto e fu reciso. Ma il coltivatore fu giustificato del recidere una pianta ancora giovine e fiorente, perché aveva fatto tutto il suo dovere. Io pure voglio essere giustificato per causa di coloro sui quali dovrò mettere la scure e reciderli dalla mia vigna, dove sono piante sterili o velenose, nidi di serpi, succhiatori di succhi, parassiti o tossici che guastano e nuocciono i compagni discepoli, o anche che penetrano strisciando con le loro radici malevole per proliferare, non chiamati, nella mia vigna, ribelli ad ogni innesto, entrati solo per spiare, denigrare e sterilire il mio campo. Questi li reciderò quando tutto sarà tentato per convertirli. E per intanto, prima della scure, alzo la cesoia e il coltello del potatore e sfrondo e innesto… Oh! sarà un lavoro duro. Per Me che lo faccio, per coloro che lo subiranno. Ma va fatto. Perché si possa dire in Cielo: “Egli ha tutto compiuto, ma essi sono divenuti sempre più sterili e malvagi più Egli li ha potati, innestati, scalzati, concimati, con sudore e lacrime, con fatiche e sangue”…

   338.8Eccoci al paese. Andate avanti tutti e chiedete alloggio. Tu, Giuda di Keriot, resta con Me».
   Restano soli e, nelle penombre della sera, procedono vicini nel massimo silenzio.
   Infine Gesù dice, come parlando a Se stesso: «Eppure, anche se si è caduti in disgrazia di Dio per avere contravvenuto alla sua Legge, sempre si può tornare ad essere ciò che eravamo, rinunciando al peccato…».
   Giuda non risponde niente.
   Gesù riprende: «E se si è capito che non si può più avere il potere da Dio, perché Dio non è là dove è Satana, con facilità si può rimediare, preferendo ciò che Dio concede a ciò che vuole la superbia nostra».
   Giuda tace.
   Gesù — e sono già alla prima casa del paese — sempre come parlando a Se stesso dice: «E pensare che Io ho sofferto aspra penitenza perché egli si ravveda e torni al Padre suo…».
   Giuda ha un sussulto, alza il capo, lo guarda… ma non dice nulla.
   Anche Gesù lo guarda… e poi chiede: «Giuda, a chi parlo?».
   «A me, Maestro. È per Te che io non ho più potere. Perché Tu me lo hai levato per aumentarlo a Giovanni, a Simone, a Giacomo, a tutti, fuorché a me. Non mi ami, ecco! E finirò per non amarti e per maledire l’ora in cui ti ho amato, rovinandomi agli occhi del mondo per un re imbelle che si lascia soverchiare anche dalla plebe. Non questo speravo da Te!».
   «Neppure Io da te. Ma non ti ho mai ingannato, Io. E non ti ho mai costretto. Perché dunque rimani al mio fianco?».
   «Perché ti amo. Non posso separarmi più da Te. Mi attiri e mi fai ribrezzo. Ti desidero come l’aria per il respiro e… mi fai paura. Ah! Sono maledetto! Sono dannato! Perché non mi cacci il demonio, Tu che puoi?». Il viso di Giuda è livido e stravolto, pazzo, pieno di paura e di odio… Ricorda già, sebbene pallidamente, la maschera satanica del Giuda del Venerdì Santo.
   E Gesù ricorda nel volto il Nazareno flagellato che, seduto nel cortile del Pretorio sul mastello capovolto, guarda i suoi schernitori con tutta la sua pietà amorosa. Dice, e sembra che un singhiozzo sia già nella sua voce: «Perché non c’è pentimento in te, ma solo ira contro Dio, quasi Egli fosse il colpevole del tuo peccato».
   Giuda dice fra i denti una brutta imprecazione…

   338.9«Maestro, abbiamo trovato. Cinque in un luogo, tre nell’altro, due in un altro, e uno e uno in altri due. Non fu possibile fare meglio», dicono i discepoli.
   «Va bene. Io vado con Giuda di Keriot», dice Gesù.
   «No. Preferisco essere solo. Sono inquieto. Non ti lascerei riposare…».
   «Come vuoi tu… Allora andrò con Bartolomeo. Voi farete ciò che vorrete. Intanto andiamo dove è più posto, per poter cenare insieme».

[72] uno dei liberati, in 186.7.