MARIA
VALTORTA

Voglio che le anime possano bere alla Fonte vitale della mia parola

"Quando la Chiesa - e per tale alludo ora alla riunione degli alti dignitari di Essa - agì secondo i dettami della mia Legge e del mio Vangelo, la Chiesa conobbe tempi fulgidi di fulgore. Ma guai quando, anteponendo gli interessi della Terra a quelli del Cielo, inquinò Se stessa con passioni umane! Tre volte guai quando adorò la Bestia di cui parla Giovanni, ossia la Potenza politica, e se ne fece asservire..." (Qd 12 dicembre 1943)

OPERA MAGGIORE

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VOLUME V CAPITOLO 296



CCXCVI. L’arrivo ad Aera sotto la pioggia e la guarigione dei malati in attesa.

   6 ottobre 1945.

   296.1 Anche Arbela è lontana ormai. Nella comitiva ora sono Filippo d’Arbela e l’altro discepolo che sento chiamare Marco.
   La strada è fangosa come avesse molto piovuto. Il cielo è bigio. Un fiumicello abbastanza degno di questo nome taglia la via per Aera. Gonfio per le piogge, che certo hanno imperversato sulla zona, non è certo cerulo, ma di un giallo rossastro come avesse in sé acque passate su terreni ferrosi.
   «Ormai il tempo è al brutto. Bene hai fatto a mandare via le donne. Non è più tempo per loro stare per le strade», sentenzia Giacomo.
   E Simone lo Zelote, sempre pacato anche nella sua assoluta dedizione al Maestro, proclama: «Il Maestro fa tutto bene quello che fa. Non è ottuso come noi. Egli vede e prevede tutto per il meglio, e più per noi che per Lui».
   Giovanni, felice di essergli a lato, lo guarda di sotto in su col suo volto ridente e dice: «Sei il più caro e buon Maestro che la Terra ebbe, ha e avrà, oltre che il più santo».
   «Quei farisei… Che delusione! Ed è servito anche il maltempo a persuaderli che proprio Giovanni di Endor non c’era. Ma perché poi ce l’hanno così con lui?», chiede Ermasteo, che ha per Giovanni di Endor molta tenerezza.
   Risponde Gesù: «Non è su lui e per lui il loro astio. Ma è uno strumento che agitano contro di Me».
   Filippo di Arbela dice: «Ebbene, l’acqua li ha fatti più che persuasi che era inutile aspettare e sospettare di Giovanni di Endor. Viva l’acqua! Ha servito anche a tenerti nella mia casa cinque giorni».
   «Chissà come sono in pensiero quelli ad Aera! È molto se non vediamo venirci incontro mio fratello», dice Andrea.
   «Incontro? Verrà dietro a noi», osserva Matteo.
   «No. Faceva la strada del lago. Perché da Gadara andava al lago e con qualche barca a Betsaida, per vedere la moglie e dirle che il bambino è a Nazaret e che lui presto sarà di ritorno. Da Betsaida per Meron prendeva la via di Damasco per qualche po’, e poi quella per Aera. È certo ad Aera».

   296.2 Vi è un silenzio. Poi Giovanni dice sorridendo: «Ma quella vecchierella, Signore!».
   «Io quasi credevo che Tu le dessi la gioia di morirti sul seno, come a Saul di Keriot[1]», osserva Simone Zelote.
   «Le ho voluto anche più bene. Perché aspetto a chiamarla a Me quando il Cristo starà per aprire le porte dei Cieli. Non farà molta sosta in mia attesa, la piccola madre. Ora vive col suo ricordo e con l’aiuto di tuo padre, Filippo, la sua vita sarà meno triste. Io ancora benedico te e i tuoi parenti».
   La letizia di Giovanni si è velata di una nube più spessa di quella che copre il cielo.
   Gesù lo vede e dice: «Non sei contento tu che la vecchierella venga presto in Paradiso?».
   «Sì… ma non lo sono perché ciò vorrà dire che Tu te ne vai… Perché morire, Signore?».
   «Chi è nato da donna muore».
   «Avrai quella sola, Signore?».
   «Oh! no! E come sarà festoso l’andare di questi che salvo come Dio e che ho amato come uomo…».

   296.3 Altri due fiumiciattoli, molto vicini l’uno all’altro, vengono superati. Comincia a piovere sulla piatta regione, che si stende davanti ai pellegrini dopo che hanno superato i colli all’incrocio di essi con la strada che si approfitta di una valle per proseguire in avanti verso nord.
   A nord, anzi a un nord-ovest molto poco ovest, si delinea un’alta, poderosa catena di monti, sui quali si accavallano nubi e nubi quasi a fare nuove cime illusorie, di nuvole, sulle reali cime di roccia coperte di boschi sui fianchi e sulla vetta di nevi. Ma è una catena molto lontana.

   «Qui acqua. Lassù neve. Quella è la catena dell’Hermon. Si è messa più ampia coltre di biancore sulla vetta. Se avremo sole ad Aera, voi vedrete come è bello quando il sole fa di rosa il grande picco», dice Timoneo, che amor di patria spinge a lodare le bellezze della sua regione.
   «Ma intanto piove. È ancora lontana Aera?», chiede Matteo.
   «Molto. Fino a sera non vi saremo».
   «Dio ci salvi allora dai malanni», termina Matteo, poco entusiasta di camminare con questo maltempo.
   Sono tutti imbacuccati nei mantelli e sotto hanno le sacche da viaggio per ripararle dall’umido, e così riparare le vesti per poterle mutare appena giunti, posto che queste che hanno sono ormai grondanti d’acqua e nel basso sono tutte pesanti di fanghiglia.
   Gesù è in testa, assorto nei suoi pensieri. Gli altri sbocconcellano il loro pane, e Giovanni scherza dicendo: «Non c’è bisogno di cercare fontane per la sete. Basta stare a capo indietro e a bocca aperta, e l’acqua ce la dànno gli angeli».
   Ermasteo, che per essere lui pure giovane ha con Filippo di Arbela e Giovanni l’invidiabile sorte di prendere tutto allegramente, dice: «Simone di Giona si lagnava dei cammelli. Ma preferirei di essere su quella torre scrollata da un terremoto che in questo fango. Tu che ne dici?».
   E Giovanni: «Io dico che sto bene da per tutto, purché ci sia Gesù…».
   I tre giovani si dànno a parlare fitto fitto fra loro. I quattro più adulti affrettano il passo raggiungendo Gesù. La superstite coppia di Timoneo e Marco si mette in coda parlando…

   296.4 «Maestro, ad Aera ci sarà Giuda di Simone…», dice Andrea.
   «Certamente. E con lui Toma, Natanaele e Filippo».
   «Maestro… io rimpiango questi giorni di pace», sospira Giacomo.
   «Non devi dire così, Giacomo».
   «Lo so… Ma non posso farne a meno…», e tira un altro sospirone.
   «Ci sarà anche Simon Pietro coi miei fratelli. Non ne sei contento?».
   «Io tanto! Maestro, perché Giuda di Simone è tanto diverso da noi?».
   «Perché l’acqua si alterna col sole, il caldo col freddo, la luce con le tenebre?».
   «Ma perché non si potrebbe avere sempre una cosa. Morirebbe la vita sulla Terra».
   «Ben detto, Giacomo».
   «Sì, ma ciò non c’entra con Giuda».
   «Rispondi. Perché le stelle non sono tutte come il sole, grandi, calde, belle, potenti?».
   «Perché… la Terra si brucerebbe sotto tanto fuoco».
   «Perché le piante non sono tutte come quei noci? Per piante intendo ogni vegetale».
   «Perché… le bestie non potrebbero mangiarne».
   «E allora perché non sono tutte come erbe?».
   «Perché… non avremmo legna per ardere, per le case, per gli utensili, carri, barche, mobili».
   «Perché gli uccelli non sono tutti aquile e gli animali tutti elefanti o cammelli?».
   «Si starebbe freschi se ciò fosse!».
   «Queste varietà ti paiono dunque buona cosa?».
   «Senza dubbio».
   «Giudichi dunque che… Perché, secondo te, Dio le ha fatte?».
   «Per darci tutto l’aiuto possibile».
   «Dunque a fin di bene? Ne sei sicuro?».
   «Come di vivere in questo momento».
   «E allora, se trovi giusto che ci siano diversità nelle specie animali, vegetali e astrali, perché pretendi che tutti gli uomini siano uguali? Ognuno ha la sua missione e la sua forma. La infinita diversità delle specie ti pare segno di potenza o di impotenza del Creatore?».
   «Di potenza. Una serve a far risaltare l’altra».
   «Molto bene. Anche Giuda serve alla stessa cosa, e tu servi presso i compagni, e i compagni verso te. Abbiamo trentadue denti in bocca e, se li guardi bene, sono ben differenti fra loro. Non solo nelle tre classi, ma fra gli individui di una stessa classe. Eppure, posto che stai mangiando, osserva il loro ufficio. Vedrai che anche quelli che sembrano poco utili, poco lavoratori, sono proprio quelli che fanno il primo lavoro di tagliare il pane e di portarlo agli altri, che lo sgranocchiano per passarlo agli altri, che lo riducono a poltiglia. Non è così? Giuda a te sembra che non faccia nulla, o faccia male. Ti ricordo che ha evangelizzato, e bene, la Giudea meridionale, e che, tu lo hai detto, sa avere tatto coi farisei».
   «È vero».
   Matteo osserva: «È anche molto capace di far moneta per i poveri. Chiede, sa chiedere come neppure io so… Forse perché il denaro a me, ora, fa schifo».

   296.5 Simone Zelote china il volto che diventa cremisi tanto è rosso.
   Andrea, che vede, chiede: «Ti senti male?».
   «No, no… La fatica… non so».
   Gesù lo guarda fisso e quello diventa sempre più rosso. Ma Gesù non dice nulla.
   Corre avanti Timoneo: «Maestro, ecco là che si vede il paese che precede Aera. Potremo sostare lì o chiedere asinelli».
   «Ma ormai la pioggia cessa. È meglio proseguire».
   «Come vuoi, Maestro. Però allora, se permetti, vado avanti».
   «Vai pure».
   Timoneo parte di corsa con Marco. E Gesù sorridendo osserva: «Vuole che abbiamo un ingresso trionfale».
   Sono di nuovo tutti in gruppo. Gesù lascia che si accalorino a parlare della diversità delle regioni e poi si ritira indietro, prendendo con Sé lo Zelote.
   Appena sono soli chiede: «Perché sei arrossito, Simone?».
   Quello torna di bragia e non parla. Gesù ripete la domanda, e quello più rosso e più zitto. Gesù torna a chiedere.
   «Signore, ma Tu sai! Perché mi fai dire?», grida lo Zelote, dolente come fosse un torturato.
   «Ne hai la certezza?».
   «Egli non me l’ha negato. Però ha detto: “Faccio così per previdenza. Io ho buon senso. Il Maestro non pensa mai al domani”. Se si vuole, è vero. Ma però… è sempre… è sempre…
   Maestro, metti Tu la parola esatta».
   «È sempre dimostrazione che Giuda è soltanto un “uomo”.
   Non sa elevarsi ad essere uno spirito. Ma, più o meno, siete tutti tali. Temete di cose stolte. Vi crucciate per previdenze inutili. Non sapete credere che la Provvidenza è potente e presente. Ebbene, ciò resti fra noi due. Non è vero?».
   «Sì, Maestro».
   Un silenzio. Poi Gesù dice: «Presto torneremo al lago…
   Sarà bello un poco di raccoglimento dopo tanto andare. Noi due andremo a Nazaret per qualche tempo, verso le Encenie.
   Tu sei solo… Gli altri saranno in famiglia. Tu sarai con Me».
   «Signore, Giuda e Tommaso, e anche Matteo, sono soli».
   «Non ci pensare. Ognuno farà le feste in famiglia. Matteo ha la sorella. Tu sei solo. A meno che tu voglia andare da Lazzaro…».
   «No, Signore», prorompe Simone. «No. Amo Lazzaro. Ma stare con Te è stare in Paradiso. Grazie, Signore», e gli bacia la mano.

   296.6 Il paesello è sorpassato da poco quando, sotto un nuovo acquazzone, riappaiono sulla via inondata Timoneo e Marco che urlano: «Fermatevi! C’è Simon Pietro con dei ciuchini. L’ho incontrato che veniva. È tre giorni che viene verso questo luogo con le bestie, sotto l’acqua».
   Si fermano sotto un folto di roveri che riparano un poco dallo scroscio. Ed ecco venire a cavallo di un asino, capofila di una fila di somarelli, Pietro, che pare un frate sotto la coperta che si è messa sul capo e sulle spalle.
   «Dio ti benedica, Maestro! Ma se l’ho detto io che sarebbe bagnato come uno caduto nel lago! Su, presto, a cavallo tutti, che Aera da tre giorni è in fuoco tanto tiene accesi i camini per asciugare Te! Presto, presto… In che stato! Ma guardate qui!
   Ma voi non eravate buoni di trattenerlo? Ah! se non ci sono io! Ma dico io! Guardate qua! Ha i capelli stesi come fosse un annegato. Devi essere gelato. Sotto quest’acqua! Che imprudenze! E voi? E voi? Oh! sciagurati! Tu per il primo, fratello stolto, e poi tutti gli altri. Bellini siete! Sembrate sacchi cascati in una gora. Su, svelti! Ah! non mi fido più di affidarvelo. Sono dietro che affogo[2] dall’orrore…».
   «E dal parlare, Simone», dice calmo Gesù mentre l’asino trotterella a fianco di quello di Pietro, in capo alla carovana asinina. Gesù ripete: «E dal parlare. E da un inutile parlare. Non mi hai detto se sono giunti gli altri… Se le donne sono partite. Se tua moglie sta bene. Niente mi hai detto».
   «Ti dirò tutto. Ma perché sei partito sotto quest’acqua?».
   «E tu perché sei venuto?».
   «Perché avevo fretta di vederti, Maestro mio».
   «Perché avevo fretta di riunirmi a te, Simone mio».
   «Oh! caro il mio Maestro! Come ti voglio bene! Sposa, bambino, casa? Niente, niente! Tutto brutto se non ci sei Tu. Lo credi che ti amo così?».
   «Lo credo. So chi sei, Simone».
   «Chi?».
   «Un grande bambino pieno di piccoli difetti, e sotto questi sono sepolte tante belle doti. Ma una non è sepolta. Ed è la tua onestà in tutto.

   296.7 Ebbene, chi c’è ad Aera?».
   «Giuda tuo fratello con Giacomo, più Giuda di Keriot con gli altri. Pare che abbia fatto un gran bene Giuda. Tutti lo lodano…».
   «Ti ha fatto domande?».
   «Oh! tante! Non ho risposto a nulla dicendo che non sapevo nulla. Infatti che so, se non che di avere accompagnato fin presso Gadara le donne? Sai… non gli ho detto nulla di Giovanni di Endor. Egli crede sia con Te. Dovresti dirlo agli altri».
   «No. Essi pure, come te, non sanno dove è Giovanni. Inutile dire di più. Ma questi asini!… per tre giorni!… Quanta spesa! E i poveri?».
   «I poveri… Giuda è pieno di denaro e ci pensa lui. Questi non mi costano uno spicciolo. Quelli di Aera me ne avrebbero dati mille, senza spesa, per Te. Ho dovuto alzare la voce per impedire di venirti incontro con un esercito di asini. Ha ragione Timoneo. Qui tutti credono in Te. Sono meglio di noi…», e sospira.
   «Simone, Simone! Nell’Oltre Giordano fummo onorati; un galeotto, delle pagane, delle peccatrici, delle donne vi hanno dato lezione di perfezione. Ricordatelo, Simone di Giona. Sempre».
   «Cercherò, Signore. Ecco, ecco i primi di Aera. Guarda quanta gente! Ecco la madre di Timoneo. Ecco i tuoi fratelli fra la folla. Ecco i discepoli che avevi mandato avanti e quelli venuti con Giuda di Keriot. Ecco il più ricco di Aera con i suoi servi. Ti voleva in casa sua. Ma la madre di Timoneo ha fatto valere il suo diritto, e Tu sei da lei. Guarda, guarda! Sono stizziti perché l’acqua spegne le torce.

   296.8 Ci sono molti malati, sai?
   Sono rimasti in città, presso le porte, per vederti subito. Uno che ha un magazzino di legna li ha accolti sotto le tettoie. Sono tre giorni che stanno là, povera gente; da quando siamo arrivati noi, stupendoci che Tu non ci fossi».
   L’urlo della folla impedisce a Pietro di continuare, ed egli tace stando a fianco di Gesù come uno scudiero. La folla, ormai raggiunta, si fende, e Gesù passa sul suo asinello, benedicendo mentre passa, continuamente.
   Entrano in città.
   «Dai malati, subito», dice Gesù, incurante delle proteste di chi lo vorrebbe ricoverare sotto un tetto e dargli cibo e fuoco per paura che soffra troppo. «Essi soffrono più di Me», risponde.
   Piegano a destra. Ecco il rustico recinto del magazzino del legno.
   La porta è spalancata e un querulo lagnio ne viene: «Gesù, Figlio di Davide, abbi pietà di noi!». Un coro supplice, costante come una litania. Voci di bimbi, voci di donne, voci di uomini, voci di vecchi. Tristi come belati di agnelli sofferenti, accorate come di madri che muoiono, avvilite come di chi ha una sola speranza, tremule di chi non sa più che piangere…
   Gesù pone piede nel recinto. Si raddrizza più che può sulla staffa e, con la destra alta, dice con la sua voce potente: «A tutti coloro che credono in Me, salute e benedizione».
   Si riappoggia alla sella e fa per arretrare nella via. Ma la folla lo pigia, ma i risanati gli si serrano intorno. E alla luce di torce, che al riparo dei portici ardono e fanno vivo di luci il crepuscolo, si vede la folla che tumultua in un delirio di gioia acclamando il Signore. Il Signore che scompare quasi in una fiorita di bambini risanati che le mamme gli hanno posto fra le braccia, sul grembo, e fin sul collo del ciuchino, sorreggendoli perché non cadano. Gesù ne ha colme le braccia come fossero fiori e sorride beato, baciandoli perché non può benedirli, così con le braccia messe a far da sostegno. Infine i bimbi vengono tolti di lì e sono i vecchi risanati che piangono di gioia e che gli baciano la veste, e poi gli uomini e le donne…
   È notte fatta quando può entrare nella casa di Timoneo e ristorarsi col fuoco e con le vesti asciutte.

[1] come a Saul di Keriot, in 78.8 .
[2] Sono dietro che affogo significa Sto affogando. MV ha corretto tale modo di dire in 102.1 e in 109.3; lo ha mantenuto almeno in 7.1 e qui.