MARIA
VALTORTA

Voglio che le anime possano bere alla Fonte vitale della mia parola

"Quando la Chiesa - e per tale alludo ora alla riunione degli alti dignitari di Essa - agì secondo i dettami della mia Legge e del mio Vangelo, la Chiesa conobbe tempi fulgidi di fulgore. Ma guai quando, anteponendo gli interessi della Terra a quelli del Cielo, inquinò Se stessa con passioni umane! Tre volte guai quando adorò la Bestia di cui parla Giovanni, ossia la Potenza politica, e se ne fece asservire..." (Qd 12 dicembre 1943)

OPERA MAGGIORE

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VOLUME V CAPITOLO 298



CCXCVIII. Il soccorso agli orfanelli Maria a Mattia e gli insegnamenti che ne derivano.

   8 ottobre 1945.

   298.1 Rivedo il lago di Meron in un fosco giorno di acqua… Fango e nuvole. Silenzio e caligine. L’orizzonte sparisce nelle nebbie. Le catene dell’Hermon sono sepolte sotto coltri di nubi basse. Ma da questo luogo — un pianoro sopraelevato, sito presso il piccolo lago tutto bigio e giallognolo per il fango di mille ruscelli gonfi e per il cielo novembrino pieno di nuvole — si vede bene questo piccolo specchio d’acqua alimentato dall’Alto Giordano, che ne sfocia poi per alimentare l’altro lago più grande di Gennezaret.
   La sera scende sempre più triste e piovosa mentre Gesù si incammina per la via che taglia il Giordano dopo il lago di Meron, per poi prendere una vietta diretta a una casa…
   (Gesù dice: «Qui metterete la visione di Mattia e Maria orfanelli, avuta il 20 agosto 1944»).

   20 agosto 1944.

   298.2 Un’altra dolce visione di Gesù e due bambini.
   Dico così perché vedo che Gesù, passando per una vietta fra dei campi, che da poco devono aver ricevuto il seme perché la terra è ancora soffice e scura come quando da poco è seminata, si ferma ad accarezzare due piccini: un maschietto di non più di quattro anni ed una bambina che ne avrà otto o nove. Devono essere bambini molto poveri, perché hanno due povere vesticciuole stinte e anche rotte e una faccina mesta e patita.
   Gesù non chiede nulla. Li guarda soltanto fissamente mentre li carezza. Poi si affretta ad una casa che è in fondo al viottolo. Una casa di campagna, ma ben messa, con una scala esterna che dal suolo sale alla terrazza su cui è una pergola di vite, ora spoglia di grappoli e foglie. Solo qualche ultima foglia già ingiallita pende e ondeggia per il vento umido di una brutta giornata d’autunno. Sul parapetto della casa dei colombi sgrugolano aspettando l’acqua che il cielo grigio e tutto nuvoloso promette.
   Gesù, seguito dai suoi, spinge il rozzo cancelletto, che è nel muricciolo a secco che circonda la casa, ed entra nella corte, noi diremmo aia, dove è il pozzo e in un angolo è anche il forno. Suppongo sia tale quello sgabuzzino dalle pareti più scure per il fumo che ne esce anche ora e che il vento piega verso terra.
   Al rumore dei passi una donna si affaccia sulla porta dello sgabuzzino e, veduto Gesù, lo saluta con gioia e corre ad avvertire in casa.
   Ecco un uomo vecchiotto e grasso farsi sulla porta di casa e affrettarsi verso Gesù. «Grande onore, Maestro, vederti!», lo saluta.
   Gesù dice il suo saluto: «La pace sia con te», e aggiunge:
   «La sera scende e la pioggia è vicina. Ti chiedo ricovero e un pane per Me ed i miei discepoli».
   «Entra, Maestro. La mia casa è tua. La serva sta per sfornare il pane. Sono ben lieto di offrirtelo col cacio delle mie pecore e i frutti della mia campagna. Entra, entra, ché il vento è umido e freddo…», e premuroso tiene aperta la porta inchinandosi quando Gesù passa.

   298.3 Ma poi cambia subito tono per rivolgersi a qualcuno che egli vede, e dice iracondo: «Ancora qui sei? Vattene. Non c’è nulla per te. Vattene. Hai inteso? Qui non c’è posto per i vagabondi…». E borbotta fra i denti: «…e forse anche ladri come te».
   Una vocina di pianto risponde: «Pietà, signore. Un pane per il mio fratellino almeno. Abbiamo fame…».
   Gesù, che era entrato nell’ampia cucina, allegra per un gran fuoco che le fa anche da lume, viene sulla soglia. È già mutato in volto. Severo e triste, chiede, non all’ospite ma in generale, pare lo chieda all’aia silenziosa, al fico spoglio, al pozzo oscuro: «Chi è che ha fame?».
   «Io, Signore. Io e mio fratello. Un pane solo, e ce ne andremo».
   Gesù è ormai fuori, nell’aria sempre più fosca per crepuscolo e per imminente pioggia. «Vieni avanti», dice.
   «Ho paura, Signore!».
   «Vieni, ti dico. Non aver paura di Me».
   Da dietro allo spigolo della casa spunta la povera bambina. Alla sua misera tunichella sta attaccato il fratellino. Vengono avanti timorosi. Uno sguardo timido a Gesù, uno spaurito al padrone di casa che fa degli occhiacci e dice: «Sono vagabondi, Maestro. E ladri. Poco fa ho trovato costei a raspare vicino al frantoio. Certo voleva entrare a rubare. Chissà da dove vengono. Non sono del luogo».
   Gesù gli dà retta per modo di dire. Guarda molto fisso la bambina dal visetto smunto e dalle treccine spettinate, due codini ai lati delle orecchie, legati in fondo con una strisciolina di cencio. Ma il viso di Gesù non è severo guardando la miserella. È mesto, ma sorride per rincuorarla.
   «È vero che volevi rubare? Di’ la verità».
   «No, Signore. Avevo chiesto un poco di pane, perché ho fame. Non me l’hanno dato. Ne ho visto una crosta unta là per terra, vicino al frantoio, ed ero andata a raccoglierla. Ho fame, Signore. Ieri mi è stato dato un solo pane e l’ho tenuto per Mattia… Perché non ci hanno messi con la mamma nel sepolcro?».
   La bambina piange desolatamente e il fratellino la imita.
   «Non piangere». Gesù la consola carezzandola e tirandosela a Sé. «Rispondi: di dove sei?».
   «Del piano di Esdrelon».
   «E fin qui sei venuta?».
   «Sì, Signore».
   «È tanto che t’è morta la madre? E il padre non l’hai?».
   «Il padre m’è morto ucciso dal sole al tempo della messe e la mamma alla passata luna… lei e il bambino che nasceva sono morti…». Il pianto cresce.
   «Non hai nessun parente?».
   «Veniamo da tanto lontano! Non eravamo poveri… Poi il padre ha dovuto mettersi a servire. Ora è morto e la mamma con lui».
   «Chi era il padrone?».
   «Il fariseo Ismaele».
   «Il fariseo Ismaele!… (è intraducibile il modo come Gesù ripete questo nome). Sei venuta via di tuo volere o ti ha mandato?».
   «Mi ha mandato, Signore. Ha detto: “Sulla strada i cani affamati”».

   298.4 «E tu, Giacobbe, perché non hai dato un pane a questi bambini? Un pane, un poco di latte e un pugno di fieno per letto alla loro stanchezza?…».
   «Ma… Maestro… ho il pane giusto per me… e il latte è poco… e metterli in casa… Sono come bestie randagie costoro. Se si fa loro buon viso non vanno più via…».
   «E ti manca posto e cibo per questi due infelici? Lo puoi dire con verità, Giacobbe? La molta messe, il molto vino, il molto olio e le molte frutta, che hanno fatto celebre il tuo podere quest’anno, perché ti vennero? Te lo ricordi ancora? L’anno avanti, la grandine aveva mortificato i tuoi beni e tu eri pensieroso per la tua vita… Io sono venuto[5] e ti ho chiesto un pane… Tu mi avevi sentito parlare un giorno e mi eri rimasto fedele… e nella tua pena mi hai aperto il cuore e la casa e dato un pane e un ricovero. Ed Io, uscendo, che ti ho detto il mattino di poi? “Giacobbe, tu hai compreso la Verità. Sii sempre misericordioso e avrai misericordia. Per il pane che hai dato al Figlio dell’uomo questi campi ti daranno dovizie di biade, e carichi come se su loro fossero i grani della rena marina saranno d’ulive i tuoi ulivi, e piegati al suolo dal peso i tuoi meli”. L’hai avuto e sei il più ricco della contrada quest’anno. E tu neghi un pane a due bambini!…».
   «Ma Tu eri il Rabbi…».
   «Appunto perché lo ero, potevo fare delle pietre pane. Questi no. Ora Io ti dico: vedrai un nuovo miracolo e te ne verrà pena, grande pena… Ma allora, battendoti il petto, di’: “Io l’ho meritato”».

   298.5 Gesù si rivolge ai bambini: «Non piangete. Andate a quella pianta e cogliete».
   «Ma è spoglia, Signore», obbietta la bambina.
   «Va’».
   La bambina va e torna colla vesticciuola rialzata e piena di mele rosee e belle.
   «Mangiate e venite con Me»; e agli apostoli: «Andiamo a portare questi due piccoli a Giovanna di Cusa. Ella sa ricordare i benefici ricevuti ed è misericorde per amore a chi le fu misericorde. Andiamo».
   L’uomo, sbalordito e mortificato, tenta di farsi perdonare:
   «È notte, Maestro. L’acqua può cadere mentre sei per via. Rientra nella mia casa. Ecco che la serva va a sfornare il pane… Te ne darò anche per questi».
   «Non occorre. Lo daresti non per amore ma per paura del castigo promesso».
   «Non è dunque questo (e accenna alle mele colte sull’albero prima nudo e che i due affamati mangiano con avidità) non è dunque questo il miracolo?».
   «No». Gesù è severissimo.
   «Oh! Signore, Signore, pietà di me! Ho compreso! Tu mi vuoi punire nelle biade! Pietà, Signore!».
   «Non tutti quelli che mi chiamano “Signore” mi avranno, perché non è nella parola ma nell’atto che si testimonia amore e rispetto. Avrai la pietà che hai avuto».
   «Io ti amo, Signore».
   «Non è vero. Mi ama chi ama, perché Io così ho insegnato.
   Tu non ami che te stesso. Quando mi amerai come Io ho insegnato, il Signore tornerà.

   298.6 Ora Io vado. La mia dimora è nel fare del bene, nel consolare gli afflitti, nell’asciugare le lacrime degli orfani. Come una chioccia stende le ali sui pulcini indifesi, così Io stendo il mio potere su coloro che soffrono e sono tormentati. Venite, bambini. Presto avrete casa e pane. Addio, Giacobbe».
   E, non contento di andare, fa prendere in braccio la bambina stanca: è Andrea che la prende e la ravvolge nel suo mantello; e Gesù prende il bambino e vanno per la viottola ormai scura col loro carico di pietà che non piange più.
   Pietro dice: «Maestro! Gran ventura per costoro che Tu sia sopraggiunto. Ma per Giacobbe!… Che farai, Maestro?».
   «Giustizia. Conoscerà non la fame, perché ha ripieni i granai per molto ancora. Ma la ristrettezza, ché non farà seme il grano seminato, e gli ulivi e i pomi saranno coperti di sole foglie. Questi innocenti non da Me ma dal Padre hanno avuto pane e tetto. Perché il Padre mio è Padre anche degli orfani, Lui che dà nido e cibo agli uccelli dei boschi. Questi possono dire, e tutti i miseri con loro, i miseri che sanno rimanergli “figli innocenti e amorosi”, che nella loro piccola mano è stato posto da Dio il nutrimento e con paterna guida Egli li conduce ad un tetto ospitale».
   La visione cessa così, e me ne resta una grande pace.

   
   298.7 
Dice Gesù:
   «Questa è proprio per te, anima che piangi guardando le croci del passato e le nubi dell’avvenire. Il Padre avrà sempre un pane da mettere nella tua mano e un nido per raccogliere la sua tortora piangente.
   Per tutti è l’insegnamento che Io so essere il “Signore” con giustizia. Me, non mi si inganna e non mi si adula con un bugiardo ossequio. Colui che chiude il cuore al fratello chiude il cuore a Dio, e Dio a lui.
   È il primo dei comandamenti, o uomini: Amore e amore. Chi non ama mente nel suo professarsi cristiano. Inutile la frequenza ai sacramenti e ai riti, inutile la preghiera se manca la carità. Divengono formole e anche sacrilegi. Come potete venire al Pane eterno e sfamarvene quando avete negato un pane ad un affamato? È più prezioso il vostro pane del mio? Più santo? O ipocriti! Io non metto misura nel darmi alla vostra miseria, e voi, voi miseria che siete, non avete pietà di miserie che sono, agli occhi di Dio, non odiose come le vostre. Perché quelle sono sventure e le vostre sono peccato. Troppe volte mi dite: “Signore, Signore” per avermi benigno ai vostri interessi. Ma non lo dite per amore di prossimo. Ma non fate nulla in nome del Signore per il prossimo. Guardate: nella collettività e nell’individualità, che vi ha dato la vostra bugiarda religione e vera anticarità? L’abbandono di Dio. E il Signore tornerà quando saprete amare come Io ho insegnato.
   Ma per voi, piccolo gregge di coloro che soffrono essendo buoni, Io dico: “Non siete mai orfani. Non siete mai derelitti. Prima dovrebbe non essere Dio che mancare la Provvidenza ai suoi figli. Tendete la mano: il Padre vi dà tutto da ‘padre’, ossia con amore che non avvilisce. Asciugate le lacrime. Io vi prendo e vi porto perché ho pietà del vostro languire”.
   Il più amato dei creati è l’uomo. Vorrete dubitare che il Padre sarà più pietoso all’uomo fedele che all’uccello[6]? All’uomo fedele, Lui che è longanime anche al peccatore e gli dà tempo e modo di venire a Lui? Oh! se il mondo comprendesse cosa è Dio!
   Va’ in pace, Maria. Tu mi sei cara come i due orfanelli che hai visto e più ancora. Va’ in pace. Io sono con te».
   […]

   
   21 agosto 1944. […]

   298.8 Dice Maria:
   «Maria, parla la Mamma. Il mio Gesù ha parlato dell’infanzia dello spirito[7], requisito necessario a conquistare il Regno.
   Ieri ti ha mostrato una pagina della sua vita di Maestro. Hai visto dei bambini. Dei poveri bambini. Non ci sarebbe altro da dire? Sì, ed io lo dico. A te, che voglio rendere sempre più cara a Gesù. È una sfumatura nel quadro che ha parlato al tuo spirito per lo spirito di molti. Ma sono le sfumature quelle che fanno bello il quadro, quelle che rivelano la capacità del pittore e la sapienza dell’osservatore. Ti voglio far notare l’umiltà del mio Gesù.
   Quella povera bambina, nella sua semplicità ignorante, non tratta diversamente il peccatore dal cuore di pietra dal Figlio mio. Ella non sa di Rabbi né di Messia. Poco meno che piccola selvaggia, vissuta fra i campi, in una casa dove si sprezzava il Maestro — perché il fariseo Ismaele sprezzava il mio Gesù — ella non ha mai sentito parlare di Lui, né l’ha visto.
   Il padre e la madre, spezzati da un lavoro esoso che il crudele padrone esigeva, non avevano avuto tempo e modo di alzare il capo dalle glebe che dissodavano. Forse avevano sentito, mentre falciavano fieno e messi, o coglievano frutta e grappoli, o frangevano ulive alla dura mola, un clamore di osanna e avranno anche alzato per un momento il capo stanco. Ma la paura e la stanchezza avranno subito riabbassato quei capi sotto il loro giogo. Ed erano morti pensando che il mondo fosse solo odio e dolore. Mentre invece il mondo era amore e bene da quando i santissimi piedi del mio Gesù lo calpestavano. Poveri servi di uno spietato padrone, sono morti senza aver incontrato una volta lo sguardo e il sorriso del mio Gesù, né udito la sua parola che dava una ricchezza allo spirito, per cui gli indigenti si sentivano ricchi, gli affamati satolli, i malati sani, i dolenti consolati.
   Ebbene, Gesù non dice: “Io che sono il Signore ti dico: fa’ questo”. Conserva il suo anonimo. E la piccola, tanto ignorante da non comprendere neppure davanti al miracolo del pomo spoglio anche di foglie che carica un suo ramo di mele per la loro fame, lo continua a chiamare “signore”, come chiamava Ismaele padrone e Giacobbe crudele. Si sente attirata verso il buon signore, perché la bontà sempre attira. Ma nulla più. Lo segue con fiducia. Lo ama subito, di istinto, povero esserino sperduto nel mondo e nell’ignoranza voluta dal mondo, dal “gran mondo dei potenti e gaudenti” che vogliono tenere nelle tenebre gli inferiori per poterseli torturare con più agio e sfruttare con più esosità.

   298.9 Saprà poi chi era quel “signore” che – povero come lei, senza casa né cibo, senza mamma, perché tutto aveva lasciato per amore dell’uomo, anche di quella briciola d’uomo che era lei, povera creaturina fanciulla – quel “signore” che le aveva dato miracolosi frutti, volendole levare dalle labbra e dal cuore l’amaro della cattiveria umana, che crea l’odio dei miseri verso i potenti, con un frutto del Padre, non con un tozzo di pane offerto tardivamente e che per essa avrebbe avuto sempre sapore di durezza e pianto. Veramente che quelle mele ricordavano il pomo del terrestre Paradiso. Frutto venuto sul ramo per il Bene e per il Male, avrebbero segnato redenzione da tutte le miserie, prima quella della ignoranza di Dio, per i due orfanelli, e segnato castigo per colui che, conoscendo già la Parola, aveva agito come non la conoscesse. Saprà poi, dalla buona che l’accolse in nome di Gesù, chi era Gesù. Per lei più volte Salvatore. Dalla fame, dall’intemperie, dai pericoli del mondo, dalla colpa d’origine.
   Ma per lei Gesù ha sempre avuto la luce di quel giorno, e in essa le è sempre apparso: il signore buono di una bontà da fiaba, il signore che aveva carezze e doni, il signore che le aveva fatto dimenticare d’esser senza padre e madre, senza tetto e vesti, perché le era stato buono come il padre e dolce come la madre, e aveva dato nido alla loro stanchezza e copertura alla loro nudità con il suo petto e il suo mantello e con quello di altri buoni che erano con Lui. Una luce paterna e soave che non è perita sotto il fiotto di lacrime neppure quando ha saputo che Egli era morto tormentato su una croce, neppure quando, piccola fedele della prima Chiesa, ha visto cosa era divenuto il volto del suo “signore” sotto le percosse e le spine e pensato come Egli era ora, in Cielo, alla destra del Padre. Una luce che le ha sorriso nell’ultima ora della Terra, conducendola senza timore verso il Salvatore suo, una luce che le ha sorriso ancora, così ineffabilmente dolce, nel fulgore del Paradiso.

   298.10 Gesù guarda anche te così. Vedilo sempre come la tua lontana omonima e sii felice di questo suo amore. Sii semplice, umile, fedele come la povera e piccola Maria che hai conosciuto. Vedila dove è giunta, nonostante fosse una povera ignorantella d’Israele: sul cuore di Dio. L’Amore le si è rivelato come a te e divenne dotta della vera Sapienza.
   Abbi fede, sta’ in pace. Non vi è miseria che il Figlio mio non possa mutare in ricchezza, e non vi è solitudine che Egli non possa colmare, come non vi è mancanza che Egli non possa cancellare. Il passato non è, quando l’amore lo annulla. Neanche un passato orrendo. Vuoi tu temere se non ebbe tema Disma ladrone[8]? Ama, ama e non aver paura di nulla.
   La Mamma ti lascia con la sua benedizione».

[5] sono venuto , in 110.5.
[6] più pietoso all’uomo fedele che all’uccello, invece di più pietoso all’uccello che all’uomo fedele , è correzione nostra.
[7] ha parlato dell’infanzia dello spirito in un “dettato” dello stesso giorno, che è riportato nel volume “I quaderni del 1944”.
[8] Disma ladrone, in 609.11/14