MARIA
VALTORTA

Voglio che le anime possano bere alla Fonte vitale della mia parola

"Quando la Chiesa - e per tale alludo ora alla riunione degli alti dignitari di Essa - agì secondo i dettami della mia Legge e del mio Vangelo, la Chiesa conobbe tempi fulgidi di fulgore. Ma guai quando, anteponendo gli interessi della Terra a quelli del Cielo, inquinò Se stessa con passioni umane! Tre volte guai quando adorò la Bestia di cui parla Giovanni, ossia la Potenza politica, e se ne fece asservire..." (Qd 12 dicembre 1943)

OPERA MAGGIORE

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VOLUME VI CAPITOLO 369



CCCLXIX. Giovedì avanti Pasqua. Parabola della lebbra delle case e altre istruzioni agli apostoli per il tempo futuro.

   25 gennaio 1946.

   369.1­E nella via del ritorno verso la casa di Giovanna, mentre sono un poco isolati fra la gente che si pigia nelle vie e che separa l’un dall’altro i molti della compagnia che segue Gesù, Pietro, che è col Maestro e con i due figli di Alfeo, domanda: «Ecco, Signore. Adesso che possiamo parlare un poco fra noi, mi dici una cosa che da ieri sera penso?».
   «Sì, Simone. Dimmi che cosa è, ed Io risponderò».
   «È da ieri sera che penso alla grande grazia che Tu concedi a Giovanni ad Antigonio. Ma sai che è ben grande?! Una cosa unica. Fatta solamente a lui! Eppure anche Sintica merita tanto… E infine c’è tanta brava gente che… meriterebbe di vederti… e che non ti vede altro che quando ti è vicina. Noi, per esempio, come saremmo stati consolati quando ci hai mandati per il mondo! E delle volte si è stati in momenti che una tua parola ci avrebbe levati dall’incertezza… Ma Tu, a noi, non vieni mai… Perché questa differenza?».
   «Concludendo, tu, Simone mio, sei un poco geloso?…».
   «Noooh! Ma… Insomma vorrei sapere tre cose: perché a Giovanni di Endor; se a lui solo; e se non c’è il caso che un giorno avvenga anche a noi, a me, per esempio, di vederti miracolosamente e di sapere da Te come regolarmi».
   «Ed Io ti rispondo. A Giovanni perché è uno spirito volonterosissimo ma che, per le sue avventure passate, ha delle debolezze, più fisiche che altro, che potrebbero far rovinare l’edificio che egli ha costruito della sua elevazione a Dio.

   369.2Vedi, amico mio? Il passato, stato per tanto tempo su noi come una crosta penetrata fin nel profondo, ha inciso segni indelebili, non solo, ma lascia tendenze indelebili in ogni uomo. Guarda ad esempio quella casupola costruita sotto il monte. Le acque del suolo, quelle che scolano dal monte durante le piogge, l’hanno penetrata lentamente. Ora c’è sole caldo, per mesi ci sarà. Ma le muffe che hanno penetrato la calcina saranno sempre presenti come macchie di lebbra. La casa è abbandonata perché dichiarata lebbrosa. In altri tempi, meno irridenti, la casa sarebbe stata demolita del tutto, secondo la legge[14]. Perché è avvenuto questo disastro alla povera casa? Perché i proprietari di essa non hanno provveduto a tenere scavati fossatelli intorno ad essa per non fare stagnare le acque alla base, per derivare lontano dal lato che si appoggia al monte le acque scendenti dallo stesso. Ora la casa non solo è brutta, ma è minata dall’umido. Se un volonteroso pensasse a quei lavori e poi la ripulisse, raschiando le mura e cambiando i mattoni imporriti con altri nuovi, essa potrebbe essere usata ancora. Però presenterebbe sempre debolezze tali che in un terremoto sarebbe la prima a crollare. Giovanni è stato penetrato per anni dai veleni del male del mondo. Ha provveduto con la volontà a reciderli dalla sua anima tornata viva. Ma nella base nascosta nella carne, nella parte inferiore, sono rimaste debolezze… Lo spirito è forte, ma la sua carne è debole, e la carne sprigiona pure tempeste quando i suoi fomiti si congiungono ad elementi del mondo, capaci di scuotere l’io. Giovanni!… Che rimuovere di particelle del passato ha causato quanto è accaduto! Io ne aiuto la resistenza, la depurazione, la vittoria sul risorgere del passato, dò conforto al suo troppo soffrire come posso. Perché egli lo merita. Perché è giusto aiutare una volontà santa contro cui si è lanciata in assalto tutta la nequizia del mondo.

   369.3Sei persua­so?».
   «Sì, Maestro. E… a lui solo ti mostri?».
   Gesù sorride guardando Pietro, che lo guarda dal basso e pare un bambino che osservi il volto del padre. Risponde: «Non a lui solo. Anche ad altri che sono lontani a costruirsi la loro santità, faticosamente e da soli».
   «Chi sono?».
   «Ciò non è necessario sapere».
   Giacomo d’Alfeo chiede: «E a noi, per esempio, quando saremo soli e chissà come tormentati dal mondo?… Non ci aiuterai della tua presenza?».
   «Voi avrete il Paraclito con le sue luci».
   «Va bene… Ma io… non lo conosco… e… penso che non riuscirò mai a capirlo. Tu invece… Dirò: “Oh! ecco il Maestro” e ti chiederò cosa fare, con sicurezza che sei Tu…», dice Pietro. E termina: «Il Paraclito! Troppo eccelso per il povero pescatore! Chissà come parla difficile e come è… leggero: un soffio che passa… Chi se ne accorge? Io ho bisogno di uno scrollone, di un urlo, perché la mia zucca si svegli e possa capire. Ma Tu, se mi appari, ti vedo, e allora!… Promettimi, anzi, promettici che ci apparirai anche a noi. Ma così, eh?! Così di carne e sangue. Che ti si veda bene e ti si senta meglio».
   «E se venissi a rimproverare?».
   «Non importa! Ma almeno — vero, voi due? — almeno sapremo ciò che c’è da fare!».
   I due figli di Alfeo annuiscono.
   «Ebbene, ve lo prometto. Per quanto, credetelo, il Paraclito saprà farsi capire dalle vostre anime. Ma verrò Io a dirvi: “Giacomo, fa’ questo e quello. Simon Pietro, non sta bene che tu faccia quest’altro. Giuda, fortificati per essere pronto a questo o a quest’altro”».
   «Oh! molto bene. Ora sono più quieto. E vieni sovente, sai? Perché io sarò come un povero bambino sperduto e che non fa che piangere e… fare cose non buone…». E quasi quasi Pietro ci piange da ora…

   369.4­Giuda Taddeo chiede: «Non potresti farlo per tutti, da ora? Voglio dire: per i dubitosi, per i colpevoli, per i rinnegatori. Forse un miracolo…».
   «No, fratello. Il miracolo fa molto bene, il miracolo di tal genere specialmente, quando è dato a tempo e luogo, a persone non maliziosamente colpevoli. Dato a persone maliziosamente colpevoli, aumenta la loro colpevolezza perché aumenta la loro superbia. Il dono di Dio lo prendono per debolezza di Dio che supplica loro, gli orgogliosi, di permettergli di amarli. Il dono di Dio lo prendono per un prodotto dei loro grandi meriti. Si dicono: “Dio si umilia con me perché io sono santo”. È la rovina completa, allora. La rovina di un Marco di Giosia, ad esempio, e con lui di altri… Guai, guai a chi prende questa via satanica. Il dono di Dio si muta in esso in veleno di Satana. È la prova più grande e più sicura del grado di elevazione e di volontà santa in un uomo essere beneficato di doni straordinari. Molto sovente l’uomo se ne inebbria umanamente, e da spirituale diviene tutto umanità, e poi scende e diviene satanicità».
   «E allora perché Dio li concede? Sarebbe meglio non li concedesse!».
   «Simone di Giona, per farti imparare a camminare tua madre ti ha sempre tenuto nelle fasce e sulle braccia?».
   «No. Mi metteva per terra e a gambe libere».
   «Ma sarai caduto?».
   «Oh! infinite volte! Molto più che ero molto… Insomma fin da piccolo avevo pretesa di fare da me e di fare tutto bene».
   «Ma ora non caschi più?».
   «Ci mancherebbe altro! Ora so che andare in cima ad una spalliera di sedia è pericoloso, che pretendere di usare delle grondaie per scendere dal tetto alla corte è errore, che volere volare dal fico dentro la casa, come fossimo uccelli, è da matto. Ma da piccino non lo sapevo. E se non mi sono ammazzato è proprio un mistero. Però pian piano ho imparato a fare buon uso delle gambe e anche del cervello».
   «Allora Dio ha fatto bene a darti gambe e cervello, e tua madre a lasciarti imparare a tue spese?».
   «Certo!».
   «Così fa Dio con le anime. Dà loro i doni e, come una madre, avverte e insegna. Ma poi ognuno deve da sé ragionare a come usarli».
   «E se è ebete?».
   «Dio non dà i doni agli ebeti. Questi li ama perché sono infelici, ma non dà ciò che non comprenderebbero di avere».
   «Ma se li desse e loro li usassero male?».
   «Dio li tratterebbe da quel che sono: incapaci, e perciò irresponsabili. Non li giudicherebbe».
   «E se uno, intelligente quando li riceve, poi diviene stolto o folle?».
   «Se è per malattia, non è colpevole di non usare il dono avuto».
   «Ma… uno di noi, per esempio? Giosia… o… o un altro, ecco?!».
   «Oh! allora! Meglio per lui non esser nato! Ma così si separano i buoni dai malvagi… Penosa operazione, ma giusta».

   369.5­«Ma che dite di buono? Nulla per noi?», chiedono altri apostoli che, data la larghezza della via, possono riunirsi a Gesù.
   «Parlavamo di tante cose. Gesù mi ha detto una parabola sulla lebbra delle case. Ve la dirò poi», risponde Pietro.
   «Che superstizioni, però! Proprio degne di quel tempo. I muri non prendono lebbra. Gli antichi, stolti, applicavano a vesti e mura proprietà animali. Cose ridicole e che ci fanno ridicoli», sdottora l’Iscariota.
   «Non sono come dici, Giuda. Sotto l’apparenza, che era quale era necessaria per le menti di quel tempo, è un grande scopo, che è formato da sante previdenze. Come tanti altri precetti del vecchio Israele. Precetti volti alla salute del popolo. Conservare un popolo sano è dovere dei legislatori, è onorare Dio e servirlo, perché il popolo è fatto di creature di Dio. Non va dunque trascurato mentre non si trascurano le bestie e le piante. Le case definite lebbrose non hanno, è vero, la malattia carnale della lebbra. Ma hanno difetti di costruzione e di ubicazione che le fanno malsane e che si palesano con le macchie definite “lebbra delle mura”. A lungo andare divengono non solo malsane all’uomo, ma pericolose perché facili al crollo. Perciò bene prescrive la Legge, e ne impone l’abbandono e il rifacimento e anche la distruzione se, ricostruite, tornano ad apparire malate».
   «Oh! ma un poco d’umido! Che fa? Si asciuga con dei bracieri».
   «E l’umido non apparisce all’esterno, l’inganno aumenta. L’umido cresce nel profondo e rode, e un bel giorno crolla la casa e seppellisce chi è in essa. Giuda, Giuda! Meglio avere eccessiva sorveglianza che essere imprudenti!».
   «Io non sono una casa».
   «Sei la casa della tua anima. Non lasciare che nella casa si infiltri il male e sgretoli… Veglia alla incolumità della tua anima. Vegliate tutti».
   «Veglierò, Maestro. Ma, dimmi con verità, sei impressionato delle parole di mia madre? Quella donna è malata. Vede delle ombre. La devo far curare. Guariscimela Tu, Maestro».
   «Io le darò conforto. Ma solo tu la puoi guarire, calmando il suo affanno».
   «Affanno senza fondamento. Credilo, Signore».
   «Meglio così, Giuda. Meglio così. Ma tu, con condotta sempre più giusta, vedi di annullarlo. Se è sorto, ci sarà stato un movente. Annulla anche il ricordo di esso, e tua madre ed Io ti benediremo».

   369.6­«Maestro, temi che mi accordassi con Marco di Giosia?».
   «Non temo nulla».
   «Ah! bene! Perché io proprio cercavo di convincerlo. E credo che fosse il mio dovere. Nessuno lo fa! Ho zelo per le anime, io!».
   «Sta’ attento che non ti avvenga male», dice Pietro bonariamente.
   «Che vuoi dire?», aggredisce Giuda.
   «Niente più che questo: che per toccare ciò che brucia va preso un che di isolante».
   «E che, nel nostro caso?».
   «Che? Una grande santità».
   «E io non ce l’ho, non è vero?».
   «Né tu, né io, né nessuno fra noi. Perciò… potremmo scottarci e rimanere segnati».
   «E allora chi si occuperà delle anime?».
   «Per ora il Maestro. Dopo, quando, secondo la sua promessa, avremo i mezzi per poterlo fare, noi».
   «Ma io voglio fare prima. Mai troppo presto si lavora per il Signore».
   «Ecco, io penso che dici bene. Ma penso che il primo lavoro per il Signore va fatto in noi. Andare a predicare santità agli altri prima che a noi stessi…».
   «Sei egoista».
   «No affatto».
   «Sì».
   «No».
   La disputa ha inizio. Interviene Gesù: «Pietro ha ragione per buona parte. Tu pure hai un poco di ragione. Perché la predicazione deve appoggiarsi sui fatti. Perciò santificarsi per poter dire: “Fate ciò che io dico perché giusto”. E ciò appoggia ciò che dice Pietro. Però anche il lavorare sugli spiriti altrui serve a formare i propri, perché ci obbliga a migliorarci per non sentirci fare osservazioni dai convertendi. Ma eccoci alla casa di Giovanna… Entriamo a godere dell’amore di essere fra operai del Signore e a predicare, coi fatti, il tempo futuro».

[14] secondo la legge, che è in: Levitico 14, 33-57.