MARIA
VALTORTA

Voglio che le anime possano bere alla Fonte vitale della mia parola

"Quando la Chiesa - e per tale alludo ora alla riunione degli alti dignitari di Essa - agì secondo i dettami della mia Legge e del mio Vangelo, la Chiesa conobbe tempi fulgidi di fulgore. Ma guai quando, anteponendo gli interessi della Terra a quelli del Cielo, inquinò Se stessa con passioni umane! Tre volte guai quando adorò la Bestia di cui parla Giovanni, ossia la Potenza politica, e se ne fece asservire..." (Qd 12 dicembre 1943)

OPERA MAGGIORE

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VOLUME VI CAPITOLO 368



CCCLXVIII. Giovedì avanti Pasqua. La madre di Annalia e altri incontri a Gerusalemme a nel Tempio.

   24 gennaio 1946.

   368.1Non vedo la distribuzione di cibi ai lebbrosi di Hinnon, e di essi sento solo parlare. Ma non mi pare siano avvenuti miracoli fra essi, perché Simone Pietro dice: «La solitudine atroce non ha dato loro la grazia di credere e conoscere dove è la Salute».
   Poi la città li accoglie dalla Porta che mette nel chiassoso o popolato sobborgo di Ofel.
   Dopo qualche metro, da una porta di casa socchiusa balza fuori tutta festosa Annalia, che venera il Maestro dicendo: «Ho licenza dalla madre di stare fino a sera con Te, Signore».
   «Non se ne dispiacerà Samuele?».
   «Non c’è più Samuele nella mia vita, Signore. E l’Altissimo ne abbia grazie. Solo mi conceda che, come ha lasciato me, non lasci Te, o mio Dio». La bocca giovanile sorride eroicamente, mentre un luccicore di pianto splende negli occhi casti.
   Gesù la guarda fissamente e le dice, per tutta risposta: «Unisciti alle discepole», e riprende il cammino.
   Ma la vecchia madre di Annalia, più vecchia per i dolori che per l’età, si avvicina a sua volta, tutta curvata in venerabondo e accasciato saluto, e dice: «La pace a Te, Maestro. Quando ti potrei parlare? Ho tanto affanno!…».
   «Subito, donna». E volgendosi a chi è con Lui ordina: «Sostate qui fuori. Io entro un poco in questa casa», e fa per avviarsi dietro alla donna.
   Ma Annalia, dal gruppo delle discepole, lo richiama con una sola parola: «Maestro!», ma quanto c’è in essa! E congiunge le mani nel dirla, come supplicasse…
   «Non temere. Sta’ in pace. La tua causa è nelle mie mani e così il tuo segreto», la rassicura Gesù. E poi, rapido, entra nella porta socchiusa.
   Fuori si commenta sul fatto, e curiosità maschili e femminili sono in gara per sapere… sapere… sapere…

   368.2Dentro si ascolta e si piange. Gesù ascolta. Appoggiato con le spalle alla porta, che ha chiuso da Sé non appena entrato, con le braccia conserte sul petto, ascolta la madre della fanciulla che piangendo gli narra della volubilità del promesso sposo, che ha colto un pretesto per sciogliersi del tutto dal legame… «Dimodoché Annalia è come una ripudiata e mai più avrà nozze, perché ella ha dichiarato che Tu non approvi chi dopo il ripudio torna a sposarsi. Ma così non è. Ella è fanciulla ancora! Ella non vende se stessa ad altro uomo, perché di nessun uomo è stata. Ed egli colpevole è di crudeltà. E più. Perché in lui è venuta volontà d’altre nozze, ma sarà mia figlia che apparirà colpevole, e il mondo la deriderà. Provvedi, o Signore, perché per Te questo avviene».
   «Per Me, donna? In che ho peccato?».
   «Oh! Tu non hai peccato. Ma egli dice che Annalia ti ama. E finge gelosia. Ieri sera venne, ed essa era da Te. Si infuriò e fece giuramento di non volerla più per moglie, e Annalia, sopraggiunta allora, gli rispose: “Bene fai. Solo mi spiace che tu abbia a vestire la verità di menzogna e di calunnia. Tu sai che Gesù non si ama che con l’anima. Ma è la tua anima che ormai si è corrotta e lascia la Luce per la carne, mentre io lascio la carne per la Luce. Non potremmo più essere un sol pensiero come due sposi devono essere. Va’, dunque, e Dio vegli su te”. Non una lacrima, capisci? Nulla che abbia toccato il cuore dell’uomo! Le mie speranze deluse! Ella… oh! certo per legge-
   rezza, causa la sua rovina.

   368.3­Chiamala, Signore. Parlale. Piegala alla ragione. Cerca Samuele. È da Abramo suo parente, alla terza casa dopo la Fonte del fico. Aiutami! Ma prima parla a lei, subito…».
   «Parlare, parlerò. Ma dovresti ringraziare Dio che scioglie un legame umano che, chiaro è, non dava affidamento buono. L’uomo è volubile e ingiusto verso Dio e verso la donna sua…».
   «Sì, ma è atroce che il mondo pensi lei colpevole, Te colpevole, solo perché ella ti è discepola».
   «Il mondo accusa e poi dimentica. Il Cielo invece è eterno. Tua figlia sarà fiore del Cielo».
   «Allora perché l’hai fatta vivere? Sarebbe stata fiore senza aver avuto la lapidazione delle calunnie. Oh! Tu che sei Dio, chiamala, fàlla ragionare e poi fa’ riflettere Samuele…».
   «Ricordati, donna, che neppure Iddio può opprimere la volontà e la libertà dell’uomo. Essi, Samuele e tua figlia, hanno diritto di seguire ciò che sentono essere bene per loro. Specie Annalia ne ha diritto…».
   «Ma perché?».
   «Perché più di Samuele essa è amata da Dio. Perché più che a Samuele essa dà amore a Dio. È di Dio tua figlia!».
   «No. In Israele ciò non è. La donna deve essere sposa… È mia la figlia… Il suo sponsale mi dava pace di giorni futuri…».
   «Tua figlia era del sepolcro da un anno se Io non agivo. Chi sono Io per te?».
   «Il Maestro e Dio».
   «E come Dio e Maestro dico che l’Altissimo ha diritto più di ogni altro sui suoi figli, e che molto sta per mutarsi nella Religione, e sarà d’ora in poi possibile alle vergini di esser tali in eterno per amore di Dio.

   368.4Non piangere, o madre. Lascia la tua casa e vieni con noi, oggi. Vieni! Là fuori è la Madre mia e altre eroiche madri che hanno dato i figli al Signore. Unisciti ad esse…».
   «Parla ad Annalia… Prova, Signore!», geme la donna fra i singhiozzi.
   «Sta bene. Farò come tu vuoi», dice Gesù. E aperta la porta chiama: «Madre, vieni con Annalia».
   Le due chiamate vanno leste. Entrano.
   «Fanciulla, tua madre vuole che Io ti dica di riflettere ancora. Vuole che Io parli a Samuele. Che devo fare? Che risposta mi dai?».
   «Parla pure a Samuele. Anzi io pure ti supplico di farlo. Ma solo perché vorrei che, udendo Te, giusto si facesse. Riguardo a me, Tu sai. Ti prego dare a mia madre la risposta più vera».
   «Senti, donna?».
   «Quale è dunque la risposta?», chiede con voce spezzata la vecchia, che in sul primo delle parole della figlia credeva ad una resipiscenza della stessa e che poi ha compreso che così non è.
   «La risposta è che da un anno tua figlia è di Dio, e il voto è perenne finché duri la vita».
   «Oh! misera me! Quale madre più di me infelice?!».
   Maria lascia la mano della fanciulla per prendere fra le braccia la donna e dirle dolcemente: «Non peccare col tuo pensiero e con la tua lingua. Non è infelicità dare a Dio un figlio, ma gloria ben grande. Mi hai detto un giorno che il tuo dolore era di non avere avuto che una figlia, perché avresti amato avere il maschio sacro al Signore. Non un maschio ma un angelo, un angelo che precederà il Salvatore nel suo trionfo tu hai. E vuoi dirti infelice? Mia madre spontaneamente mi consacrò al Signore dal primo palpito che udì nel seno di me, concepita in tarda età. E non mi ebbe che per tre anni. Né io l’ebbi che nel cuore. Eppure la sua pace nel morire fu l’avermi data a Dio… Suvvia, vieni al Tempio a cantare la lode a Colui che tanto ti ama da scegliere la tua fanciulla a sua sposa. Abbi una vera sapienza nel cuore. Vera sapienza è non porre limiti alla propria generosità verso il Signore».
   La donna non piange più. Ascolta… Poi si decide. Prende il manto e vi si avvolge. Ma passando davanti alla figlia sospira: «Prima la malattia, poi il Signore… Ah! non dovevo averti!…».
   «No, mamma. Non dire così! Mai come ora mi hai. Tu e Dio. Dio e tu. Voi soli, fino alla morte…», e l’abbraccia dolcemente chiedendo: «Una benedizione, madre! Una benedizione… perché ho tanto sofferto per doverti far soffrire. Ma Dio mi voleva così…».
   Si baciano, piangendo. Poi escono, precedute da Gesù e Maria, e chiudono la casa accodandosi alle discepole…

   368.5…«Perché entriamo di qui, Signore? Non era meglio entrare dall’altra parte?», chiede Giacomo di Zebedeo.
   «Perché, passando di qui, passiamo davanti all’Antonia».
   «E Tu speri… Sta’ attento, Maestro!… Il Sinedrio ti spia», dice Tommaso.
   «Come lo sai?», gli chiede Bartolomeo.
   «Basta riflettere all’interessamento dei farisei per capire. Mi dite che con mille scuse vengono continuamente ad osservare ciò che facciamo!… Per che scopo, se non per trovare in colpa il Maestro?».
   «Hai ragione. Non passiamo allora dall’Antonia, Maestro. Se i romani non ti vedono, tanto di meglio».
   «E in questa ragione non tanto premura per Me quanto schifo per essi è contenuto, non è vero, Bartolmai? Come saresti sapiente se levassi dal tuo cuore queste miserie!», risponde Gesù, che procede però per la sua via senza ascoltare nessuno.
   Per andare all’Antonia devono passare per il Sisto, dove è il palazzo di Giovanna e quello di Erode, poco lontano l’uno dal­l’altro. E Gionata è sulla porta del palazzo di Cusa e, non appena vede Gesù, dà la voce a quelli di casa. Esce subito Cusa e si inchina. Lo segue Giovanna, già pronta per unirsi al gruppo delle discepole.
   Cusa parla: «Ho udito che oggi sei da Giovanna. Concedi al tuo servo di averti ospite in un convito».
   «Sì. Ma purché tu mi conceda di fare, di esso, convito di carità per i poveri e gli infelici».
   «Come credi, Signore. Ordina e farò ciò che Tu vuoi».
   «Grazie. La pace sia con te, Cusa».
   Giovanna chiede: «Hai ordini per Gionata? Egli è a tua disposizione».
   «Li darò dopo essere stato al Tempio. Andiamo, perché siamo attesi».
   Passano dopo poco presso il bello e crudele palazzo di Erode. Ma è chiuso come fosse senza abitanti. Passano presso l’Antonia. I militi osservano il piccolo corteo del Nazareno.

   368.6Entrano nel Tempio; e mentre le donne si fermano nella parte inferiore, gli uomini proseguono per il luogo ad essi concesso. Giungono così al luogo dove vengono presentati i fanciulli e purificate le donne. Un piccolo gruppetto di gente accompagna una giovane madre e si ferma ad osservare le cerimonie del rito.
   «Un piccolo sacro al Signore, Maestro!», dice Andrea che osserva la scena.
   «È, se non erro, la donna[10] di Cesarea di Filippo, quella del castello. Mi è passata davanti mentre ti aspettavamo alla porta Dorata», dice Giacomo d’Alfeo.
   «Sì. C’è anche la suocera e l’intendente di Filippo. Non ci hanno visti. Ma noi abbiamo visto loro», aggiunge il Taddeo.
   E Matteo aggiunge: «Noi due abbiamo invece visto Maria di Simone con un vecchio. Ma Giuda non c’era. Pareva molto triste la donna. Si guardava intorno con affanno».
   «La cercheremo poi. Ora preghiamo. E tu, Simone di Giona, fa’ l’offerta al gazofilacio[11]. Per tutti».
   Pregano a lungo, molto notati dalla gente che si indica il Maestro.

   368.7Un breve alterco, nel quale emerge la nota acuta di una voce femminile, fa volgere il capo agli oranti meno raccolti.
   «Se qui sono stata per offrire il maschio a Dio, posso rimanervi un altro poco per offrirlo a Chi lo ha salvato al Signore», dice la voce acuta.
   E voci nasali d’uomo insistono: «Non è lecito alla donna fermarsi qui dopo il rito. Va’ via».
   «Vi andrò. Ma dietro a Lui».
   «Chiamalo, allora, e vattene con Lui».
   «Piano! Piano! Lasciate che la donna parli e dica come può dire che il Nazareno ha salvato a Dio il fanciullo», dice una strascicata voce di uomo.
   «E che te ne preme, Gionata di Uziel?».
   «Se me ne preme!? Qui certo è un nuovo peccato. Una nuova prova. Odimi, o donna. Come quell’uomo ti salvò il figlio? Vuoi dirlo ai cercatori tenaci della verità?», chiede mellifluo questo fariseo che non mi è nuovo[12].
   «Oh! sì. Con gratitudine lo dico. Ero disperata perché il bambino m’era nato morto. Vedova sono, e questa creatura è tutto per me. Egli venne e gli dette vita».
   «Quando? Dove?».
   «A Cesarea di Filippo. Sono del castello di Cesarea».
   «La vita! Sarà stato solo un mancamento del fanciullo…».
   «No. Era morto. La madre mia lo può dire. E dire lo può l’intendente del castello. Egli venne e gli alitò in bocca, e il bimbo si agitò e vagì».
   «E tu dove eri?».
   «In letto, signore. Avevo partorito allora».
   «Oh! orrore!».
   «Ah! Anatema».
   «Impuro!».
   «Sacrilego!».
   «Vedete se avevo ragione di interrogare?».
   «Sapiente sei, Gionata di Uziel! Come intuisti?».
   «Conosco l’uomo. Lo vidi violare il sabato nelle mie terre della pianura per saziare la sua fame».
   «Cacciamolo di qua!».
   «Riferiamo ai Principi dei sacerdoti».
   «No. Interroghiamolo se si è purificato. Non possiamo accusare senza sapere…».
   «Taci là, Eleazar. Non ti sporcare con una stolta difesa».
   La giovane Dorca, presa in mezzo, causa di tanto parapiglia, dà uno scoppio di pianto e grida: «Oh! per mia causa non gli nuocete!».

   368.8­Ma alcuni scalmanati hanno raggiunto il Signore e imperiosamente gli dicono: «Vieni qui e rispondi».
   Gli apostoli e i discepoli sono agitati da ira e da timore. Gesù calmo e solenne segue chi lo chiama.
   «Riconosci questa donna?», urlano spingendolo nel mezzo del cerchio che si è fatto intorno a Dorca e additandola come fosse una lebbrosa.
   «Sì. È una giovane vedova e madre di Cesarea di Filippo. E quella è la suocera sua. E quello è l’intendente del castello. Ebbene?».
   «Ella ti accusa di essere entrato da lei mentre ancora il parto avveniva».
   «Non è vero, Signore! Io non l’ho detto. Ho detto che mi hai rianimato il figlio. E non di più! Volevo farti onore e ti faccio del male. Oh! perdono! perdono!».
   L’intendente di Filippo interviene in suo aiuto e dice: «Non è vero. Voi mentite. La donna così non ha detto ed io ne sono testimone, pronto a giurare questo, e anche che il Rabbi non entrò nella stanza, ma dalla soglia operò il miracolo».
   «Taci tu, servo».
   «No. Non tacerò. E lo dirò a Filippo che venera il Rabbi più di voi, falsi devoti del Dio altissimo».
   L’alterco scivola dalla donna al terreno religioso e politico. Gesù tace. Dorca piange.

   368.9­Eleazar, l’ospite giusto del banchetto in casa di Ismaele, dice: «Credo che sia chiarito il dubbio e cada l’accusa, e il Rabbi, giustificato, possa essere libero d’andare».
   «No. Voglio sapere se si è purificato dall’aver toccato il morto. Lo giuri su Jeovè!», urla Gionata di Uziel.
   «Non mi sono purificato perché il fanciullo non era morto, ma solo stentava a respirare».
   «Ah! ti fa comodo ora dire che non risuscitò, eh?», urla un fariseo.
   «Perché non ti vanti come facesti a Cedes?», chiede un altro.
   «Ma non perdiamo tempo in parole! Cacciamolo e portiamo la nuova accusa al Sinedrio. Un mazzo d’accuse!».
   «Quale altra?», chiede Gesù.
   «Quale? E l’aver toccato la lebbrosa senza poi purificarti? Puoi negarlo? E l’avere bestemmiato a Cafarnao tanto che i più giusti ti hanno abbandonato? Puoi negarlo?».
   «Non nego nulla. Ma sono senza peccato perché tu, Sadoc, che accusi, sai dal marito di Anastasica che ella non era lebbrosa, tu lo sai, tu pronubo dell’adulterio di Samuele, tu mentitore davanti al mondo con lui per favorire la libidine del sozzo, dando il nome di lebbra a ciò che non era lebbra, e condannando una donna a quella tortura che è l’esser detti “lebbrosi” in Israele, solo perché sei complice del colpevole marito».
   Lo scriba Sadoc, uno di quelli che erano a Giscala e poi a Cedes, colpito in pieno, se la svigna senza più parlare. La gente gli urla dietro beffarda.
   «Silenzio! Il luogo è sacro», dice Gesù. E ordina alla donna e a chi è con lei: «Andiamo. Venite con Me dove sono atteso». E si avvia severo e maestoso, seguito dai suoi.

   368.10­La donna intanto, interrogata da molti, racconta e racconta, ripetendo ogni volta: «Mio figlio è suo e a Lui lo consacro».
   L’intendente, invece, si accosta a Gesù e dice: «Maestro, ho detto a Filippo il miracolo. Egli mi ha mandato per dirti che egli ti ama. Tienilo presente nelle insidie di Erode… e degli altri. Ma vorrebbe vedere lui pure, e udirti. Non verrai oggi alla sua casa? Ti terrebbe volentieri, anche nella Tetrarchia».
   «Non sono un istrione né un mago. Sono il Maestro della Verità. Venga alla Verità ed Io non lo respingerò».
   Sono nel cortile delle donne. «Eccolo! Eccolo!», dicono le discepole a Maria che è in pena per il ritardo.
   Si riuniscono, e Gesù vorrebbe congedare quelli di Cesarea per andare alla ricerca di Maria madre di Giuda, ma Dorca si inginocchia e dice: «Ti cercavo io prima di lei, di questa che Tu cerchi e che è madre di un discepolo. Ti cercavo per dirti: “Questo figlio è tuo. Maschio unigenito, io te lo consacro. Tu sei il Dio vivente. Sia egli il tuo servo”».
   «Sai cosa vuol dire questo? Vuol dire consacrare tuo figlio al dolore, perderlo come madre e acquistarlo come martire in Cielo. Ti senti d’essere martire nella tua creatura?».
   «Sì, mio Signore. Martire mi avrebbe fatto la sua morte, e di un martirio di povera donna madre. Per Te lo sarò in maniera perfetta, gradita al Signore».
   «E così sia!…

   368.11­Oh! Maria di Simone, quando sei venuta?».
   «Ora. Con Anania, mio parente… Io pure ti cercavo, Signore…».
   «Lo so. E ho mandato Giuda a dirti di venire. Non è ve­nu­to?».
   La madre di Giuda china il capo e mormora: «Sono uscita subito dopo di lui per venire al Getsemani. Ma Tu eri partito di là… Sono corsa al Tempio… Ora ti trovo… In tempo per sentire questa fanciulla, già madre e così felice!… Oh! come vorrei potere dirti come lei, Signore, e di un Giuda neonato… dolce, dolce… come uno di questi agnellini…», e piangendo indica i belanti agnelli che vanno verso il sacrificatore. Si avvolge nel manto per celare il suo pianto.
   «Vieni con Me, madre. Parleremo nella casa di Giovanna. Qui non è il luogo».
   Le discepole prendono in mezzo Maria, madre di Giuda, mentre il parente Anania si mescola ai discepoli. Anche Dorca e la suocera vanno fra le discepole, e Maria d’Alfeo e Salome vanno in estasi nel vezzeggiare il piccino.
   Si avviano all’uscita. Ma prima di giungervi ecco uno schiavo romano portare una tavoletta cerata a Giovanna, che la legge e risponde: «Dirai che sì. Nel pomeriggio da me, a palazzo».
   E poi è il trillo di Jaia e sua madre vedendo il Salvatore: «Eccolo, eccolo il Datore della luce! Benedetto Te, Luce di Dio!», e sono a fronte a terra, felici.
   La gente si accalca, chiede, comprende, osanna.
   E poi è il vecchio Mattia, l’uomo che ospitò nella notte tempestosa Gesù e i suoi presso Jabes Galaad, che venera e benedice.
   E poi è il nonno di Marziam e gli altri contadini ai quali Gesù, dopo avere parlato con Giovanna, dice: «Venite con Me», come lo ha detto già a Dorca, a Jaia, a Mattia.

   368.12­Ma presso la porta Dorata ecco Marco di Giosia, il discepolo fedifrago, che parla animatamente con Giuda Iscariota. Giuda vede venire il Maestro e lo dice al compagno. Questo si volta quando ha già Gesù alle spalle. Gli sguardi si intrecciano. Che sguardo quello del Cristo! Ma l’altro ormai è sordo ad ogni santo potere. Per fuggire più presto, quasi getta Gesù contro una colonna. E Gesù, per tutta reazione, dice: «Marco, fermati. Per pietà della tua anima e di tua madre!».
   «Satana!», grida l’altro. E se ne va.
   «Orrore!», gridano i discepoli. «Ma maledicilo, Signore!». E il primo a dirlo è l’Iscariota.
   «No. Non sarei più Gesù… Andiamo».
   «Ma come, come ha potuto diventare così? Era così buono!», dice Isacco, che pare trapassato da una freccia tanto è accorato del mutamento di Marco.
   «È un mistero. Una inspiegabile cosa!», dicono in molti.
   E Giuda di Keriot: «Sì. Lo facevo parlare. Tutta un’eresia. Ma come detta! Quasi ti persuade. Non era sapiente tanto, quando era giusto».
   «Devi dire che non era folle tanto, quando era indemoniato presso Gamala!», dice Giacomo di Zebedeo.
   E Giovanni chiede: «Perché, Signore, quando era indemoniato ti nuoceva meno di ora? Non potresti guarirlo perché non ti nuoccia?».
   «Perché adesso ha accolto in sé un demonio intelligente. Prima egli era albergo preso di forza da legione di demoni. Ma mancava in lui il consenso ad averli. Ora la sua intelligenza ha voluto Satana, e Satana ha messo in lui una forza demoniaca intelligente. Contro questa seconda possessione nulla posso. Dovrei violentare la volontà libera dell’uomo».
   «Tu soffri, Maestro?!».
   «Sì. Sono le mie angosce… le mie sconfitte… E me ne accoro perché sono anime che si perdono. Per questo solo. Non per il male che fanno a Me».

   368.13­Fermi come sono, in attesa di avere la via sgombra da un ingorgo di gente e di cavalcature, sono tutti in crocchio. E lo sguardo della madre di Giuda è di una tale potenza che suo figlio le chiede: «Ma insomma? Che hai? Vedi il mio volto per la prima volta? In verità tu sei malata e devo farti curare…».
   «Non sono malata, figlio! E non ti vedo per la prima volta!».
   «E allora?».
   «E allora… nulla. Vorrei solo che tu non meritassi mai quelle parole dal Maestro».
   «Io non lo abbandono e non lo accuso. Sono il suo apostolo io!».
   Riprendono a camminare fino a che Gesù si ferma per salutare Giovanna e le discepole che vanno con Giovanna alla casa di questa. Gli uomini, invece, vanno tutti al Getsemani.
   «Potevamo andare tutti là. Avrei voluto vedere ciò che diceva Elisa», brontola fra i denti Pietro[13].
   «Lo vedrai. Perché solo oggi ella saprà, e da Me, che le affido Anastasica».
   «E questa sera convito?».
   «Sì. Ho detto a Giovanna ciò che deve fare».
   «Che deve fare? Quando lo hai detto?», chiedono in più d’uno.
   «Lo vedrete. Prima di lasciarla. Mentre la salutavo. Andiamo presto per essere presto al giardino di Giovanna».

[10] donna, che è Dorca, incontrata in 345.3/5.
[11] gazofilacio era detto l’ambiente interno al recinto del Tempio dove i fedeli deponevano le offerte in denaro. Così è chiamato in Giovanni 8, 20; ma le nuove traduzioni mettonoluogo del tesoro. Nell’opera si ritrova, per esempio, in: 197.3 - 523.8 - 596.4 - 645.2; e potrebbe essere lavasta stanza ben ornata di 506.1.
[12] non mi è nuovo, perché già incontrato in 207.2/4.
[13] brontola fra i denti Pietro e, alcune righe più sotto, chiedono in più d’uno, sono due aggiunte di MV su una copia dattiloscritta.