MARIA
VALTORTA

Voglio che le anime possano bere alla Fonte vitale della mia parola

"Quando la Chiesa - e per tale alludo ora alla riunione degli alti dignitari di Essa - agì secondo i dettami della mia Legge e del mio Vangelo, la Chiesa conobbe tempi fulgidi di fulgore. Ma guai quando, anteponendo gli interessi della Terra a quelli del Cielo, inquinò Se stessa con passioni umane! Tre volte guai quando adorò la Bestia di cui parla Giovanni, ossia la Potenza politica, e se ne fece asservire..." (Qd 12 dicembre 1943)

OPERA MAGGIORE

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VOLUME VI CAPITOLO 371



CCCLXXI. Giovedì avanti Pasqua. Protezione di Claudia e ricovero nel palazzo di Lazzaro. Lo statuto del Regno.

   27 gennaio 1946.

   371.1Non brillano certo per il loro eroismo i seguaci di Gesù! La notizia portata da Giuda è simile all’apparizione di uno sparviero su un’aia piena di pulcini, o di un lupo sul ciglio prossimo ad un gregge! Spavento, o per lo meno orgasmo, sono su almeno nove decimi dei volti presenti, e specie dei volti maschili. Io credo che molti hanno già l’impressione del filo della spada o del flagello contro l’epidermide, e il meno che pensano è di avere a provare le segrete delle carceri in attesa di processo. Le donne sono meno agitate. Più che agitate, sono impensierite per i figli o i mariti e consigliano questi e quelli di squagliarsi a piccoli gruppi spargendosi nelle campagne.
   Maria di Magdala insorge contro quest’onda di timore esagerato: «Oh! quante gazzelle sono in Israele! Non vi fa vergogna tremare così? Vi ho detto che nel mio palazzo sarete più sicuri che in una fortezza. Venite dunque! E sulla mia parola vi assicuro che non vi accadrà nulla di nulla. Se oltre ai designati da Gesù ve ne sono altri che pensano essere sicuri nella mia casa, vengano. Ci sono letti e lettucci per una centuria. Andiamo, decidete, in luogo di basire di paura! Soltanto prego Giovanna di farci seguire dai servi con delle cibarie. Perché in palazzo non ce n’è per tanti, ed è sera ormai. Un buon pasto è la miglior medicina per rinfrancare i pusilli». E non è solo imponente nella sua veste bianca, ma è abbastanza ironica negli occhi splendidi mentre, dall’alto della sua statura, guarda il gregge spaurito che si pigia nel vestibolo di Giovanna.
   «Provvederò subito. Andate pure, ché Gionata vi seguirà coi servi ed io con lui, perché mi concedo la gioia di seguire il Maestro e senza paura, ve lo assicuro, tanto senza paura che porto con me i bambini», dice Giovanna.
   Si ritira a dare ordini, mentre le prime avanguardie dello spaurito esercito mettono caute la testa fuori dal portone e, vedendo che non c’è nulla di pauroso, osano uscire nella via e avviarsi seguiti dagli altri.
   Il gruppo verginale è al centro, immediatamente dopo Gesù che è nelle prime file. Dietro, oh!, dietro alle vergini le donne; e poi i più… vacillanti nel coraggio, che hanno le spalle protette da Maria di Lazzaro che si è unita alle romane, decise a non staccarsi da Gesù tanto presto. Ma poi Maria di Lazzaro corre avanti a dire qualcosa alla sorella, e le sette romane restano con Sara e Marcella, rimaste esse pure alla retroguardia per ordine di Maria e nell’intento di far passare ancor più inosservate le sette romane.
   Sopraggiunge a passo svelto Giovanna coi bambini per mano, e dietro a lei è Gionata coi servi carichi di borse e ceste, che si mettono in coda alla piccola turba che, in verità, nessuno nota, perché le vie formicolano di gruppi che vanno alle case o agli accampamenti, e la penombra rende meno riconoscibili i volti. Adesso Maria di Magdala insieme a Giovanna, Anastasica e Elisa, è proprio in prima fila e guida, per viette secondarie, i suoi ospiti al palazzo.

   371.2­Gionata cammina quasi a pari delle romane, alle quali rivolge la parola come a serve delle discepole più ricche. Ne approfitta Claudia per dirgli: «Uomo, ti prego di andare a chiamare il discepolo che ha portato la notizia. Digli che venga qui. E dillo in maniera da non attirare l’attenzione. Va’!». La veste è dimessa, ma il modo è involontariamente potente, di chi è uso al comando. Gionata sbarra gli occhi cercando vedere, attraverso il velo calato, chi è che gli parla così. Ma non riesce che a vedere il balenio di due occhi imperiosi. Però deve intuire che non è una serva la donna che gli parla, e prima di ubbidire si inchina.
   Raggiunge Giuda di Keriot, che parla animatamente con Stefano e con Timoneo, e lo tira per la veste.
   «Che vuoi?».
   «Ti devo dire una cosa».
   «Dilla».
   «No. Vieni indietro con me. Ti vogliono, per una elemosina, credo…».
   La scusa è buona ed è accettata con pace dai compagni di Giuda e con entusiasmo da Giuda, che torna indietro svelto insieme a Gionata.
   Eccolo alla fila ultima. «Donna, ecco l’uomo che volevi», dice Gionata a Claudia.
   «Grata ti sono per avermi servito», risponde questa stando sempre velata. E poi, volgendosi a Giuda: «Ti piaccia sostare un momento per ascoltarmi».
   Giuda, che sente un modo di parlare molto raffinato e vede due occhi splendidi attraverso il velo sottile, e che forse si sente prossimo ad una grande avventura, acconsente senza ostacolo.

   371.3­Il gruppo delle romane si separa. Restano, con Claudia, Plautina e Valeria; le altre proseguono. Claudia si guarda intorno. Vede solitaria la vietta in cui sono rimasti fermi e con la mano bellissima getta da parte il velo, scoprendo il viso.
   Giuda la riconosce e, dopo un attimo di sbalordimento, si curva salutando con un misto di atti giudei e di parola romana: «Domina!».
   «Sì. Io. Alzati e ascolta. Tu ami il Nazareno. Del suo bene ti preoccupi. Bene fai. È un virtuoso e va difeso. Noi lo veneriamo come grande e giusto. I giudei non lo venerano. Lo odiano. So. Ascolta. E intendi bene, e bene ricorda e applica. Io lo voglio proteggere. Non come la lussuriosa di poc’anzi. Con onestà e virtù. Quando il tuo amore e la tua sagacia ti lasceranno capire che vi è insidia per Lui, vieni o manda. Claudia tutto può su Ponzio. Claudia otterrà protezione per il Giusto. Intendi?».
   «Perfettamente, domina. Il nostro Dio ti protegga. Verrò, solo che possa, verrò io, personalmente. Ma come passare da te?».
   «Chiedi sempre di Albula Domitilla. È una seconda me stessa, ma nessuno si stupisce se parla con giudei, essendo quella che si occupa delle mie liberalità. Ti crederanno un cliente. Forse ti umilia?».
   «No, domina. Servire il Maestro e ottenere la tua protezione è onore».
   «Sì. Vi proteggerò. Una donna sono. Ma sono dei Claudi. Posso più di tutti i grandi in Israele perché dietro me è Roma. Tieni, intanto. Per i poveri del Cristo. Il nostro obolo. Però… vorrei essere lasciata fra i discepoli questa sera. Procurami questo onore e tu sarai protetto da Claudia».
   Su un tipo come l’Iscariota le parole della patrizia operano prodigiosamente. Egli va al settimo cielo!… Osa chiedere: «Ma tu veramente lo aiuterai?».
   «Sì. Il suo Regno merita di essere fondato, perché è regno di virtù. Ben venga, in opposizione alle laide onde che coprono i regni attuali e che schifo mi fanno. Roma è grande, ma il Rabbi è ben più grande di Roma. Noi abbiamo le aquile sulle nostre insegne e la superba sigla. Ma sulle sue saranno i Geni e il santo suo Nome. Grande sarà, veramente grande Roma, e la Terra, quando metteranno quel Nome sulle loro insegne e il suo segno sarà sui labari e sui templi, sugli archi e le colonne».
   Giuda è trasecolato, sognante, estatico. Palleggia la pesante borsa che gli è stata data, e lo fa macchinalmente, e dice col capo di sì, di sì, di sì, a tutto…
   «Or dunque andiamo a raggiungerli. Alleati siamo, non è vero? Alleati per proteggere il tuo Maestro e il Re degli animi onesti».
   Cala il velo e rapida, snella, va quasi di corsa a raggiungere il gruppo che l’ha preceduta, seguita dalle altre e da Giuda, che ha il fiato grosso non tanto per la corsa quanto per ciò che ha sentito. Il palazzo di Lazzaro sta inghiottendo le ultime coppie dei discepoli quando lo raggiungono. Entrano svelti, e il portone ferrato si chiude con grande sferragliare di chiavistelli messi dal custode.

   371.4Una solitaria lampada, sorretta dalla moglie del custode, a mala pena rischiara il quadrato vestibolo tutto bianco del palazzo di Lazzaro. Si capisce che la casa non è abitata, per quanto sia ben custodita e tenuta in ordine. Maria e Marta guidano gli ospiti in un vasto salone, certo adibito ai conviti, dalle fastose pareti coperte di stoffe preziose, che disvelano i loro rabeschi man mano che vengono accesi i lampadari e posati i lumi sulle credenze, sui cofani preziosi, messi intorno alle pareti, o sulle tavole addossate ad un lato, pronte ad essere usate, ma certo da tempo inservibili. Ma Maria ordina siano portate al centro della sala e preparate per la cena coi viveri che i servi di Giovanna estraggono da borse e ceste e mettono sulle credenze.
   Giuda prende da parte Pietro e gli dice qualcosa all’orecchio.
   Vedo Pietro che sgrana gli occhi e scuote una mano come si fosse scottato le dita, mentre esclama: «Fulmini e cicloni! Ma che dici?».
   «Sì. Guarda. E pensa! Non aver più paura! Non essere più così angustiati!».
   «Ma è troppo bello! Troppo! Ma come ha detto? Proprio che ci protegge? Che Dio la benedica! Ma quale è?».
   «Quella vestita di color tortora selvatica, alta, snella. Ecco, ci guarda…».
   Pietro guarda l’alta donna dal volto regolare e serio, dagli occhi dolci eppure imperiosi.
   «E… come hai fatto a parlarle? Non hai avuto…».
   «No, affatto».
   «Eppure tu odiavi i contatti con loro! Come me, come tut­ti…».
   «Sì. Ma li ho superati per amor del Maestro. Come ho superato il desiderio di troncarla cogli antichi compagni del Tempio… Oh! tutto per il Maestro! Voi tutti, e mia madre con voi, credete che io sia ambiguo. Tu, di recente, mi hai rimproverato le amicizie che ho. Ma se non le mantenessi, e con forte pena, non saprei tante cose. Non è bene mettersi bende agli occhi e cera nelle orecchie per paura che il mondo entri in noi per occhi e orecchi. Quando si è in una impresa pari alla nostra, occorre vegliare a occhi e orecchi più che liberi. Vegliare per Lui, per il suo bene, per la sua missione, per la fondazione di questo benedetto regno…».
   Molti degli apostoli e qualche discepolo si sono avvicinati e ascoltano, approvando col capo. Perché, infatti, non si può dire che Giuda parli male!
   Pietro, onesto e umile, lo riconosce e dice: «Hai proprio ragione! Perdona i miei rimproveri. Tu vali più di me, sai fare. Oh! andiamolo a dire al Maestro, a sua Madre, alla tua! Era tanto angustiata!».
   «Perché male lingue hanno insinuato… Ma per ora taci. Dopo, più tardi. Vedi? Si siedono a mensa e il Maestro ci fa cenno di andare…».

   371.5­…La cena è rapida. Anche le romane, sedute al tavolo delle donne, mescolate ad esse di modo che proprio Claudia è seduta fra Porfirea e Dorca, mangiano in silenzio ciò che viene loro messo davanti, e fra loro e Giovanna e Maria di Magdala corrono misteriose parole fatte di sorrisi e di ammicchi. Sembrano scolarette in vacanza.
   Gesù, dopo la cena, ordina di formare un quadrato di sedili e di prendervi posto per ascoltarlo. Egli si mette al centro e inizia a parlare in mezzo ad un quadrato attento di volti, nei quali sono chiusi solo gli occhietti innocenti del figliolino di Dorca, dormente in seno alla madre, e stanno velandosi di sonno quelli di Maria, seduta sulle ginocchia di Giovanna, e di Mattia, che si è accoccolato sui ginocchi di Gionata.
   «Discepoli e discepole qui radunati in nome del Signore, o qui attratti per desiderio di Verità, desiderio che viene ancora da Dio che vuole luce e verità in tutti i cuori, udite.
   Questa sera ci è concesso, e proprio la nequizia che ci vuole dispersi lo procura, di essere tutti uniti. Né, voi di sensi limitati, sapete quanto è profonda e vasta questa unione, vera aurora delle future che saranno quando il Maestro non sarà più fra voi, carnalmente, ma sarà in voi col suo spirito. Allora saprete amare. Allora saprete praticare. Per ora siete come bambini ancora al seno. Allora sarete come adulti che potrete gustare ogni cibo senza che vi nuoccia. Allora saprete, come Io dico, dire: “Venite a me voi tutti, perché tutti fratelli siamo, e per tutti Egli si è immolato”.

   371.6Troppe prevenzioni in Israele! Queste sono tante frecce lesive alla carità. Parlo a voi, fedeli, apertamente, perché fra voi non sono i traditori, né i saturi di preconcetti che separano, che si mutano in incomprensione, in caparbietà, in odio per Me che vi indico le vie del futuro. Io non posso parlare diversamente. E d’ora in poi parlerò più poco, perché vedo che inutili o quasi sono le parole. Ne avete avute da santificarvi e ammaestrarvi in maniera perfetta. Ma poco avete proceduto, specie voi, uomini fratelli, perché vi piace la parola ma non la mettete in atto. D’ora in poi, e con misura sempre più stringente, vi farò fare ciò che dovrete fare quando il Maestro sarà tornato al Cielo dal quale è venuto. Vi farò assistere a ciò che è il Sacerdote futuro. Più che le parole, osservate i miei atti, ripeteteli, imparateli, uniteli all’insegnamento. Allora diverrete discepoli perfetti.
   Che ha fatto e che vi ha fatto fare e praticare oggi il Maestro? La carità nelle sue multiformi forme. La carità verso Dio. Non la carità di preghiera, vocale, di rito soltanto. Ma la carità attiva, che rinnovella nel Signore, che spoglia dallo spirito del mondo, dalle eresie del paganesimo, il quale non è solo nei pagani, ma che è anche in Israele con le mille consuetudini che si sono sostituite alla vera Religione, santa, aperta, semplice come tutto ciò che da Dio viene. Non atti buoni, o apparentemente tali, per essere lodati dagli uomini, ma azioni sante per meritare la lode di Dio.
   Chi è nato muore. Lo sapete. Ma non finisce la vita con la morte. Essa prosegue in altra forma e per l’eternità con un premio a chi fu giusto, con un castigo a chi fu malvagio. Questo pensiero di certo giudizio non sia paralisi durante il vivere e nell’ora del morire. Ma sia pungolo e freno, pungolo che sprona al bene, freno che trattiene da male passioni. Siate perciò veramente amanti del Dio vero, agendo nella vita sempre col fine di meritarlo nella vita futura.
   O voi che amate le grandezze, quale grandezza più grande di divenire figli di Dio, dèi perciò? O voi che temete il dolore, quale sicurezza di non più soffrire, quale quella che vi attende nel Cielo? Siate santi. Volete fondare un regno anche sulla Terra? Vi sentite insidiati e temete non riuscirvi? Se agirete da santi riuscirete. Perché la stessa autorità che ci domina non potrà impedirlo, nonostante le sue coorti, perché voi persuaderete le coorti a seguire la dottrina santa così come Io, senza violenza, ho persuaso le donne di Roma che qui è Verità…».
   «Signore!…», esclamano le romane vedendosi scoperte.
   «Sì, donne.

   371.7­Ascoltate e ricordate. Io dico ai miei seguaci d’Israele, Io dico a voi, non d’Israele ma di animo giusto, lo statuto del Regno mio.
   Non rivolte. Non servono. Santificare l’autorità impregnandola della nostra santità. Sarà un lungo lavoro, ma sarà vittorioso. Con mitezza e pazienza, senza frette stolte, senza deviazioni umane, senza rivolte inutili, ubbidendo là dove l’ubbidire non nuoce alla propria anima, voi perverrete a fare dell’autorità, che ora ci domina paganamente, una autorità protettrice e cristiana. Fate il vostro dovere di sudditi verso l’autorità, come fate quello di fedeli verso Dio. Vogliate vedere in ogni autorità non un oppressore ma un elevatore, perché vi dà il modo di santificarlo e di santificarvi con l’esempio e l’eroismo.
   Vogliate essere, come siete buoni fedeli e buoni cittadini, dei buoni mariti, delle buone mogli, santi, casti, ubbidienti, amorosi l’un dell’altro, uniti per allevare i figli nel Signore, per essere paterni e materni anche coi servi e con gli schiavi, che essi pure hanno anima e carne, sentimenti e affetti come voi li avete. Se la morte vi leva il compagno o la compagna, non siate, potendolo, vogliosi di nuove nozze. Amate gli orfani anche per il compagno scomparso. E voi, servi, siate sommessi ai padroni, e se sono imperfetti santificateli col vostro esempio. Grande merito ne avrete agli occhi del Signore. In futuro nel mio Nome non saranno più padroni e servi, ma fratelli. Non saranno più razze, ma fratelli. Non saranno più oppressi e oppressori che si odiano, perché gli oppressi chiameranno fratelli i loro oppressori.
   Amatevi voi di una fede, dando l’un l’altro aiuto così come oggi vi ho fatto fare. Ma non limitate l’aiuto ai poveri, ai pellegrini, ai malati della vostra razza. Aprite le braccia a tutti, così come la Misericordia le apre a voi. Chi più ha, dia a chi non ha o ha poco. Chi più sa, insegni a chi non sa o sa poco, e insegni con pazienza e umiltà, ricordando che, in verità, prima della mia istruzione nulla sapevate. Ricercate la Sapienza non per lustro, ma per aiuto nel procedere nelle vie del Signore.
   Le donne maritate amino le vergini, e queste le coniugate, e ambe diano affetto alle vedove. Tutte siete utili nel Regno del Signore. I poveri non invidino, i ricchi non creino odi con la mostra di ricchezze e la durezza di cuore. Abbiate cura degli orfani, dei malati, dei senza dimora. Aprite il cuore prima ancora della borsa e della casa, perché se anche date, ma con mal garbo, non fate onore ma offesa a Dio che è presente in ogni infelice.
   In verità, in verità vi dico che non è difficile servire il Signore. Basta amare. Amare il Dio vero, amare il prossimo quale che sia. In ogni ferita o febbre che curerete Io sarò. In ogni sventura che soccorrerete Io sarò. E tutto quello che farete a Me nel prossimo, se è bene, sarà a Me fatto; se male, anche a Me sarà fatto. Volete farmi soffrire? Volete perdere il Regno di pace, il divenire dèi, soltanto per non esser buoni col prossimo vostro?

   371.8Mai più saremo tutti così uniti. Verranno altre Pasque… e non potremo essere insieme per molte cause; le prime: quelle di una prudenza santa in parte e in parte eccessiva, ed ogni eccesso è colpa, per cui dovremo stare divisi; le altre Pasque ancora perché Io non sarò più fra voi… Ma ricordate questa giornata. Fate in futuro, e non per la sola Pasqua ma per sempre, ciò che vi ho fatto fare.
   Non vi ho mai lusingato sulla facilità di appartenermi. Appartenermi vuol dire vivere nella Luce e Verità, ma mangiare anche il pane della lotta e delle persecuzioni. Ora, però, più voi sarete forti nell’amore e più sarete forti nella lotta e nella persecuzione.
   Credete in Me. Per quello che sono realmente: Gesù Cristo, il Salvatore, il cui Regno non è di questo mondo, la cui venuta indica pace ai buoni, il cui possesso vuol dire conoscere e possedere Dio, perché veramente chi ha Me in sé ed ha se stesso in Me è in Dio, e possiede Dio nel suo spirito per averlo poi nel Regno celeste in eterno.
   La notte è discesa. Domani è Parasceve. Andate. Purificatevi, meditate, compite una Pasqua santa.
   Donne di altra razza, ma di retto spirito, andate. La buona volontà che vi anima vi sia via per venire alla Luce. In nome dei poveri che sono Me stesso, Io vi benedico per l’obolo generoso e vi benedico per le vostre buone intenzioni verso l’Uomo che è venuto a portare amore e pace sulla Terra. Andate! E tu, Giovanna, e quanti altri non temono più insidie, andate pure».

   371.9­Un brusio di stupore scorre l’assemblea mentre le romane — riposte le tavolette cerate, che Flavia ha scritto mentre Gesù parlava, in una borsa — ridotte a sei, perché Egla resta presso Maria di Magdala, escono dopo un saluto collettivo. Tanto è lo stupore che nessuno dei presenti, meno Giovanna, Gionata e i servi di Giovanna che portano in braccio i piccoli dormenti, si muove. Ma quando il rumore cupo del portone che si chiude dice che le romane sono partite, un clamore succede al brusio.
   «Ma chi sono?».
   «Come fra noi?».
   «Che hanno fatto?».
   E su tutti grida Giuda: «Come sai, Signore, dell’obolo opimo che mi hanno dato?».
   Gesù seda il tumulto col gesto e dice: «Claudia e le sue dame sono. E mentre le alte dame di Israele, tementi l’ira dei consorti, o con lo stesso pensiero e cuore dei consorti, non osano divenire le mie seguaci, le sprezzate pagane, con astuzie sante, sanno venire ad apprendere la Dottrina che, anche se accettata per ora umanamente, è sempre elevatrice… E questa fanciulla, già schiava, ma di razza giudea, è il fiore che Claudia offre alle schiere di Cristo, rendendola alla libertà e dandola alla fede di Cristo. Riguardo a sapere dell’obolo… oh! Giuda! Tutti meno te potrebbero farmi questa domanda! Tu sai che Io vedo nei cuo­ri».
   «Allora vedrai che ho detto il vero dicendo che c’era insidia e che io l’ho sventata andando a far parlare… esseri colpe­vo­li?».
   «È vero».
   «Dillo allora ben forte, che mia madre lo senta… Madre, un ragazzo sono, ma non un ribaldo… Madre, facciamo la pace. Comprendiamoci, amiamoci, uniti nel servizio a Gesù nostro».
   E Giuda va umile e amoroso ad abbracciare la madre che dice: «Sì, figliuolo! Sì, Giuda mio! Buono! Buono! Sempre buono sii, o mia creatura! Per te, per il Signore! Per la tua povera mamma!».

   371.10­Intanto la sala è piena di agitazioni e commenti, e molti definiscono imprudente l’avere accolto le romane e rimproverano Gesù.
   Giuda sente. Lascia la madre e accorre in difesa del Maestro. Racconta il suo colloquio con Claudia e termina: «Non è spregevole aiuto. Anche senza averla ricevuta avanti fra noi, non abbiamo evitato persecuzione. Lasciamola fare. E, ricordatevelo bene, è meglio tacere con chicchessia. Pensate che, se è pericoloso per il Maestro, non lo è di meno per noi essere amici di pagani. Il Sinedrio che, in fondo, è trattenuto da paura verso Gesù per un superstite timore di alzare la mano sull’Unto di Dio, non avrebbe tanti scrupoli ad ammazzarci come cani, noi che siamo poveri uomini qualunque. In luogo di fare quelle facce scandalizzate, ricordate che poco fa eravate come tante passere spaurite, e benedite il Signore di aiutarci, con mezzi impensati, illegali se volete, ma tanto forti, a fondare il Regno del Messia. Tutto potremo se Roma ci difende! Oh! io non temo più! Grande giorno è oggi! Più che per tutte le altre cose, per questa… Ah! quando Tu sarai il Capo! Che potere dolce, forte, benedetto! Che pace! Che giustizia! Il Regno forte e benevolo del Giusto! E il mondo che viene lentamente ad esso!… Le profezie che si avverano! Turbe, nazioni… il mondo ai tuoi piedi! Oh! Maestro! Maestro mio! Tu Re, noi tuoi ministri… In Terra pace, in Cielo gloria… Gesù Cristo di Nazaret, Re della stirpe di Davide, Messia Salvatore, io ti saluto e ti adoro!»; e Giuda, che pare rapito in un’estasi, termina prostrandosi: «In Terra, in Cielo e fino negli Inferni è noto il tuo Nome, è infinito il tuo potere. Quale forza può resisterti, o Agnello e Leone, Sacerdote e Re, Santo, Santo, Santo?»; e resta curvo fino a terra nella sala che è muta di stupore.