MARIA
VALTORTA

Voglio che le anime possano bere alla Fonte vitale della mia parola

"Quando la Chiesa - e per tale alludo ora alla riunione degli alti dignitari di Essa - agì secondo i dettami della mia Legge e del mio Vangelo, la Chiesa conobbe tempi fulgidi di fulgore. Ma guai quando, anteponendo gli interessi della Terra a quelli del Cielo, inquinò Se stessa con passioni umane! Tre volte guai quando adorò la Bestia di cui parla Giovanni, ossia la Potenza politica, e se ne fece asservire..." (Qd 12 dicembre 1943)

OPERA MAGGIORE

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VOLUME VI CAPITOLO 372



CCCLXXII. Giorno di Parasceve. Uno scampato pericolo e il coraggio di Maria di Magdala.

   30 gennaio 1946.

   372.1­Il palazzo di Lazzaro, tramutato in dormitorio per quella notte, mostra corpi d’uomini dormienti sparsi per ogni dove. Le donne non si vedono. Forse sono state condotte nelle stanze superiori. L’alba chiara inalba lentamente la città, penetra nei cortili del palazzo, desta i primi cinguettii timidi fra il fogliame degli alberi, messi a fare ombria in essi, e i primi tubamenti dei colombi che dormono nell’incassatura del cornicione. Ma gli uomini non si destano. Stanchi e sazi di cibo e di emozioni, dormono e sognano…
   Gesù esce senza rumore nel vestibolo e da esso passa nel cortile d’onore. Si lava ad una fonte chiara che canta al centro di esso, fra un quadrato di mortella al cui piede sono dei piccoli gigli molto simili ai cosiddetti mughetti francesi. Si ravvia e, sempre senza fare rumore, torna là dove è la scala che porta ai piani superiori e alla terrazza sulla casa. Sale sino lassù, a pregare, a meditare…
   Passeggia lentamente avanti e indietro, e gli unici che lo vedono sono i colombi che, allungando il collo e sgrugolando, sembra si chiedano l’un l’altro: «Chi è costui?». Poi si appoggia al muretto e sta raccolto in Se stesso, immobile. Infine alza il capo, forse richiamato dal primo apparire del sole che si alza da dietro i colli che celano Betania e la valle del Giordano, e guarda il panorama che è ai suoi piedi.

   372.2­Il palazzo di Lazzaro è certo su una delle tante elevazioni del suolo che fanno delle vie di Gerusalemme un sali e scendi continuo, specie nelle meno belle. Quasi al centro della città, ma lievemente spinto verso sud ovest. Collocato su una bella strada che sfocia sul Sisto, formando con essa un T, domina la città bassa, avendo di fronte Bezeta, Moria e Ofel, e dietro ad essi la catena dell’Uliveto; sul dietro, e già appartenente al posto dove sorge[18], il monte Sion, mentre ai due fianchi l’occhio spazia a sud verso i colli meridionali, mentre al nord Bezeta nasconde molta parte di panorama. Ma, oltre la valle di Gihon, la testa calva del Golgota emerge giallastra nella luce rosea dell’aurora, lugubre sempre anche in questa luce lieta.
   Gesù la guarda… Il suo sguardo, benché più virile e più pensoso, mi ricorda quello della lontana visione di Gesù dodicenne nella visione della disputa coi dottori. Ma ora, come allora, non è uno sguardo di terrore. No. È un dignitoso sguardo di eroe che guarda il suo campo di estrema battaglia.
   Poi si volta a guardare i colli a meridione della città e dice: «La casa di Caifa!», e con lo sguardo segna come tutto un itinerario da quel punto al Getsemani, e poi al Tempio, e poi ancora guarda oltre la cinta della città, verso il Calvario…
   Il sole intanto è sorto del tutto e la città si accende di luce…

   372.3­Al portone del palazzo, dei colpi vigorosi vengono dati senza mettere sosta fra l’uno e l’altro. Gesù si sporge per vedere, ma il cornicione molto sporgente, mentre il portone è molto rientrante nelle pareti massicce, gli impediscono di vedere chi bussa. In compenso sente subito il vocìo dei dormenti che si destano, mentre il portone, aperto da Levi, viene richiuso con fragore. E poi sente il suo Nome gridato da tante voci di uomo e di donna… Si affretta a scendere dicendo: «Eccomi. Che volete?».
   Coloro che lo chiamavano, non appena lo sentono, prendono d’assalto la scala salendo di corsa e vociando. Sono gli apostoli e i discepoli più antichi, e fra mezzo a loro è Giona, il conduttore del Getsemani. Parlano tutt’insieme e non si capisce nulla.
   Gesù deve imporre con violenza che si fermino dove sono e facciano silenzio, per poterli calmare. Li raggiunge dicendo subito: «Che avviene?».
   Altro subbuglio fragoroso, inutile perché incomprensibile. Dietro agli urlanti si affacciano volti mesti o stupefatti di donne e di discepoli…
   «Parli uno per volta. Tu, Pietro, per primo».
   «È venuto Giona… Ha detto che erano in tanti e che ti hanno cercato da per tutto. Lui è stato male tutta la notte, e poi all’apertura delle porte è andato da Giovanna e ha saputo che eri qui. Ma come facciamo? La Pasqua la dobbiamo pur fare!».
   Giona del Getsemani rinforza la notizia dicendo: «Sì, mi hanno anche maltrattato. Io ho detto che non sapevo dove eri, che forse non tornavi. Ma hanno visto le vostre vesti e hanno capito che tornate al Getsemani. Non mi fare del male, Maestro! Io ti ho sempre ospitato con amore, e questa notte ho patito per Te. Ma… ma…».
   «Non avere paura! Non ti metterò più in pericolo d’ora in poi. Non sosterò più in casa tua. Mi limiterò a venire di passaggio, nella notte, a pregare… Non me lo puoi vietare…». Gesù è dolcissimo verso lo spaurito Giona del Getsemani.

   372.4­Ma la voce d’oro di Maria di Magdala prorompe veemente: «Da quando, o uomo, ti dimentichi che sei servo e che la condiscendenza nostra ti fa usare modi da padrone? Di chi la casa e l’uliveto? Solo noi possiamo dire al Rabbi: “Non andare a fare danno ai nostri beni”. Ma non lo diciamo. Perché sommo bene sempre sarebbe se anche per cercare Lui i nemici del Cristo distruggessero piante, mura, e persino facessero franare le balze. Perché tutto sarebbe distrutto per avere ospitato l’Amore, e l’Amore darebbe amore a noi suoi fedeli amici. Ma vengano! Distruggano! Calpestino! E che fa? Basta che Egli ci ami e sia illeso!».
   Giona è preso fra la paura dei nemici e quella dell’ardente padrona, e mormora: «E se mi fanno del male al figlio?…».
   Gesù lo conforta: «Non temere, ti dico. Non sosterò più. Puoi dire a chi te lo chiede che il Maestro non abita più al Getsemani… No, Maria! Così è bene fare. E lasciami fare! Io ti sono grato della tua generosità… Ma non è la mia ora, non è ancora la mia ora! Suppongo fossero farisei…».
   «E sinedristi, e erodiani, e sadducei… e soldati di Erode… e… tutti… tutti… Non mi levo il tremito della paura… Però lo vedi, Signore? Sono corso ad avvisarti… da Giovanna… poi qui…». L’uomo ci tiene a far notare che a rischio della sua pace ha fatto il suo dovere verso il Maestro.
   Gesù sorride con compatimento e bontà e dice: «Lo vedo! Lo vedo! Dio te ne compensi. Ora va’ in pace a casa tua. Ti manderò a dire dove mandare le borse, o manderò a ritirarle Io stesso».
   L’uomo se ne va, e nessuno, meno Gesù e Maria Ss., lo risparmia di rimproveri o scherni. Salato è quello di Pietro, salatissimo quello dell’Iscariota, ironico quello di Bartolomeo, Giuda Taddeo non parla ma lo guarda in un tal modo! E il mormorio e gli sguardi di rimprovero lo accompagnano anche fra le file delle donne, terminando nel razzo finale di Maria di Magdala, la quale all’inchino del servo-contadino risponde: «Riferirò a Lazzaro che per il convito di festa venga a procurarsi polli ben ingrassati nelle terre del Getsemani».
   «Non ho pollaio, padrona».
   «Tu, Marco e Maria: tre magnifici capponi!».
   Ridono tutti per l’uscita inquieta e… significativa di Maria di Lazzaro, che è furente di vedere la paura nei suoi dipendenti e per il disagio del Maestro, privato del quieto nido del Getsemani.
   «Non ti inquietare, Maria! Pace! Pace! Non tutti hanno il tuo cuore!».
   «Oh! no, purtroppo! Avessero tutti il mio cuore, Rabboni! Neppure le lance e le frecce a me dirette mi farebbero separare da Te!».
   Un mormorio fra gli uomini… Maria lo raccoglie e risponde pronta: «Sì. Lo vedremo! E speriamo presto, se questo può servire a insegnarvi il coraggio. Niente mi farà paura se io posso servire il mio Rabbi! Servire! Sì! Servire! E si serve nelle ore pericolose, fratelli! Nelle altre… Oh! nelle altre non è servire! È godere!… E il Messia non va seguito per godere!».
   Gli uomini chinano il capo, punti da queste verità.

   372.5­Maria fende le file e viene di fronte a Gesù. «Che decidi, Maestro? È Parasceve[19]. Dove la tua Pasqua? Ordina… e, se tanto ho trovato grazia presso di Te, concedimi di offrirti un mio cenacolo, di pensare a tutto…».
   «Grazia hai trovato presso il Padre dei Cieli, grazia perciò presso il Figlio del Padre al quale è sacro ogni movimento del Padre. Ma se accetterò il cenacolo, lascia che al Tempio, a sacrificare l’agnello, vada Io, da buon israelita…».
   «E se ti prendono?», dicono in molti.
   «Non mi prenderanno. Nella notte, nell’oscurità, come usano i ribaldi, possono osarlo. Ma in mezzo alle turbe che mi venerano, no. Non diventatemi vili!…».
   «Oh! poi ora c’è Claudia!», grida Giuda. «Il Re e il Regno non sono più in pericolo!…».
   «Giuda, te ne prego! Non farli crollare in te! In te non insidiarli. Il mio Regno non è di questo mondo. Io non sono un re come quelli che sono sui troni. Il mio Regno è dello spirito. Se tu lo avvilisci alla meschinità di un regno umano, tu in te lo insidi e lo fai crollare».
   «Ma Claudia!…».
   «Ma Claudia è una pagana. Non può perciò sapere il valore dello spirito. Molto è se intuisce e appoggia Colui che per lei è un Saggio… Molti in Israele neppure come saggio mi giudicano!… Ma tu non sei pagano, amico mio! Il provvidenziale tuo incontro con Claudia non fare che ti si volga in danno, così come non fare che ogni dono di Dio per raffermare la tua fede e la tua volontà di servire il Signore ti divenga sciagura spiri­tua­le».
   «E come lo potrebbe, mio Signore?».
   «Facilmente. Non in te soltanto. Se un dono dato per soccorrere la debolezza dell’uomo, in luogo di fortificarlo e sempre più farlo voglioso di bene soprannaturale, o anche semplicemente morale, servisse ad appesantirlo di appetiti umani e a trarlo lontano dalla via retta, su vie in discesa, allora il dono diverrebbe danno. Basta la superbia a fare di un dono un danno. Basta il disorientamento provocato da una cosa che esalta, per cui si perde di mira il Fine supremo e buono, per fare di un dono un danno. Ne sei persuaso? La venuta di Claudia deve darti solo la forza di una considerazione. Questa: che se una pagana ha sentito la grandezza della mia dottrina e la necessità che essa trionfi, tu, e con te tutti i discepoli, con ancora più grande potenza dovete sentire tutto ciò e, di conseguenza, darvi tutti a ciò. Ma sempre spiritualmente. Sempre…

   372.6Ed ora decidiamo. Dove dite essere bene consumare la Pasqua? Voglio che siate in pace di spirito per questa Cena di rito, per sentire Dio che non si sente nel turbamento. Siamo molti. Ma mi sarebbe dolce stare tutti insieme per potervi far dire: “Consumammo una Pasqua con Lui”. Scegliete dunque un luogo dove, suddividendoci secondo il rituale, di modo da formare gruppi sufficienti a consumare ognuno il proprio agnello, si possa però dire: “Eravamo uniti, e l’uno sentiva la voce dell’altro fratello”».
   Chi nomina questo e chi quel luogo.
   Ma le sorelle di Lazzaro la vincono. «Oh! Signore! Qui! Manderemo a prendere il fratello nostro. Qui! Molte sono le sale e le stanze. Saremo insieme, e secondo il rito. Accetta, Signore! Il palazzo ha stanze atte per almeno duecento persone divise per gruppi di venti. E tanti non siamo. Fàcci liete, Signore! Per Lazzaro nostro così triste… così malato…». Le due sorelle piangono, finendo: «…che non si può pensare che mangi un’altra Pasqua…».
   «Che dite? Che pensate concedere alle sorelle buone?», dice Gesù interpellando tutti.
   «Io direi che sì», dice Pietro.
   «Io pure», dice l’Iscariota e molti altri.
   Chi non parla, assente.
   «Provvedete, allora. E noi andiamo al Tempio, a mostrare che chi è sicuro di ubbidire all’Altissimo non ha paura e non è vile. Andiamo. A chi resta, la mia pace».
   E Gesù scende il resto di scala, traversa il vestibolo ed esce coi discepoli nella via piena di folla.

[18] dove sorge sottintende, come soggetto,il palazzo di Lazzaro.
[19] Parasceve era la preparazione che si faceva prima dell’inizio del sabato, du­rante il quale erano proibite tutte le attività, compresa quella di preparare il cibo. L’opera valtortiana, concordando con Marco 15, 42, dà il nome d iparasceve al giorno che precedeva il sabato (per esempio in 609.34); ma spesso, per far capire meglio (come diremo in nota a 591.6), lo chiamavenerdì (come in 93.3, in 174.17 e in altri punti). Poteva anche essere giorno di mercato, come è detto in 83.3.