MARIA
VALTORTA

Voglio che le anime possano bere alla Fonte vitale della mia parola

"Quando la Chiesa - e per tale alludo ora alla riunione degli alti dignitari di Essa - agì secondo i dettami della mia Legge e del mio Vangelo, la Chiesa conobbe tempi fulgidi di fulgore. Ma guai quando, anteponendo gli interessi della Terra a quelli del Cielo, inquinò Se stessa con passioni umane! Tre volte guai quando adorò la Bestia di cui parla Giovanni, ossia la Potenza politica, e se ne fece asservire..." (Qd 12 dicembre 1943)

OPERA MAGGIORE

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VOLUME VI CAPITOLO 374



CCCLXXIV. Giorno di Parasceve. Per le vie di Gerusalemme a nel sobborgo di Ofel.

   2 febbraio 1946.

   374.1­Escono dal Tempio, brulicante di folla, per immergersi nel brulichio delle vie dove tutti corrono, indaffarati negli ultimi preparativi pasquali, e i ritardatari cercano affannosamente una stanza, un vestibolo, un purché sia, per mutarlo in cenacolo per consumarvi l’agnello.
   È facile così incontrarsi, ed è facile anche non riconoscersi, nel pigia pigia continuamente agitato che fa passare sotto gli occhi volti di tutte le età, di tutte le regioni dove sono israeliti, e dove il sangue puro di Israele ha contratto, per mescolanze di sangue o anche semplicemente per mimetismo, somiglianze con altre razze. Cosicché si vedono ebrei che sembrano egiziani e anche che, per i labbri sporgenti, i nasi camusi e l’angolo facciale, sembrano incroci coi nubiani; altri che per i visi taglienti, minuti, le membra snelle, gli sguardi arguti, denunciano di essere delle colonie greche, o mescolanze con greci; mentre dei robusti e alti uomini, dal viso piuttosto squadrato, parlano chiaramente di essere non del tutto estranei coi latini; e ve ne sono anche molti che noi moderni diremmo circassi o persiani, con già un ricordo di occhi mongolici o indiani nei visi bianchissimi dei primi, nei visi olivastri dei secondi. Un bel caleidoscopio di volti e di vesti! L’occhio ne resta stanco, tanto che è facile finisca a guardare senza vedere. Ma ciò che sfugge a uno viene notato dall’altro. È dunque comprensibile che ciò che sfugge al Maestro, sempre un poco assorto in Se stesso quando lo lasciano in pace, senza interrogarlo, è notato da questo o quello di chi è con Lui. E gli apostoli, i più vicini a Gesù, si indicano ciò che vedono e parlottano fra di loro con commenti… molto umani per le persone indicate.

   374.2Uno di questi commenti salati, su un ex discepolo che passa con sussiego fingendo di non vederli, viene afferrato da Gesù: «A chi dite quelle parole?», interroga.
   «A quel barbagianni là», accenna Giacomo di Zebedeo. «Ha finto di non vederci, e non è il solo a fare così. Però quando Tu lo dovevi guarire e ti cercava, allora sapeva vederci! Gli venga la pustola maligna!».
   «Giacomo!! Con questi sentimenti sei al mio fianco e ti prepari a consumare l’agnello? In verità tu sei più incoerente di lui. Lui si è separato con franchezza quando ha sentito di non poter fare ciò che dicevo. Tu resti, ma non fai ciò che Io dico. Non sei forse più peccatore di lui?».
   Giacomo diventa rosso fino alla congestione e si ritira dietro ai compagni, mortificato.
   «È che fa male vederli fare così, Maestro!», dice Giovanni per aiutare il fratello che è stato rimproverato. «Il nostro amore si ribella a vedere il loro disamore…».
   «Già. Ma credete di portarli all’amore facendo così? Sgarbi, male parole, insulti, non hanno mai portato al punto dove si vorrebbe portare un rivale o uno di altro pensiero. È la dolcezza, la pazienza, la carità, perseveranti nonostante ogni ripulsa, che finiscono ad ottenere. Io capisco e compatisco il vostro cuore che soffre nel non vedermi amato. Ma vorrei sapervi, vedervi più soprannaturali negli atti e nei mezzi per farmi amare. Suvvia, Giacomo, vieni qui. Non è per mortificarti che ho parlato. Comprendiamoci, amiamoci almeno fra di noi, amici miei… C’è già tanta incomprensione e dolore per il Figlio dell’uomo!».
   Giacomo, rasserenato, gli torna al fianco.

   374.3Camminano qualche tempo in silenzio, poi Tommaso esplode in una tonante esclamazione: «Però è proprio una vergo­gna!».
   «Che cosa?», chiede Gesù.
   «Ma la viltà di tanti! Maestro, non vedi in quanti fingono di non conoscerti?».
   «E che perciò? Muterà un iota di ciò che è scritto di Me il loro modo di fare? No. Solo per loro si muta ciò che potrebbe essere scritto. Perché nei libri eterni poteva essere detto di loro: “I discepoli buoni”, mentre si scriverà: “Coloro che non furono buoni, coloro per i quali fu nulla la venuta del Messia”. Parola tremenda, sapete? Peggiore a quella di : “Adamo, con Eva, peccò”. Perché Io posso annullare quel peccato. Ma non potrò annullare questo di rinnegare il Verbo Salvatore…

   374.4Pieghiamo da questa parte. Io mi fermerò coi fratelli, con Simon Pietro e Giacomo nel sobborgo di Ofel. Giuda di Simone rimarrà pure. Ma Simone Zelote, Giovanni e Tommaso andranno al Getsemani a prendere le borse…».
   «Sì, così Giona inghiottirà per dritto il suo agnello», dice ancora inquieto Pietro. Gli altri ridono…
   «Buono, buono! Non ti stupire se ha paura. Domani potresti averla tu».
   «Io, Maestro? È più facile che il mar di Galilea si muti in vino che non io avere paura», asserisce sicuro Pietro.
   «Eppure… l’altra sera… Oh! Simone! Non parevi molto coraggioso sulle scale del palazzo di Cusa», morde Giuda di Keriot, senza molta ironia ma… con sempre sufficiente sarcasmo, capace di pungere Pietro.
   «È perché… temevo per il Signore che ero agitato, io! Non per altro».
   «Bene! Bene! Auguriamoci di non avere mai… paura per non fare brutte figure, eh!», risponde Giuda di Keriot battendogli una mano sulla spalla, protettore e maligno… In altri momenti il suo modo di fare avrebbe scatenato una reazione. Ma Pietro, dalla sera avanti, è in stato di… ammirazione per Giuda e lo sopporta in tutto.
   Gesù dice: «Filippo e Natanaele con Andrea e Matteo vadano al palazzo di Lazzaro, a dire che stiamo venendo».
   Si separano questi ultimi, e gli altri procedono con Gesù. I discepoli, meno Stefano e Isacco, vanno con gli apostoli mandati al palazzo.
   Al sobborgo di Ofel nuova separazione. Quelli inviati al Getsemani vanno lesti insieme a Isacco. Stefano resta con Gesù, i figli di Alfeo, Pietro, Giacomo e l’Iscariota, e per non stare fermi al crocicchio vanno lentamente nella stessa direzione di quelli andati al Getsemani. Fanno proprio la stradetta che nella notte del giovedì santo sarà percorsa da Gesù fra i suoi torturatori. Ora, sul mezzodì, è vuota di popolo. Una piccola piazzetta, con una fonte ombreggiata da un fico che apre le foglie tenerelle sullo specchio dell’acqua cheta, si trova dopo pochi passi.

   374.5­­«Ecco là Samuele di Annalia», dice Giacomo d’Alfeo che lo deve conoscere bene. Il giovane sta per entrare in casa con l’agnello… È carico anche di altre cibarie.
   «Provvede alla cena pasquale anche per il parente», osserva Giuda di Alfeo.
   «Ma ora si è stabilito qui? Non era via?», dice Pietro.
   «Sì. Si è stabilito qui. Si dice che amoreggi con la figlia di Cleofa il sandalaio. È denarosa…».
   «Ah! e allora perché dice che Annalia lo ha abbandonato?», chiede l’Iscariota. «Ciò è menzogna!».
   «L’uomo di essa si serve con facilità. E non sa che così facendo si mette sulla via del male. Basta il primo passo, un passo, per non potersi poi più liberare… È un vischio… è un labirinto… è una trappola. Una trappola in discesa…», dice Gesù a Giuda di Keriot.
   «Peccato! L’uomo pareva così buono lo scorso anno!», dice Giacomo di Zebedeo.
   «Sì. Io credevo proprio che avrebbe imitato la sposa nel darsi tutto a Te e fare una coppia di sposi angeli e tuoi servi. Ci avrei giurato!…», dice Pietro.
   «Simone mio! Non giurare mai sul futuro di un uomo. È la cosa più incerta che ci sia. Nessun elemento, presente al momento del giuramento, può essere mallevadoria di sicuro giuramento. Ci sono delinquenti che diventano santi, e ci sono giusti, o dall’apparenza di giusti, che divengono delinquenti», gli risponde Gesù.

   374.6­Samuele, intanto, dopo essere entrato in casa, ne è uscito di nuovo per andare ad attingere alla fonte acqua pura… Vede così Gesù. Lo guarda con palese sprezzo e lancia un insulto di certo, ma è detto in ebraico e non lo capisco.
   L’Iscariota si getta in avanti di scatto, lo prende per un braccio, scrollandolo come una pianta dalla quale si vuole far cadere le frutta mature: «Così parli al Maestro, o peccatore? Giù, in ginocchio! Subito. Chiedigli perdono, lingua sporca di lordura di porco! Giù! O ti spezzo!». È terribile nella violenza subitanea il bel Giuda! Il suo viso si altera paurosamente. Inutilmente Gesù cerca di calmarlo. Finché non vede inginocchiato nella terra fangosa che è intorno alla fonte il bestemmiatore, non rallenta la pressione.
   «Perdono», dice fra i denti il malcapitato, che deve essere torturato dalla tenaglia delle dita di Giuda. Ma lo dice male. Proprio perché vi è forzato.
   Gesù risponde: «Non ho rancore. Tu sì, nonostante quello che dici. La parola è inutile se è scompagnata dal moto del cuore. Tu nel cuore mi bestemmi ancora. E con doppia colpa. Perché mi accusi e mi odi per un motivo che la tua coscienza, nel suo profondo, ti dice non vero. E perché tu, tu solo sei quello che ha mancato, non Annalia, non Io. Ma di tutto ti perdono. Va’ e fa’ di tornare onesto e gradito a Dio. Lascialo, Giuda».
   «Vado. Ma ti odio! Mi hai traviato Annalia, e ti odio…».
   «Ti consoli però con Rebecca, figlia del sandalaio. E te ne consoli da quando ancora Annalia ti era sposa e, malata, pensava a te solo…».
   «Ero vedovo… pensavo di esserlo già… e mi cercavo moglie… Ora sono tornato a Rebecca perché… perché… Annalia non mi vuole», si scusa Samuele che si vede scoperto nelle sue marachelle.
   Giuda Iscariota termina: «…e perché Rebecca è molto ricca. Brutta come un sandalo scalcagnato… e vecchia come una suola perduta su un sentiero… ma ricca, oh! ricca!…», e ride sarcastico mentre l’altro fugge.
   «Come lo sai?», chiede Pietro.
   «Oh!… è facile sapere dove sono vergini e denari!».
   «Bene! Andiamo per la stradetta, Maestro? Questa piazza è un forno da pane. Là c’è ombra e ventilazione», supplica Pietro che suda.

   374.7­Vanno, adagio, in attesa degli altri di ritorno. La stradetta è deserta. Una donna si stacca da una porta e viene a prostrarsi ai piedi di Gesù piangendo.
   «Che hai?».
   «Maestro!… Ti sei già purificato?».
   «Sì. Perché lo chiedi?».
   «Perché volevo dirti… Ma non lo puoi avvicinare. È tutto un marciume… Il medico lo dice infetto. Dopo la Pasqua chiamerò il sacerdote… e… e Hinnon lo accoglierà. Non mi dire colpevole. Io non lo sapevo… Ha lavorato a Joppe per molti mesi e mi è tornato così, dicendo che si era ferito. Ho usato i balsami e i lavaggi con gli aromi… Ma non giovavano. Ho interrogato un semplicista. Mi ha dato polveri per il sangue… Ho separato i figli… ho separato il letto… perché… cominciavo a capire. È peggiorato. Ho chiamato il medico. Mi ha detto: “Donna, tu sai il tuo dovere e io il mio. Ciò è ferita di lussuria. Recidilo da te. Io lo reciderò dal popolo. Il sacerdote da Israele. Doveva pensarci quando offendeva Dio, te e se stesso. Ora espii”. Ho ottenuto il silenzio suo fino al dì dopo gli Azzimi. Ma se Tu avessi pietà del peccatore, e di me che l’amo ancora, e dei cinque figli innocenti…».
   «Che vuoi che Io ti faccia? Non pensi che chi peccò è giusto che espii?».
   «Sì, o Signore! Ma Tu sei la Misericordia vivente!». Tutta la fede di cui una donna è capace è nella voce, nello sguardo, nell’atto della donna inginocchiata, a braccia protese verso il Salvatore.
   «Ed egli che ha in cuore?».
   «Avvilimento… Che vuoi altro che abbia, o Signore?».
   «Basterebbe un movimento soprannaturale di pentimento, di giustizia, per ottenere pietà…».
   «Giustizia?».
   «Sì. Dire: “Ho peccato. La colpa mia merita questo e ben altro, ma a coloro che ho offeso chiedo pietà”».
   «Io gliel’ho già data. Tu, Dio, dagliela. Non posso dirti: entra… Vedi che non ti tocco neppure io…

   374.8Ma se vuoi lo chiamo e dal terrazzo lo faccio parlare».
   «Sì».
   La donna, con la testa dentro l’uscio di casa, chiama forte: «Giacobbe! Giacobbe! Sali sul tetto. Affacciati. Non temere».
   L’uomo, dopo qualche momento, si mostra al parapetto del terrazzo. Un viso giallastro, gonfio, la gola fasciata, una mano fasciata… un rudere d’uomo corrotto… Guarda con gli occhi acquosi del malato di ignobili malattie. Chiede: «Chi mi vuole?».
   «Giacobbe, c’è il Salvatore!…». La donna non dice di più, ma pare voglia ipnotizzare il malato, trasfondergli il suo pensiero…
   L’uomo, sia che senta questo pensiero di lei, sia che abbia un moto spontaneo, tende le braccia e dice: «Oh! liberami! Io credo in Te! È orribile morire così!».
   «È orribile mancare al proprio dovere. A questa non pensavi? Non ai figli?».
   «Pietà, Signore… Per essi, per me… Perdono! Perdono!». E si abbatte sul muretto piangendo, le mani fasciate sporgenti con tutto il braccio, che resta scoperto per la manica che sale in alto, chiazzato già delle prossime pustole, gonfio, repellente… L’uomo, così come è messo, pare un burattino macabro, una salma gettata lì, già in procinto di decomporsi. Fa pena e nausea insieme.
   La donna piange, sempre fra la polvere, in ginocchio.
   Gesù pare attendere una parola ancora… Finalmente essa scende, fra i singhiozzi: «Gemo a Te nella contrizione del cuore! Dàmmi almeno promessa che essi non patiranno la fame… e poi… me ne andrò rassegnato all’espiazione. E Tu fa’ salva l’anima mia, Salvatore benedetto! Questa almeno! Questa almeno!».
   «Sì. Ti guarisco. Per gli innocenti. Per darti modo di mostrarti giusto. Comprendi? Ricordalo che il Salvatore ti ha guarito. Dio, dal modo come tu risponderai a questa grazia, ti assolverà delle tue colpe. Addio. La pace a te, donna». E se ne va quasi di corsa incontro a quelli che vengono dal Getsemani. Neppure i gridi dell’uomo, che si sente e vede guarire, lo fermano, e non quelli della moglie…
   «Pieghiamo da questo vicolo, per non passare di nuovo di là», dice Gesù dopo essersi ricongiunto con gli altri.

   374.9Prendono un vicolo miserabile, così stretto che a mala pena due vi passano di fianco e, se un asino lo percorre con un basto, non c’è che schiacciarsi al muro come francobolli. Vi è penombra per i tetti che quasi si toccano, solitudine, silenzio e cattivo odore. Vanno in fila come tanti frati finché dura il chiassuolo miserevole. Poi, ad una piazzetta piena di ragazzi, si riuniscono.
   «Perché hai detto quelle parole a quell’uomo? Non le usi mai…», chiede curioso Pietro.
   «Perché quell’uomo sarà uno dei miei nemici. E questa colpa futura aggraverà quella che già ha».
   «E lo hai guarito?!», chiedono tutti stupefatti.
   «Sì. Per i piccoli innocenti».
   «Umh! Tornerà ad ammalarsi…».
   «No. Per la vita del corpo, dopo lo spavento e la sofferenza avuta, avrà cura. Non si ammalerà più».
   «Ma peccherà contro Te, dici. Io lo facevo morire».
   «Tu sei un uomo peccatore, Simone di Giona».
   «E Tu sei troppo buono, Gesù di Nazaret», replica Pietro.
   Una via centrale li assorbe e non vedo più niente.
   

   374.10­Nota mia.
   Tanto l’uomo guarito come Samuele li riconosco[25]. Il primo è quello che nella Passione colpisce con un sasso Gesù al capo. Riconosco, più che lui, la moglie, dolente ora come allora, e la casa che ha una caratteristica porta alta su tre gradini. E così, nella maschera d’odio che lo trasforma, riconosco in Samuele il giovane che uccide la madre con un calcio per poter andare a colpire il Maestro con un randello. Per conto mio metterò queste note ai piedi della pag. N… della Passione.

[25] li riconosco, perché “visti” in un episodio scritto l’anno precedente ma che sarà in 604.2.