MARIA
VALTORTA

Voglio che le anime possano bere alla Fonte vitale della mia parola

"Quando la Chiesa - e per tale alludo ora alla riunione degli alti dignitari di Essa - agì secondo i dettami della mia Legge e del mio Vangelo, la Chiesa conobbe tempi fulgidi di fulgore. Ma guai quando, anteponendo gli interessi della Terra a quelli del Cielo, inquinò Se stessa con passioni umane! Tre volte guai quando adorò la Bestia di cui parla Giovanni, ossia la Potenza politica, e se ne fece asservire..." (Qd 12 dicembre 1943)

OPERA MAGGIORE

A A A

VOLUME VI CAPITOLO 375



CCCLXXV. La cena rituale in casa di Lazzaro e il banchetto sacrilego in casa di Samuele.

   3 febbraio 1946.

   375.1Quando Gesù entra nel palazzo, lo vede invaso da una turba di servi venuti da Betania, i quali si affrettano nei preparativi. Lazzaro, sdraiato su un lettuccio e molto sofferente, saluta con un pallido sorriso il suo Maestro, che si affretta verso di lui e che si china tutto amore sul lettuccio chiedendo: «Hai molto sofferto, non è vero, amico mio?, con le scosse del carro».
   «Molto, Maestro», risponde Lazzaro, sfinito tanto che solo a rievocare ciò che ha provato ha da capo negli occhi le lacrime.
   «Per colpa mia! Perdonami!».
   Lazzaro prende una delle mani di Gesù e se la porta al viso, ci strofina contro la guancia scarnita, la bacia e mormora: «Oh! non per colpa tua, Signore! E sono tanto contento che Tu faccia con me la Pasqua… la mia ultima Pasqua!…».
   «Se Dio vorrà, nonostante ogni cosa, tu ne farai molte ancora, Lazzaro. E sempre il tuo cuore sarà con Me».
   «Oh! io sono finito! Tu mi conforti… ma è finita. E mi spiace…». Piange.
   «Lo vedi, Signore? Lazzaro non fa che piangere», dice pietosa Marta. «Digli che non lo faccia. Si sfinisce!».
   «La carne ha anche i suoi diritti. La sofferenza è penosa, Marta, e la carne piange. Ha bisogno di questo sfogo. Ma l’anima è rassegnata, non è vero, amico mio? La tua anima di giusto fa volentieri la volontà del Signore…».
   «Sì… Ma io piango perché Tu, essendo così perseguitato, non potrai assistermi nella morte… Ho ribrezzo, ho paura di morire… Se ci fossi Tu, non l’avrei tutto ciò. Mi rifugerei nelle tue braccia… e mi addormenterei così… Come farò? Come farò a morire senza avere moti contro l’ubbidienza a questa tremenda volontà?».
   «Suvvia! Non pensare a queste cose! Vedi? Fai piangere le sorelle… Il Signore ti aiuterà così paternamente che tu non avrai paura. Paura devono averla i peccatori…».
   «Ma Tu, se puoi venire, ci vieni alla mia agonia? Promettimelo!».
   «Te lo prometto. Questo e più ancora».
   «Mentre preparano, raccontami ciò che hai fatto questa mattina…».
   E Gesù, seduto sull’orlo del lettuccio, una delle scarne mani di Lazzaro nelle sue, racconta per filo e per segno tutto quanto è accaduto, finché Lazzaro, sfinito, si assopisce, e Gesù non lo lascia neppure allora. Sta immobile per non turbare quel sonno riparatore, facendo segno che si faccia il meno rumore possibile, tanto che Marta, dopo avere portato un ristoro a Gesù, si ritira in punta di piedi calando la tenda pesante e chiudendo la porta massiccia. Il rumore della casa, tutta in moto, si attutisce così in un brusio appena sensibile. Lazzaro dorme. Gesù prega e medita.

   375.2­Passano le ore così, finché Maria di Magdala viene a portare una lampadetta, perché la sera scende e vengono chiuse le finestre. «Dorme ancora?», sussurra.
   «Sì. È molto quieto. Gli farà bene».
   «Da mesi non dormiva tanto… Credo che molto lo tenesse agitato il timore della morte. Con Te vicino non c’è paura… di nulla… Lui fortunato!».
   «Perché, Maria?».
   «Perché lui potrà averti vicino nel morire. Ma io…».
   «Perché tu no?».
   «Perché Tu vuoi morire… e presto. E io chissà quando morirò. Fammi morire prima di Te, Maestro!».
   «No, tu mi devi servire per tanto ancora».
   «E allora ho ragione di dire che Lazzaro è fortunato!».
   «I beneamati saranno tutti fortunati come lui, più di lui».
   «Chi sono? I puri, vero?».
   «Coloro che sanno totalmente amare. Tu, per esempio, Maria».
   «Oh! mio Maestro!». Maria scivola a terra, sulla stuoia multicolore che copre il pavimento di questa stanza, e sta lì, in adorazione del suo Gesù.
   Marta, cercandola, mette dentro il capo. «Vieni, dunque! Dobbiamo parare la sala rossa per la cena del Signore».
   «No, Marta. Quella la darete ai più umili, ai contadini di Giocana, ad esempio».
   «Ma perché, Maestro?».
   «Perché i poveri sono tanti Gesù ed Io sono in essi. Onorate sempre il povero che nessuno ama, se volete essere perfette. Per Me preparerete nell’atrio. Tenendo aperte le porte delle molte stanze che dànno in esso, tutti mi vedranno ugualmente ed Io tutti vedrò».
   Marta, non troppo soddisfatta, obbietta: «Ma Tu in un vestibolo!… Non è degno di Te!…».
   «Va’, va’. Fa’ ciò che ti dico. È degnissimo fare ciò che il Maestro consiglia».
   Marta e Maria escono senza fare rumore e Gesù resta paziente a vegliare l’amico che riposa.

   3­75.3Le cene sono in pieno svolgimento. Con poco giusta distribuzione degli ospiti, secondo il punto di vista umano, ma con una superiore vista tesa a dare onore e amore a quelli che il mondo solitamente trascura.
   Così nella splendida, regale sala rossa, la cui volta è sorretta da due colonne di porfido rosso, fra le quali è stata messa la lunga tavola, sono seduti i contadini di Giocana insieme a Marziam e a Isacco più altri discepoli, fino a compire il numero adatto[26]. Nella sala dove ebbe luogo la cena della sera avanti sono altri discepoli fra i più umili. Nella sala bianca — un sogno di candore — sono le discepole vergini e con esse, che sono solo quattro, sono le sorelle di Lazzaro e Anastasica e altre giovani, ma la regina della festa è Maria, la Vergine per eccellenza. Nella stanza vicina, che forse è una biblioteca perché è tappezzata di alti scrigni oscuri che forse contengono dei rotoli, o ne contenevano, sono le vedove e le mogli, e ne sono direttrici Elisa di Betsur e Maria d’Alfeo. E così via.
   Ma ciò che colpisce è vedere Gesù nell’atrio marmoreo. Vero è che il gusto signorile delle due sorelle di Lazzaro ha fatto del quadrato vestibolo un vero salone luminoso, fiorito, splendido più di una sala. Ma è sempre il vestibolo! Gesù è coi dodici, ma al suo fianco è Lazzaro. E con Lazzaro è anche Massimino.
   Le cene proseguono secondo il rito… e Gesù sfavilla nella letizia di essere al centro di tutti i suoi discepoli fedeli.

   375.4­Terminate le cene, consumato l’ultimo calice, cantato l’ultimo salmo, tutti quelli che erano nelle diverse sale affluiscono nell’atrio. Ma non vi stanno, data la presenza della tavola che ingombra non poco.
   «Andiamo nella sala rossa, Maestro. Spingeremo la tavola contro la parete e staremo tutti intorno a Te», suggerisce Lazzaro facendo cenno ai servi di eseguire.
   Ora Gesù, seduto al centro, fra le due preziose colonne, sotto il rutilante lampadario, alto su un piedistallo fatto di due sedili-lettucci usati per la cena, pare proprio un re seduto sul trono in mezzo ai suoi cortigiani. La sua veste di lino, messa avanti la cena, splende come fosse di fili preziosi, e sembra ancor più bianca, messa a confronto con il rosso opaco delle pareti e con quello lucido delle colonne. E il suo viso è veramente divino e regale mentre parla o ascolta chi gli è intorno. Anche i più umili, che Egli ha voluto molto vicino, sentendosi amati fraternamente dagli altri, parlano con sicurezza, dicendo speranze e affanni con semplicità e fede.

   375.5­Ma il più beato fra tanti beati è il nonno di Marziam! Non si separa dal nipote neppure per un momento e si bea di guardarlo, di ascoltarlo… Ogni tanto, stando seduto presso Marziam che è in piedi, curva il capo canuto sul petto del nipote che lo carezza.
   Gesù vede quest’atto più volte e interpella il vecchio: «Padre, il tuo cuore è felice?».
   «Oh! ben felice, mio Signore! Non mi sembra neppure vero. Non ho più che un desiderio…».
   «Quale?».
   «Quello che ho detto al figlio mio. Ma egli non lo approva».
   «Che desiderio è?».
   «È che vorrei morire, possibilmente in questa pace. Presto almeno. Perché ormai il massimo bene l’ho avuto. Non di più può averne creatura sulla Terra. Andarmene… non penare più… Andare… Come hai detto bene nel Tempio, o Signore! “Chi offre sacrifizi con la roba dei poveri è come chi sgozza un figlio sotto gli occhi del padre”. Solo il timore di Te trattiene Giocana da emulare Doras. Gli sta passando il ricordo di ciò che avvenne all’altro, i campi suoi prosperano ed egli li feconda col nostro sudore. Il sudore non è forse la roba del povero, il suo se stesso che si spreme in fatiche superiori alle sue forze? Non ci picchia, ci dà tanto da tenerci forti al lavoro. Ma non ci sfrutta più del bue? Ditelo voi, compagni miei…».
   I contadini vecchi e nuovi di Giocana annuiscono.
   «Uhm! Credo che… Sì, che le tue parole lo facciano più vampiro che mai; e su questi… Perché le hai dette, Maestro?», chiede Pietro.
   «Perché egli le meritava già. Non è vero, voi dei campi?».
   «Oh, sì! I primi mesi… andò bene. Ma ora… peggio di pri­ma», asserisce Michea.
   «La secchia del pozzo per il suo stesso peso discende», sentenzia il sacerdote Giovanni.
   «Sì, e il lupo presto si stanca di apparire agnello», rincara Erma.
   Le donne sussurrano fra loro, impietosite. Gesù, con gli occhi fatti dilatati dalla pietà, guarda i poveri contadini, afflitto di essere impotente a sollevarli.
   Lazzaro dice: «Avevo offerto somme pazze per avere quei campi e dare loro pace. Ma non sono riuscito ad averli. Doras mi odia, simile in tutto a suo padre».
   «Ebbene… morremo così. È la nostra sorte. Ma verrà bene il riposo in seno ad Abramo!», esclama Saulo, altro contadino di Giocana.
   «In seno a Dio, figlio! In seno a Dio. La Redenzione sarà compiuta, i Cieli aperti, e voi al Cielo andrete e…».

   375.6Al portone vengono dati colpi vigorosi che rimbombano forte. Vi è allarme fra i convenuti.
   «Chi è?».
   «Chi gira in sera di Pasqua?».
   «Milizie?».
   «Farisei?».
   «Soldati di Erode?».
   Ma mentre l’orgasmo si estende appare Levi, il custode del palazzo: «Perdona, o Rabbi», dice, «vi è un uomo che ti vuole. È nell’ingresso. Pare molto afflitto. È vecchio, e mi sembra popolano. Vuole Te. E presto».
   «Oh! là là! Non è sera di miracoli questa! Torni domani…», dice Pietro.
   «No. Ogni sera è ora di miracoli e di misericordia», dice Gesù alzandosi e scendendo dal suo seggio per andare verso l’atrio.
   «Vai solo? Vengo anch’io», dice Pietro.
   «No. Tu stai dove ti trovi». Esce al fianco di Levi.
   In fondo, presso il pesante portone, nell’atrio semioscuro perché sono state spente le lampade che lo illuminavano prima, è un vecchio molto agitato. Gesù gli si accosta.
   «Fermati, Maestro. Forse io ho toccato un morto e non voglio contaminarti. Sono il parente di Samuele, lo sposo di Annalia. Consumavamo la cena e Samuele beveva, beveva… come non è lecito fare. Ma il giovane mi sembra folle da qualche tempo. È il rimorso, Signore! Mezzo ebbro, diceva nel bere di nuovo: “Così non mi ricordo più di avergli detto che lo odio. Perché io, sappiatelo, ho maledetto il Rabbi”. E mi pareva Caino, perché ripeteva: “La mia iniquità è troppo grande. Non merito perdono! Bere devo! Bere per non ricordare. Perché è detto[27] che chi maledice il suo Dio porterà il suo peccato ed è reo di morte”. Delirava già così quando entrò nella casa un parente della madre di Annalia per chiedere ragione del ripudio. Samuele, semi ebbro, reagì con male parole e l’uomo lo minacciò di portarlo dal magistrato per il danno che fa all’onore della famiglia. Samuele lo schiaffeggiò per il primo. Si presero… Io vecchio sono, e vecchia è mia sorella, vecchio il servo e la servente. Che potevamo fare noi quattro e che le due fanciulle, sorelle di Samuele? Gridare potevamo! Cercare di dividerli potevamo! Nulla più… E Samuele, presa la scure con cui avevamo preparato le legna per l’agnello, la dette nel capo dell’altro… Non gli aperse la testa perché colpì col ceppo, non colla lama. Ma l’altro barcollò gorgogliando e cadde… Non abbiamo gridato più… per… per non attirare gente… Ci siamo barricati in casa… Atterriti… Speravamo che l’uomo rinvenisse gettandogli acqua sul capo. Ma gorgoglia, gorgoglia. Certo muore. A momenti pare già morto. Io sono fuggito a chiamarti in un momento di questi. Domani… forse prima, i parenti cercheranno l’uomo. E da noi, perché certo sanno che è venuto. E lo troveranno morto… E Samuele, secondo la Legge, sarà ucciso… Signore! Signore! Il disonore è già su noi… Ma questo no! Per mia sorella pietà, Signore! Egli ti ha maledetto… Ma la madre ti ama… Che dobbiamo fare?».
   «Attendimi qui. Vengo Io», e Gesù torna nella sala chiamando dalla porta: «Giuda di Keriot, vieni con Me».
   «Dove, Signore?», dice Giuda ubbidendo subito.
   «Lo saprai. Voi tutti state con pace e amore. Saremo presto di ritorno».

   375.7Escono dalla sala, dal vestibolo, dalla casa. Le vie, deserte e oscure, sono presto percorse. Giungono alla casa fatale.
   «La casa di Samuele?! Perché…».
   «Silenzio, Giuda. Ti ho preso perché ho fiducia nel tuo buon senso».
   Il vecchio si è fatto riconoscere. Entrano. Salgono alla stanza del cenacolo, dove hanno trascinato il colpito.
   «Un morto?! Ma Maestro! Ci contaminiamo!».
   «Non è morto. Lo vedi che respira e lo senti che rantola. Ora Io lo sanerò…».
   «Ma è colpito al capo! Qui c’è stato un delitto! Chi è stato?… E nel giorno dell’agnello!». Giuda è esterrefatto.
   «Lui è stato», dice Gesù indicando Samuele che è gettato in un angolo, in un gomitolo, più morente dello stesso morente, rantolante di terrore come l’altro d’agonia, col lembo del mantello sul capo per non vedere e non essere visto, guardato con orrore da tutti fuorché dalla madre, che all’orrore per l’omicida unisce lo strazio per il figlio colpevole e condannato in anticipo dalla ferrea legge d’Israele. «Lo vedi a che porta un primo peccato? A questo, o Giuda! Ha cominciato ad essere spergiuro alla donna, poi a Dio; indi si è fatto calunniatore, mentitore, bestemmiatore, poi si è dato al vino, ed ora è omicida. Così si diviene di Satana, o Giuda. Abbilo sempre presente…». Gesù è terribile mentre col braccio teso indica Samuele.
   Ma poi guarda la madre che, aggrappata ad un’imposta, si regge a stento, scossa da un tremito, e pare prossima a morte, e con mestizia dice: «E così, o Giuda, vengono uccise, senz’altra arma che quella del delitto del figlio, le povere madri!… Per essa ho pietà. Ho pietà delle madri, Io! Io, il Figlio che non vedrà pietà per la Madre sua…». Gesù piange… Giuda lo guarda sbalordito…

   375.8­Gesù si china sul morente e gli posa la mano sul capo. Prega. L’uomo apre gli occhi. Pare un poco ebbro. Stupito… Ma presto torna in sé.
   Si siede puntando i pugni al suolo. Guarda Gesù. Chiede: «Chi sei?».
   «Gesù di Nazaret».
   «Il Santo! Perché presso a me? Dove sono? Dove è mia sorella e sua figlia? Che è accaduto?». Cerca di ricordare.
   «Uomo, tu mi chiami santo. Mi credi dunque tale?».
   «Sì, Signore. Tu sei il Messia del Signore».
   «La mia parola ti è dunque sacra?».
   «Sì, o Signore».
   «Allora…». Gesù si alza in piedi. È imponente: «Allora Io, come Maestro e Messia, ti ordino di perdonare. Qui venisti e fosti insultato…».
   «Ah! Samuele! Sì!… La scure! Lo denun…», dice alzandosi.
   «No. Perdona in nome di Dio. Ti ho sanato per questo. Tu hai a cuore la madre di Annalia perché ha sofferto. Questa di Samuele soffrirebbe più ancora. Perdona».
   L’uomo tergiversa alquanto. Guarda il feritore con chiaro rancore. Guarda la madre angosciata. Guarda Gesù che lo domina… Non si sa decidere.
   Gesù gli apre le braccia e lo attira sul petto dicendo: «Per amor mio!».
   L’uomo si dà a piangere… Essere così fra le braccia del Messia, sentire il suo alito fra i capelli e un bacio che scende dove era la percossa!… Piange, piange…
   Gesù dice: «Sì, non è vero? Tu perdoni per mio amore? Oh! beati i misericordiosi! Piangi, piangi sul mio cuore. Esca col pianto ogni rancore! Tutto nuovo! Tutto puro! Ecco, così! Mite, oh! mite come deve esserlo un figlio di Dio…».
   E l’uomo alza il viso e fra le lacrime dice: «Sì, sì. Il tuo amore è tanto dolce! Ha ragione Annalia! Ora la comprendo… Donna! Non piangere più! Il passato è passato. Nessuno saprà nulla dalla mia bocca. Godi del figlio tuo, ammesso che egli ti possa dare gioia. Addio, donna. Torno alla mia casa», e fa per uscire.
   Gesù gli dice: «Vengo con te, uomo. Addio, madre. Addio, Abramo. Addio, fanciulle». Non una parola a Samuele, che non trova una parola a sua volta.
   La madre gli strappa il mantello dal capo e, nella reazione di ciò che ha passato, si avventa sul figlio: «Ringrazia il tuo Salvatore, anima dura! Ringrazialo, uomo indegno che sei!…».
   «Lascialo, lascialo, donna. Non avrebbe valore la sua parola. Il vino lo fa stolto e la sua anima è chiusa. Prega per lui… Addio».

   375.9­­Scende le scale, raggiunge sulla via Giuda e l’altro, si libera dal vecchio Abramo che gli vuole baciare le mani e si dà a camminare rapido nel primo raggiare di luna.
   «Stai lontano?», chiede all’uomo.
   «Ai piedi del Moria».
   «Allora dobbiamo separarci».
   «Signore, Tu mi hai serbato ai figli, alla sposa, alla vita. Che devo fare per Te?».
   «Essere buono, perdonare e tacere. Mai, per nessuna ragione, devi dire parola su quanto è avvenuto. Lo prometti?».
   «Lo giuro sul sacro Tempio! Per quanto mi dolga non potere dire che Tu mi hai salvato…».
   «Sii un giusto ed Io ti salverò l’anima. E questo lo potrai dire. Addio, uomo. La pace sia con te».
   L’uomo si inginocchia, saluta. Si separano.
   «Che cose! Che cose!», dice Giuda, ora che sono soli.
   «Sì. Orrende. Giuda, tu pure non parlerai».
   «No, Signore. Ma perché hai voluto me con Te?».
   «Non sei contento della mia fiducia?».
   «Oh! tanto! Ma…».
   «Ma perché volevo che tu meditassi a che può condurre la menzogna, l’avidità di denaro, la crapula e le pratiche inerti di una religione non più sentita e praticata spiritualmente. E che era il banchetto simbolico per Samuele? Nulla! Una crapula. Un sacrilegio. E in esso divenne omicida. Molti in futuro saranno come esso, e col sapore dell’Agnello sulla lingua, e non dell’agnello nato da pecora, ma dell’Agnello divino, andranno al delitto. Perché ciò? Come ciò? Non te lo chiedi? Ma Io te lo dico lo stesso: perché avranno preparato quell’ora con molti antefatti, commessi per sbadataggine all’inizio, per cocciutaggine poi. Ricordalo, Giuda».
   «Sì, Maestro. E che diremo agli altri?».
   «Che c’era uno molto grave. È verità».
   Scantonano svelti per una strada e li perdo di vista.

[26] il numero adatto può riferirsi, così come in 372.6, alla prescrizione di Esodo 12, 4 nel contesto del rituale per la celebrazione della Pasqua, che avrà maggiori dettagli nel capitolo dell’ultima Cena pasquale (da 600.7 in poi). Per la Pasqua ebraica rimandiamo, una volta per tutte, a: Esodo 12; 13, 1-16; 23, 14-19; 34, 10-28Levitico 23, 5-8Numeri 9, 1-14; 28, 16-25; Deuteronomio 16, 1-8; Ezechiele 45, 18-24. Profezie tratte dalla Pasqua mosaica sono in 589.3/7.
[27] è detto, in: Levitico 24, 15-16.