MARIA
VALTORTA

Voglio che le anime possano bere alla Fonte vitale della mia parola

"Quando la Chiesa - e per tale alludo ora alla riunione degli alti dignitari di Essa - agì secondo i dettami della mia Legge e del mio Vangelo, la Chiesa conobbe tempi fulgidi di fulgore. Ma guai quando, anteponendo gli interessi della Terra a quelli del Cielo, inquinò Se stessa con passioni umane! Tre volte guai quando adorò la Bestia di cui parla Giovanni, ossia la Potenza politica, e se ne fece asservire..." (Qd 12 dicembre 1943)

OPERA MAGGIORE

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VOLUME VI CAPITOLO 376



CCCLXXVI. Le opere dei giusti. Gli umori di Erode. Un caso grave di corruzione nel Tempio.

   4 febbraio 1946.

   376.1Molti discepoli e discepole si sono congedati, tornando alle case ospitali o riprendendo le vie dalle quali erano venuti.
   Nel pomeriggio splendido di questo inoltrato aprile restano nella casa di Lazzaro i discepoli veri e propri, e particolarmente i più votati alla predicazione. Ossia i pastori, Erma e Stefano, il sacerdote Giovanni, Timoneo, Ermasteo, Giuseppe d’Emmaus, Salomon, Abele di Betlemme di Galilea, Samuele e Abele di Corozim, Agapo, Aser e Ismaele di Nazaret, Elia di Corozim, Filippo d’Arbela, Giuseppe barcaiolo di Tiberiade, Giovanni d’Efeso, Nicolai d’Antiochia. Delle donne restano, oltre le note discepole, Annalia, Dorca, la madre di Giuda, Mirta, Anastasica, le figlie di Filippo. Non vedo più Miryam di Giairo, né Giairo stesso. Forse è tornato dove era ospitato.
   Passeggiano lentamente nei cortili, oppure sul terrazzo della casa, mentre intorno a Gesù, che è seduto presso il lettuccio di Lazzaro, sono quasi tutte le donne e tutte le vecchie discepole. Ascoltano Gesù che parla con Lazzaro, descrivendo paesi attraversati nelle ultime settimane avanti il viaggio pasquale.

   376.2«Sei arrivato proprio in tempo per salvare il piccolino», commenta Lazzaro dopo il racconto del castello di Cesarea di Filippo, accennando al poppante che dorme beato fra le braccia materne. E Lazzaro aggiunge: «È un bel bambino! Donna, me lo fai vedere da vicino?».
   Dorca si alza e silenziosamente, ma trionfalmente, porge il suo nato all’ammirazione del malato.
   «Un bel bambino! Proprio bello! Il Signore te lo protegga e lo faccia crescere sano e santo».
   «E fedele al suo Salvatore. Così non avesse a divenire, lo vorrei morto, anche ora. Tutto, ma non che il salvato sia ingrato al Signore!», dice Dorca fermamente, tornando al suo posto.
   «Il Signore giunge sempre in tempo per salvare», dice Mirta, madre di Abele di Betlemme. «Il mio non era meno prossimo a morte, e a che morte!, del piccolo di Dorca. Ma Egli è giunto… e ha salvato. Che ora tremenda!…». Mirta impallidisce ancora nel ricordo…
   «Allora verrai in tempo anche per me, non è vero? Per darmi pace…», dice Lazzaro carezzando la mano di Gesù.
   «Ma non stai un poco meglio, fratello mio?», chiede Marta. «Da ieri mi sembri più sollevato…».
   «Sì. E me ne stupisco io stesso. Forse Gesù…».
   «No, amico. È che Io verso in te la mia pace. La tua anima ne è satura, e ciò sopisce il soffrire delle membra. È decreto di Dio che tu soffra».
   «E muoia. Dillo pure. Ebbene… sia fatta la sua volontà, come Tu insegni. Da questo momento non chiederò più guarigione né sollievo. Ho tanto avuto da Dio (e guarda involontariamente Maria, sua sorella) che è giusto che ricambi il tanto avuto con la mia sommissione…».

   376.3«Fa’ di più, amico mio. Già molto è essere rassegnati e subire il dolore. Ma tu da’ ad esso un valore maggiore».
   «Quale, mio Signore?».
   «Offrilo per la redenzione degli uomini».
   «Sono un povero uomo io pure, Maestro. Non posso aspirare ad essere un redentore».
   «Tu lo dici. Ma sei in errore. Dio si è fatto Uomo per aiutare gli uomini. Ma gli uomini possono aiutare Dio. Le opere dei giusti saranno unite alle mie nell’ora della Redenzione. Dei giusti, morti da secoli, viventi, o futuri. Tu uniscivi le tue, da ora. È così bello fondersi alla Bontà infinita, aggiungervi ciò che possiamo dare della nostra bontà limitata e dire: “Io pure coopero, o Padre, al bene dei fratelli”. Non ci può essere amore più grande, per il Signore e per il prossimo, di questo di saper patire e morire per dare gloria al Signore e salvezza eterna ai fratelli nostri. Salvarsi per se stessi? È poco. È un “minimo” di santità. Bello è salvare. Darsi per salvare. Spingere l’amore fino a farsi rogo immolatore per salvare. Allora l’amore è perfetto. E grandissima sarà la santità del generoso».
   «Come è bello tutto ciò, non è vero, sorelle mie?», dice Lazzaro con un sorriso sognante nel volto affilato.
   Marta annuisce col capo, commossa.

   376.4Maria, che è seduta su un cuscino, ai piedi di Gesù, nella sua posa abituale di umile e ardente adoratrice, dice: «Forse che io costo queste sofferenze al fratello mio? Dimmelo, Signore, perché la mia ambascia sia completa!…».
   Lazzaro esclama: «No, Maria, no. Io… dovevo morire di ciò. Non metterti frecce nel cuore».
   Ma Gesù, sincero fino all’estremo, dice: «Certo che sì! Io l’ho sentito il buon fratello nelle sue preghiere, nei suoi palpiti. Ma questo non ti deve dare ambascia che appesantisce. Bensì volontà di divenire perfetta, per ciò che costi. E giubila! Giubila perché Lazzaro, per averti strappata al demonio…».
   «Non io! Tu, Maestro».
   «…per averti strappata al demonio, ha meritato da Dio un premio futuro, per cui di lui parleranno le genti e gli angeli. E come per Lazzaro, di altri, e specie di altre, che hanno strappato a Satana la preda col loro eroismo».
   «Chi sono? Chi sono?», chiedono curiose le donne, e forse tutte sperano di essere loro, una per una.

   376.5Maria di Giuda non parla. Ma guarda, guarda il Maestro…
   Gesù pure la guarda. Potrebbe illuderla. Non lo fa. Non la mortifica, ma non la illude. Risponde a tutte: «Lo saprete in Cie­lo».
   La sempre angosciata madre di Giuda chiede: «E se una non riuscisse, pur volendo? Quale la sua sorte?».
   «Quale la sua anima buona la merita».
   «Il Cielo? Ma, o Signore, una moglie, una sorella, od una madre che… che non riuscisse a salvare quelli che ama e li vedesse dannati, potrebbe avere il Paradiso, pur essendo nel Paradiso? Non credi Tu che ella non avrà mai gioia perché… la carne della sua carne e il sangue del suo sangue avranno meritato condanna eterna? Io penso che non potrà godere vedendo l’amato in atroce pena…».
   «Sei in errore, Maria. La vista di Dio, il possesso di Dio sono fonti di una beatitudine così infinita che non sussiste pena per i beati. Operosi e attenti per aiutare ancora coloro che possono essere salvati, non soffrono più per i recisi da Dio, e perciò da loro stessi, che sono in Dio. La comunione dei santi è per i santi».
   «Ma se aiutano coloro che possono ancora essere salvati è segno che questi aiutati non sono ancora santi», obbietta Pietro.
   «Ma hanno volontà, almeno passiva, di esserlo. I santi in Dio aiutano anche nei bisogni materiali per fare passare costoro da una volontà passiva ad una attiva. Mi comprendi?».
   «Sì e no. Ecco, per esempio, se io fossi in Cielo e vedessi, per un supposto, un movimento fuggevole di bontà in… Eli il fariseo, diciamo, che farei?».
   «Coglieresti tutti i mezzi per aumentare i suoi movimenti buoni».
   «E se non giovasse a nulla? Dopo?».
   «Dopo, quando egli fosse dannato, te ne disinteresseresti».
   «E se, come lo è ora, fosse tutt’affatto degno di dannazione, ma mi fosse caro — cosa che non sarà mai — che dovrei fare?».
   «Anzitutto sappi che pericoli di dannarti tu col dire che non lo hai né avrai caro; poi sappi che se fossi in Cielo, tutt’uno con la Carità, pregheresti per lui, per la sua salvezza, fino al momento del suo giudizio. Ci saranno spiriti salvati nell’ultimo momento dopo tutta una vita di preghiere per loro».

   376.6­Entra un servo dicendo: «È venuto Mannaen. Vuole vedere il Maestro».
   «Venga. Certo vuole parlare di cose serie».
   Le donne, discrete, si ritirano e i discepoli le seguono. Ma Gesù richiama Isacco, il sacerdote Giovanni, Stefano ed Erma, e Mattia e Giuseppe dei pastori discepoli. «È bene che sappiate anche voi che siete discepoli», spiega.
   Entra Mannaen, che si inchina.
   «La pace a te», saluta Gesù.
   «La pace a Te, Maestro. Il sole tramonta. Il primo passo dopo il sabato per Te, mio Signore».
   «Avesti buona Pasqua?».
   «Buona!! Nulla di buono può esservi dove è Erode ed Erodiade! Confido di aver mangiato per l’ultima volta l’agnello con essi. A costo della morte non rimarrò più a lungo con loro!».
   «Credo che tu faccia un errore. Puoi servire il Maestro restando…», obbietta l’Iscariota.
   «Questo è vero. Ed è quello che mi ha finora trattenuto. Ma che nausea! Potrebbe sostituirmi Cusa…».
   Bartolomeo gli osserva: «Cusa non è Mannaen. Cusa è… Sì. Egli barcamena. Non denuncerebbe mai il padrone. Tu sei più schietto».
   «Ciò è vero. E vero è ciò che dici. Cusa è il cortigiano. Subisce il fascino della regalità… Regalità! Che dico!? Del fango regale! Ma gli pare di essere re per essere col re… E trema dello sfavore reale. L’altra sera era come un veltro bastonato quando, quasi strisciando, è apparso davanti ad Erode che lo aveva chiamato dopo avere ascoltato le lamentele di Salomè, scacciata da Te. Cusa era in un ben aspro momento. Il desiderio di salvarsi, ad ogni costo, magari accusando Te, dandoti torto, era scritto sul suo volto. Ma Erode!… Voleva solo ridere alle spalle della fanciulla, di cui ha nausea ormai, così come ha nausea della madre di essa. E rideva come un folle sentendo ripetere da Cusa le tue parole. Ripeteva: “Troppo, troppo dolci ancora per questa giovane… (e disse una parola così sconcia che non te la ripeto). La doveva calpestare sul seno smanioso… Ma si sarebbe contaminato!”, e rideva. Poi facendosi serio disse: “Però… l’affronto, meritato per la femmina, non va permesso per la corona. Io sono magnanimo (è la sua fissazione di esserlo e, posto che nessuno glielo dice, se lo dice da sé) e perdono al Rabbi, anche perché ha detto a Salomè ciò che è vero. Ma però voglio che Egli venga a Corte per perdonarlo del tutto. Voglio vederlo, sentirlo e farlo operare miracoli. Che venga, e io mi farò suo protettore”. Così diceva l’altra sera. E Cusa non sapeva che dire. No, al monarca non voleva dirlo. Sì, non poteva. Perché Tu non puoi certo accedere alle voglie di Erode. Oggi ha detto a me: “Tu certo vai da Lui… Digli la mia volontà”. La dico. Ma… so già la risposta. Però dimmela, che io possa trasmetterla».
   «No!». Un “no” che pare un fulmine.
   «Non te ne farai un nemico troppo forte?», chiede Tommaso.
   «Anche un carnefice. Ma non posso che rispondere: “no”».
   «Ci perseguiterà…».
   «Oh! fra tre giorni non se ne ricorderà più», dice Mannaen scrollando le spalle. E aggiunge: «Gli hanno promesso delle… mime… Giungeranno domani… Ed egli dimenticherà tut­to!…».

   376.7Torna il servo: «Padrone, ci sono Nicodemo, Giuseppe, Eleazaro e altri farisei e capi del Sinedrio. Vogliono salutarti».
   Lazzaro guarda Gesù interrogativamente. Gesù capisce: «Che vengano! Li saluterò volentieri».
   Dopo poco entrano Giuseppe, Nicodemo, Eleazaro (quello giusto del banchetto di Ismael), Giovanni (quello del lontano banchetto del d’Arimatea), un altro che sento chiamare Giosuè, uno Filippo, uno Giuda e l’ultimo Gioachino. I saluti non finiscono più. Meno male che la stanza è ampia, se no come facevano a farci entrare tanti inchini e sbracciamenti e paludamenti? Ma, per quanto ampia, si fa tanto colma che i discepoli se la filano. Restano soltanto Lazzaro con Gesù. Forse anche non pare loro vero di non essere sotto il fuoco di tante pupille sinedrali!
   «Sappiamo che sei a Gerusalemme, o Lazzaro. E siamo venuti!», dice quello di nome Gioachino.
   «Me ne fo stupore e gioia. A momenti non ricordavo più il tuo viso…», dice un poco ironico Lazzaro.
   «Ma… sai… Sempre si voleva venire. Ma… Tu eri scomparso…».
   «E non pareva vero che lo fossi! Molto difficile, infatti, è venire da un infelice!».
   «No! Non lo dire! Noi… rispettavamo il tuo desiderio. Ma ora che… ora che… vero, Nicodemo?».
   «Sì, Lazzaro. Gli antichi amici tornano. Anche per desiderio di sentire tue notizie e di venerare il Rabbi».
   «Che notizie mi portate?».
   «Umh!… Ecco… Le solite cose… Il mondo… Già…». Sbirciano Gesù che sta rigido sul suo sedile, un poco assorto.

   376.8«Come mai tutti uniti oggi che è appena finito il sabato?».
   «Ci fu adunanza straordinaria».
   «Oggi?! Quale ragione mai tanto urgente?…».
   I convenuti sogguardano Gesù significativamente. Ma Egli è assorto… «Molti motivi…», rispondono poi.
   «E non riguardano il Rabbi?».
   «Sì, Lazzaro. Anche Lui. Ma anche un grave fatto fu giudicato, mentre le feste ci hanno tutti adunati in città…», spiega Giuseppe d’Arimatea.
   «Un grave fatto? Quale?».
   «Un… un errore di… gioventù… Uhm! Già! Una brutta discussione, perché… Rabbi, dàcci ascolto. Sei fra onesti. Se anche non ti siamo discepoli, non siamo però tuoi nemici. In casa di Ismaele Tu mi hai detto[28] che non sono lontano dalla giusti­zia», dice Eleazaro.
   «È vero. E lo confermo».
   «E io ti ho difeso al banchetto di Giuseppe contro Felice», dice Giovanni.
   «È vero anche questo».
   «E questi la pensano come noi. Oggi noi siamo stati chiamati a decidere… e non siamo contenti di ciò che si decise. Perché la vinsero i più contro di noi. Tu, saggio più di Salomone, ascolta e giudica».
   Gesù li trivella col suo occhio profondo. Poi dice: «Parlate».
   «Siamo sicuri di non essere uditi? Perché è… cosa orren­da…», dice quello di nome Giuda.
   «Chiudi porta e tenda, e saremo in un sepolcro», gli risponde Lazzaro.

   376.9«Maestro, ieri mattina Tu hai detto a Eleazaro di Anna di non contaminarsi per nessuna ragione. Perché lo hai detto?», chiede Filippo.
   «Perché andava detto. Egli si contamina. Ma non Io, i libri sacri lo dicono».
   «È vero. Ma come sai che si contamina? La fanciulla, forse, ti parlò avanti la morte?», chiede Eleazaro.
   «Quale fanciulla?».
   «Quella che è morta dopo la violenza e con lei la madre, né si sa se fu il dolore a ucciderle, o se si uccisero, o se furono uccise con veleno perché non parlassero più».
   «Io non so nulla di questo. Vedevo l’anima corrotta del figlio di Anna. Ne sentivo il fetore. Ho parlato. Altro non sapevo né vedevo».
   «Ma che è stato?», chiede Lazzaro con interesse.
   «È stato che Eleazaro di Anna vide una fanciulla, figlia unica di una vedova, e… l’attrasse con la scusa di ordinarle del lavoro, poiché per vivere facevano lavori per le vesti, e… ne abusò. La fanciulla è morta… tre giorni dopo, e con lei la madre. Ma prima di morire, nonostante le minacce avute, hanno detto tutto all’unico parente… E lui è andato da Anna, a portare l’accusa, e non contento l’ha detto a Giuseppe, a me, ad altri… Anna lo ha fatto prendere e gettare in carcere. Da lì passerà alla morte, o non sarà mai più libero. Oggi Anna ha voluto sapere come la pensiamo», dice Nicodemo.
   «Non lo avrebbe fatto se non avesse saputo che noi sapevamo già», brontola fra i denti Giuseppe.
   «Sì… Insomma con una larva di votazione, con una simulazione di giudizio fu deciso dell’onore e della vita di tre infelici e della punizione per il colpevole», termina Nicodemo.
   «Ebbene?».
   «Ebbene! È naturale! Noi che votammo per la libertà dell’uomo e la punizione di Eleazaro fummo minacciati e scacciati come ingiusti. Tu che dici?».
   «Che Gerusalemme mi fa ribrezzo e che in Gerusalemme il bubbone più fetido è il Tempio», dice lento e terribile Gesù. E termina: «Riportatelo pure a quelli del Tempio».
   «E Gamaliele che fece?», chiede Lazzaro.
   «Non appena sentito il fatto, si coperse il volto e uscì dicendo: “Venga presto il nuovo Sansone a far perire i filistei corrotti”».
   «Ha detto bene! Ma presto verrà».
   Un silenzio.

   376.10«E di Lui non è stato parlato?», chiede Lazzaro indicando Gesù.
   «Oh, sì! Prima di ogni cosa. Ci fu chi riportò che Tu hai detto “meschino” il regno d’Israele. E perciò bestemmiatore sei stato detto. Sacrilego, anzi. Perché il regno d’Israele è da Dio».
   «Ah, sì?! E come fu chiamato dal Pontefice il violatore di una vergine? L’insozzatore del suo ministero? Rispondete!», chiede Gesù.
   «Egli è il figlio del Sommo Sacerdote. Perché è sempre Anna il vero re là dentro», dice, intimorito dall’imponenza di Gesù, Gioachino che lo ha di fronte, alto, in piedi, col braccio teso…
   «Sì. Il re della corruzione. E volete che non dica “meschino” un Paese in cui abbiamo un Tetrarca sozzo e omicida, un Sommo Sacerdote complice di un violatore e di un assassino?…».
   «Forse la fanciulla si uccise o morì di dolore», sussurra Eleazaro.
   «Assassinata sempre dal suo violatore… E ora non si fa la terza vittima nel parente imprigionato perché non parli? E non si profana l’altare accostandovisi con tanti delitti? E la giustizia non viene soffocata con imporre silenzio ai giusti, troppo rari, del Sinedrio? Sì, venga presto il novello Sansone e abbatta questo luogo profanato, stermini per risanare!… Io, al vomito per la nausea che sento, non solo dico meschino questo infelice Paese. Ma mi allontano dal suo cuore marcioso, pieno di delitti senza nome, speco di Satana… Vado. Non per paura della morte. Vi dimostrerò che non ho paura. Ma vado perché non è la mia ora e non do perle ai porci d’Israele, ma le porto agli umili sparsi per i tuguri, i monti, le valli dei poveri paesi. Là dove ancora si sa credere e amare, se c’è chi lo insegni. Là dove sono degli spiriti sotto le rozze vesti, mentre qua le tuniche e i manti sacri, e più ancora l’efod e il razionale[29], servono a coprire immonde carogne e a contenere armi omicide. Dite loro che in nome del Dio vero Io li consacro alla loro condanna, e novello Micael[30] li caccio dal Paradiso. E per sempre. Essi che vollero essere dèi, e demoni sono. Non c’è bisogno che siano morti per essere giudicati. Lo sono già. E senza remissione».

   376.11Gli imponenti sinedristi e farisei sembrano divenire piccoli, tanto si rincantucciano davanti all’ira tremenda del Cristo che pare, invece, farsi un gigante, tanto è sfolgorante di sguardi e violento negli atti.
   Lazzaro geme: «Gesù! Gesù! Gesù!»…
   Gesù lo sente e, cambiando tono e aspetto, dice: «Che hai, amico mio?».
   «Oh! non terribile così! Non sei più Tu! Come avere speranza nella misericordia se Tu ti mostri così terribile?».
   «Eppure così, e più ancora, sarò quando giudicherò le dodici tribù d’Israele. Ma fa’ cuore, Lazzaro. Chi crede nel Cristo è già giudicato…». Si siede di nuovo.
   Un silenzio. Finalmente Giovanni chiede: «E noi, per avere preferito gli improperi a mentire nella giustizia, come saremo giudicati?».
   «Con giustizia. Perseverate e perverrete dove Lazzaro già è: nell’amicizia di Dio».
   Si alzano. «Maestro, ci ritiriamo. La pace a Te. E a te, Lazzaro».
   «La pace a voi».
   «Che ciò che fu detto, qui resti», supplicano in diversi.
   «Non temete! Andate. Dio vi guidi in ogni nuovo atto».
   Escono. Restano soli Gesù e Lazzaro. Dopo un poco, questo dice: «Che orrore!».
   «Sì. Che orrore!… Lazzaro, vado a predisporre la partenza da Gerusalemme. Sarò tuo ospite a Betania fino alla fine degli Azzimi[31]». Ed esce…

[28] mi hai detto, in 335.11; ti ho difeso, in 114.5/6.
[29] l’efod e il razionale, menzionati anche in 114.7, 294.3, 509.4, 525.13 e 588.3, facevano parte dell’abbigliamento sacerdotale descritto in:Esodo 28; 39, 1-32. Ilrazionale era un pettorale a forma di tasca quadrata, fissato all’efod, che era una veste. “Io solo porto il vero Razionale su cui è scritto: Dottrina e Verità”, dirà Gesù a Caifa in 604.14. (L’efod era anche il nome di uno strumento divinatorio, come in: Giudici 8, 24-27).
[30] Micael, o Michele, è il nome del principe degli angeli che figura in: Daniele 10, 13.21; 12, 1. Sarà nominato anche in 405.4.
[31] degli Azzimi, cioèdella festa degli Azzimi, che iniziava con la Pasqua e durava una settimana, durante la quale era permesso mangiare solo pane azzimo, cioè non lievitato, come è prescritto in:Esodo 12, 15-20; 13, 3-7; 23, 15.