MARIA
VALTORTA

Voglio che le anime possano bere alla Fonte vitale della mia parola

"Quando la Chiesa - e per tale alludo ora alla riunione degli alti dignitari di Essa - agì secondo i dettami della mia Legge e del mio Vangelo, la Chiesa conobbe tempi fulgidi di fulgore. Ma guai quando, anteponendo gli interessi della Terra a quelli del Cielo, inquinò Se stessa con passioni umane! Tre volte guai quando adorò la Bestia di cui parla Giovanni, ossia la Potenza politica, e se ne fece asservire..." (Qd 12 dicembre 1943)

OPERA MAGGIORE

A A A

VOLUME VI CAPITOLO 382



CCCLXXXII. Sosta ristoratrice in casa di Niche, che dovrà sovvenire l’esseno penitente.

   12 febbraio 1946.

   382.1La strada, per quanto tagli delle verdi campagne, bordate fino al ciglio della via da alberi fronzuti, è una fornace sotto il sole meridiano. Dai campi, dove le messi si avviano rapidamente alla maturazione, viene un calore e un odore di forno in cui il fior della farina si muti in pane. La luce è abbagliante. Ogni spiga pare una piccola lampada d’oro fra le glume d’oro e le reste pungenti, e lo sfaccettio del sole sulla paglia degli steli è tormentoso all’occhio come quello della strada, abbacinante di sole. Invano l’occhio cerca sollievo sulle fronde. Se si alza a cercarle, ancor più si dà in balìa del sole spietato e deve riabbassarsi subito, per fuggire quella violenza, e stringersi, ridursi ad un taglio sottile fra le ciglia polverose, arrossate, dolenti. Il sudore fa righe lucide sulle guance polverose. I piedi stanchi si trascinano sollevando nuova polvere che tormenta, tormenta, tormenta.
   Gesù conforta i suoi stanchi apostoli. Per quanto sudi Lui pure, si è messo sul capo, a difesa del sole, il mantello, e consiglia gli altri a imitarlo. E quelli ubbidiscono senza parlare. Troppo spossati per trovare fiato ad una delle abituali lamentele. Vanno come ubriachi…
   «Confortatevi. Ecco una casa là fra i campi…», dice Gesù.
   «Se è come le altre… non c’è che lo sconforto di fare molto cammino fra i campi ardenti senza scopo», brontola dentro al mantello Pietro. E gli altri confermano con un «uhm!» sconsolato.
   «Vado Io. Voi rimanete qui, sotto questo poco d’ombra».
   «No. No. Veniamo noi pure. Almeno un pozzo ce lo avranno, qui dove l’acqua non manca… e berremo per spegnere il fuoco che abbiamo dentro».
   «Bere così accaldati vi farebbe male».
   «Moriremo… ma sarà sempre meglio di quanto abbiamo ora…».
   Gesù non ribatte nulla. Sospira e va avanti per il primo, per un sentieruolo fra i campi di messi.

   382.2­I campi non giungono sino alla casa, ma si fermano ai limiti di un frutteto meraviglioso, ombroso, temperato nella luce e nel calore che fa un anello opimo e ristoratore intorno alla casa. E gli apostoli, con un «ah!» di sollievo, ci si ficcano dentro. E Gesù va avanti, incurante delle loro richieste di sostare alquanto.
   Un tubare di colombi, un cigolio di carrucole, delle quiete voci di donna giungono dalla casa e si spargono nel silenzio assolato della campagna.
   Gesù sbuca su un piazzaletto che circonda la casa, come un marciapiede largo e pulito sul quale una pergola d’uva stende un ricamo di fronde e una protettrice ombrìa. Due pozzi, uno al lato destro, uno al sinistro della casa, ombreggiati dalla vite. Delle aiuole contro i muri della casa. Tende leggere, a righe oscure, ondeggiano alle porte aperte. Voci di donne e muovere di stoviglie escono da una stanza.
   Gesù si dirige a quella, e al suo passare una dozzina di colombi, che becchettavano delle granaglie sparse al suolo, prendono il volo con grande sbatacchio d’ali. Il rumore attira l’attenzione di chi è nella stanza, ed è contemporaneo lo scostarsi della tenda per opera di Gesù, che la sposta con la mano a destra, e per opera di una servente che la sposta a sinistra rimanendo stupita davanti allo Sconosciuto.
   «La pace a questa casa! Posso, come pellegrino, avere ristoro?», dice Gesù stando sulla soglia di questa stanza, che è una vasta cucina nella quale le serventi stanno rigovernando le stoviglie, usate per il pasto del mezzodì.
   «La padrona non ti respingerà. Vado ad avvertirla».
   «Ho con Me altri dodici, però, e se dovessi avere ristoro per Me solo preferirei non averlo affatto».
   «Lo diremo alla padrona e certo…».

   3­82.3«Maestro e Signore! Tu qui? Da me? Quale grazia è mai que­sta?», interrompe una voce; e una donna, Niche, viene avanti lesta, inginocchiandosi a baciare i piedi di Gesù.
   Le serventi sono come statue. Quella che lavava i piatti è rimasta col cencio nella destra e un piatto gocciolante nella sinistra, arrossata dall’acqua bollente. Un’altra, intenta a lucidare i coltelli, seduta al suolo sui calcagni in un angolo, si drizza sui ginocchi per vedere meglio, e i coltelli cadono con fracasso al suolo. Una terza, intenta a svuotare dalla cenere i fornelli, alza il viso incenerato e resta così, emergente dal livello del focolare a bocca aperta.
   «Qui sono. Ci hanno respinti da molte case. Siamo stanchi e assetati».
   «Oh! Vieni! Vieni! Non qui. Nelle sale di settentrione che sono fresche e ombrose. E voi preparate acque per le membra e bevande aromatiche. E tu, fanciulla, corri a destare il fattore, che ti sovvenga per le prime vivande, in attesa del ban­chet­to…».
   «No, Niche! Non sono l’ospite mondano. Sono il tuo Maestro perseguitato. Ti chiedo ricovero e amore più che cibo. Pietà chiedo. Più per i miei amici che per Me stesso…».
   «Sì, Signore. Ma quando avete fatto l’ultimo pasto?».
   «Essi non so. Io ieri, all’aurora, con loro».
   «Vedi dunque… Non farò sprechi. Ma come una sorella o una madre darò a tutti il necessario e a Te, come serva e discepola, darò onore e aiuto. Dove sono i fratelli?».
   «Nel frutteto. Ma forse già vengono. Sento le voci».
   Niche corre fuori e li vede e li chiama e poi li conduce insieme a Gesù in un fresco vestibolo, dove già sono catini e asciugamani e dove possono ristorarsi viso, braccia e piedi dal polverone e dal sudore.
   «Ve ne prego. Posate le vesti così accaldate. Date subito tutto alle serventi. Gran ristoro sarà avere vesti monde e sandali freschi. E poi venite a quella sala. Là vi attendo».
   E Niche se ne va, chiudendo la porta…

   382.4­…«Ah! si sta pur bene in quest’ombra e così rinfrescati!», sospira Pietro entrando nella sala dove Niche li attende, premurosa e rispettosa.
   «La mia gioia per potervi dare sollievo è certo più grande del tuo stesso sollievo, o apostolo del mio Signore».
   «Uhm! Apostolo… Già… Ma senti, Niche, facciamo alla buona. Tu senza fare pesare che sei ricca e sapiente, io senza far pesare che sono apostolo. Così… da buoni fratelli che hanno bisogno l’uno dell’altro per l’anima e per la carne. Mi fa troppo… paura a pensare che sono “apostolo”».
   «Paura di che?», chiede stupefatta la donna e sorride.
   «Di… di essere troppo… troppo grosso rispetto alla creta che sono, e di dover crollare per il peso… Paura di… andare in gallo per la superbia… Paura che… con l’idea che sono l’apostolo, gli altri… i discepoli voglio dire, e le anime buone, mi stiano alla larga, tacendo anche se sbaglio… E questo io non lo voglio, perché fra i discepoli, anche fra quelli che credono, così, semplicemente e solamente, ci sono tanti che sono meglio di me, chi in questo e chi in quello, e io voglio fare come… come quell’ape lì, che è entrata e dalle ceste di frutta che hai fatto portare per noi si è succhiata un poco di questo e un poco di quello, e ora ci mette, a compimento, i succhi di quei fiori, e poi andrà fuori a succhiare trifogli e fiordalisi, camomille e convolvoli. Prende da tutti. E io ho bisogno di fare come lei…».
   «Ma tu succhi il più bel fiore! Il Maestro».
   «Sì, Niche. Ma da Lui imparo a divenire figlio di Dio. Dagli uomini buoni imparerò a divenire uomo».
   «Lo sei».
   «No, donna. Sono poco meno di un animale. E non so proprio come il Maestro mi sopporti…».
   «Ti sopporto perché sai ciò che sei, e perciò sei lavorabile come una pasta. Ma se fossi resistente, caparbio, superbo soprattutto, ti caccerei come un demonio», dice Gesù.

   382.5Entrano delle serventi con tazze di latte freddo e anfore porose dove i liquidi sono certo molto freschi.
   «Vogliate ristorarvi», dice Niche. «Dopo potrete riposare fino a sera. La casa ha stanze e letti. E non li avessi darei i miei per il vostro ristoro. Maestro, io mi ritiro per le cure della casa. Sapete tutti dove trovarmi e trovare le serventi».
   «Va’ e non ti crucciare per noi».
   Niche esce. Gli apostoli fanno onore allo spuntino che è stato offerto. E mangiando con allegro appetito parlano e commentano.
   «Buona frutta!».
   «E buona discepola».
   «Bella casa. Non lussuosa ma senza miseria».
   «E retta da una che è dolce e forte insieme. Ordine, nitore, rispetto e nello stesso tempo amorevolezza».
   «Che bei campi ha intorno! Una ricchezza!».
   «Sì. E una fornace!…», dice Pietro, che non è ancora dimentico di ciò che ha sofferto. Gli altri ridono.
   «Però qui si sta bene. Ma lo sapevi che Niche stava qui?», chiede Tommaso.
   «Non più di quanto lo sapeste voi. Sapevo che presso Gerico aveva delle terre di recente acquisto. Non più di così. Il caro angelo dei pellegrini ci ha guidati».
   «Veramente ha guidato Te. Noi non volevamo venire».
   «Io ero pronto a buttarmi a terra e a farmi bruciare dal sole piuttosto che fare più un passo», dice Matteo.
   «Non si può più camminare di giorno. Quest’anno il sole è forte molto presto. Sembra che stia impazzendo esso pure».
   «Sì, cammineremo alle prime ore del giorno e nella sera. Ma presto andremo sui monti. Là è più temperato il caldo».
   «A casa mia?», chiede l’Iscariota.
   «Sì, Giuda. E a Jutta e a Ebron».
   «Ma non ad Ascalona, eh?».
   «No, Pietro. Andremo dove ancora non si è andati. Ma certo avremo anche sole e calore. Un poco di sacrificio per amor mio e delle anime. Ora riposatevi. Io esco a pregare nel frutteto».
   «Ma non sei mai stanco, Tu? Non sarebbe meglio che riposassi Tu pure?», chiede Giuda d’Alfeo.
   «Forse il Maestro vuole fermarsi qui…», osserva lo Zelote.
   «No. All’alba partiremo per guadare il fiume nelle ore fresche».
   «Dove andiamo oltre Giordano?».
   «Le turbe tornano dopo la Pasqua alle case. A Gerusalemme da troppi fui cercato invano. Predicherò e sanerò al guado. Poi andremo a ordinare la casetta di Salomon. Ci sarà preziosa…».
   «Ma non torniamo in Galilea?».
   «Andremo anche là. Ma molto staremo in queste parti meridionali e sarà prezioso un ricovero. Dormite. Io vado».

   382.6­La cena deve avere avuto luogo. È notte. Rugiade abbondanti che cadono sonando dai cornicioni sulle foglie della vite. Stelle inverosimili in cielo. Un numero incalcolabile di stelle nelle quali lo sguardo si smarrisce. Canti di grilli e di uccelli notturni e silenzio della campagna.
   Gli apostoli si sono ritirati già. Ma Niche è alzata e ascolta il Maestro. Lui è seduto rigidamente su un sedile di pietra contro la casa. La donna è in piedi, davanti a Lui, in posa di attento rispetto.
   Gesù deve terminare un discorso già avviato. Dice: «Sì. L’osservazione è giusta. Ma ero certo che al penitente, meglio, al “rinascente”, non sarebbe mancato l’aiuto del Signore. Mentre si cenava e tu interrogavi servendo, Io pensavo che l’aiuto sei tu. Hai detto: “Io non posso seguirti che per brevi periodi, perché la casa e la servitù nuova vanno sorvegliate”. E ti rammaricavi di ciò, dicendo che se avessi saputo di trovarmi subito non avresti fatto l’acquisto che ti lega. Tu vedi che esso ha servito ad ospitare gli evangelizzatori. Dunque buono è. Ma puoi servire ancora… In attesa di servire perfettamente il tuo Signore. Io ti chiedo un servizio per amore di quell’anima che sta rinascendo, che è piena di buona volontà ma che è molto debole. L’eccesso di penitenza potrebbe angosciarla, e Satana servirsi di quell’angoscia».
   «Che devo fare, o mio Signore?».
   «Andare. Ad ogni luna andare come fosse un rito. Lo è. È un rito di fraterno amore. Andrai al Carit e, salendo per il sentiero fra i roveri, chiamerai: “Elia! Elia!”. Egli si affaccerà stupito e tu lo saluterai così: “La pace a te, fratello, in nome di Gesù il Nazareno”. Gli porterai tanti pani biscottati quanti sono i giorni di una luna. Nulla più nell’estate. Dai Tabernacoli in poi, insieme ai pani gli porterai quattro log[45] di olio ogni mese. E ai Tabernacoli gli porterai una veste caprina, pesante e che non si bagna, e una coperta. Non più».
   «E nessuna parola?».
   «Quelle strettamente utili. Ti chiederà di Me. Dirai ciò che sai. Ti confiderà le sue dubitanze, speranze e accasciamenti. Tu dirai ciò che la tua fede e la tua pietà ti ispirano. Non durerà molto, d’altronde, il sacrificio… Neppure dodici lune… Vuoi essere pietosa a Me e al penitente?».
   «Sì, mio Signore…

   382.7­Ma perché tanto mesto?».
   «E tu perché piangi?».
   «Perché nelle tue parole sento presagio di morte… Tanto presto ti perderò, Signore?». Niche piange nel suo velo.
   «Non piangere! Sarà tanta pace per Me, dopo… Non più odio. Non più agguati. Non più tutto questo… orrore del peccato su Me, intorno a Me… Non più vicinanze atroci… Oh! non piangere, Niche! Il tuo Salvatore sarà in pace. Vittorioso sarà…».
   «Ma prima… ma prima… Col marito mio sempre leggevamo i profeti… E tremavamo d’orrore per le parole di Davide e Isaia… Ma proprio, proprio così sarà di Te?».
   «Questo e più ancora…».
   «Oh!… Chi ti darà sollievo? Chi ti farà morire con… speranza ancora?».
   «L’amore dei discepoli e specie delle discepole fedeli».
   «Anche il mio, allora. Perché io a nessun costo sarò lontana dal mio Redentore. Solo… oh! Signore! Esigi da me ogni penitenza, ogni sacrificio, ma dàmmi un coraggio virile per quel­l’o­ra. Quando Tu sarai[46] “come un coccio disseccato”, “con la lingua attaccata al palato” per la sete, quando sembrerai “il lebbroso che si copre il volto”, fa’ che io ti conosca Re dei re e ti sovvenga come ancella devota. Non mi nascondere il tuo volto torturato, o Dio mio! Ma, come ora lasci che io mi bei nel fulgore di Te, Stella del mattino, fa’ che io possa guardarti allora e il tuo volto si imprima nel mio cuore che, oh! anche il mio come il tuo, sarà molle come cera, in quel giorno, per il dolo­re…». Niche è ora in ginocchio, quasi prostrata, e ogni tanto alza il volto lacrimoso a guardare il suo Signore, candore di carne nel candore della luna contro lo scuro della muraglia.
   «Avrai tutto questo. E Io avrò la tua pietà. Salirà con Me sul mio patibolo e da lì salirà con Me al Cielo. La tua corona in eterno. Angeli e uomini diranno di te la lode più bella: “Nel­l’ora della sventura, del peccato, del dubbio, ella fu fedele, non peccò e soccorse il suo Signore”. Alzati, donna. E che tu sia benedetta fin da ora e per sempre».
   Le impone le mani mentre essa sta per sorgere in piedi, e poi rientrano nella casa silenziosa, per il riposo della notte.

[45] log, misura di capacità per i liquidi, menzionata più volte nel brano di Levitico 14, 10-24, corrispondeva a circa mezzo litro. Altra misura è bat, che incontreremo in 467.3.
[46] sarai, come è detto in: Salmo 22,16Isaia 53,3.