MARIA
VALTORTA

Voglio che le anime possano bere alla Fonte vitale della mia parola

"Quando la Chiesa - e per tale alludo ora alla riunione degli alti dignitari di Essa - agì secondo i dettami della mia Legge e del mio Vangelo, la Chiesa conobbe tempi fulgidi di fulgore. Ma guai quando, anteponendo gli interessi della Terra a quelli del Cielo, inquinò Se stessa con passioni umane! Tre volte guai quando adorò la Bestia di cui parla Giovanni, ossia la Potenza politica, e se ne fece asservire..." (Qd 12 dicembre 1943)

OPERA MAGGIORE

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VOLUME VI CAPITOLO 384



CCCLXXXIV. Il vecchio Anania diventa il custode della casetta di Salomon.

   15 febbraio 1946.

   384.1La casetta di Salomon, quella che senza saperne il proprietario ho visto nel marzo 1944 nella visione[51] della risurrezione di Lazzaro, è una delle ultime dell’unica via, che va a sfociare al fiume, di questo villaggetto povero e fuori mano. Un villaggetto di barcaiuoli, con le casette più… ricche messe lungo la vietta polverosa, le altre sparse a casaccio fra le piante delle rive. E non sono certo molte. Credo che non arrivino a cinquanta. E così piccine che entrerebbero tutte in uno di quei casamenti popolari delle grandi città attuali. Ora la primavera le fa apparire meno misere perché le decora della sua freschezza, e ghirlande di convolvoli, o festoni di viti, o ridere aperto di gialli fiori di zucche, sono sulle embrionali palizzate che segnano i possessi, sui bordi dei tetti, intorno alle porte delle case, né manca qualche rosa che pare spaesata nella sua bellezza in mezzo a ceste e reti, a giallore di senapi in fiore, a umile dondolare dei primi baccelli dei legumi.
   Anche la via pare meno brutta, perché il canneto là in fondo non ha solo le bacche dure dei nocchi polverosi, ma si infiocchetta di pennacchi delle eleocarie e fra i nastri delle foglie delle canne drizza i coltelli dei gladioli selvatici, che si pompeggiano nelle spighe multicolori dei loro fiori, mentre leggeri vilucchi, dallo stelo filiforme, abbracciano a spirale nocchi e canne e ad ogni giro mettono il calice delicatissimo del piccolo fiore di un rosa lilla tenuissimo. E uccelli, a miriadi, amoreggiano fra i canneti, civettando in cima alle canne, dondolandosi appesi ai vilucchi, mettendo trilli e colori fra il verde delle rive palustri.
   Gesù spinge il rustico cancelletto che immette in un orticello o cortile. Certo, se era un orto, ora è un arruffio selvaggio di erbe rinate; se era un cortile, è ugualmente una gazzarra di erbacce seminate dai venti. Solo delle zucche hanno mostrato saggezza, attaccandosi all’unica pianta di vite e al fico e salendo a mettere le bocche ridenti dei loro fiori vicino ai grappolini in miniatura della vite o alle foglie tenerelle del fico, che alla base, nella cuna del picciòlo, hanno la gemma dura dei fichi-fiore appena formati. Le ortiche tormentano i piedi nudi, tanto che Pietro e Tommaso, raccolti due remi tarlati, si dànno a mortificare le irritanti piantacce per sminuirne il veleno.
   Intanto Giacomo e Giovanni cercano di far funzionare la grossa serratura arrugginita e, pervenuti allo scopo, aprono la porta grezza, penetrando in una stanza-cucina dal forte odore di muffa e di rinchiuso. Polvere e ragnatele decorano le pareti, un tavolo grezzo, delle panche e sedili, una mensola l’ammobigliano, e due porte si aprono in una parete.

   384.2­Pietro esplora… «Qui c’è una stanzetta con un solo letto. Buona per Gesù… E qui? Ah! ho capito! Questo è la dispensa, l’arsenale, il granaio e il topaio… Guarda che corse di topi! Hanno rosicchiato tutto in questi mesi. Ma ora ci penso io a voi, non dubitate. Maestro… si può proprio far da padroni qui?».
   «Così ha detto Salomon».
   «Molto bene! Di’, fratello, e tu, Giacomo. Venite qui a chiudere tutti i buchi. E tu, Matteo, con Giuda mettiti sulla porta e bada che non esca neppure un topo. Fa’ conto di essere ancora l’amabile gabelliere di Cafarnao. Allora non ti scappava un cliente neppure se si faceva sottile come una lucertola al risveglio… E voi andate a prendere quante più erbacce potete nel­l’or­to e portatele qui. E Tu, Maestro, va’… dove ti pare, mentre io… sistemo questi satana immondi che hanno rovinato queste comode reti e mangiata un’intera chiglia di barca…». E mentre parla accumula legni rosicati, pezzi di rete ridotta a stoppa, fascine… tutto in mezzo alla stanza e, avute le erbe verdi, le mette sopra al resto e poi dà fuoco e scappa, mentre le prime volute di fumo si alzano dalla catasta. Ride dicendo: «E muoiano tutti i filistei!».
   «Ma non darai fuoco a tutto?», chiede Simone Zelote.
   «No, caro. Perché l’umido delle frasche tiene mortificate le fiamme, e le fiamme sprigionano dalle erbe il fumo e così, con buona alleanza, il secco e il verde si aiutano a fare vendetta. Senti che puzza? Fra poco sentirai che stridi! Chi è che mi raccontava dei cigni che cantano prima di morire? Ah! Sintica! Fra poco anche i topi canteranno».
   Giuda Iscariota tronca a mezzo una risata e osserva: «Non si è potuto sapere più niente di lei. E niente di Giovanni d’Endor. Chissà dove sono finiti?».
   «Al posto giusto, certo», risponde Pietro.
   «Lo sai?».
   «So che non ci sono più a essere bersaglio al malanimo».
   «Non hai chiesto a nessuno? Io sì».
   «E io no. Non è cosa che mi interessa sapere dove sono. Mi basta pensare e pregare perché si conservino santi».
   Tommaso dice: «A me ne hanno chiesto dei ricchi farisei, clienti di mio padre. Ma ho risposto che non ne so nulla».
   «E non sei curioso di sapere?», insiste Giuda.
   «Io no e dico il vero…».
   «Sentite! Sentite! Il fumo fa effetto. Ma andiamo fuori, perché se no si affoga anche noi», dice Pietro. E il diversivo mette fine all’argomento.

   384.3Gesù è nell’orto e raddrizza degli steli di legumi, nati da sementi cadute, striscianti a terra.
   «Fai l’ortolano, Maestro?», chiede sorridendo Filippo.
   «Sì. Mi fa pena anche vedere una pianta che striscia, inutile, mentre è destinata a elevarsi verso il sole e a fruttificare».
   «Bel soggetto per un discorso, Maestro», osserva Bartolomeo.
   «Sì. Bello. Ma tutto serve da soggetto per chi sa meditare».
   «Ti aiutiamo anche noi. Su! Chi va alle canne del fiume, a prenderne per i legumi?».
   I giovani vanno, ridendo, e i più anziani si danno a fare pulizia strappando attenti le erbe parassite.
   «Oh! così si vede che è un orto. Non c’è l’insalatina. Ma porri, agli, verdure, erbe fini e legumi ce ne sono. E zucche! Quante zucche. Bisogna potare la vite, liberare il fico e…».
   «Ma Simone, non rimaniamo qui!…», dice Matteo.
   «Ma ci verremo più volte. Lo ha detto Lui. E non ci darà noia avere un poco d’ordine intorno. Guarda, guarda! Anche un gelsomino, poveretto, sotto questa cascata di zucche. Se vedesse Porfirea questa pianta così afflitta, ci piangerebbe sopra e le parlerebbe come ad un bambino. Già, perché prima di avere Marziam parlava coi suoi fiori come a figli… Ecco. Anche qui ho fatto posto. Ho levato la zucca perché…

   384.4­Oh! ecco i ragazzi con le canne e con un… Maestro, c’è da fare per Te. È cieco!».
   Entrano infatti Giacomo e Giovanni, Andrea e Tommaso, carichi di canne, e Tommaso quasi porta di peso un povero vecchierello tutto stracciato e dagli occhi bianchi per cataratte.
   «Maestro, egli cercava i radicchi sulle sponde e per poco cadeva in acqua. È rimasto solo da qualche mese perché il figlio che lo manteneva è morto, la nuora è tornata a casa e lui… vive come può. Vero, padre?».
   «Sì. Sì. Dove è il Signore?», dice girando gli occhi velati.
   «Qui è. Vedi quel biancore lungo? È Lui».
   Ma Gesù viene già avanti e lo prende per mano. «Sei solo, povero padre? E non ci vedi?».
   «No. Finché ho visto, intrecciavo cesti e nasse e facevo reti. Ma ora… Vedo con le dita più che con gli occhi, e nel cercare erbe mi sbaglio, e delle volte mi faccio male al ventre per erbe nocive».
   «Ma in paese…».
   «Oh! sono tutti poveri e pieni di figli, e io sono vecchio… Se muore un asino… spiace. Ma se muore un vecchio!… Che è un vecchio? Che sono? Mi ha levato tutto la nuora. Ma mi avesse almeno portato con sé, come una vecchia pecora, perché avessi vicino i nipotini… i figli del mio figlio…»; piange abbandonato sul petto di Gesù, che lo tiene fra le braccia e lo carezza.
   «Non hai casa?».
   «L’ha venduta».
   «E come vivi?».
   «Come le bestie. I primi giorni mi aiutava il paese. Ma poi si è stancato…».
   «Salomon dirazza allora, perché lui è generoso», osserva Matteo.
   «Con noi, però. Perché non ha dato la casa al vecchio?», chiede Filippo.
   «Perché quando è passato di qui l’ultima volta io avevo ancora una casa. Salomon è buono. Ma il paese lo chiama “il pazzo” da qualche tempo e non fa più quello che Salomon aveva insegnato di fare», dice il vecchio.

   384.5­«Staresti volentieri qui con Me?».
   «Oh! non rimpiangerei più i nipoti!».
   «Anche se rimanessi povero e cieco, ti basterebbe di servirmi per essere felice?».
   «Sì!». Un “sì” tremulo, ma così sicuro…
   «Va bene, padre. Ascolta. Tu non puoi fare il cammino che Io faccio. Io non posso rimanere qui. Ma possiamo volerci bene e farci del bene l’uno coll’altro».
   «Tu sì, a me. Ma io… Che può fare il vecchio Anania?».
   «Guardarmi la casa e l’orto perché la trovi ad ogni ritorno ordinata. Ti piace?».
   «Oh! sì! Ma sono cieco… La casa… mi abituerò alle mura. Ma l’orto… Che fare per curarlo, se non distinguo le erbe? Oh! che sarebbe così bello servirti, Signore! Finire la vita così…». Il vecchietto tiene le mani sul cuore sognando l’impossibile cosa.
   Gesù si china sorridendo e lo bacia sugli occhi appannati…
   «Ma io… comincio a vedere… Io vedo… Oh! Oh! Oh!…». Vacilla nella gioia e cadrebbe se Gesù non lo sorreggesse.
   «Eh! la gioia!…», dice Pietro con voce grossa di commozione.
   «E la fame, anche… Ha detto che sono giorni che vive con soli radicchi senz’olio né sale…», termina Tommaso.
   «Sì, lo abbiamo portato per questo. Per sfamarlo…».
   «Povero vecchio!», tutti compiangono.
   Il vecchietto rinviene e piange, piange. Il povero pianto dei vecchi… così triste anche quando è di letizia, e mormora: «Ora sì, ora posso servirti, benedetto! Benedetto! Benedetto!», e vorrebbe chinarsi a baciare i piedi di Gesù.
   «No, padre. Ora andremo dentro e mangeremo, e poi ti daremo una veste e tu sarai fra figli e noi avremo un padre che ci darà il benvenuto ad ogni ritorno e la benedizione ad ogni partenza. Andremo a cercare due colombi perché tu abbia creature vive intorno. Cercheremo sementi per l’orto e tu seminerai semi nelle aiuole e la fede in Me nei cuori di questo paese».
   «La carità, insegnerò! Non ce l’hanno!».
   «Anche la carità. Ma sii dolce…».
   «Oh! lo sarò. Non ho detto una parola dura alla nuora che mi abbandonava. Ho capito e perdonato».
   «Te l’ho visto in cuore. Per questo ti ho amato. Vieni. Vieni con Me…». E Gesù entra in casa tenendo per mano il vecchietto.

   384.6Pietro li guarda andare e si asciuga una lacrima col dorso della mano prima di riprendere il lavoro interrotto.
   «Piangi, fratello?». Pietro non risponde. Andrea incalza: «Perché piangi, fratello?».
   «Occupati delle gramigne, tu. Se piango è perché… perché lo so io…».
   «Dillo anche a noi, sii buono», dicono in diversi.
   «È perché… È perché a me toccano più il cuore queste lezioni così… così… insomma fatte così, che non quando tuona imponente…».
   «Ma allora si vede in Lui il Re!», esclama Giuda.
   «E qui si vede il Santo. Ha ragione Pietro», dice Bartolomeo.
   «Ma per regnare deve essere forte».
   «Ma per redimere deve essere santo».
   «Per le anime, sì. Ma per Israele…».
   «Israele non sarà mai Israele se le anime non si santifi­cano».
   I «sì» e i «no» si intrecciano. E ognuno porta il suo parere diverso.
   Il vecchietto torna fuori con una brocchetta in mano. Va a prendere acqua alla fonte. Non pare più quello di prima, tanto è felice.
   «Vecchio padre, ascolta. Secondo te, di che ha bisogno Israele per essere grande?», interroga Andrea. «Di un re o di un santo?».
   «Di Dio ha bisogno. Di quel Dio che là dentro prega e medita. Ah! figli! figli! Siate buoni, voi che lo seguite! Siate buoni, buoni, buoni! Ah! che dono vi ha fatto il Signore! Che dono! Che dono!», e se ne va agitando le braccia verso il cielo e mormorando: «Che dono! Che dono!»…

[51] visione, del 23 marzo 1944, riportata nel volume “I quaderni del 1944”. La “risurrezione di Lazzaro” riportata nella presente opera, al capitolo 548, è del 26 dicembre 1946. Riguardo alla doppia stesura di certi episodi tratteremo in nota a 587.13.