MARIA
VALTORTA

Voglio che le anime possano bere alla Fonte vitale della mia parola

"Quando la Chiesa - e per tale alludo ora alla riunione degli alti dignitari di Essa - agì secondo i dettami della mia Legge e del mio Vangelo, la Chiesa conobbe tempi fulgidi di fulgore. Ma guai quando, anteponendo gli interessi della Terra a quelli del Cielo, inquinò Se stessa con passioni umane! Tre volte guai quando adorò la Bestia di cui parla Giovanni, ossia la Potenza politica, e se ne fece asservire..." (Qd 12 dicembre 1943)

OPERA MAGGIORE

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VOLUME VI CAPITOLO 387



CCCLXXXVII. A Galgala. Il mendico Ogla e gli scribi tentatori. Gli apostoli paragonati alle dodici pietre del prodigio di Giosuè.

   18 febbraio 1946.

   387.1­Non so come sia ora Galgala. Al momento che ci entra Gesù è una comune città palestinese, abbastanza popolosa, sita su un colle poco alto, coperto di vigneti e ulivi per lo più. Ma il sole vi è così padrone che anche le biade possono trovarvi posto, seminate a casaccio sotto le piante o tra i filari. E maturano nonostante le fronde, perché sono arrostite a dovere dal sole che già risente del deserto vicino.
   Polvere, vocio, sudiciume, confusione di giorno di mercato. E, inesorabili come il destino, i soliti zelanti e non convinti farisei e scribi, che con grandi gesti discutono e sdottorano nell’angolo migliore della piazza e che fingono di non vedere Gesù o di non conoscerlo.
   Gesù tira diritto, andando a consumare il suo pasto in una piazzetta secondaria, quasi alla periferia, tutta ombrosa per un intreccio di rami fatto da piante d’ogni genere. Ho l’impressione che sia un pezzo di monte da poco incluso nell’abitato e conservante ancora quel ricordo del suo stato naturale.

   387.2Il primo ad accostarsi a Gesù, che mangia pane e ulive, è un uomo cencioso. Chiede un po’ di pane. Gesù gli passa il suo con tutte le ulive che ha in mano.
   «E Tu? Non abbiamo quattrini, lo sai…», osserva Pietro. «Abbiamo lasciato tutto ad Anania…».
   «Non importa. Non ho fame. Sete, questa sì…».
   Il mendico dice: «Qui dietro è un pozzo. Ma perché mi hai dato tutto? Potevi darmi metà del tuo pane… Se non hai ribrezzo a riprenderlo…».
   «Mangia, mangia. Io posso stare senza. Ma per levarti il sospetto che Io abbia schifo di te, dàmmi con le tue mani un sol boccone e lo mangerò per essere tuo amico…».
   L’uomo, un volto triste e senza luce, si abbella in un sorriso stupito e dice: «Oh! è la prima volta, da quando sono il povero Ogla, che uno mi dice di volermi essere amico!», e dà il boccone di pane a Gesù. E chiede: «Chi sei? Come ti chiami?».
   «Sono Gesù di Nazaret, il Rabbi di Galilea».
   «Ah!… Ho sentito da altri parlare di Te… Ma… non sei il Messia?…».
   «Lo sono».
   «E Tu, Messia, sei così buono coi mendichi? Il Tetrarca ci fa battere dai servi se ci vede sulla sua via…».
   «Io sono il Salvatore. Non batto, ma amo».
   L’uomo lo guarda fisso fisso. Poi si mette a piangere lentamente.
   «Perché piangi?».
   «Perché… vorrei essere salvato…

   387.3­Non hai più sete, Signore? Ti condurrei al pozzo e ti parlerei…».
   Gesù intuisce che l’uomo vuole confessare qualcosa e si alza dicendo: «Andiamo».
   «Vengo anche io!», scatta Pietro.
   «No. Torno subito, d’altronde… E bisogna avere stima di chi si pente».
   Va con l’uomo dietro una casa oltre la quale è la campagna.
   «Lì è il pozzo… Bevi e poi ascoltami».
   «No, uomo. Versa prima tu in Me il tuo affanno e poi… berrò Io. E forse avrò una fonte ancor più dolce dell’acqua del suolo per la mia sete».
   «Quale, Maestro?».
   «Il tuo pentimento. Andiamo sotto quelle piante. Qui le donne ci osservano. Vieni», e gli pone la mano sulla spalla e lo spinge avanti in un folto d’ulivi.
   «Come sai che io sono colpevole e che sono pentito?».
   «Oh!… Ma parla. E non avere paura di Me».

   387.4­«Signore… Eravamo sette fratelli di un solo padre, ma io ero nato dalla donna che mio padre aveva sposata nella vedovanza. Ed ero odiato dagli altri sei. Il padre, morendo, lasciò a tutti in uguale misura. Ma morto che fu, corrompendo i giudici, i sei mi tolsero ogni bene e cacciarono me e la madre con accuse infami. Ella morì che io avevo sedici anni… e morì di stenti… E da allora io non ho più avuto nessuno che mi amasse…»; piange con molto affanno.
   Si riprende e continua: «I sei, ricchi e felici, prosperavano anche col mio, e io morivo di fame perché mi ero ammalato assistendo la madre consunta… Ma Dio uno per uno li percosse. Li ho tanto maledetti, tanto odiati, che il malocchio fu su loro. Facevo male? Certo. Lo so. E lo sapevo. Ma come non poterli odiare e maledire? L’ultimo, che in realtà era il terzogenito, resisteva a tutte le maledizioni, anzi prosperava coi beni degli altri cinque che si era presi legittimamente per i tre più piccoli, morti senza moglie, e sposando la moglie del primogenito morto senza figli, e fraudolentemente per il secondo, alla vedova e agli orfani del quale aveva con raggiri e prestiti preso molta parte del padre. E quando mi incontrava per caso ai mercati dove andavo, servo di un ricco, a vendere derrate, mi insultava e bastonava… Una sera l’ho incontrato… Ero solo. Era solo. Era un poco ebbro di vino lui… E io ero ebbro di ricordi e di odio… Erano dieci anni dal giorno che m’era morta la madre… Mi insultò, insultando la morta… La chiamò “cagna immonda” e chiamò me “figlio della iena…”. Signore… non mi avesse toccato la madre… avrei sopportato. Ma me l’ha insultata… L’ho preso per il collo. Abbiamo lottato… Lo volevo solo percuotere… Ma è scivolato a terra… e la terra era coperta di erba scivolosa, in pendio… e sotto c’era un burrone e un torrente… È rotolato, ebbro come era, ed è caduto… Lo cercano ancora dopo tanti anni… Ma è sepolto fra i pietroni e le sabbie di uno dei torrenti del Libano. Io non sono più tornato dal padrone. E lui non è più tornato a Cesarea Paneade. Io sono andato senza pace… Ah! la maledizione di Caino! Paura di vivere… e paura di morire… Mi sono ammalato… E poi… ho sentito di Te… Ma avevo paura… Dicevano che vedevi nel cuore dell’uomo. E sono così cattivi i rabbi d’Israele!… Non conoscono la pietà… Tu, Rabbi dei rabbi, eri il mio terrore… E scappavo davanti a Te. Eppure vorrei essere perdonato…». Piange accasciato al suolo…

   387.5­Gesù lo guarda e mormora: «E prendiamo su Me anche questi peccati!… Figlio! Ascolta. Io sono la Pietà, non il terrore. Anche per te Io sono venuto. Non vergognarti di Me… Sono il Redentore. Vuoi essere perdonato? Di che?».
   «Del mio delitto. Me lo chiedi? Ho ucciso mio fratello».
   «Hai detto: “Lo volevo solo percuotere”, perché in quel momento eri offeso e irato. Ma quando odiavi e maledivi, non uno ma sei fratelli, non eri offeso e irato. Lo facevi come il respiro. Spontaneamente. L’odio e la maledizione, il giubilo di vederli colpiti era il tuo pane spirituale, non è vero?».
   «Sì, Signore. Per dieci anni il mio pane».
   «Ebbene, in realtà il più grande delitto tu lo hai iniziato dal momento che hai odiato e maledetto. Sei omicida dei fratelli sei volte».
   «Ma Signore, essi mi avevano rovinato e odiato… E la madre mi è morta di fame…».
   «Vuoi dire che avevi ragione di farti vendetta».
   «Sì. Lo voglio dire».
   «Non hai ragione. Dio c’era per punire. Tu dovevi amare. E Dio ti avrebbe benedetto in Terra e in Cielo».
   «Non mi benedirà dunque mai?».
   «Il pentimento riporta la benedizione. Ma quanto dolore, quanto affanno ti sei dato! Molto più di quanto ti davano i fratelli, ti sei dato col tuo odio!…».
   «È vero! È vero! Un orrore che dura da ventisei anni. Oh! perdonami in nome di Dio. Tu vedi che ho dolore della colpa in me! Io non chiedo nulla per la mia vita. Mendico sono e malato. Ma tale voglio restare, soffrire, espiare. Ma dàmmi la pace di Dio! Ho fatto dei sacrifici al Tempio soffrendo la fame per accumulare la somma per l’olocausto. Ma non potevo dire il mio delitto, e non so se sarà stato accetto il sacrificio».
   «Nullo. Anche se ogni giorno ne avessi consumato uno, a che ti giovava quando con menzogna l’immolavi? Rito superstizioso e inutile è quello non preceduto da sincera confessione della colpa. Colpa aggiunta alla colpa, e perciò ancor più che inutile. Sacrilega offerta. Che dicevi tu al sacerdote?».
   «Dicevo: “Ho peccato per ignoranza facendo cose dal Signore proibite e voglio espiare”. Io pensavo: “Io so in che ho peccato, e Dio lo sa. Ma all’uomo non posso dire con chiarezza. Dio, che è onniveggente, sa che io penso al mio peccato”».
   «Restrizioni mentali, scappatoie indegne. L’Altissimo le odia. Quando si pecca, si espia. Non lo fare più».
   «No, Signore. E sarò perdonato? O devo andare a confessare ogni cosa? Pagare con la vita la vita che ho presa? Mi basta morire col perdono di Dio».
   «Vivi per espiare. Non potresti rendere il marito alla vedova e il padre ai figli… Prima di uccidere, prima di lasciare che l’odio diventi il nostro padrone, occorrerebbe pensare! Ma sorgi e cammina per la nuova via. Troverai, andando, dei discepoli miei. I monti della Giudea, se da Tecua vai a Betlemme e oltre verso Ebron, sono certo percorsi da essi. Di’ loro che Gesù ti manda e dice che avanti la Pentecoste Egli risalirà verso Gerusalemme passando da Betsur e Bétèr. Cerca di Elia, Giuseppe, Levi, Mattia, Giovanni, Beniamino, Daniele, Isacco. Ricorderai questi nomi? Rivolgiti a loro particolarmente. Ora andiamo…».
   «E non bevi?».
   «Ho bevuto il tuo pianto. Un’anima che torna a Dio! Non c’è nulla di più ristorante per Me».
   «Perdonato sono, allora?! Tu dici: “Torna a Dio”…».
   «Sì. Sei perdonato. E non odiare mai più».
   L’uomo si china di nuovo, poiché si era alzato in piedi, e bacia i piedi di Gesù.

   387.6Tornano dagli apostoli e li trovano in disputa con alcuni scribi.
   «Eccolo il Maestro. Egli vi può rispondere e dire che voi siete peccatori».
   «Cosa c’è?», chiede Gesù, il cui saluto deferente non ha risposta.
   «Maestro, ci vessano con domande e scherni…».
   «Sopportare le molestie è opera di misericordia».
   «Ma offendono Te. Ti fanno oggetto di scherno… e la gente tituba. Lo vedi? Eravamo riusciti a radunare persone… Ora chi resta? Due o tre donne…».
   «Oh! no! Avete anche un uomo, un lurido uomo! È fin troppo per voi! Soltanto, o Maestro, non ti pare di contaminarti troppo, Tu che sempre dici che le brutture ti fanno ribrezzo?», motteggia un giovane scriba accennando al mendico che è di fianco a Gesù.
   «Questo non è bruttura. Non è la bruttura che mi ripugna. Questo è “il povero”. Il povero non fa ribrezzo. La sua miseria deve solo aprire l’anima a sentimenti di pietà fraterna. Io ho ribrezzo delle miserie morali, dei cuori fetidi, delle anime a brandelli, degli spiriti piagati».
   «E sai se egli non è tale?».
   «So che egli crede e spera in Dio e nella sua misericordia, ora che l’ha conosciuta».
   «Conosciuta? Dove abita? Dillo, ché noi pure vi andiamo per vederne il volto. Ah! Ah! Il Dio terribile, che Mosè non ardiva guardare, deve aver una ben terribile faccia anche nella misericordia, anche fosse ammollito, dopo tanti secoli, il suo rigore!», ribatte il giovane scriba e ride di un riso negatore più di una bestemmia.
   «Io sono che ti parlo la Misericordia di Dio!», grida Gesù, eretto e sfolgorante potenza dagli occhi e dal gesto.
   Non so come l’altro non abbia paura… Però, se anche non fugge, non osa più fare sarcasmi e tace, mentre un altro lo surroga: «Oh! quante parole inutili! Noi vorremmo soltanto poter credere. Non chiederemmo di meglio. Ma per credere bisogna avere delle prove.

   387.7Maestro, sai Tu cosa è Galgala per noi?».
   «E stolto mi credi?», dice Gesù. E prendendo il tono di salmo, lento, un poco strascicato, inizia[52]: «“E Giosuè, alzatosi avanti giorno, levò il campo. Partiti da Setim, egli e tutti i figli d’Israele arrivarono al Giordano ove si fermarono tre giorni, alla fine dei quali gli araldi percorsero il campo gridando: ‘Quando vedrete l’arca dell’alleanza del Signore Dio vostro, portata dai sacerdoti della stirpe di Levi, partite anche voi e seguiteli, ma tra voi e l’arca sia un intervallo di duemila cubiti, affinché possiate vedere da lontano e distinguere la via per la quale dovete camminare, non essendoci mai passati e…’ ”».
   «Basta, basta! La lezione la sai. Orbene, noi vorremmo da Te, per credere, un miracolo uguale. Al Tempio, nella Pasqua, fummo rintronati dalla notizia portata da un barcaiolo che Tu hai fermato il fiume in piena[53]. Or dunque, se per un uomo qualunque hai fatto tanto, per noi, tanto più di un uomo, fa’ quello di scendere nel Giordano coi tuoi e di passarlo a piedi asciutti come Mosè al mar Rosso e Giosuè a Galgala. Suvvia! I sortilegi non servono che per gli ignoranti. Ma noi non saremo sedotti dalla tua negromanzia, benché Tu, è noto, conosca i segreti d’Egitto e le formule magiche».
   «Non ne ho bisogno».
   «Scendiamo al fiume e crederemo in Te».
   «È detto[54]: “Non tentare il Signore Iddio tuo”!».
   «Tu non sei Dio! Sei un povero folle. Sei uno che sovverti le folle ignoranti. Con quelle è facile, poiché Belzebù è con Te. Ma con noi, ornati dei segni d’esorcismo, sei men che nulla», morde uno scriba.
   «Non lo offendere! Pregalo di accontentarci. Così come fai, si avvilisce e perde il potere. Su, Rabbi di Nazaret! Dàcci una prova e noi ti adoreremo», dice serpentino un vecchio scriba, ed è più nemico nella sua tortuosa blandizia che non gli altri con l’aperta ferocia.
   Gesù lo guarda. Poi si volge verso sud-ovest e apre le braccia protendendole in avanti. Dice: «Là è il deserto di Giuda e là mi fu detto dallo Spirito del Male di tentare il Signore mio Dio. Ed Io ho risposto: “Va’ via, Satana! È detto che solo Dio va adorato, non tentato. E va seguito al di sopra della carne e sangue”. Così dico a voi».
   «A noi dài nome di Satana? A noi? Ah! maledetto!», e più simili a monellacci che a dottori della Legge dànno di mano alle pietre sparse al suolo per colpirlo e urlano: «Va’ via! Va’ via! Maledetto Te in eterno!».
   Gesù li guarda, senza paura. Li paralizza nel gesto sacrilego, raccoglie il mantello e dice: «Andiamo! Uomo, procedi avanti di Me», e torna verso il pozzo, verso l’uliveto della confessione, vi si addentra… E china il capo accasciato con due lacrime intenibili che rotolano dalle ciglia sul volto pallido.

   387.8Giungono ad una via. Si ferma Gesù e dice al mendico: «Dar­ti denaro non posso. Non ne ho. Ti benedico. Addio. Fa’ ciò che ti ho detto». Si separano…
   Gli apostoli sono afflitti. Non parlano. Si guardano sottecchi…
   Gesù rompe il silenzio riprendendo il tono di salmo inter-
   rotto dallo scriba: «“E il Signore disse a Giosuè: ‘Prendi dodici uomini, uno per tribù, e fa’ loro prendere di mezzo al letto del Giordano, dove si sono fermati i piedi dei sacerdoti, dodici durissime pietre che erigerete nel luogo degli accampamenti, dove pianterete le tende questa notte’. E Giosuè, chiamati a sé dodici uomini scelti fra i figli d’Israele, uno per tribù, disse loro: ‘Andate davanti all’arca del Signore Dio vostro in mezzo al Giordano e togliete di là sulle vostre spalle una pietra per ciascuno, secondo il numero dei figli d’Israele, per farne un monumento fra voi. E quando in futuro i vostri figli vi chiederanno, dicendo: che significano queste pietre?, risponderete loro: le acque del Giordano sparirono davanti all’arca dell’alleanza del Signore che le traversava, e queste pietre furono poste come eterno monumento dei figli d’Israele’ ”».
   Alza il capo che teneva dimesso. Gira lo sguardo sui dodici che lo guardano. Dice con altra voce, la sua dei momenti di maggior mestizia: «E l’Arca fu nel fiume. E non le acque ma i Cieli si apersero[55] per rispetto al Verbo, che in esse stava a santificarle più che sante non fossero per l’Arca ferma nel letto del fiume. E il Verbo si è scelto dodici pietre. Durissime. Perché devono essere durature sino alla fine del mondo. E perché devono essere fondamenta al Tempio nuovo e alla Gerusalemme eterna. Dodici. Ricordatevelo. Questo deve essere il numero. E poi altre dodici le scelse a seconda testimonianza. I primi discepoli pastori e Abele lebbroso e Samuele storpio, i primi guariti… e riconoscenti… Durissime anche perché dovranno resistere ai colpi di Israele che odia Dio!… Che odia Dio!…». Che voce straziata, affievolita, quasi bianca ha Gesù mentre piange sulla durezza di Israele.
   Riprende: «Nel fiume i secoli e l’uomo sparpagliarono le pietre ricordo… Sulla Terra l’odio sparpaglierà i miei dodici. Sulle sponde del fiume i secoli e gli uomini hanno distrutto l’altare ricordo… Le prime e le seconde pietre, servite a tutti gli usi per astio dei demoni che non sono solo nell’inferno ma anche dentro agli uomini, non si riconoscono più. Talune servirono anche per uccidere. E chi mi dice che nelle selci alzate contro Me non ci fossero schegge delle pietre durissime scelte da Giosuè? Durissime! Nemiche! Oh! durissime! Anche fra i miei vi saranno i dispersi che faranno da marciapiede ai demoni marcianti su Me… e selce si faranno per colpirmi… e non saranno più le pietre scelte… ma i satana… Oh! Giacomo, fratello mio! Durissimo è Israele col suo Signore!»; e, cosa mai vista, Gesù, sopraffatto da non so quale imponente sconforto, si piega sulla spalla di Giacomo di Alfeo e lo abbraccia piangendo…

[52] inizia, recitando quanto si legge in: Giosuè 3, 1-4. Citazioni e accenni successivi comprendono Giosuè 3-4.
[53] hai fermato il fiume in piena, in 361.11/12.
[54] È detto, in: Deuteronomio 6, 16.
[55] i Cieli si aperseroAllude al suo Battesimo; dodici pietreGli Apostoli. Sono due annotazioni di MV su una copia dattiloscritta.