MARIA
VALTORTA

Voglio che le anime possano bere alla Fonte vitale della mia parola

"Quando la Chiesa - e per tale alludo ora alla riunione degli alti dignitari di Essa - agì secondo i dettami della mia Legge e del mio Vangelo, la Chiesa conobbe tempi fulgidi di fulgore. Ma guai quando, anteponendo gli interessi della Terra a quelli del Cielo, inquinò Se stessa con passioni umane! Tre volte guai quando adorò la Bestia di cui parla Giovanni, ossia la Potenza politica, e se ne fece asservire..." (Qd 12 dicembre 1943)

OPERA MAGGIORE

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VOLUME VI CAPITOLO 388



CCCLXXXVIII. Nei luoghi colpiti dal castigo divino. Raccomandazioni a Giuda Iscariota che andrà a Betania con Simone Zelote.

   19 febbraio 1946.

   388.1Devono aver proseguito nella notte lunare, sostato in qualche caverna per delle ore e ripreso il cammino all’alba. E sono visibilmente stanchi per il cammino difficile su rocce sminuzzate, fra arbusti spinosi e liane che strisciano impigliando i piedi. Guida la marcia Simone Zelote, che pare molto pratico del luogo e che si scusa del difficile cammino, come se la difficoltà di esso dipendesse da lui.
   «Ora, quando saremo di nuovo sui monti che vedete, andremo meglio e vi prometto miele selvatico in abbondanza e acque pure in abbondanza…».
   «Acque? Mi ci butto dentro! La sabbia mi ha roso i piedi come avessero camminato sul sale, e la pelle mi brucia tutta.

   388.2Che luoghi maledetti! Oh! si sente, sì, si sente che siamo vicini ai luoghi puniti col fuoco[56] del Cielo! C’è rimasto nel vento, nella terra, nelle spine. In tutto!», esclama Pietro.
   «Eppure qui c’era bello un tempo, non è vero, Maestro?».
   «Bellissimo. Nei primi secoli del mondo un piccolo Eden erano questi luoghi. Fertilissimo il suolo, ricco di sorgenti atte a tanti usi. Ma ordinate a non dare che del bene. Poi… il disordine degli uomini parve prendere gli elementi. E fu la rovina. I saggi del mondo pagano spiegano in molti modi il castigo terribile. In modi di uomo, però, talora con superstizioso terrore.
   Ma, credete, fu solo il volere di Dio che levò l’ordine dagli elementi; e quelli del cielo chiamarono quelli del profondo, si scossero, si avventarono l’un contro l’altro per una ridda malefica, le folgori incendiarono il bitume che le vene aperte del suolo avevano sparso disordinatamente, e fuoco dalle viscere della terra e fuoco sulla terra, e fuoco dal cielo ad alimentare quello terrestre e ad aprire, con le spade dei fulmini, nuove ferite nella terra tremante nella convulsione spaventosa, bruciò, distrusse, corrose stadi e stadi di un luogo che era prima un paradiso, facendone l’inferno che vedete e nel quale non può essere vita».
   Gli apostoli ascoltano attentamente…
   Bartolomeo chiede: «Tu credi che, se si potesse prosciugare il velo delle acque spesse, in fondo al mar Grande troveremmo resti delle città punite?».
   «Certamente. E quasi intatte, perché lo spessore delle acque fa da calcina alle città sepolte. Ma molta sabbia ha sparso su esse il Giordano. E sepolte due volte sono, perché non risorgano più, simbolo di coloro che, ostinati nella colpa, sono inesorabilmente sepolti dalla maledizione di Dio e dalla prepotenza di Satana, che con tanta ansia hanno servito nella loro vita».
   «E qui si rifugiò[57] Matatia di Giovanni di Simeone, il giusto asmoneo che è gloria, coi figli, di tutto Israele?».
   «Qui. Fra monti e deserti, e qui riordinò popolo e esercito, e Dio fu con lui».
   «Però, almeno… A lui fu più facile, perché gli Assidei furono più giusti che non i farisei con Te!».
   «Oh! essere più giusti dei farisei è pur facile! Più facile ancora che pungere per questo spino che mi si è attaccato alle gambe… Guardate qui!», dice Pietro che, nell’ascoltare, non ha guardato per terra ed è stato avvolto in un groviglio spinoso che lo fa sanguinare nei polpacci.
   «Sui monti ce ne sono di meno. Vedi come diminuiscono già?», conforta Simone Zelote.
   «Umh! Sei molto pratico…».
   «Ci sono vissuto proscritto e perseguitato…».
   «Ah! Allora!…».

   388.3Infatti i monticelli si fanno verdi di un verde meno tormentoso, benché siano poco ombrosi e con erbette poco alte ma in compenso odorosissime e sparse di fiori come un tappeto di colori. Api e api vi si satollano, e poi vanno alle caverne di cui i fianchi montuosi sono dotati e là, sotto pendule tendine di edere e caprifogli, depositano il miele in alveari naturali.
   Simone Zelote va ad una caverna e ne esce con favi di miele d’oro, e a un’altra, e a un’altra ancora finché ne ha per tutti, e offre al Maestro e agli amici che mangiano volentieri il dolce e filante miele.
   «Se ci fosse del pane! Come è buono!», dice Tommaso.
   «Oh! anche senza è buono! Meglio delle spighe filistee. E… si spera che nessun fariseo venga a dirci che non se ne può mangiare!», dice Giacomo di Zebedeo.
   Vanno mangiando così e raggiungono una cisterna in cui si riversano le acque di alcuni ruscelli, convogliate poi non so dove. L’acqua che supera esce dal bacino ed è fresca, cristallina, essendo protetta, dal sole e dall’inquinamento, dalla volta del roccione in cui è scavata la cisterna, e cadendo fa come un laghetto minuscolo nella roccia siliceo-nerastra. Con palese piacere gli apostoli si spogliano e a turno si immergono nella vasca inaspettata. Ma prima hanno voluto che ne godesse Gesù, «per essere poi santificati nelle membra», dice Matteo.
   Riprendono la marcia, ristorati, sebbene più affamati di prima, e i più affamati, oltre a mangiare il miele, rosicchiano steli di finocchio selvatico e altri virgulti mangerecci di cui non so il nome.
   La vista è bella dai pianori di questi bizzarri monti, che sembrano avere avuto la vetta decapitata da un colpo di spada. Squarci d’altri monti verdi e di pianure fertili si vedono al sud, e anche qualche sfondo sul mar Morto, che invece è visibile a oriente, coi monti lontani dell’altra sponda, sfumanti in una nebbia di nuvole leggere, sorgenti da sud est; al nord, quando si mostra fra creste di monti, si vede il verde lontano della pianura giordanica, a ovest i monti alti della Giudea.
   Il sole comincia a scottare e Pietro sentenzia che «quelle nubi sui monti di Moab sono segno di calore forte».
   «Ora scenderemo nella valle del Cedron. È ombrosa…», dice Simone.
   «Il Cedron!?! Oh, come si è fatto a venire così presto al Cedron?».
   «Sì, Simone di Giona. È stata via aspra, ma come ha abbreviato il percorso! Andando per la sua valle presto si giunge a Gerusalemme», spiega lo Zelote.
   «E a Betania…

   388.4­Io dovrei mandare alcuni di voi a Betania, per dire alle sorelle di condurre Egla da Niche. Me ne ha tanto pregato. Ed è giusta preghiera. La vedova senza figli avrà essa pure un santo amore, e la fanciulla senza genitori una madre veramente israelita, che la crescerà nella fede nostra antica e nella mia. Vorrei venire Io pure… Un riposo di pace per lo spirito amareggiato… Nella casa di Lazzaro il cuore del Cristo non trova che amore… Ma lungo è il viaggio che voglio compiere avanti la Pentecoste!».
   «Manda me, Signore. E con me qualcuno di gamba buona. Andremo a Betania e poi io risalirò a Keriot e là ci incontreremo», dice l’Iscariota entusiasta. Gli altri, invece, in attesa di essere scelti per quel viaggio che li separerebbe dal Maestro, non sono per niente entusiasti.
   Gesù pensa. E nel pensare guarda Giuda. È incerto se acconsentire.
   Giuda incalza: «Sì, Maestro! Di’ di sì. Fammi contento!…».
   «Sei il meno adatto di tutti, o Giuda, ad andare a Gerusalemme!».
   «Perché, Signore? La conosco più di ogni altro!».
   «È ben per questo!… Essa non solo ti è nota, ma penetra in te più che in ogni altro».
   «Maestro, ti do la mia parola che non mi fermerò a Gerusalemme e non vedrò nessuno d’Israele, per mia volontà… Ma lasciami andare. Ti precederò a Keriot e…».
   «E non farai pressioni per darmi onori umani?».
   «No, Maestro. Lo prometto».
   Gesù pensa ancora.
   «Perché, Maestro, titubi tanto? Così forte diffidi di me?».
   «Tu sei un debole, Giuda. E come ti allontani dalla Forza, cadi! Sei così buono da qualche tempo! Perché vuoi turbarti e darmi dolore?».
   «Ma no, Maestro, che non voglio queste cose! Dovrò bene un giorno essere senza di Te! E allora? Come farò, se non mi sarò preparato?».
   «Giuda ha ragione», dicono in diversi.
   «E va bene!… Vai. Vai con Giacomo mio fratello».
   Gli altri respirano di sollievo. Giacomo sospira di pena, ma docilmente dice: «Sì, Signor mio. Benedicici e partiremo».
   Simone Zelote ha pietà della sua pena e dice: «Maestro, i padri si sostituiscono volentieri ai figli per dare loro una gioia. Costui io l’ho preso per figlio[58] insieme a Giuda. Il tempo è passato, ma il mio pensiero è sempre lo stesso. Accogli la mia preghiera… Manda me con Giuda di Simone. Sono vecchio, ma resistente come un giovane, e Giuda non avrà a lamentarsi di me».
   «No, non è giusto che tu ti sacrifichi allontanandoti dal Mae­stro in mia vece. Certo ti è dolore non andare con Lui…», dice Giacomo d’Alfeo.
   «Il dolore si tempera nella gioia di lasciare te col Maestro. Mi racconterai poi ciò che faceste… D’altronde… io vado volentieri a Betania…», termina lo Zelote quasi per sminuire il valore della sua offerta.
   «Va bene. Andrete voi due.

   388.5Intanto proseguiamo sino a quel paesello. Chi sale a cercarvi pane in nome di Dio?».
   «Io! Io!». Vogliono andare tutti.
   Ma Gesù trattiene Giuda di Keriot. Quando tutti si sono allontanati, Gesù gli prende le mani e gli parla proprio viso a viso. Sembra voglia trasfondergli il suo pensiero, suggestionarlo sino al punto che Giuda non possa avere altri pensieri che non siano quelli che Gesù vuole. «Giuda… Non ti fare del male! Non ti fare del male, Giuda mio! Non ti senti più calmo e felice da qualche tempo, libero dalle piovre del tuo io peggiore, di quell’io umano che è così facile zimbello di Satana e del mondo? Sì, che ti senti così! Orbene, preserva la tua pace, il tuo benessere. Non nuocerti, Giuda. Io leggo in te. Sei in un momento così buono! Oh! potessi, potessi, a costo di tutto il mio Sangue, mantenerti così, distruggere anche l’ultimo baluardo in cui si annida un grande nemico per te, e farti tutto spirito, intelletto di spirito, amore di spirito, spirito, spirito!».
   Giuda, petto a petto, viso a viso con Gesù, le mani nelle mani, è quasi sbalordito. Mormora: «Nuocermi? Ultimo baluardo? Quale mai? …».
   «Quale?! Tu lo sai. Lo sai con che ti nuoci! Col tuo coltivare pensieri di grandezza umana e amicizie che supponi utili a darti questa grandezza. Non ti ama Israele, credilo. Ti odia come odia Me e come odia chiunque può avere aspetto di trionfatore probabile. E tu, proprio perché non celi il tuo pensiero di voler essere tale, sei odiato. Non credere alle loro bugiarde parole, non alle loro false domande, fatte con la scusa di interessarsi al tuo pensiero per aiutarti. Ti circuiscono per nuocere, per sapere e nuocere. E non ti prego per Me. Ma per te, per te solo. Io, se sono fatto segno a nequizia, sarò sempre il Signore. Potranno torturare la carne, ucciderla. Non più di così. Ma tu, ma tu! A te l’anima ucciderebbero… Fuggi la tentazione, amico mio! Dimmi che la fuggirai! Da’ al tuo povero Maestro perseguitato, affannato, questa parola di pace!».
   Lo ha preso fra le braccia, ora, e gli parla gota a gota presso l’orecchio, e i capelli d’oro cupo di Gesù si mescolano ai pesanti ricci bruni di Giuda.
   «Io lo so che devo patire e morire. So che la mia corona sarà solo quella del martire. So che la mia porpora sarà solo quella del mio Sangue. Per questo sono venuto. Perché per questo martirio Io redimerò l’Umanità, e amore mi sprona da un tempo senza limiti a questa azione. Ma vorrei che nessuno dei miei si perdesse. Oh! tutti cari gli uomini, perché in essi è l’immagine e somiglianza del Padre mio, è l’anima immortale che Egli ha creato. Ma voi, voi diletti e prediletti, voi sangue del mio sangue, pupilla del mio occhio, no, no, perduti no! Oh! che non ci sarà tortura pari a questa — fosse pure Satana che infiggesse in Me le sue armi ardenti di zolfi infernali e mi mordesse, mi avvinghiasse, lui, il Peccato, l’Orrore, il Ribrezzo — non ci sarà tortura pari a questa, per Me, di un mio eletto che si perde… Giuda, Giuda, Giuda mio! Ma vuoi che chieda al Padre di patire tre volte la mia Passione orrenda, e di queste tre, due siano per salvare te solo? Dimmelo, amico, e Io lo farò. Io dirò di moltiplicare all’infinito le mie sofferenze per questo. Ti amo, Giuda, tanto ti amo. E vorrei, vorrei darti Me stesso, farti Me stesso, per salvarti da te stesso…».
   «Non piangere, non dire così, Maestro. Io anche ti amo. Io pure darei me stesso per vederti forte, rispettato, temuto, trionfante. Non ti amerò con perfezione. Non penserò con perfezione. Ma tutto ciò che sono lo uso, e forse ne abuso, per ansia di vederti amato. Ma ti giuro, su Jeovè ti giuro, che non avvicinerò né scribi, né farisei, né sadducei, né giudei, né sacerdoti. Diranno che sono pazzo. Ma non importa. Mi basta che Tu non abbia affanno per me. Sei contento? Un bacio, Maestro, un bacio per tua benedizione, per tua protezione».

   388.6­Si baciano e si separano, mentre gli altri tornano di corsa giù dal colle agitando delle larghe focacce e delle formaggelle fresche. Si siedono sull’erba verde delle rive e spartiscono il cibo raccontando che ebbero buona accoglienza, perché nelle poche case vi è gente che conosce i pastori-discepoli ed è propizia al Messia.
   «Non abbiamo detto che c’eri, perché se no…», termina Tommaso.
   «Cercheremo di passare di qui qualche volta. Non bisogna trascurare alcuno», risponde Gesù.
   Il pasto ha termine. Gesù si alza e benedice i due che vanno a Betania e che non attendono la sera per riprendere il cammino, dato che la valle è ombrosa e fresca d’acque. Gesù e i dieci che restano si sdraiano invece sull’erba e riposano, in attesa del tramonto per tornare verso la strada di Engaddi e Masada, come sento dire dai rimasti.

[56] puniti col fuoco, come è detto in: Genesi 19, 23-25.
[57] si rifugiò, come è detto in: 1 Maccabei 2, 28. Per le altre allusioni tener presente l’intero 1 Maccabei 2.
[58] l’ho preso per figlio, in 100.8.