MARIA
VALTORTA

Voglio che le anime possano bere alla Fonte vitale della mia parola

"Quando la Chiesa - e per tale alludo ora alla riunione degli alti dignitari di Essa - agì secondo i dettami della mia Legge e del mio Vangelo, la Chiesa conobbe tempi fulgidi di fulgore. Ma guai quando, anteponendo gli interessi della Terra a quelli del Cielo, inquinò Se stessa con passioni umane! Tre volte guai quando adorò la Bestia di cui parla Giovanni, ossia la Potenza politica, e se ne fece asservire..." (Qd 12 dicembre 1943)

OPERA MAGGIORE

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VOLUME VI CAPITOLO 396



CCCXCVI. Con i bambini presso Jutta. La mano risanatrice di Gesù.

   7 febbraio 1944, ore 18.

   396.1La mia gioia d’oggi.
   Vedo un luogo di montagna. Dove sia non lo so[71]. Vi è una gola di monti che entrano ed escono con le loro propaggini da una valle, nel cui letto scorre un fiumiciattolo torrentizio tutto a balzi e spume. È stretto, ma come tutti i corsi d’acqua montani è rapido, tutto cascatelle sonanti. Va in direzione sud rispetto a me. Altri monti più lontani sono oltre un altro scoscendere di costa, oltre un’altra valle.
   Comprendo d’essere in un gruppo di monti, non eccessivamente alti, ma già monti, non colline. Così come è il nostro Appennino in tanti luoghi, come per esempio nella valle della Magra o verso Porretta. La vegetazione è più atta alla pastorizia che ad altre colture. Vedo prati verdi digradare o salire su e giù per i greppi che, nell’ora che mi sembra volgente al tramonto, sembrano farsi, nelle parti più basse, d’un viola indaco. La stagione deve essere di un principio d’estate, perché l’erba è bella. Già alta ma non ancora arsa dal sole.
   Vedo, dal punto in cui mi trovo, una strada mulattiera salire verso un paese ed entrare fra le case dello stesso. Una caratteristica strada di montagna, ciottolosa e a dislivelli continui. Sale da sud a nord (sempre rispetto a me) di modo che io la vedo entrare in quella direzione nel paese e correre incontro al fiumiciattolo che va in direzione opposta, ma non nel paese: giù nella valle.
   Vi è anche un’altra stradetta che dalla valle si inerpica su questo sperone dove è annidato il paese. Una stradetta che è più un sentiero che una stradetta e che costeggia proprio il crinale del monte. Giù, oltre essa, la montagna degrada ripidamente con dei pascoli verdi fino al torrentello spumeggiante, oltre il quale sono altri pascoli che dànno l’assalto ad altri monti che si aggruppano ad est.

   396.2Dal sentiero sale Gesù insieme ai discepoli. Non tutti. Vedo Pietro e Andrea, Giovanni e Giuda Iscariota. Non vedo gli altri. Gesù è vestito di bianco ed è avvolto in un manto azzurro cupo, più blu mare che azzurro. È a testa nuda e sale agilmente, solo. Dietro, in gruppo, i quattro apostoli che parlano fra loro. Gesù, che li precede di qualche metro, non parla. Pensa. Si guarda intorno ma non parla mai.
   Ad un certo punto la stradina costeggia un muretto a secco che delimita (almeno mi pare) una proprietà, come per impedire che la terra di questa frani a valle. Gesù entra in questa proprietà dai pascoli molto ben curati, sui quali sono sparsi alberi di melo e noci e fichi. Tutti molto ben tenuti e già pieni di frutti.
   Gesù si ferma un istante proprio sul punto dove lo sperone del monte forma come un triangolo pontuto, simile al tagliamare di una nave. Si appoggia al muretto e guarda giù, su, intorno a Sé. Attende gli apostoli che salgono, specie Pietro, piuttosto lentamente. Poi, quando sono insieme, dice loro qualche parola che non afferro. Lo vedo curvarsi lievemente per parlare, perché Egli è molto più alto di loro. Non capisco le parole ma intuisco il loro significato, perché vedo l’Iscariota dirigersi sveltamente verso una casa che sorge al termine del muretto.
   È una casa molto diversa da quella di Cana. Questa non ha terrazza sul tetto, ma è sormontata da una specie di cupola ricurva, forse per impedire alle nevi invernali di stagnare sul tetto, perché, data la località, l’inverno deve essere certo nevoso, o per lo meno molto piovoso. In cambio della terrazza che manca, ha un’ala sporgente da un lato, ala in cui sbocca la scala, esterna sempre ma riparata come da un tetto sporgente. Quest’ala è, al terreno, un portico e, sopra, un loggiato coperto. La casa è tutta bianca e spicca sul verde che la circonda. Ha sul davanti un largo spiazzo erboso con al centro un pozzo circondato da alberi da frutto, messi già con pretesa di fare un giardino, perché dei fioretti sono seminati intorno ad essi formando tonde aiuole. Ho l’impressione sia casa di persone benestanti e più raffinate che non quelle della casa di Cana.
   La strada mulattiera passa sul davanti della casa, di modo che si può accedere a questa tanto dalla scorciatoia che dalla mulattiera. La siepe di rovi non è una barriera insormontabile, molto più che i due rustici cancelli che si aprono in essa sono appena accostati.

   396.3Giuda entra liberamente in casa, come se conoscesse molto bene chi vi abita. Ne esce subito una fiorente mamma circondata da tre bambini e con in braccio il più piccino. Essa va sorridendo incontro a Gesù, che nel frattempo è venuto fin verso il pozzo.
   Noto che questa donna è molto bruna e formosa, sulla trentina. Ha i capelli, nerissimi e piuttosto ricci, stretti in due trecce che le circondano il capo. Anche gli occhi sono neri e grandi, naso aquilino, bocca dalle labbra piuttosto grosse e molto rosse. È alta e ben fatta. Noto anche che è vestita diversa da come vestono[72] Maria e le altre donne viste a Cana. Ha anche lei una lunga veste di un azzurro quasi bianco, ma poi è tutta avvolta in una specie di scialle azzurro cupo che le si stringe addosso modellandola. Esso passa sotto le ascelle, da tutte e due le parti, e un lembo, quello superiore, gira poi dietro la spalla sinistra e sale sul capo che vela colla punta frangiata sino sulla fronte. Il tutto mi fa pensare che non sia galilea, perché i caratteri somatici e la veste sono differenti da quelli notati nelle donne galilee.
   Il piccolino che ha in braccio, un morettino come lei, avrà un due anni al massimo. È un bel bambino vestito di una specie di camicina di lana bianca. Gli altri bambini sono una fanciullina di un sei anni circa, tutta riccia, di un biondo castano, vestita di un rosa pallido, e due maschietti più piccoli, anche loro con due tunichette di lana azzurrina come la mamma. Devono conoscere molto bene Gesù, perché gli si affollano intorno ridenti.

   396.4La giovane mamma lo saluta: «Entra, Maestro, ché la mia casa è tua», e sorride.
   Gesù le risponde: «Il Signore ti compensi», e poi allunga il braccio destro — il sinistro è piegato sul petto e tiene con la mano raccolto un lembo del manto — a carezzare il piccino. Vedo la bella mano del mio Gesù toccare la fronte del piccolino, che fa il vezzoso e che nasconde la testina, ridendo, contro il collo della mamma, e da quel nido guarda Gesù e ride, ride per invitarlo a ripetere la carezza.
   Presso il pozzo, sotto un albero di melo, carico di frutta che cominciano a maturare, vi è un banco di pietra, un sedile. Gesù si siede lì mentre la donna entra in casa e ne esce con una brocca. Gesù le dice di dargli il piccino e se lo siede in grembo, mentre la donna attinge l’acqua e poi torna con una coppa colma di acqua e una di latte e le dà a Gesù, e gli sceglie delle mele, mature, fra le altre ancora acerbe, e gli offre anche queste, mettendo tutto su un vassoio posto sul banco, a fianco di Gesù. Si capisce che già altre volte ha fatto così. Sa ciò che piace a Gesù.
   Gli apostoli hanno seguito Giuda e bevono loro pure sotto al porticato.
   Gesù beve prima l’acqua; ha sempre il piccino in grembo e ride perché questo gli prende i capelli e la barba. Gli altri tre sono intorno a Gesù. Gesù prende le mele e ne dà una per una ai tre più grandi, e per ultimo ne prende e mangia una Lui pure. Al piccino dà invece da bere del latte che è nella coppa e poi beve Lui pure. È contento Gesù. Ride come non l’ho mai visto ridere.
   La bambina gli va fin contro i ginocchi e confidenzialmente gli mette la testolina in grembo. Gesù la carezza sui ricci. I due maschietti, che s’erano allontanati correndo, tornano uno con un colombino stretto sul petto, l’altro trascinando per un orecchio un agnellino di pochi giorni che bela disperatamente. Mostrano a Gesù i loro tesori.
   Gesù si interessa ma, impietosito della condizione delle due povere bestie, si fa dare il colombino e, dopo averlo ammirato, lo lascia volare al suo nido, e alza l’agnellino sul sedile carezzandolo e tenendolo al sicuro finché la mamma dei bambini torna e lo riporta al suo posto.
   La bambina, che non possiede altro, si curva e fa un mazzetto di fiori e lo dà a Gesù.

   396.5Il Maestro è maestro anche con questi piccini e, sempre tenendo in braccio il più piccolo, parla ai più grandi dei fiori «tanto belli fatti dal Padre celeste, dai più grandi ai più piccoli, i fiori che sono agli occhi di Dio belli come i bambini quando sono buoni. E per essere buoni bisogna essere come i fiori, che non fanno del male a nessuno, ma anzi a tutti dànno profumo e letizia e fanno sempre la volontà del Signore nel nascere dove Egli vuole, nel fiorire quando Egli vuole, nel lasciarsi cogliere se a Lui così piace».
   Parla dei colombi «così fedeli al loro nido e così puliti che non si posano mai sulle cose brutte, che ricordano sempre la loro casa e che Dio ama perché sono fedeli e puri. Anche i figli di Dio devono essere così: come tortorelle che amano la casa del Signore ed in essa fanno il loro nido d’amore e che per essere degni di essa sanno conservarsi puri».
   Parla degli agnellini «così miti, così pazienti, così rassegnati, che dànno lana e latte e carne e si lasciano immolare per il nostro bene, dandoci tanto esempio di amore e di mansuetudine. Gli agnellini così tanto amati da Dio che Egli chiamerà “Agnello” il Figlio suo. Il buon Dio ama come figli prediletti coloro che sanno conservare anima d’agnello sino alla morte».
   Mentre Gesù parla, altri bambini entrano nel recinto e si affollano. E non bambini soltanto. Ma anche adulti che ascoltano. Vi sono altre mamme che offrono i più piccini e alcuni sofferenti a Gesù perché li carezzi, li prenda in grembo un momento. I più grandicelli ci pensano da loro.

   396.6Gesù è circondato da una nidiata di bambini. Ne ha davanti, ai fianchi, alle spalle, fra le gambe. Non può muoversi. Ma ride in mezzo a quella siepe irrequieta e anche un po’ rissosa. Tutti vorrebbero il primo posto, e i padroncini di casa non intendono cederlo, cosa che dà modo a Gesù d’esser maestro una volta ancora: «Non bisogna essere egoisti neppure nel bene. Io lo so che mi amate e ne ho gioia. Anche Io vi amo, ma vi amerò di più se ora lascerete gli altri venire a Me. Un poco per uno. Da buoni fratelli. Siete tutti fratelli e uguali agli occhi di Dio e miei. Tutti uguali. Anzi, coloro che sono ubbidienti e amorosi verso i loro compagni, sono i più amati da Me e da Dio».
   Lo sciame, per mostrare che… è ubbidiente e amoroso, si allontana di colpo. Sono tutti buoni (!). Gesù ride.
   Ma poi torna lo sciame innocente. Torna a dispetto delle mamme che non vorrebbero tanta invadenza irrispettosa, e soprattutto dei discepoli. L’Iscariota è il più intransigente, Giovanni il meno. Si è seduto sull’erba e ride anche lui, circondato di bambini. Ma Giuda fa gli occhiacci e brontola. Anche Pietro si lamenta.
   Ma i bambini, stretti intorno a Gesù, non se ne curano. Guardano con sfida i brontoloni e solo il rispetto di Gesù li trattiene da fare qualche smorfia ai due. Si sentono protetti da Gesù, che ha aperto le braccia e attratto a Sé quanti più bambini poteva: un mazzo di fiori vivi.
   Vi sono dei bambini che mostrano a Gesù dei giocattoli… rotti. E Gesù, con un pezzetto di ramo, rimette l’asse alle ruote di un carrettino e aggiusta, con una cordicella e il rinforzo di un legno, la gamba ad un cavallino di legno che un morettino gli mostra. Vi sono pastorelli che, lasciato un momento il gregge sulla via — ormai la sera scende — si accostano a Gesù che li carezza e benedice. Uno gli porta una agnellina ferita e Gesù, che non vuole che il suo piccolo amico sia sgridato dal padrone, stagna il sangue dell’agnellina e la rende.

   396.7Entra una mamma e si fa largo. Ha in braccio un bambino cereo, malato. È molto ammalato. Sta tutto abbandonato sul petto della madre. Gesù, che ha già toccato altri bambini malaticci che le madri gli avevano presentato, apre le braccia e prende in grembo il quasi morticino. La madre si raccomanda piangendo.
   Gesù l’ascolta e la guarda. Poi guarda la povera creaturina scarna ed esangue. La carezza e la bacia ninnandola un poco perché piange. Il bambino, o bambina — non capisco che sia perché ha i capellucci lunghi sino alle orecchie — apre gli occhi e guarda Gesù con un triste sorriso. Gesù gli parla piano. Non capisco ciò che gli dice perché è sussurrato. Il malatino sorride ancora.
   Gesù lo rende alla mamma piangente e la fissa coi suoi occhi dominatori: «Donna, abbi fede. Domani mattina il tuo bambino giuocherà insieme a questi. Va’ in pace». E traccia ancora un segno di benedizione sulla faccina cerea.

   396.8E qui, o Padre! E qui mi pare di accostarmi al mio Gesù e di dirgli: «Maestro, che c’è nella tua mano che tutto si aggiusta o guarisce o muta aspetto quando la tocchi?».
   Domanda molto sciocca, in verità, ma alla quale il mio Gesù risponde con divina bontà: «Nulla, figlia, fuorché il fluido del mio immenso amore. Guarda la mia mano, osservala». E mi porge la destra.
   La prendo con venerazione, con la punta delle dita, sulla punta delle dita. Non oso di più mentre il cuore mi batte forte forte. Non ho mai toccato Gesù. Ne sono stata toccata, ma io non avevo mai osato. Ora lo tocco. Sento il tepore delle sue dita. Sento la sua epidermide liscia, le unghie molto lunghe (lunghe non in sporgenza, in forma sull’ultima falange). Vedo le lunghe dita sottili, la palma fortemente concava, noto che il metacarpo è molto più corto delle dita, osservo all’inizio del polso il ricamo delle vene.
   Gesù mi lascia la sua mano con benignità. Ora si è alzato in piedi ed io sono in ginocchio. Non lo vedo perciò in volto, ma sento che sorride perché il sorriso è nella sua voce:
   «Lo vedi, anima che amo, che non vi è nulla. I miei anni di lavoro mi hanno lasciato capacità di aggiustare i giocattoli dei bambini, ed uso di questa mia capacità perché anche essa serve ad attirare a Me le creature che prediligo: i bambini. La mia umanità, che si ricorda d’esser stata operaia, opera in questo. La mia divinità opera in quest’altro di guarire i bambini malati, così come guarisco i giocattoli malati e gli agnellini. Non ho nulla fuorché il mio amore ed il mio potere di Dio. E su nessuno lo effondo con pari gioia come su questi innocenti che vi do a modello per entrare nel Regno dei Cieli. Mi riposo in mezzo ad essi. Sono semplici e schietti. Ed Io che sono il Tradito[73], ed ho ribrezzo di chi tradisce, trovo pace presso questi che non sanno tradire; ed Io che sarò Colui di cui tanti diffideranno, trovo gioia presso questi che non sanno diffidare. Ed Io che sarò rinnegato da chi, con riflessione di adulto, penserà a mettersi al sicuro in ore di burrasca, trovo conforto presso questi che credono in Me senza pensare se da questo credere può loro venire un bene o un male. Credono perché mi amano. Sii tu pure come una bambina. Come una di queste, e avrai il Regno dei Cieli che si apre sotto la spinta impaziente di Gesù, che arde di avere presso di Sé quelli che più ha amato perché l’hanno più amato. Va’ in pace, ora. Ti carezzo come uno di questi piccini per farti felice. Va’ in pace».

   396.9Noti che la visione è venuta mentre, disgustata da una risposta sgarbata — non la prima di oggi — piangevo sconfortata e desolata e piena di rimpianto e di disgusto per le constatazioni che faccio dell’altrui animo. La visione m’ha calmata sin dal suo inizio e poi m’ha rallegrata. Ma quando poi ho potuto avere la gioia di sentire le dita di Gesù, io ho sentito il dolce dell’estasi soverchiare ogni amarezza.
   Mi guardo la mano che scrive[74] e che conserva la sensazione di aver toccato quella di Gesù, e mi pare santa come cosa che ha toccato una reliquia. Che il mio Gesù sia benedetto!

[71] Dove sia non lo so, giacché MV avrà nel 1945 le visioni delle due precedenti visite di Gesù a Jutta, che hanno formato i capitoli 76 (in 76.8 è richiamata la presente visione) e 212.
[72] vestono è correzione nostra al posto di veste, così come, sette righe più sotto, sono differenti al posto di è differente.
[73] sono il Tradito:qui, quella intuizione interna mi fa capire che Gesù dice “sono”, e più oltre “sarò”, perché il tradimento di Giuda fermentava già dagli inizi e Cristo lo sapeva. Così annota MV in calce alla pagina autografa del quaderno.
[74] la mano che scrive, la destra, alla morte della scrittrice resterà candida e bella, a differenza della sinistra, illividita sulle estremità.