MARIA
VALTORTA

Voglio che le anime possano bere alla Fonte vitale della mia parola

"Quando la Chiesa - e per tale alludo ora alla riunione degli alti dignitari di Essa - agì secondo i dettami della mia Legge e del mio Vangelo, la Chiesa conobbe tempi fulgidi di fulgore. Ma guai quando, anteponendo gli interessi della Terra a quelli del Cielo, inquinò Se stessa con passioni umane! Tre volte guai quando adorò la Bestia di cui parla Giovanni, ossia la Potenza politica, e se ne fece asservire..." (Qd 12 dicembre 1943)

OPERA MAGGIORE

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VOLUME VI CAPITOLO 400



CD. A Bétèr da Giovanna di Cusa. Conseguenze deleterie di un incontro dell'Iscariota con Claudia.­

   12 marzo 1946.

   400.1Gesù, seguito dallo Zelote che conduce per la briglia l’asinello cavalcato da Elisa, batte alla porta del guardiano di Bétèr. Non hanno fatto la strada dell’altra volta e sono giunti ai possedimenti di Giovanna dal paesello sparso per le chine occidentali del monte su cui sorge il castello.
   Il guardiano, che riconosce il Signore, si affretta a spalancare il cancello che è a fianco della sua casetta e che immette nel giardino che precede l’abitazione, e che costituisce il principio di quel luogo di sogno che sono i giardini a roseto di Giovanna. Un intenso odore di rose fresche e di essenza di rose stagna nell’aria calda del crepuscolo, e quando il primo vento della sera, venendo da oriente, passa facendo ondulare i roseti in fiore, più acuto si fa il profumo, più fresco, più vero, perché veniente dai poggi messi a roseto e vincente il pesante profumo dell’essenza, che esce da una bassa e larga tettoia posta contro il muraglione occidentale del possesso.
   Il guardiano spiega: «La mia padrona è là. Ogni sera va là, dove a quest’ora si raccolgono i coglitori e gli essenzieri, e parla loro, li interroga, li medica, li conforta. Oh! è buona la nostra padrona. Lo è sempre stata. Ma da quando poi è tua discepola!… Ora la chiamo… Sono tempi di molto lavoro questi, e i coglitori abituali non bastano, benché siano da Pasqua aumentati coi nuovi servi e serve che ella ha preso. Attendimi, o Signo­re…».
   «No, vado Io da lei. Dio ti benedica e ti dia pace», dice Gesù alzando la mano a benedire il vecchio guardiano, che fino allora ha ascoltato parlare pazientemente. E, lasciatolo, se ne va verso la bassa e larga tettoia.

   400.2Ma il rumore dei passi sulla terra dura del sentiero fa sporgere il capo a Mattia, curiosetto alquanto, e con uno strillo il bambino si precipita fuori, a braccia già aperte e alte, in invito e desiderio di abbraccio. «C’è Gesù! C’è Gesù!», grida correndo. E quando egli è già fra le braccia del Signore che lo bacia, si affaccia Giovanna in mezzo ai suoi servi.
   «Il Signore!», grida a sua volta e cade in ginocchio, per venerarlo subito dal luogo dove si trova. Si prostra e poi si alza, con un volto che l’emozione tinge di un porporino simile a petalo di rosa accesa. E poi viene verso Gesù. E si prostra ancora a baciarne i piedi.
   «La pace a te, Giovanna. Mi volevi? Sono venuto».
   «Ti volevo… Sì, Signore…». Giovanna torna pallida e seria.
   Gesù lo nota. «Alzati, Giovanna. Cusa sta bene?».
   «Sì, mio Signore».
   «E la piccola Maria, che non vedo qui?».
   «Anche, Signore… È andata con Ester a portare medicamenti ad un servo malato».
   «Per questo servo mi hai chiamato?».
   «No, Signore… Per… Te». Giovanna, è ben visibile, non vuole parlare alla presenza di tutti, che si sono affollati intorno.
   Gesù lo comprende e dice: «Va bene. Andiamo a vedere i tuoi roseti…».
   «Sarai stanco, Signore. Dovrai mangiare… Avrai sete…».
   «No. Abbiamo sostato nelle ore calde in una casa di discepoli dei pastori. Non sono stanco…».
   «Allora andiamo… Gionata, preparerai tutto per il Signore e per chi è con Lui… Scendi, Mattia…», ordina all’intendente che le sta presso rispettoso e al piccolo che si è fatto un nido fra le braccia di Gesù e, carezzoso, tiene la testolina bruna nell’incavo del collo di Gesù come un tortorino sotto l’ala paterna. Il bambino ha un sospirone di pena, però si appresta a ubbidire.
   Ma Gesù dice: «No. Verrà con noi e non darà noia. Sarà il piccolo angelo davanti al quale non può esser fatto atto o parola scandalosa, e che impedirà che il più lieve sospetto sorga nei cuori. Andiamo…».
   «Maestro, io ed Elisa entriamo in casa, o ci vuoi vicini?», chiede lo Zelote.
   «Andate pure».

   400.3Giovanna conduce Gesù per il largo viale che divide il giardino, dirigendosi ai roseti che scendono e risalgono le chine opposte che costituiscono i possessi fioriti della discepola. E prosegue, Giovanna. Quasi voglia proprio isolarsi là dove soltanto sono roseti e piante, e uccellini fra i rami, nelle ultime risse per trovare un posto per il sonno, o nelle ultime cure ai nidiaci. Le rose, questa sera ancora in boccio socchiuso, e che domani, sbocciate, cadranno sotto le cesoie, olezzano fortemente prima di riposare sotto le rugiade. Si fermano in una valletta fra due rughe di terreno, su cui a festoni ridono da una parte rose carnicine, dall’altra rose rosse come macchie di sangue che stia rapprendendo. Vi è lì un masso a far da sedile, o da appoggio ai cesti dei coglitori. Rose e petali sgualciti sono fra l’erba e sul masso, testimonianza del lavoro del giorno.
   Giovanna, con la mano inanellata, spazza via quegli scarti dal sedile e dice: «Siedi, Maestro. Ti devo parlare… a lungo».
   Gesù si siede e Mattia si pone a correre qua e là sull’erbetta, finché trova un grande interesse nell’inseguire un grosso rospo venuto a prendere il fresco della sera, e si allontana con gridi e salti di gioia, andando, venendo, dietro al povero rospo, finché lo distrae la tana di un grillo dentro la quale si pone a frugare con uno steccolino.
   «Giovanna, Io sono qui per ascoltarti… Non parli?», chiede Gesù dopo qualche tempo di silenzio, e lascia di osservare il bambino per guardare la discepola che gli sta ritta davanti seria e silenziosa.
   «Sì, Maestro. Ma… è molto difficile… e credo sia penoso ad udirsi…».
   «Parla con semplicità e fiducia…».

   400.4Giovanna si lascia scivolare sull’erba e, semiseduta sui calcagni, in basso rispetto a Gesù che è seduto più in alto, sul suo sedile, austero e rigido nella posa, distante come uomo più che se fosse separato da metri e metri e da ostacoli e ostacoli, vicino come Dio e Amico per la bontà dello sguardo e del sorriso. E lo guarda, lo guarda Giovanna, nel crepuscolo dolce della sera di maggio. Infine parla: «Mio Signore… prima di parlare… io ho bisogno di interrogarti… di conoscere il tuo pensiero… di comprendere se io mi sono sempre sbagliata nel comprendere le tue parole… Sono donna, una stolta donna… forse ho sognato… e solo ora io so realmente le cose… le cose come le hai dette, come le hai preparate, come le vuoi per il tuo Regno… Forse ha ragione Cusa… e io torto…».
   «Cusa ti ha rimproverata?».
   «Sì e no, Signore. Soltanto mi ha detto, con possanza di marito, che se è come i fatti ultimi lo fanno pensare, io devo lasciarti perché egli, dignitario di Erode, non può permettere che sua moglie cospiri contro Erode».
   «E quando mai fosti cospiratrice? Chi pensa di danneggiare Erode? Il suo povero trono, così sozzo, è inferiore a questo sedile fra i roseti. Qui mi siedo, là non mi sederei. Si rassicuri Cusa! Non il trono di Erode, ma neppur quello di Cesare mi suscitano voglia. Non sono questi i miei troni, né questi i miei regni».
   «Oh! Sì, Signore?! Te benedetto! Quanta pace mi dài! Sono giorni che soffro per questo! Maestro mio, santo e divino, il mio caro Maestro, il mio Maestro di sempre quale ti ho capito, visto, amato, quale ti ho creduto, così alto, così alto sopra la terra, così… così divino, o mio Signore e Re celeste!», e Giovanna, presa la mano di Gesù, ne bacia rispettosamente il dorso stando a ginocchi, come in adorazione.
   «Ma che, dunque, è avvenuto? Cosa, che Io ignoro, capace di turbarti così, di offuscare in te la limpidità della mia figura morale e spirituale? Parla!».
   «Che? Maestro, i fumi dell’errore, della superbia, della avidità, della cocciutaggine si sono elevati come da fetidi crateri e ti hanno offuscato nel concetto di alcuni, di alcune… e tentavano fare lo stesso in me. Ma io sono la tua Giovanna, la tua grazia, o Dio. E non mi sarei perduta. Almeno lo spero, conoscendo quanto è buono Iddio. Ma chi non è che un embrione di anima che lotta per formarsi può ben morire per un disinganno. Ma chi non è che uno che da mare fangoso, turbato da correnti violente, tenta raggiungere il lido, il porto, purificarsi, conoscere altri luoghi di pace, di giustizia, può ben essere sopraffatto da stanchezza, se perde la fiducia in questo lido, in questi luoghi, e lasciarsi riprendere dalle correnti, dal fango. Ed io di questa rovina di anime, per le quali impetro la tua luce, mi dolevo, mi torturavo. Le anime che formiamo alla Luce eterna ci sono ancor più care dei corpi che diamo alla luce terrena. Ora lo comprendo cosa è essere madri di una carne e madri di un’anima. Si piange per la creaturina nostra che muore. Ma è solo nostro dolore. Per uno spirito che abbiamo cercato di crescere nella tua luce e che muore, si soffre non per noi sole. Ma con Te, con Dio… perché nel nostro dolore per la morte spirituale di un’anima è anche il tuo dolore, infinito dolore di Dio… Non so se mi spiego bene…».
   «Oh! molto bene.

   400.5­Ma racconta con ordine, se vuoi che Io ti consoli».
   «Sì, Maestro. Tu hai mandato Simone Zelote e Giuda di Keriot a Betania, non è vero? Per quella fanciulla ebrea che le romane ti hanno dato e che Tu hai mandata a Niche…».
   «Sì. Ebbene?…».
   «Ed essa volle salutare le buone padrone, e Simone e Giuda l’accompagnarono all’Antonia. Lo sai?».
   «Lo so. Ebbene?».
   «Maestro… ti devo dare un dolore… Maestro, Tu proprio non sei che un Re dello spirito? Non pensi a regni terreni?».
   «Ma no, Giovanna! Come lo puoi ancora pensare?».
   «Maestro, per riavere la gioia di vederti divino, solo divino. Ma a Te, proprio perché sei tale, devo dare un dolore… Maestro, l’uomo di Keriot non ti capisce, e non capisce chi ti rispetta come sapiente, come grande filosofo, come Virtù sulla Terra, ma solo per questo ti ammira e ti si professa protettrice. È strano che delle pagane comprendano ciò che un tuo apostolo non comprende, dopo essere con Te da tanto…».
   «Lo acceca l’umanità, l’amore umano».
   «Tu lo scusi… Ma ti nuoce, Maestro. Mentre Simone parlava con Plautina, Lidia e Valeria, Giuda ha parlato con Claudia, in tuo nome, come tuo ambasciatore. Le voleva strappare promesse per una restaurazione del regno d’Israele. Claudia lo ha molto interrogato… Egli molto ha parlato. Certo pensa di essere alle soglie del suo folle sogno, là dove il sogno si muta in realtà. Maestro, Claudia si è sdegnata di questo. È figlia di Roma… Ha l’impero nel sangue… Vuoi mai che ella, proprio lei, figlia dei Claudi, vada contro Roma? Ne ha avuto un urto così profondo che ha dubitato di Te e della santità della tua dottrina. Ella ancora non può concepire, capire la santità della tua origine… Ma vi perverrà, perché in lei è la buona volontà. Vi perverrà quando si sarà rassicurata su di Te. Per ora le appari come ribelle, usurpatore, avido, falso… Plautina e le altre hanno cercato di rassicurarla… Ma lei vuole una risposta immediata, da Te».

   400.6«Dille che non tema. Io sono il Re dei re, Colui che li creo e li giudico, ma non avrò altro trono che non sia quello di Agnello, immolato prima e poi trionfante in Cielo. Faglielo sapere subito».
   «Sì, Maestro. Andrò io, personalmente. Prima che lascino Gerusalemme, perché Claudia è tanto sdegnata che non resta oltre all’Antonia… per non… vedere i nemici di Roma, dice».
   «Chi ti ha detto ciò?».
   «Plautina e Lidia. Sono venute… e Cusa era presente… e dopo… mi ha posto il dilemma. O Tu sei il Messia spirituale o lasciarti per sempre».
   Gesù ha un sorriso stanco sul volto, che è impallidito di dolore per il racconto di Giovanna, e dice: «Cusa non viene qui?».
   «Domani è sabato e vi sarà».
   «Ed Io lo rassicurerò. Non temere. Nessuno tema. Non Cusa per il suo posto a Corte, non Erode per eventuali usurpazioni, non Claudia per amore di Roma, non tu per tema di esserti ingannata, di poter essere separata… Nessuno tema… Io solo devo temere… e soffrire…».
   «Maestro, questo dolore non te lo avrei voluto dare. Ma tacere sarebbe stato inganno… Maestro, come ti comporterai con Giuda?… Io ho paura delle sue reazioni… per Te, sempre per Te…».
   «Con verità. Facendogli capire che so e che disapprovo il suo atto e la sua caparbietà».
   «Mi odierà perché capirà che per me Tu sai…».
   «Te ne duoli?».
   «Il tuo odio mi darebbe dolore. Non il suo. Sono donna. Ma più virile di lui nel servirti. Ti servo perché t’amo, non per avere onori da Te. Se domani per Te perdessi ricchezze, amore di sposo e anche libertà e vita, ti amerei più ancora. Perché allora non avrei che Te da amare e ad amarmi», dice Giovanna con impeto, alzandosi in piedi.

   400.7Anche Gesù si alza, e dice: «Sii benedetta, Giovanna, per questa parola. E sta’ in pace. Né l’odio né l’amore di Giuda possono alterare ciò che è scritto in Cielo. La mia missione sarà compiuta come è deciso. Non avere rimorsi, mai. Sii tranquilla come il piccolo Mattia, che dopo aver lavorato a fare una casa, secondo lui più bella, al suo grillo, si è addormentato con la fronte contro dei petali di rosa e sorride… credendo averla sulle rose. Perché bella è la vita quando si è innocenti. Anche Io sorrido, anche se la mia vita umana non ha fiori, ma petali sfogliati, appassiti. Ma in Cielo avrò tutte le rose dei salvati… Vieni. La notte scende. Fra poco non vedremmo più il sentiero».
   Giovanna fa per prendere il bimbo in braccio.
   «Lascia… Lo prendo Io. Guarda come sorride! Certo sogna il Cielo. La mamma. E te… Anche Io, nelle mie pene di ogni ora, sogno il Cielo, la Mamma e le buone discepole».
   E lentamente si avviano verso la casa…